Cass. Sez. III n. 24554 del 20 giugno 2012 (Ud 6 dic. 2011)
Pres. Teresi Est. Grillo Ric. Colaci
Urbanistica.  Mancata rimozione di opera stagionale

La mancata rimozione di un'opera edilizia precaria allo spirare del termine stagionale implica la violazione dell'art. 44 del D.P.R. 380/01, in quanto la responsabilità discende dal combinato disposto del citato art. 44 e dell'art. 40, comma secondo, cod. pen., per la mancata ottemperanza all'obbligo di rimozione insito nel provvedimento autorizzatorio temporaneo

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE

Con sentenza del 30 marzo 2011 la Corte di Appello di Lecce, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Lecce - Sezione distaccata di Casarano - assolveva C.L., imputata dei reati di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b) e c);

D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181 c.n. (capo A) della imputazione) e artt. 54 e 1161 c.n. (capo b) della imputazione) dal reato di cui al capo b) (violazione del codice della navigazione) per insussistenza del fatto, eliminando la relativa pena e sospendeva la pena residua detentiva, confermando, nel resto, la sentenza impugnata. Propone ricorso l'imputata a mezzo del proprio difensore fiduciario articolando una serie di motivi qui di seguito elencati.

Con il primo motivo la ricorrente deduce violazione di legge per inosservanza ed erronea applicazione della legge penale (art. 2 c.p.) in relazione alla L.R. Puglia n. 24 del 2008, per avere la Corte di Appello omesso di applicare la disposizione più favorevole costituita dalla L.R. Puglia n. 24 del 2008 che all'art. 11, comma 4 ter, disponendo il mantenimento per l'intero anno solare di tutte le strutture funzionali all'attività balneare purchè facilmente amovibili, depenalizzava di fatto il reato previgente.

Con un secondo motivo viene dedotta contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione per avere la Corte - travisando i fatti - omesso l'applicazione della L.R. Puglia dianzi richiamata in ossequio ad altra norma ritenuta incostituzionale dalla Corte Costituzionale riferentesi, però, a diversa fattispecie.

Con un terzo motivo viene dedotta altra violazione di legge per erronea applicazione della legge penale (art. 43 c.p.) in relazione alla L.R. Puglia n. 17 del 2006, art. 11, comma 4 e al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44 per avere la Corte territoriale ritenuto la sussistenza dell'elemento psicologico del reato, anche sotto il profilo della colpa, pur in presenza di norme regionali che consentivano la gestione ed il mantenimento degli stabilimenti balneari e delle strutture connesse alle attività turistiche per l'intero anno solare.

Con un quarto motivo viene dedotta contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione per avere la Corte di Appello ritenuto configurabile il reato sotto il profilo soggettivo stante l'assenza da parte della P.A. di qualsivoglia provvedimento di accoglimento della istanza presentata dalla imputata per il mantenimento della struttura relativamente all'anno 2006, così travisando la prova dimostrativa dell'avvenuto accoglimento della istanza.

Con un quinto motivo viene dedotta illogicità manifesta e contraddittorietà della motivazione nonchè erronea applicazione della legge processuale penale (art. 521 e 522 c.p.p.) per avere ritenuto la struttura realizzata dall'imputata inidonea al soddisfacimento di esigenze temporanee e dunque di natura permanente e non precaria, così incorrendo nella violazione della corrispondenza tra accusa e sentenza per avere affermato la colpevolezza della ricorrente non già in relazione alla omessa rimozione della struttura nei termini stabiliti, (così come originariamente contestato) ma per avere realizzato e poi mantenuto la struttura senza il prescritto permesso di costruire e comunque sine titulo.

Con il sesto ed ultimo motivo viene dedotta l'erronea applicazione di norme processuali (art. 74 c.p.p.) per avere confermato le statuizioni civili in favore della parte civile nonostante l'assenza di danno ed il conseguente difetto di legittimazione del Comune di Ugento a costituirsi in giudizio, non potendo il reato contestato inquadrare nell'ambito dei reati urbanistici. Il ricorso non è fondato.

