Corte Europea dei Diritti dell'Uomo sent. 10 maggio 2012 - Ricorso n.75909/01 - Causa Sud Fondi S.r.l. e altri c.Italia (Traduzione a cura del Ministero della Giustizia)
Lottizzazione abusiva, revoca confisca e risarcimento danni (Vicenda "Punta Perotti")
CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL'UOMO
SECONDA SEZIONE
CAUSA SUD FONDI S.R.L. E ALTRI c. ITALIA
(Ricorso no 75909/01)
SENTENZA
(Equa soddisfazione)
STRASBURGO
10 maggio 2012
Questa sentenza diverrà definitiva alle condizioni definite nell'articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire modifiche di forma.
Nella causa Sud Fondi S.r.l. e altri c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo (seconda sezione), riunita in una camera composta da:
Françoise Tulkens, presidente,
Danutė Jočienė,
Dragoljub Popović,
Isabelle Berro-Lefèvre,
András Sajó,
Işıl Karakaş,
Guido Raimondi, giudici,
e da Stanley Naismith, cancelliere di sezione,
Dopo aver deliberato in camera di consiglio il 20 marzo 2012,
Rende la seguente sentenza, adottata in tale data:
PROCEDURA
1. All'origine della causa vi è un ricorso (no 75909/01) presentato contro la Repubblica italiana con il quale tre società con sede in quello Stato, Sud Fondi s.r.l, Mabar s.r.l e Iema s.r.l («le ricorrenti»), hanno adito la Corte il 25 settembre 2001 in virtù dell'articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»). Dagli atti risulta che la prima ricorrente è in liquidazione.
2. Con sentenza del 20 gennaio 2009 («la sentenza in via principale»), la Corte ha ritenuto arbitraria la confisca dei beni delle ricorrenti sia rispetto all'articolo 7 della Convenzione che all'articolo 1 del Protocollo n° 1 (Sud Fondi e altri c. Italia, no 75909/01, §§ 118 e 137, e punti 1 e 2 del dispositivo, 20 gennaio 2009).
3. Basandosi sull'articolo 41 della Convenzione, le ricorrenti reclamavano un'equa soddisfazione per i danni materiali, i danni morali e le spese.
4. La Corte si è riservata sui danni materiali non essendo matura per la decisione la questione dell'applicazione dell'articolo 41 della Convenzione ed ha invitato il Governo e le ricorrenti a presentare per iscritto, entro sei mesi, le loro osservazioni su detta questione e, in particolare, ad informarla di ogni eventuale accordo da essi raggiunto (ibidem, § 149, e punto 4 del dispositivo).
5. Le società ricorrenti e il Governo hanno depositato osservazioni e informazioni sino a fine 2011.
IN FATTO
A. I fatti pertinenti successivi alla sentenza in via principale
1. La revoca della confisca
6. A seguito della sentenza in via principale che concludeva per la violazione dell'articolo 7 della Convenzione e dell'articolo 1 del Protocollo n° 1 in ragione della confisca dei beni delle ricorrenti, il Governo (Presidenza del Consiglio dei ministri) sollecitò al tribunale di Bari la revoca della sanzione.
7. Visto che tale istanza venne respinta il 26 ottobre 2009, il Governo propose ricorso per cassazione.
8. L'11 maggio 2010 la Corte di cassazione accolse il ricorso e annullò con rinvio la decisione impugnata.
9. Il 4 novembre 2010 il tribunale di Bari accolse l'istanza di revoca della sanzione e ordinò la restituzione dei terreni confiscati ponendo a carico dello Stato le spese per la trascrizione della decisione presso la Conservatoria dei registri immobiliari. I terreni sottoposti a confisca nel 2001 che dovevano essere restituiti erano i seguenti:
- alla ricorrente Sud Fondi srl: terreni per una superficie complessiva di 59.761 metri quadrati, interessati dal piano di lottizzazione no 141 del 1989 (che in altri documenti figura con il no 141/87), ivi compresi i terreni non edificabili ai sensi del permesso a costruire no 67/1992 e che erano stati confiscati anche conformemente alla sentenza della Corte di cassazione del 29 gennaio 2001;
- alla ricorrente Mabar srl: terreni per una superficie di 13.095 metri quadrati, interessati dal piano di lottizzazione no 151 del 1989, ivi compresi i terreni non edificabili ai sensi del permesso a costruire no 284/93 e che erano stati confiscati anche conformemente alla sentenza della Corte di cassazione del 29 gennaio 2001;
- alla ricorrente Iema srl: terreni per una superficie di 2.726 metri quadrati, interessati dal piano di lottizzazione no 151/89, ivi compresi i terreni non edificabili ai sensi del permesso a costruire no 284/93 e che erano stati confiscati anche conformemente alla sentenza della Corte di cassazione del 29 gennaio 2001.
10. Il comune di Bari presentò un ricorso per cassazione e domandò la sospensione dell'esecuzione della decisione del tribunale. La domanda di sospensione fu respinta il 17 gennaio 2011. Avendo il comune di Bari rinunciato al ricorso per cassazione, la decisione del tribunale di Bari divenne definitiva il 4 novembre 2010.
2. La restituzione dei terreni
11. Con lettera datata 26 gennaio 2011, il comune di Bari invitò le ricorrenti a recarsi sui luoghi l'8 febbraio 2011 per la consegna dei suoli.
12. Il 4 febbraio 2011 le ricorrenti inviarono la loro risposta. Esse facevano osservare che i suoli in questione erano stati trasformati in parco pubblico; che da tre anni questo parco era liberamente utilizzato dalla collettività; che vi erano delle opere permanenti funzionali all'uso del parco da parte della collettività. Le ricorrenti ritenevano che se avessero accettato la consegna dei suoli, avrebbero dovuto richiedere il permesso per costruire una recinzione. Alla luce di questi elementi, la consegna dei terreni non poteva costituire la restitutio in integrum alla quale esse avevano diritto. Pertanto, in attesa della sentenza della Corte sull'equa soddisfazione, le ricorrenti ritenevano che la consegna non potesse essere accettata.
