TAR Lombardia (BS) Sez, II n.825 del 3 settembre 2018
Urbanistica.Istanza di permesso di costruire presentata anteriormente alla data di adozione dello strumento urbanistico

Va sospesa in via generale ogni determinazione sulle domande di permesso di costruire, in caso di contrasto tra l'intervento oggetto della domanda e le previsioni di uno strumento urbanistico adottato. L'art. 12 dpr 380\01 attribuisce rilevanza ostativa, ai fini dell'accertamento di conformità, anche alle misure di salvaguardia di uno strumento urbanistico in itinere, e ciò si rivela assolutamente logico, non essendovi ragioni per differenziare la disciplina delle istanze di concessione in sanatoria da quelle di concessione edilizia per interventi ancora da realizzare. La "salvaguardia" si verifica a prescindere dal fatto che detta domanda sia stata presentata anteriormente alla data di adozione dello strumento urbanistico, poiché l'amministrazione deve tenere conto della situazione di fatto e di diritto esistente al momento in cui la determinazione relativa all'istanza di titolo abilitativo viene assunta. In altri termini, la mera presentazione della domanda di permesso di costruire non basta a rendere irrilevanti la variazioni di strumento urbanistico sopravvenute nelle more del rilascio del provvedimento


Pubblicato il 03/09/2018

N. 00825/2018 REG.PROV.COLL.

N. 00560/2011 REG.RIC.



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 560 del 2011, proposto da
Leonilde Rossi, rappresentato e difeso dagli avvocati Cappiello Vallì, Piermario Strapparava e Vallì Cappiello, con domicilio eletto presso lo studio del secondo in Brescia, via M. D'Azeglio, 1/C;

contro

Comune di Corte Franca, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Fiorenzo Bertuzzi, Silvano Venturi, Gianpaolo Sina, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Brescia, via Diaz, 9;

nei confronti

Graziano Bonfadini, Adriana Moraschi, rappresentati e difesi dagli avvocati Mario Nasta, Enzo Barila', con domicilio eletto presso lo studio del primo in Brescia, via Solferino, 28;
Azienda Agricola Bonfadini Graziano non costituita in giudizio;

per l'annullamento

del permesso di costruire n. 17 del 02/03/2011 intestato ai signori Bonfadini Graziano e Moraschi Adriana, nonchè di ogni altro atto connesso.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Corte Franca e di Graziano Bonfadini e di Adriana Moraschi;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 luglio 2018 il dott. Alessio Falferi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Con ricorso depositato in data 19.4.2011, Rossi Leonilde impugnava il permesso di costruire n. 17, di data 2.3.2011, rilasciato dal Comune di Corte Franca ai signori Bonfadini Graziano e Moraschi Adriana per realizzare una nuova costruzione con destinazione d’uso agricolo consistente in una cantina vitivinicola interrata.

Premesso di essere proprietaria di un immobile contiguo ai terreni interessati dall’impugnato titolo edilizio e catastalmente individuato al foglio 15, mappale 66, del Comune di Corte Franca, la ricorrente, in sintesi, formulava le seguenti censure: 1) contrasto con il PGT adottato il 14.10.2010, il quale prevede il divieto di ogni nuova costruzione nell’area in questione, classificata zona “EA” area di rispetto ambientale; mancato rispetto delle misure di salvaguardia; 2) il progettato intervento (cantina interrata) non sarebbe compatibile con le aree destinate dallo strumento urbanistico all’agricoltura, in quanto mancherebbe la prova della effettiva esistenza dell’azienda agricola vitivinicola, con conseguente mancanza del vincolo di strumentalità; 3) sulle aree interessate dalla realizzazione della cantina esisterebbe un vincolo di inedificabilità collegato ad altro permesso di costruire; 4) mancata indicazione in ordine alla gestione delle terre e rocce di scavo conseguenti all’intervento; 5) mancata allegazione di valido titolo giuridico atto a dimostrare il collegamento del lotto alla via pubblica; 6) mancata adeguata valutazione delle soluzioni viabilistiche di accesso alla cantina; 7) erronea indicazione progettuale di strada esistente come asservita ad uso pubblico, con conseguente idoneità della prevsione a determinare un esproprio di fatto; 8) mancanza nella domanda di permesso di costruire di ogni valutazione sul piano geomorfologico e idrogeologico.