Va premesso, in punto di fatto, che alla ricorrente veniva fatto carico - per quanto rileva in questa sede - del reato di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b) e c) e D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181 "perchè, nella qualità di titolare del permesso di costruire n. 23/T.S.G. del 26.5.2005, relativo alla realizzazione e mantenimento di una struttura balneare su area demaniale, avente caratteristiche di stagionalità con obbligo di rimozione entro il 30 settembre di ogni anno, ometteva di rimuovere le strutture in oggetto alla data stabilita, sicchè si accertava l'insistenza sull'area demaniale in concessione, posta lungo la litoranea (OMISSIS), in zona sottoposta a vincolo paesaggistico ed idrogeologico, delle seguenti strutture da ritenersi mantenute "sine titulo" e costituenti interventi su immobili in zona vincolata: struttura in coibentato sorretta da un telaio (chiosco di ortofrutta) delle dimensioni di mt. 8,00 x 5,00" (Fatti accertati in (OMISSIS), località (OMISSIS)).

La Corte pugliese, condividendo le argomentazioni svolte dal Tribunale, era pervenuta alla conferma del giudizio di colpevolezza rigettando, perchè infondata, la tesi difensiva prospettata nell'atto di appello relativa ad una asserita depenalizzazione della condotta per effetto della L.R. Puglia n. 24 del 2008; ancora, la Corte territoriale aveva disatteso la tesi della precarietà dell'opera sostenuta dall'imputata qualificando la struttura come durevole e inquadrando, comunque, la condotta nella fattispecie di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44 ed in quella correlata di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, in relazione alla mancata rimozione della struttura - insistente in zona paesaggisticamente vincolata - nei termini stabiliti, poi prorogati sino al 31 ottobre dell'anno solare di riferimento, in assenza di permesso di costruire e di nulla-osta paesaggistico. Ed infine la Corte rilevava come, in assenza di provvedimento dell'autorità amministrativa volto a consentire il mantenimento della struttura fino al 31 dicembre 2006 era certamente configurabile il reato sotto il profilo soggettivo, stante, comunque, la consapevolezza da parte della imputata della illiceità della propria condotta e la negligenza derivante dal mantenimento della struttura pur in assenza di autorizzazione, ancorchè richiesta.

SI legge nella sentenza impugnata che la C., titolare di un chiosco adibito alla vendita di prodotti agroalimentari ubicata lungo la strada (OMISSIS) in area demaniale marittima soggetta a concessione, aveva ottenuto apposito permesso di costruire per l'installazione di una struttura definita "precaria" e avente validità temporanea circoscritta al c.d. "periodo estivo" intercorrente tra il l'(OMISSIS) di ogni anno.

Questa struttura, destinata ad essere rimossa al termine della stagione estiva, previa estensione del termine di durata al 31 ottobre (quanto meno per l'anno 2006), non aveva rimosso la struttura nè alla fine della stagione balneare del 2005 e nemmeno alla scadenza del termine (prorogato) del 31 ottobre 2006, in quanto alla data del sopralluogo eseguito il 20 dicembre 2006 il chiosco era al suo posto e nessuna autorizzazione per la permanenza oltre tale data era stata rilasciata. Tanto precisato, ritiene questa Corte di dovere esaminare per ragioni di priorità logica oltre che giuridica il motivo afferente alla esatta qualificazione della condotta cui si riconnette la questione relativa alla sussistenza dell'elemento oggettivo del reato contestato.

La sentenza impugnata in modo del tutto coerente con l'orientamento espresso più volte in materia dalla giurisprudenza di questa Corte, ha affermato che l'omessa rimozione dell'opera alla scadenza del termine stagionale implica la configurabilità del reato urbanistico, versandosi in tema di opera insistente in zona soggetta a specifica tutela ambientale-paesaggistica e realizzata senza i prescritti titoli abilitativi.

Invero la mancata rimozione di un'opera edilizia precaria allo spirare del termine stagionale implica la violazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, in quanto la responsabilità discende dal combinato disposto del citato art. 44 e dell'art. 40 c.p., comma 2, per la mancata ottemperanza all'obbligo di rimozione insito nel provvedimento autorizzatorio temporaneo (in termini oltre alia giurisprudenza richiamata nella sentenza impugnata v. Cass. Sez. 3^ 12.5.2011 n. 23465, Frassica, Rv. 2504S4).