13. L'8 febbraio 2011, le ricorrenti non inviarono alcun rappresentante all'appuntamento fissato dal comune di Bari. Il verbale redatto lo stesso giorno attestava la conseguente impossibilità di procedere formalmente alla consegna dei suoli e ricordava che la confisca dei terreni era stata revocata con la decisione giudiziaria che ordinava la restituzione di detti terreni alle ricorrenti; che questa decisione era stata trascritta in Conservatoria; che nel 1993 le ricorrenti avevano stipulato delle convenzioni con il comune di Bari per effetto delle quali gli avevano ceduto dei terreni per la realizzazione di opere di urbanizzazione. Quanto allo stato dei luoghi del parco, il verbale attestava la presenza, tra altro, di panchine, di un sistema di illuminazione, di cabine elettriche, di un campo di basket, di giochi per bambini, di fontane, di un sistema di irrigazione, di un monumento.
14. Con lettera del 15 febbraio 2011, il comune di Bari comunicò alle ricorrenti che la proprietà dei suoli era già stata trasferita a seguito della trascrizione in Conservatoria il 25 novembre 2010 della decisione del tribunale di Bari. La consegna dei suoli fissata all'8 febbraio era puramente formale. In effetti, il diritto di proprietà non dipendeva dall'accettazione della consegna controversa, ma dalla decisione giudiziaria controversa e della sua trascrizione. Alle ricorrenti incombevano pertanto tutti gli obblighi dei proprietari.
3. La procedura di risarcimento danni
15. Il 28 febbraio 2006, Sud Fondi aveva presentato al tribunale civile di Bari una domanda di risarcimento danni diretta contro il Ministero dei beni culturali, la regione Puglia ed il comune di Bari (si vedano i paragrafi 44 e 45 della sentenza in via principale). A queste autorità rimproverava sostanzialmente di aver concesso dei permessi a costruire senza la diligenza richiesta e di averle garantito che tutta la pratica era conforme alla legge. La richiedente domandava una somma corrispondente al prezzo di acquisto dei terreni (40.000.000 EUR) più le spese notarili e gli oneri finanziari, più indicizzazione e interessi fino al 2006, ovvero una somma complessiva di 150.000.000 EUR.Domandava inoltre il risarcimento dell'ulteriore danno materiale, di cui 1.275.530,26 EUR per onorari di architetti; 8.916.628,36 EUR per costi di costruzione; 1.030.761,49 EUR per tasse pagate; 230.878,15 EUR per spese pubblicitarie; 15.422,24 EUR per garanzie fideiussorie e 990.940,44 EUR per altre garanzie. Reclamava anche 152.332.17,44 EUR per mancato guadagno e 25.822.844,95 EUR per danno immateriale.
16. Le autorità italiane convenute sostenevano che queste somme erano ingiustificate. In particolare la somma di 40.000.000 EUR reclamata a titolo di prezzo di acquisto dei suoli si riferiva non soltanto a degli atti pubblici di acquisto di terreni, ma anche ad alcuni atti di cessione delle quote di una società (Calaprice s.r.l.) che era proprietaria di detti terreni e che era controllata dagli stessi soci della società richiedente. Così, il prezzo di 35 milioni di euro per acquisire circa 39.209 metri quadrati su un totale di 59.761 metri quadrati appariva esagerato essendo questo prezzo nettamente superiore rispetto all'acquisto dei restanti terreni (i restanti 20.000 metri quadrati erano costati 5 milioni di euro). Inoltre, le parti convenute osservavano che la richiedente domandava al tempo stesso un ammontare corrispondente ai prestiti sottoscritti per poter acquistare i terreni e un ammontare corrispondente al prezzo di acquisto di detti terreni. In seguito, i terreni controversi erano ancora edificabili. Infine le convenute osservavano che i lavori di costruzione erano stati realizzati dalla società S. Matarrese spa, posseduta dalla stessa famiglia dei soci.
17. Nell'ambito di questa procedura, il comune di Bari domandò un contro-risarcimento di 105 milioni di euro, di cui 35 milioni per danno all'immagine, 35 milioni di euro per danno all'integrità della sfera funzionale e 35 milioni per danno ambientale. Inoltre il comune di Bari domandò 1.438.895,48 EUR a titolo di rimborso per le spese di demolizione e per le altre spese di riqualificazione.
18. La procedura dinanzi al tribunale di Bari è tuttora pendente. L'udienza per la presentazione delle conclusioni che era stata fissata al 23 marzo 2011, è stata rinviata al 15 dicembre 2011 a causa del sovraccarico dei ruoli.
19. Per quanto riguarda la ricorrente Mabar s.r.l., quest'ultima aveva intentato una procedura separata per il risarcimento danni (paragrafo 45 della sentenza in via principale), di cui le parti non hanno fornito informazioni.
20. La ricorrente Iema s.r.l. non aveva invece intentato procedure per risarcimento danni a livello nazionale.
4. Le pretese dello Stato per danno ambientale
21. Con messa in mora dell'11 gennaio 2011, lo Stato ha intimato agli amministratori delle società ricorrenti – e non a queste ultime – di versare la somma di 27.161.413 EUR più interessi a titolo di risarcimento per il danno ambientale.
B. Il diritto interno pertinente successivo alla sentenza in via principale
1. La Corte costituzionale
22. Il 9 aprile 2008, nell'ambito di un processo penale che non riguardava le ricorrenti, la corte d'appello di Bari – basandosi sulla decisione sulla ricevibilità del presente ricorso – aveva adito la Corte costituzionale affinché si pronunciasse sulla legittimità della confisca che era inflitta automaticamente, anche nel caso in cui non era stata constatata alcuna responsabilità penale (vedere paragrafo 48 della sentenza in via principale).
23. Con la sentenza no 239 del 2009, la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale. Nella parte finale del suo ragionamento ha fatto osservare che in presenza di un apparente contrasto tra una disposizione nazionale e la Convezione, quale interpretata dalla Corte, il dubbio sulla costituzionalità del diritto nazionale può porsi solo se il contrasto non si possa risolvere il problema in via interpretativa. Di fatto spetta al giudice nazionale interpretare il diritto nazionale in modo conforme alla disposizione internazionale, nella misura in cui la legge lo permette. Solo ove ciò non fosse possibile il giudice nazionale può investire la Corte costituzionale della questione di incostituzionalità.