Con controricorso depositato il 24.5.2011, resistevano in giudizio i controinteressati Bonfadini Graziano e Moraschi Adriana, chiedendo genericamente il rigetto del ricorso.

Con memoria meramente formale, depositata il 20.10.2011, si costituiva in giudizio anche il Comune di Corte Franca, il quale chiedeva la dichiarazione di inammissibilità, irricevibilità e, comunque, infondatezza del ricorso.

In data 15.7.2014, i difensori di Bonfadini Graziano e Moraschi Adriana depositavano atto di rinuncia al mandato difensivo.

Con memoria difensiva depositata in data 16.5.2018, la ricorrente ha premesso che l’opera di cui all’impugnato titolo non è mai stata realizzata, per cui il titolo medesimo deve ritenersi decaduto ex art. 15 del d.P.R. 380/2011 nonché ex art. 35 della L.R. Lombardia n.12/2005. La ricorrente ha, peraltro, rilevato che, non risultando essere stato assunto un formale atto di decadenza per il permesso di costruire impugnato da parte dell’Amministrazione comunale, è tuttora sussistente l’interesse alla pronuncia nel merito.

Con memoria difensiva depositata il 24.5.2018, il Comune resistente ha evidenziato che i lavori di cui all’impugnato permesso di costruire non sono mai iniziati; inoltre, ha precisato che, in esito a variante urbanistica di cui al nuovo P.G.T. comunale (approvato con deliberazione consiliare del 2011), l’area in questione risulta ora ricompresa nelle “EA – Aree di rispetto ambientale”, in cui ai sensi dell’art. 32.2.3 delle relative N.T.A. del P.d.R. “è vietata ogni nuova costruzione”. Il Comune ha, pertanto, evidenziato che il ricorso sarebbe divenuto improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse.

La ricorrente, con memoria di replica depositata il 31.5.2018, pur prendendo atto di quanto affermato dal Comune, ha ribadito la necessità che l’Amministrazione comunale accerti l’avvenuta decadenza con provvedimento formale, evidenziando, in mancanza, la permanenza dell’interesse al ricorso.

Alla Pubblica Udienza del 5 luglio 2018, il ricorso è stato trattenuto in decisione.

E’ necessario, preliminarmente, esaminare la questione relativa alla pretesa improcedibilità del ricorso, sollevata dal Comune resistente, alla luce della mancata realizzazione delle opere di cui al permesso di costruire impugnato, con conseguente decadenza.

La questione, in buona sostanza, consiste nel verificare se l’inosservanza dei termini di inizio e fine lavori da parte del beneficiario comporti automaticamente la decadenza del permesso di costruire che gli era stato rilasciato –operando questa di diritto ex art. 15, comma 2, del T.U. dell’edilizia e rivestendo il provvedimento, eventualmente adottato, carattere meramente dichiarativo di un effetto già verificatosi -, ovvero se, per determinare questo effetto, sia comunque richiesto un apposito provvedimento da parte del competente organo comunale.

Il Consiglio di Stato ha avuto modo di affrontare questa tematica e, pur dando atto dell’esistenza di due orientamenti, ha comunque precisato che “la giurisprudenza più recente di questo giudice di appello è prevalentemente orientata nel senso che l'operatività della decadenza della concessione edilizia necessita dell'intermediazione di un formale provvedimento amministrativo di carattere dichiarativo, che deve intervenire per il solo fatto del verificarsi del presupposto di legge e da adottare previa apposita istruttoria. Sulle stesse conclusioni è attestata anche la giurisprudenza del giudice di primo grado, per la quale la decadenza del permesso di costruire non opera di per sé, ma deve necessariamente tradursi in un provvedimento espresso che ne accerti i presupposti e ne renda operanti gli effetti; che, sebbene a contenuto vincolato, ha carattere autoritativo e, come tale, non è sottratto all'obbligo di motivazione di cui all’art. 3 l. 7.8.1990, n. 241; può essere adottato solo previa formale ed apposita contestazione, esplicazione di una potestà provvedimentale.” (Consiglio di Stato, sez. IV, 22 ottobre 2015, n. 4823).