Correlata a tale è aspetto è la questione relativa al significato da attribuire all'espressione "opera precaria" menzionata già nella richiesta di rilascio del permesso di costruire ed enunciata anche nella L.R. n. 17 del 2006, art. 11, comma 4 della, anche se non più ripetuta nella novella legislativa regionale n. 24 del 2008.

Con tale termine, sulla scia di una uniforme corrente interpretativa, ci si intende riferire non già alla composizione materiale dell'opera, vale a dire alla sua struttura intrinseca, ma alle caratteristiche funzionali intese quali destinazione dell'opera al soddisfacimento di esigenze di carattere temporaneo e, dunque, non destinate al soddisfacimento di esigenze permanenti e/o durevoli nel tempo: è dunque necessario che l'autorità competente ogni volta che ne ravvisi la necessità in relazione a specifiche ragioni di tutela ambientale in genere possa essere in tardo di operare una valutazione idonea a consentire (o negare) la realizzazione di un'opera - quale che sia la sua struttura intrinseca - in una determinata area territoriale.

Nella materia edilizia, quindi, il concetto di precarietà non va riferito alle caratteristiche costruttive,o alla natura e qualità dei materiali impiegati o, ancora, all'agevole rimovibilità (o amovibilità), venendo in rilievo, invece, le esigenze temporanee alle quali l'opera eventualmente debba assolvere.

Ne deriva che il carattere stagionale dell'opera non comporta ex sè la sua precarietà laddove l'opera venga destinata al soddisfacimento di degenze durevoli nel tempo, coincidendo i due concetti della precarietà e stagionalità solo con la intrinseca destinazione dell'opera per un uso specifico e limitato nel tempo cui è correlata la eliminazione dell'opera dopo la cessazione dell'uso (in termini, tra le tante, Cass. Sez. 3A 21.3.2006 n. 20189, cavallini, Rv. 234325; cass. Sez. 3" 21.2.2006 n. 13705. Mulas, Rv. 233926; Cass. Sez. 3^ 21.6.2011, n. 34763, Bianchi, Rv. 251243).

La Corte territoriale pugliese si è pienamente uniformata a tali principi di diritto sicchè nessuna illogicità o incompletezza di motivazione è dato intravedere nella specifica motivazione resa sul punto dal giudice di merito.

Da tali conclusioni discende l'infondatezza della ulteriore tesi difensiva basata su una pretesa inosservanza dell'art. 521 c.p.p. in tema di corrispondenza tra la contestazione e la sentenza in quanto, altrettanto correttamente, la Corte ha ritenuto integrata la fattispecie contestata per la mancata rimozione dell'opera nei tempi previsti ritenendola equivalente in tutto e per tutto alla assenza del permesso di costruire.

Non va dimenticato, infetti, come rettamente osservato dalla Corte di merito, che la ricorrente aveva dovuto richiedere apposito permesso per la realizzazione di un'opera da essa stessa definita precaria (e pertanto destinata per scienza della istante, al soddisfacimento di esigenze temporanee), permesso fisiologicamente circoscritto ad una durata temporanea suscettibile di proroga laddove fosse intervenuta apposita autorizzazione.

Ma come ricordato dalla Corte tale autorizzazione - quanto meno per gli anni in contestazione (2005 e 2006) non venne mai rilasciata, nonostante l'istanza presentata dall'interessata, almeno per l'anno 2006, mai esitata con un provvedimento definitivo.

Per completezza si rileva - a proposito della dedotta violazione dell'art. 521 c.p.p. che in tanto può parlarsi di non corrispondenza tra la contestazione e la sentenza in quanto nel fatto rispettivamente indicato in epigrafe e ritenuto in sentenza non sia possibile individuare un nucleo comune, con la conseguenza che i fatti si pongono in posizione di eterogeneità (tra le tante, Cass. Sez. 3A 28.6.2007 n. 35225; Cass. Sez. 6^ 21.1.2005 n. 12175; idem Sez. 4" 27.1.2005 n. 27355).