2. La legge no102 del 2009
24. Ai sensi dell'articolo 4ter della legge no 102 del 3 agosto 2009, fermi restando gli effetti della revoca della confisca (…) quando la Corte europea dei diritti dell'uomo ha riscontrato una violazione della Convenzione in ragione della confisca, la stima degli immobili avviene comunque in base alla destinazione urbanistica attuale e senza tenere conto del valore delle opere abusivamente costruite sui terreni confiscati. Ove sugli immobili confiscati siano stati realizzati interventi di riparazione straordinaria, miglioramenti o addizioni, se ne tiene conto nel determinare il valore all'atto della restituzione all'avente diritto. Ai medesimi fini si tiene conto delle spese sostenute per la demolizione delle opere abusivamente realizzate e per il ripristino dello stato dei luoghi.
C. Il diritto e la prassi internazionali pertinenti
25. I principi applicabili sono riassunti nella sentenza Guiso-Gallisay c. Italia (equa soddisfazione) [GC], no 58858/00, §§ 49-54, 22 dicembre 2009.
IN DIRITTO
26. Ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione,
«Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.»
A. Argomenti delle ricorrenti
1. Gli argomenti a sostegno di un’equa soddisfazione
27. Le ricorrenti osservano che, nella sentenza pronunciata in via principale, la Corte ha constatato il carattere arbitrario della confisca dei loro beni sia sul piano dell’articolo 7 che dell’articolo 1 del Protocollo n. 1. Di conseguenza, esse ritengono di avere diritto a una riparazione corrispondente ad una restitutio in integrum, conformemente al diritto internazionale, sia per i terreni che per gli edifici che sono stati confiscati.
28. Secondo le stesse, la restituzione dei terreni non ha riparato al danno subito. Chiedono pertanto un’equa soddisfazione.
29. Al riguardo, fanno notare anzitutto che gli edifici esistenti al momento della confisca non sono stati restituiti in quanto sono stati demoliti. Non è stato versato loro alcun risarcimento pecuniario e, conformemente alla legge n. 102 del 2009, non ne sarà mai offerto alcuno.
30. Inoltre, i terreni oggetto della controversia sono stati materialmente trasformati a seguito della realizzazione di un parco pubblico chiamato «Parco Perotti». In tal modo, anche se il titolo di proprietà è stato nuovamente trasferito alle ricorrenti – che, di conseguenza, devono sostenerne l’onere fiscale – le stesse non hanno recuperato il pieno godimento dei loro beni per i motivi seguenti: il parco è attualmente utilizzato dalla collettività; il comune di Bari vi ha realizzato delle infrastrutture; il parco non è circondato da alcuna recinzione; il comune non ha adottato alcun provvedimento rivolto alla popolazione, e dunque la collettività continua a esercitare il possesso di fatto sui terreni e le ricorrenti si trovano nell’impossibilità giuridica di recintare l’area. In queste condizioni, le ricorrenti hanno rifiutato il reintegro nel possesso, sperando tra l’altro di evitare in tal modo di dover sostenere le spese per la manutenzione del parco.
31. Inoltre, i terreni in contestazione sono stati oggetto di provvedimenti legislativi e regolamentari che ne hanno modificato la situazione sul piano giuridico. A questo proposito, le ricorrenti fanno riferimento al decreto legislativo n. 42 del 22 gennaio 2004, detto «Codice dei beni culturali e del paesaggio», che ha sottoposto i territori costieri compresi in una fascia di 300 metri dal mare a una tutela particolare, prevedendo una procedura amministrativa complessa (accordo tra la regione e l’autorità nazionale per la tutela del paesaggio) per qualsiasi domanda che comporti una modifica del territorio. Le ricorrenti fanno altresì riferimento al progetto del comune di Bari di creare un’area verde, che, nel dicembre 2010, ha portato all’approvazione di un documento programmatico preliminare che prevede una modifica del piano regolatore. Una volta approvato definitivamente tale documento, i terreni in questione diventeranno una zona verde inedificabile. Le ricorrenti non possono pertanto chiedere un permesso di costruire su tali terreni.
32. Le ricorrenti contestano la legge n. 102 del 2009 nella parte in cui la stessa pone a loro carico le spese di demolizione degli edifici, che sono stati costruiti conformemente ai permessi di costruire rilasciati loro dal comune. Esse contestano tale legge anche perché la valutazione dei terreni non viene effettuata in funzione della edificabilità degli stessi al momento della confisca, ma in funzione della nuova destinazione urbanistica decisa in seguito dal comune.
33. Esse fanno notare inoltre che il comune di Bari ha chiesto delle somme esorbitanti, che ammontano a più di 100 milioni di euro (si veda § 17 supra), quando le stesse autorità comunali sono responsabili di aver approvato le lottizzazioni e di aver accordato i permessi di costruire.
34. Le ricorrenti ricordano infine che, per ottenere i permessi di costruire, avevano dovuto, in cambio, cedere gratuitamente al comune una parte dei loro terreni, e a tal fine hanno concluso delle convenzioni nel 1993. La Corte di Cassazione aveva sottoposto a confisca tutti i terreni interessati dai piani di lottizzazione in contestazione, ivi compresi quelli appartenenti a terzi e quelli che erano stati ceduti gratuitamente al comune di Bari. Tuttavia, malgrado la decisione giudiziaria che revoca la confisca e dispone la restituzione dell’intera area oggetto del provvedimento, i terreni ceduti gratuitamente al comune di Bari non sono stati loro restituiti. Le ricorrenti avrebbero riacquisito la proprietà solo dei terreni loro appartenenti nell’aprile del 2011, ma non di quelli che, in tale data, erano già stati trasferiti al comune di Bari sulla base delle convenzioni. Per ovviare a questa situazione, secondo le ricorrenti sarebbe necessaria una delibera del comune di Bari che annulli le convenzioni del 1993, seguita da un atto pubblico che trasferisca loro nuovamente il titolo di proprietà di tali terreni. La superficie dei terreni non restituiti sarebbe di 6.539 metri quadrati su circa 13.000 metri quadrati per Mabar s.r.l.; di 36.571 metri quadrati su un totale di 59.761 metri quadrati per Sud Fondi s.r.l.; e di 1.319 metri quadrati per Iema s.r.l. Peraltro, pur affermando che i terreni oggetto di confisca sono divenuti giuridicamente inedificabili, le ricorrenti sostengono che, se non riusciranno a recuperare i terreni ceduti nel 1993, non potranno presentare nuovi progetti edilizi in quanto la superficie di cui hanno attualmente la proprietà non raggiunge la soglia minima prevista dalla legge per un progetto di lottizzazione.