Perchè, quindi, venga integrata l'ipotesi processuale in parola, è necessaria la radicale trasformazione del fatto nei suoi elementi essenziali, da valutare non già attraverso un raffronto estrinseco e di tipo formale tra l'imputazione ed il fatto ritenuto, ma in termini molto più ampi (in tal senso, ex plurimis, Cass. Sez. 4A 4.2.2004 n. 16900; Cass. Sez. 3A 5.5.1998 n. 7142).

L'interpretazione affidata al Giudice in ordine alla violazione, o meno, di tale principio deve essere condotta nel rigoroso rispetto del principio costituzionale del giusto processo, afferendo alla materia del diritto di difesa e del corretto esercizio dell'azione penale da parte del P.M. (in tal senso, Cass. Sez. 3A 2.2.2005 n. 13151).

Peraltro è principio pacifico nella giurisprudenza di questa Corte quello secondo il quale solo quella radicale trasformazione del fatto ritenuto in sentenza rispetto alla contestazione originaria comportante un vero e proprio rapporto di incompatibilità e/o eterogeneità rispetto all'enunciazione dell'imputazione, può determinare nullità, da escludere, invece, ogni qualvolta l'imputazione venga precisata o integrata con le risultanze degli interrogatori e degli altri atti acquisiti, cui abbia partecipato la difesa dell'imputato e che abbiano determinato la possibilità, per questi, di difendersi anche dalle circostanze nuove (in tal senso, Cass. Sez. 6^ 25.2.2004 n. 21094; Cass. Sez. 6A 13.2.1998 n. 3460; Cass. Sez. 6A 30.4.2003 n. 31981).

Deve, in altri termini, tenersi conto non solo del fatto descritto in imputazione, ma anche di tutte le ulteriori risultanze probatorie portate a conoscenza dell'imputato e che hanno formato oggetto di sostanziale contestazione, sicchè questi abbia avuto modo di esercitare le sue difese sul materiale probatorio posto a fondamento della decisione.

Ne consegue che, laddove di fronte ad un fatto diverso da quello contestato, l'imputato sia stato posto in condizioni di difendersi concretamente dalle accuse ed abbia esercitato tali diritti senza alcuna limitazione, nessuna violazione della regola processuale suddetta può dirsi avvenuta (tra le tante, Cass. Sez. 3A 27.2.2008 n. 15655).

La Corte territoriale si è adeguata a tali principi tanto è vero che l'imputata è stata sempre posta nelle condizioni di esercitare i propri diritti difensivi in modo pieno cercando di dimostrare attraverso documenti la correttezza del proprio operato.

Superate allora le obiezioni difensive riguardi il profilo oggettivo della condotta, osserva la Corte che anche le questioni afferenti all'elemento soggettivo del reato nei termini in cui sono state poste nel ricorso risultano ugualmente infondate.

Premesso che trattasi in entrambe le ipotesi contestate di reati contravvenzionali per i quali è sufficiente la colpa (da intendersi come negligenza o colpevole inosservanza di disposizioni normative cogenti), l'argomentazione seguita sul punto dal giudice territoriale è, ancora una volta, aderente alle regole interpretative in materia di colpa e comunque esente da vizi logici di qualsivoglia genere.

La Corte salentina ha correttamente ritenuto integrato il reato anche sotto il profilo soggettivo desumendolo dalla stessa condotta della imputata concretizzatasi in quella richiesta di proroga al 31 dicembre 2006 del mantenimento della struttura da lei realizzata avanzata in data 13 settembre 2006 senza che venisse emanato un provvedimento definitivo favorevole.

In altri termini la stessa consapevolezza da parte della ricorrente di dover richiedere apposita proroga per il mantenimento della struttura costituisce il limite alla liceità del suo comportamento dal punto di vista soggettivo essendo indiscutibile che fino a quando non fosse intervenuta una determinazione positiva da parte dell'Autorità competente il mantenimento della struttura - proprio perchè precaria dal punto di vista funzionale - doveva ritenersi contra legem.

Si tratta di un ragionamento deduttivo non solo corretto dal punto di vista del rispetto delle regole in materia di colpa ma soprattutto convincente sotto il profilo logico.

Infatti la mera proposizione della istanza non seguita da provvedimento positivo non poteva equivalere - come rettamente affermato dalla Corte - alla consapevolezza di agire conformemente al dettato normativo non potendo escludersi la colpa sulla base di una situazione di incertezza legata alla risposta della P.A. per di più caratterizzata da ampia discrezionalità.

Nè può condividersi l'ulteriore tesi difensiva basata, stavolta, su un asserito travisamento - da parte della Corte di Appello - della prova (nel senso che la Corte non avrebbe tenuto conto dell'intervenuto rilascio di apposita autorizzazione in prorogatio per l'anno 2006) tenuto conto di quanto affermato nella sentenza impugnata circa il mancato rilascio dell'autorizzazione non solo per l'anno 2006 ma anche per il precedente anno solare, (vds. pagg. 4 e 7 della sentenza impugnata).

Solo nel 2007 (provvedimento del 12 settembre 2007) infatti l'Amministrazione Comunale ha provveduto al rilascio dell'autorizzazione per l'intero anno solare di riferimento, mentre con riferimento all'anno precedente nessun provvedimento amministrativo definitivo era stato emesso.

A questo punto può passarsi all'esame del primo motivo di ricorso con il quale viene sostanzialmente dedotto un errore nella applicazione della legge penale costituito dalla mancata presa d'atto da parte della Corte di Appello della intervenuta depenalizzazione del reato.

Per comprendere il senso di tale affermazione difensiva - nient'affatto condivisibile sul piano strettamente ermeneutico - occorre riepilogare per sintesi il quadro normativo di riferimento richiamato dalla ricorrente.

La L.R. n. 17 del 2006, art. 11 prevedeva al comma 4 la gestione per l'intero anno solare degli stabilimenti balneari e delle altre strutture connesse alle attività turistiche ricadenti su aree demaniali onde consentire lo svolgimento di attività collaterali alla balneazione; veniva anche prevista nella seconda parte della norma la coeva possibilità di mantenere opere assentite, ancorchè precarie, sino, comunque, alla determinazione della autorità competente.

In aggiunta a tale disposizione si collocava altra norma (comma 4 bis) riguardante la possibilità del mantenimento per l'intero anno solare di strutture precarie e amovibili di facile rimozione, purchè funzionali all'attività turistico-ricreativa, in deroga ai vincoli previsti dalla normativa in materia di tutela del territorio, paesaggistica, ambientale ed idrogeologica.

Tale norma in quanto ritenuta contrastante con l'art. 117 Cost., comma 2 veniva dichiarata incostituzionale con sentenza della Corte Costituzionale n. 232/08 del 27 giugno 2008.

Pressochè contemporaneamente - più esattamente quattro mesi dopo - alcune disposizioni contenute nella L.R. n. 17 del 2006 venivano integrate con la L.R. Puglia n. 24 del 2008 con la quale ai sensi dell'art. 1 ed a parziale modifica dell'art. 3.07.4 punto 4.1 lett. b) del P.U.T.T. (Piano urbanistico territoriale tematico) veniva prevista la possibilità di mantenere tutte le strutture funzionali all'attività balneare purchè di facile amovibilità per l'intero anno, con obbligo di rimozione alla scadenza dell'atto concessorio ove non rinnovato o anche anticipatamente per sopravvenute esigenze di tutela ambientale (L.R. n. 17 del 2006, art. 11, comma 4 quater come integrato per effetto della L.R. suddetta, art. 1), mentre "in fase di prima applicazione" veniva previsto che tutte quelle autorizzazioni di durata stagionale precedentemente rilasciate venissero uniformate al dettato normativo della legge suddetta (comma 4 sexies come introdotto dal citato art. 1).

Sulla base di tale ricostruzione normativa correttamente la Corte di Appello ha anzitutto escluso dal novero delle strutture oggetto della norma regionale sopravvenuta (ma anche di quella preesistente) quelle non strettamente funzionali all'attività balneare, ritenendo che la norma modificativa fosse di stretta interpretazione.

Tale ragionamento inoltre si pone in stretta armonia con la pronuncia di incostituzionalità di cui alla ricordata sentenza n. 232/08 della Corte Costituzionale, nel senso che una diversa interpretazione avrebbe di fatto introdotto una consistente deroga al sistema del governo del territorio non consentita dall'art. 117 Cost., comma 2.