2. Le richieste
35. Le tre ricorrenti osservano che l’area totale dei terreni interessati dalla confisca ammonta a circa 75.000 metri quadrati. Alla luce degli argomenti sopra esposti esse ritengono di avere diritto, in primo luogo, ad una somma corrispondente al pieno valore di mercato dei terreni in questione, tenuto conto del fatto che, all’epoca, erano edificabili.
Inoltre, chiedono alla Corte di accordare lo una somma corrispondente al valore degli edifici da loro costruiti e che sono stati oggetto di confisca.
Tali somme dovrebbero essere indicizzate e maggiorate di interessi. Dovrebbero inoltre essere esentate da imposte.
36. Le ricorrenti hanno formulato le loro richieste basandosi ciascuna su due perzie, realizzate nel dicembre 2007 dal Real Estate Advisory Group (REAG).
La prima perizia è basata sui costi effettivamente sostenuti dalle ricorrenti fino alla confisca.
La seconda perizia ha stabilito il valore di mercato dei beni confiscati al momento della perizia (2007).
37. Le ricorrenti osservano che il Governo non ha mai «seriamente» o «specificamente» contestato le somme richieste. Non ha nemmeno prodotto controperizie.
38. Per quanto riguarda la ricorrente Sud Fondi s.r.l., le sue richieste nel 2007 ammontano complessivamente a 274.000.000 EUR. Dalle due perizie emergono le informazioni seguenti.
L’area interessata dal piano di lottizzazione n. 141 era di 59.761 metri quadrati. Il permesso di construire n. 67/1992 era stato rilasciato per un volume di 131.560,88 metri cubi.
Secondo la prima perizia, il prezzo pagato, tra il 1983 e il 1994, per l’acquisto dei terreni è stato 39.660.827,38 EUR (di cui circa 35 milioni per l’acquisto delle quote della società Colaprice s.r.l. che ne possedeva circa 39.000 metri quadrati). Gli altri costi sostenuti fino alla confisca sono stati i costi di costruzione, ivi compresi i salari del personale (8.916.000 EUR); gli onorari e le spese degli archietti (1.067.604,59 EUR); gli oneri di urbanizzazione (1.080.802,95 EUR); i servizi tecnici (elettricità, pubblicità), per 231.440,72 EUR; gli oneri finanziari (40.011.447,72 EUR); l’assicurazione del cantiere (14.985,79 EUR); spese varie 39.407,51 EUR; spese notarili 173.962,77 EUR; le tasse pagate, tra cui la tassa fondiaria ma anche le tasse di acquisto dei terreni (invim) (1.070.400,69 EUR).
In base alla seconda perizia il valore del terreno nel 2001 in funzione dell’evoluzione del mercato immobiliare era di 81.100.000 EUR. Gli immobili costruiti avevano alla stessa epoca un valore di mercato di 11.400.000 EUR. Il valore di mercato nel 2007 era rispettivamente di 260.200.000 EUR e di 14.200.000 EUR.
39. Per quanto riguarda la ricorrente Mabar s.r.l., le sue richieste nel 2007 ammontano complessivamente a 65.200.000 EUR. Dalle due perizie emergono le informazioni seguenti.
L’area interessata dal piano di lottizzazione n. 151 è di 13.077 metri quadrati. Il permesso di costruire rilasciato autorizzava un volume di costruzione di 65.385 metri cubi.
Secondo la prima perizia, il prezzo pagato, tra il 1989 e il 1993, per l’acquisto dei terreni è stato 3.726.365,64 EUR. Gli altri costi sostenuti fino alla confisca sono stati i costi di costruzione (2.136.570,31 EUR); gli onorari e le spese degli architetti (661.402,72 EUR); i servizi tecnici (13.255,47 EUR); gli oneri di urbanizzazione per 426.331,62 EUR; gli oneri finanziari (2.446.581,88 EUR); le spese notarili (4.305,24 EUR); le imposte pagate (401.868,02 EUR); spese varie (sicurezza, elettricità) (713.345,88 EUR). Il danno globale ammonterebbe dunque a 10.552.771,11 EUR, da indicizzare.
In base alla seconda perizia, il valore del terreno nel 2001, vista l’evoluzione del mercato immobiliare, era di 18.450.000 EUR. Alla stessa epoca, gli edifici costruiti avevano un valore di mercato di 3.300.000 EUR. Il valore di mercato nel 2007 era rispettivamente di 61.000.000 EUR e di 4.200.000 EUR.
40. Per quanto riguarda la ricorrente Iema s.r.l., le sue richieste nel 2007 ammontano complessivamente a 13.605.920 EUR. Dalle due perizie emergono le informazioni seguenti.
L’area interessata dal piano di lottizzazione n. 151 è, secondo i periti, di 2.717 metri quadrati. Il permesso di costruire rilasciato riguardava un volume di 13.559,68 metri cubi.
Secondo la prima perizia il prezzo pagato, nel 1994, per l’acquisto dei terreni è stato di 1.394.433,63 EUR. Gli altri costi sostenuti fino alla confisca sono stati i salari (379.006 EUR); i costi di costruzione (945.268 EUR); gli onorari e le spese di architetti (47.410,74 EUR); i servizi tecnici (13.255,47 EUR); gli oneri di urbanizzazione (159.597 EUR); gli oneri finanziari (588.357,98 EUR); le spese notarili (8.063,96 EUR); le imposte pagate (47.933,66 EUR); spese varie (6.533,01 EUR).