Da qui la necessitata conclusione che la L.R. n. 28 del 2008, art. 1, letto ed interpretato in chiave costituzionale secondo le indicazioni contenute nella sentenza citata impedisce di ampliare il campo di applicabilità di disposizioni in deroga, pena la violazione dell'art. 117 Cost., comma 2 in relazione al disposto di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 146.

In forza di quest'ultima disposizione,infatti è fatto divieto ai proprietari possessori o detentori a qualsiasi titolo di immobili ed aree di interesse protetto dal punto di vista paesaggistico di distruggere il territorio medesimo e di apportarvi modificazioni pregiudizievoli per i valori paesaggistici soggetti a protezione: con l'ovvia conseguenza della impossibilità di mantenere sul territorio opere non in linea con la tutela del paesaggio soprattutto se destinate a rimanere in permanenza.

La diversa interpretazione prospettata dalla difesa della ricorrente consentirebbe invece la possibilità di derogare a tali disposizioni vincolanti attraverso il mantenimento sine titulo di opere precarie oltre il termine stabilito per legge.

Non può non sottolinearsi, inoltre, l'anomalo richiamo contenuto nella citata L.R., art. 1 in questione ad una norma (la L.R. n. 17 del 2006, art. 11, comma 4 bis) in realtà venuta meno per effetto della dichiarazione di incostituzionalità già prima della promulgazione della L.R. n. 24 del 2008.

Ed ancora si rileva che il testo della L.R. n. 24 del 2008, art. 1, comma 4 quater differisce sensibilmente dal testo della disposizione di cui all'art. 11, comma 4 della precedente legge regionale, in quanto non si riferisce alle strutture connesse alle attività turistiche ricadenti in aree demaniali, ma soltanto alle strutture funzionali all'attività balneare.

E' evidente quindi la restrizione dell'ambito di operatività della norma nell'intento evidente di evitare letture disomogenee rispetto alla prescrizione costituzionale e di circoscrivere il campo di azione ad ipotesi ben delimitate in ambito spaziale e funzionale.

Corretta quindi appare la decisione della Corte di Appello di escludere dall'area di applicazione della norma regionale la struttura realizzata dall'imputata proprio perchè non funzionale alle attività balneari.

Nè appare condivisibile l'argomentazione difensiva che pretenderebbe di includere l'opera in questione tra quelle connesse alle attività balneari solo perchè ubicata in una zona ad uso dei bagnanti, in quanto frutto di una malintesa interpretazione del concetto di funzionalità.

Peraltro è evidente che la L.R. n. 24 del 2008 in ogni caso disponeva per le situazioni future senza alcuna pretesa di regolarizzazione delle situazioni preesistenti.

Rimane a questo punto da esaminate l'ultimo motivo di ricorso relativo alla illogicità della motivazione in ordine al mantenimento delle statuizioni civili.

Secondo l'interpretazione difensiva in assenza di un qualsivoglia danno di tipo urbanistico e paesaggistico non sarebbe stata possibile nè la costituzione di parte civile da parte del Comune, nè, ancor meno, il risarcimento del danno così come disposto in sentenza, anche perchè nessun reato urbanistico sarebbe configurabile non rientrando in tale paradigma normativo il mantenimento oltre il termine della struttura "precaria".

Tale tesi non ha fondamento proprio perchè - come dianzi precisato - nel caso in esame il reato urbanistico, cosi come quello paesaggistico, è pienamente configurabile coincidendo il concetto di opera precaria (in senso funzionale) mantenuta oltre il termine di scadenza prefissato per legge con quello della costruzione senza permesso e senza la prescritta autorizzazione paesaggistica.

Tanto consente di ritenere del tutto corretta la decisione della Corte di mantenere ferme le statuizioni civili in quanto correlate ad una positiva valutazione della legittimazione dell'ente territoriale locale alla costituzione di parte civile e, di seguito, alla valutazione positiva di un danno permanente all'ambiente circostante e più in generale all'assetto territoriale della zona. Il ricorso va, conseguentemente, rigettato. Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.


P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 6 dicembre 2011.