In base alla seconda perizia, il valore del terreno nel 2001, alla luce dell’evoluzione del mercato immobiliare, era di 2.400.000 EUR. Gli edifici costruiti avevano un valore di mercato di 2.300.000 EUR. Il valore di mercato nel 2007 era rispettivamente di 10.500.000 EUR e di 2.800.000 EUR.
B. Argomenti del Governo
41. Il Governo osserva anzitutto che a livello nazionale sono pendenti due azioni di risarcimento, intentate rispettivamente dalla prima e dalla seconda ricorrente. Tuttavia, poiché tale eccezione è stata rigettata per decadenza dei termini nella sentenza pronunciata in via principale, dichiara di non voler insistere su questo punto.
42. Il Governo sostiene di aver adempiuto ai propri obblighi derivanti dalla sentenza pronunciata in via principale. Secondo lo stesso, la revoca della confisca e l’offerta di restituzione dei terreni confiscati costituisce la soluzione appropriata per la constatazione di violazione alla quale è giunta la Corte. Di conseguenza il mantenimento del ricorso non è giustificato. Le ricorrenti ammettono del resto che il comune di Bari ha offerto loro la restituzione dei beni. Se è vero che sui loro terreni vi è un parco pubblico, tuttavia gli interessati potrebbero esercitare il loro diritto di proprietà e utilizzare i beni conformemente alla destinazione urbanistica attuale. Poiché la confisca in questione è stata revocata e il comune di Bari ha disposto la restituzione dei suoli alle ricorrenti, non è dovuta alcuna somma per la perdita di proprietà dei terreni.
43. Tutt’al più, le ricorrenti potrebbero sperare di ottenere una somma corrispondente al mancato godimento dei terreni nel periodo in cui gli stessi sono stati soggetti alla confisca, ossia dal 27 giugno 2001, data dell’occupazione materiale dei terreni, all’8 febbraio 2011, data della convocazione delle ricorrenti per la consegna dei suoli. In questa ipotesi, sarebbe dunque opportuno basare i calcoli non sul valore dei terreni nel 2001, ma sul valore attuale di detti terreni, in modo tale da tenere conto del declassamento dei terreni in area verde. Il valore attuale dei terreni delle tre ricorrenti – stimato dal Governo (agenzia del territorio) – ammonta complessivamente a 51.594.000 EUR. L’interesse legale applicato su tale somma nel periodo di indisponibilità dei terreni è pari a 8.631.500 EUR e rappresenta il danno derivante dal mancato godimento dei beni.
44. Le ricorrenti non possono in nessun caso avvalersi della sentenza resa in via principale per sostenere che hanno diritto alla restituzione di terreni edificabili o a una somma corrispondente al valore di mercato di questi ultimi. In effetti, i permessi di costruire rilasciati e le lottizzazioni autorizzate non erano conformi alla legge, e del resto la Corte non ha dichiarato che lo fossero. Inoltre, se è vero che la Corte ha concluso per l’illegalità della confisca sotto il profilo dell’articolo 1 del Protocollo no 1, è altrettanto vero che essa ha formulato anche delle considerazioni sotto il profilo della proporzionalità. Secondo il Governo, tali considerazioni rimuovono il carattere arbitrario della sanzione e implicano che gli edifici confiscati sono stati giustamente demoliti e non vi è stato alcun indennizzo.
45. Per quanto riguarda gli edifici costruiti dalle ricorrenti e successivamente confiscati e demoliti, queste ultime non hanno il diritto di chiedere un risarcimento. In effetti, le opere costruite contrastavano con le disposizioni di legge. Di conseguenza, le spese di demolizione (1.571.752,73 EUR) devono essere poste a carico delle ricorrenti, così come le spese per il «ripristino dello stato legittimo dei suoli» (24.716,81 EUR). Nelle sue ultime osservazioni, il Governo afferma di non ignorare il fatto che la situazione controversa deriva sin dall’inizio dal comportamento del comune di Bari, che ha accordato dei permessi di costruire mentre il diritto di costruire non esisteva. Le ricorrenti hanno certamente sostenuto delle spese per costruire gli immobili «nella fiducia del permesso accordato dal comune», ed hanno subito «la confisca illegittima». Tuttavia, non possono chiedere il valore che i beni avrebbero avuto sulla base di una destinazione non conforme alla legge.
46. Il Governo ha indicato che la Corte dei Conti ha avviato un’inchiesta sul comportamento dell’amministrazione comunale di Bari nel periodo in cui è divenuta proprietaria dei terreni confiscati e sulla decisione presa da quest’ultima di destinare i terreni alla creazione di un parco pubblico. Secondo lo stesso, ciò dimostra che il diritto italiano dispone di strumenti di controllo sull’azione delle pubbliche amministrazioni.
47. Per quanto riguarda l’affermazione delle ricorrenti secondo la quale i terreni ceduti gratuitamente al comune di Bari nel 1993 non saranno loro restituiti, il Governo non ha fornito alcuna precisazione. Ha indicato che il comune di Bari aveva disposto la restituzione «dei terreni».
48. Il Governo ritiene di aver anche adempiuto agli obblighi derivanti dalla constatazione di violazione per quanto riguarda le misure generali. Fa riferimento a questo riguardo alla sentenza della Corte costituzionale n. 239 del 2009, che ha indicato che i giudici devono interpretare la disposizione che prevede la confisca in maniera conforme alla Convenzione. Inoltre, fa riferimento all’articolo 4 della legge n. 102 del 2009, che ha introdotto i criteri di risarcimento delle persone i cui beni sono stati illegittimamente confiscati.
49. Quanto alle richieste quantificate dalle ricorrenti, il Governo le definisce «ingiustificate e stravaganti», dal momento che non vi è la prova di un nesso di causalità diretto o indiretto tra la violazione constatata e il danno dedotto. Ciò vale in particolare per gli oneri finanziari, che si riferiscono all’attività dell’impresa, per gli oneri di urbanizzazione, per le imposte pagate, per le spese notarili e le spese di progettazione. Inoltre, la valutazione dei terreni sembra eccessiva. In nessun caso le ricorrenti possono ricevere un risarcimento per mancato guadagno, ossia per il profitto che avrebbero ottenuto dalla vendita degli immobili dalle stesse costruiti sui terreni in questione.
C. Decisione della Corte
1. Danno materiale
50. La Corte rileva innanzitutto che il Governo non intende reiterare l’eccezione relativa all’esistenza di procedimenti di risarcimento pendenti a livello nazionale. Essa rammenta di avere già rigettato una tale eccezione per decadenza dai termini nella sentenza in via principale (paragrafo 78 della sentenza in via principale). Nella misura in cui le argomentazioni del Governo riguardino la possibilità per le prime due ricorrenti di ottenere un’equa soddisfazione ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione a livello interno, ammesso che esista una tale possibilità, la Corte giudica improbabile che dette ricorrenti ricevano un doppio indennizzo, dato che i giudici nazionali, nella valutazione della causa, terrebbero inevitabilmente conto dell’importo concesso dalla Corte. Ad ogni modo, tenuto conto delle ripercussioni dell’ingerenza controversa, secondo la Corte, sarebbe assolutamente irragionevole chiedere alle ricorrenti di attendere l’esito dei procedimenti nazionali e di sostenerne le spese (Serghides e Christoforou c. Cipro (equa soddisfazione), n. 44730/98, § 29, 12 giugno 2003; Scordino c. Italia (n. 2), n. 36815/97, § 62, 15 luglio 2004).
51. In merito alla questione se le ricorrenti non abbiano più niente da pretendere stante la revoca della confisca dei loro terreni, la Corte ricorda di avere concluso, nella sentenza in via principale, per l’arbitrarietà della confisca controversa sotto il profilo sia dell’articolo 7 della Convenzione sia dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 (paragrafi 118 e 137 della sentenza in via principale). All’origine della duplice constatazione di violazione vi è il carattere penale della sanzione (Sud Fondi S.r.l. ed altri c. Italia, n. 75909/01, (dec.), 30 agosto 2007) e il fatto che essa è stata irrogata nonostante la sentenza di assoluzione, motivata, nella fattispecie, dall’inevitabilità e scusabilità dell’errore commesso dalle ricorrenti nell’interpretazione della legge. Il reato contestato alle ricorrenti – lottizzazione abusiva – non rispondeva ai criteri di chiarezza, accessibilità e prevedibilità. Era quindi impossibile prevedere l’irrogazione di una sanzione (paragrafi 112 e 114 della sentenza in via principale). La confisca controversa non aveva una base legale ai sensi dell’articolo 7 della Convenzione (paragrafo 118 della sentenza in via principale) ed era arbitraria anche ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 (paragrafo 137 della sentenza in via principale).
52. Una volta stabilito che la confisca controversa non rispondeva al requisito di legalità, la Corte ha ritenuto opportuno proseguire l’esame del motivo di ricorso relativo all’articolo 1 del Protocollo n. 1 anche sotto il profilo della proporzionalità. Al riguardo, essa ha affermato che, anche quando – a differenza del presente caso – la sanzione irrogata non sia in contrasto con il principio di legalità, esisterebbe un problema che comporta la violazione di tale disposizione, per i motivi esposti nei paragrafi 138-142 della sentenza in via principale.
Così, nell’ipotesi in cui le ricorrenti fossero state condannate per lottizzazione abusiva e fosse stata disposta la confisca dei loro beni, quella sanzione penale avrebbe soddisfatto il requisito di legalità, ma sarebbe stata censurabile sotto il profilo della proporzionalità ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo n. 1. Contrariamente a quanto sostiene il Governo, le precedenti considerazioni sotto il profilo della proporzionalità non rimettono affatto in discussione le conclusioni tratte riguardo alla violazione del principio di legalità. Le tesi del Governo al riguardo devono quindi essere respinte.
53. La Corte rammenta che una sentenza di constatazione di violazione comporta per lo Stato convenuto l’obbligo giuridico di porre fine alla violazione e di rimuoverne le conseguenze così da ripristinare, nei limiti del possibile, la situazione a questa precedente (Iatridis c. Grecia (equa soddisfazione) [GC], n. 31107/96, § 32, CEDU 2000-XI). In linea di principio, gli Stati contraenti parti in una causa sono liberi di scegliere i mezzi di cui avvalersi per conformarsi ad una sentenza della Corte che constati una violazione. Tale potere di apprezzamento quanto alle modalità di esecuzione di una sentenza riflette la libertà di scelta che accompagna l’obbligo fondamentale imposto dalla Convenzione agli Stati contraenti: garantire il rispetto dei diritti e delle libertà sanciti (articolo 1). Se la natura della violazione consente una restitutio in integrum, spetta allo Stato convenuto provvedervi. La Corte non ha, infatti, né la competenza né la possibilità pratica di realizzarla essa stessa. Se, invece, il diritto nazionale non consente o consente solo in parte di rimuovere le conseguenze della violazione, l’articolo 41 autorizza la Corte a concedere, se del caso, alla parte lesa la soddisfazione che ritenga appropriata (Brumărescu c. Romania (equa soddisfazione) [GC], n. 28342/95, § 20, CEDU 2000-I).
54. Come ha ricordato poco fa (§ 51), la Corte ha affermato nella sentenza in via principale che la confisca controversa non rispondeva al requisito di legalità. L’atto dello Stato convenuto che la Corte ha ritenuto contrario alla Convenzione non era, nel caso di specie, né un’espropriazione alla quale sarebbe mancato, per essere legittima, solo il pagamento di un’adeguata indennità (a contrario, Scordino c. Italia (n. 1) [GC], n. 36813/97, §§ 99-104, CEDU 2006-V), né un’espropriazione indiretta iniziata secondo una procedura d’urgenza e sulla base di una dichiarazione di pubblica utilità (a contrario, Guiso-Gallisay c. Italia (equa soddisfazione) [GC], n. 58858/00, §§ 102 e 103, 22 dicembre 2009). Nel caso di specie, siamo in presenza di una misura arbitraria delle autorità italiane che ha colpito i beni delle ricorrenti. Pertanto, nella fattispecie, l’indennizzo da fissare dovrà dare l’idea di una cancellazione totale delle conseguenze della misura controversa (Belvedere Alberghiera S.r.l. c. Italia (equa soddisfazione), n. 31524/96, §§ 34-36, 30 ottobre 2003; Scordino c. Italia (n. 1) [GC], sopra citata, § 250). Al riguardo, la giurisprudenza internazionale, giudiziaria o arbitrale, fornisce alla Corte una fonte d’ispirazione. Infatti, sebbene essa riguardi più particolarmente l’espropriazione di imprese industriali e commerciali, i principi da essa stabiliti in questo campo restano validi per situazioni come quella che ci occupa. In particolare, con sentenza del 13 settembre 1928 nella causa relativa alla fabbrica di Chorzów (Causa relativa alla fabbrica di Chorzów (domanda di risarcimento) (nel merito), Raccolta delle sentenze della CPGI, serie A n. 17), la Corte permanente di giustizia internazionale ha giudicato:
«(...) la riparazione deve, nei limiti del possibile, cancellare tutte le conseguenze dell’atto illecito e ripristinare lo stato che verosimilmente sarebbe esistito se il detto atto non fosse stato commesso. Restituzione in natura, o, se questa non è possibile, pagamento di una somma corrispondente al valore che avrebbe la restituzione in natura; se necessario, concessione di un risarcimento danni per le perdite subite ed eventualmente non coperte dalla restituzione in natura o dal pagamento sostitutivo di questa; sono questi i principi a cui deve ispirarsi la determinazione dell’importo dell’indennità dovuto a causa di un fatto contrario al diritto internazionale.»
55. La Corte rileva che, dopo la sentenza in via principale, le autorità nazionali hanno revocato la confisca dei terreni interessati dai piani di lottizzazione e ordinato la loro restituzione. Tuttavia, la decisione del tribunale di Bari del 4 novembre 2010 ha riparato solo in parte il danno subito dalle ricorrenti, cosicché queste possono aspirare legittimamente ad un’equa soddisfazione. Infatti, sotto diversi aspetti la loro situazione rimane invariata.
56. In primo luogo, le ricorrenti non hanno alcuna possibilità di recuperare i fabbricati confiscati, in quanto essi sono stati demoliti. Non hanno neanche la possibilità di essere risarcite in quanto la legge n. 102 del 2009 esclude una tale ipotesi. Ora, la Corte ritiene che i costi sostenuti per la costruzione di detti fabbricati costituiscano una componente della restitutio in integrum (Papamichalopoulos ed altri c. Grecia (articolo 50), 31 ottobre 1995, §§ 39-40, serie A n. 330-B) e si basa sulle perizie delle ricorrenti. Pertanto, essa prenderà in considerazione tali costi e li indicizzerà, respingendo tuttavia le richieste non direttamente connesse alla duplice violazione constatata e dipendenti piuttosto dall’attività delle società ricorrenti e dal rischio legato all’attività imprenditoriale, quali, tra le altre, gli oneri finanziari e le spese notarili sostenute per l’acquisto dei terreni in questione.
57. In secondo luogo, la Corte osserva che in effetti i terreni interessati dai piani di lottizzazione nn. 141 e 151 e oggetto di confisca, compresi quelli già ceduti al comune di Bari, sono menzionati nella decisione del tribunale di Bari del 4 novembre 2010, che ne ha disposto la restituzione alle ricorrenti ed è stata trascritta nel registro catastale (§ 9). In linea di principio, le ricorrenti ne hanno quindi recuperato il titolo di proprietà e nessuna somma è dovuta per la perdita dei terreni in quanto tale. Tuttavia, le interessate affermano di avere recuperato, a tutt’oggi, solo i terreni di cui erano ancora proprietarie nel 2001, al momento della confisca. Per ottenere la restituzione dei terreni ceduti nel 1993 occorrerebbe una deliberazione del comune di Bari che annulli le convenzioni di cessione e un atto pubblico di trasferimento. Quanto al Governo, esso non ha fornito precisazioni al riguardo, ma ha osservato che le lottizzazioni ed i permessi di costruire controversi erano contrari alla legge e che il comune di Bari è responsabile di avere concesso questi ultimi malgrado l’inesistenza del diritto di costruire.
In questa situazione, la Corte non vede come potrebbero perdurare gli effetti delle convenzioni di cessione di una parte dei terreni concluse nel 1993, quando le lottizzazioni alle quali tali convenzioni erano legate sono contrarie alla legge. Le ricorrenti non hanno escluso la possibilità di ottenere la restituzione di quella parte dei terreni, ma essa sembra dipendere dalla volontà dell’amministrazione locale di dare piena esecuzione alla decisione giudiziaria del tribunale di Bari. Pertanto, secondo la Corte, è opportuno prendere in considerazione il danno derivante dall’indisponibilità dei terreni a partire dal momento della loro confisca.
Per la stima di tale danno, ci si deve basare sul probabile valore dei terreni all’inizio della situazione controversa, determinato sulla base delle perizie presentate dalle ricorrenti (Terazzi S.r.l. c. Italia (equa soddisfazione), n. 27265/95, §§ 36-37, 26 ottobre 2004), tenendo quindi conto della loro edificabilità. A parere della Corte, il danno derivante dall’indisponibilità dei terreni può essere compensato dal versamento di una somma corrispondente all’interesse legale per l’intero periodo applicato sul controvalore dei terreni così determinato (Elia S.r.l. c. Italia (equa soddisfazione), n. 37710/97, § 25, 22 luglio 2004).
58. In terzo luogo, quanto ai terreni che le ricorrenti possedevano ancora al momento della confisca, non è in discussione la restituzione della loro proprietà. Tuttavia, la Corte osserva che, a tutt’oggi, un parco pubblico consente l’accesso della popolazione su tali terreni. Le ricorrenti non hanno denunciato l’impossibilità di ottenere dal comune di Bari il permesso di recintarlo, permesso da loro non richiesto, ma hanno sottolineato che l’accesso dei cittadini al parco e la presenza di infrastrutture del comune sui terreni ostacola il pieno godimento dei loro beni. Agli occhi della Corte, le ricorrenti non hanno diritto ad una somma per la perdita del terreno, ma unicamente ad una somma per il danno derivante dall’indisponibilità assoluta dei loro beni nel periodo che va dalla confisca alla restituzione, somma da calcolarsi secondo il procedimento enunciato nel precedente paragrafo 57. Va inoltre tenuto conto dell’indisponibilità relativa dei terreni in questione che persiste vista l’esistenza del parco pubblico.
59. Tenuto conto della diversità degli elementi da prendere in considerazione per il calcolo del danno materiale nonché della natura della causa, la Corte giudica opportuno fissare una somma complessiva basandosi sulla sua stima degli elementi di cui sopra. La Corte decide quindi di concedere a titolo di riparazione del danno materiale:
- alla ricorrente Sud Fondi s.r.l. la somma di 37.000.000 EUR, oltre ad ogni importo eventualmente dovuto a titolo di imposta;
- alla ricorrente Mabar s.r.l. la somma di 9.500.000 EUR, oltre ad ogni importo eventualmente dovuto a titolo di imposta;
- alla ricorrente Iema s.r.l. la somma di 2.500.000 EUR, oltre ad ogni importo eventualmente dovuto a titolo di imposta.
60. La Corte non tiene conto delle altre richieste delle ricorrenti. In particolare, seppure convinta della rilevanza del danno economico derivante dalle recenti decisioni dell’amministrazione comunale di Bari in materia urbanistica (§ 31), essa ritiene che tali decisioni non siano direttamente connesse con la violazione constatata nella sentenza in via principale.
61. Inoltre, la Corte sottolinea che, in virtù dell’articolo 46 della Convenzione, le Parti contraenti si sono impegnate a conformarsi alle sentenze definitive della Corte nelle controversie in cui sono parti, sentenze sulla cui esecuzione è incaricato di vigilare il Comitato dei Ministri. Ne consegue, in particolare, che lo Stato convenuto, riconosciuto responsabile di una violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, è chiamato non solo a versare agli interessati le somme concesse a titolo di equa soddisfazione, ma anche a scegliere, sotto il controllo del Comitato dei Ministri, le misure generali e/o, eventualmente, individuali da adottare nel proprio ordinamento giuridico interno al fine di porre fine alla violazione constatata dalla Corte e di cancellarne nei limiti del possibile le conseguenze (De Clerck c. Belgio, n. 34316/02, § 97, 25 settembre 2007; Zafranas c. Grecia, n. 4056/08, §§ 50-51, 4 ottobre 2011). Nella causa Zafranas sopra citata, tenuto conto delle circostanze del caso di specie, la Corte aveva affermato che lo Stato convenuto doveva astenersi dal rivendicare l’indennità di espropriazione già concessa ai ricorrenti.
62. Nel caso di specie, secondo la Corte, il versamento delle somme indicate nel precedente paragrafo 59 deve essere accompagnato dalla rinuncia da parte delle autorità italiane alle loro pretese nei confronti delle società ricorrenti. Infatti, le ricorrenti sono esposte in particolare al rischio di dovere rimborsare all’amministrazione le spese di demolizione dei loro edifici e quelle di riqualificazione. La prima ricorrente rischia inoltre di essere costretta a pagare i danni, stimati in oltre 100 milioni di euro, al comune di Bari (§ 17). La Corte ribadisce di avere concluso, nella sentenza in via principale, che le autorità italiane non hanno rispettato il requisito di legalità disponendo la confisca controversa e ritiene che debbano pagarne le conseguenze.
63. In conclusione, tenuto conto delle circostanze particolari del caso di specie, la Corte ritiene che la rinuncia da parte delle autorità nazionali alle pretese nei confronti delle ricorrenti (§ 62) combinata con il versamento delle somme sopra menzionate (§ 59) possa porre fine in maniera effettiva alla constatata violazione degli articoli 7 della Convenzione e 1 del Protocollo n. 1.
2. Spese
64. Le ricorrenti non hanno chiesto il rimborso delle spese sostenute dopo la sentenza in via principale. Nessuna somma deve quindi essere concessa a tale titolo.
3. Interessi moratori
65. La Corte ritiene appropriato basare il tasso degli interessi moratori sul tasso d’interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuali.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITA’,
- Dichiara
- che lo Stato convenuto deve astenersi dal chiedere alle ricorrenti il rimborso delle spese di demolizione dei fabbricati confiscati e delle spese di riqualificazione, e che non deve dare seguito alle domande di risarcimento rivolte contro la prima ricorrente nel procedimento civile dinanzi al tribunale di Bari;
- Dichiara
- che lo Stato convenuto deve versare alle ricorrenti, entro tre mesi a partire dal giorno in cui la sentenza sarà divenuta definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, le seguenti somme a titolo di risarcimento del danno materiale:
- 37.000.000 EUR (trentasette milioni di euro), oltre ad ogni importo eventualmente dovuto a titolo d’imposta, alla ricorrente Sud Fondi s.r.l.;
- 9.500.000 EUR (nove milioni cinquecentomila euro), oltre ad ogni importo eventualmente dovuto a titolo d’imposta, alla ricorrente Mabar s.r.l.;
- 2.500.000 EUR (due milioni cinquecentomila euro), oltre ad ogni importo eventualmente dovuto a titolo d’imposta, alla ricorrente Iema s.r.l.;
- che, a partire dalla scadenza di detto termine e fino al versamento, tali importi dovranno essere maggiorati di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante quel periodo, aumentato di tre punti percentuali;
- Rigetta la domanda di equa soddisfazione nel resto
Fatta in francese, poi comunicata per iscritto il 10 maggio 2012, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento.
Françoise Tulkens
Presidente
Stanley Naismith
Cancelliere