Il Giudice d’Appello ha, altresì, ricordato una precedente pronuncia (sez. VI, 17 febbraio 2006, n. 671) in cui si è specificato che “la ragione, che giustificherebbe l'obbligo per l'ente locale di adottare un atto che formalmente dichiari l'intervenuta decadenza del permesso di costruire, è stata individuata nella necessità di assicurare il contraddittorio con il privato in ordine all'esistenza dei presupposti di fatto e di diritto che giustifichino la pronuncia stessa”.

Il Collegio non ritiene che vi siano ragioni per discostarsi da tale orientamento e, pertanto, in mancanza di un formale provvedimento che dichiari l’intervenuta decadenza del permesso di costruire, il ricorso non può essere dichiarato improcedibile.

Passando al merito, il ricorso va accolto.

Risulta, invero, fondato il primo motivo di ricorso, con cui si denuncia la violazione dell’art. 12 del d.P.R. n. 380/2001.

Il Comma 3 dell’art. 12 del T.U. edilizia dispone che “In caso di contrasto dell'intervento oggetto della domanda di permesso di costruire con le previsioni di strumenti urbanistici adottati, è sospesa ogni determinazione in ordine alla domanda. La misura di salvaguardia non ha efficacia decorsi tre anni dalla data di adozione dello strumento urbanistico, ovvero cinque anni nell'ipotesi in cui lo strumento urbanistico sia stato sottoposto all'amministrazione competente all'approvazione entro un anno dalla conclusione della fase di pubblicazione”.

Ebbene, nel caso in esame, non è in contestazione tra le parti che il PGT adottato nel corso dell’anno 2010 ha classificato l’area in cui si sarebbe dovuto realizzare l’intervento di cui al permesso impugnato in zona “EA –Area di rispetto ambientale”, vietando ogni nuova costruzione.

L’Amministrazione, dunque, a fronte della richiesta di permesso di costruire, avrebbe dovuto sospendere il relativo procedimento, giusta il contrasto con lo strumento urbanistico adottato.

Questo Tribunale, anche di recente, ha avuto modo di precisare che ai sensi della ricordata disposizione “va sospesa in via generale ogni determinazione sulle domande di permesso di costruire, in caso di contrasto tra l'intervento oggetto della domanda e le previsioni di uno strumento urbanistico adottato. La citata disposizione attribuisce rilevanza ostativa, ai fini dell'accertamento di conformità, anche alle misure di salvaguardia di uno strumento urbanistico in itinere, e ciò si rivela assolutamente logico, non essendovi ragioni per differenziare la disciplina delle istanze di concessione in sanatoria da quelle di concessione edilizia per interventi ancora da realizzare (TAR Sardegna, sez. II, 20/5/2014, n. 368). È stato osservato, altresì, che la "salvaguardia" si verifica a prescindere dal fatto che detta domanda sia stata presentata anteriormente alla data di adozione dello strumento urbanistico, poiché l'amministrazione deve tenere conto della situazione di fatto e di diritto esistente al momento in cui la determinazione relativa all'istanza di titolo abilitativo viene assunta. In altri termini, la mera presentazione della domanda di permesso di costruire non basta a rendere irrilevanti la variazioni di strumento urbanistico sopravvenute nelle more del rilascio del provvedimento (TAR Basilicata – 5/5/2014, n. 312).” (In tal senso TAR Brescia, sez. I, 15 novembre 2017, n. 1354).

Il Comune, pertanto, non avrebbe potuto rilasciare il titolo edilizio, ma avrebbe dovuto sospendere il relativo procedimento.

La censura di cui al primo motivo è, dunque, fondata e va accolta con conseguente accoglimento del ricorso, potendo restare assorbite le ulteriori questioni sollevate dalla ricorrente.

Le spese di causa sono poste a carico del Comune resistente in base alla regola della soccombenza, mentre possono essere compensate nei confronti dei controinteressati.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla l’atto impugnato.

Condanna il Comune di Corte Franca al pagamento delle spese del giudizio che liquida in complessivi euro 1.500,00 ( millecinquecento/00), oltre IVA, CPA ed accessori di legge, con compensazione nei confronti dei controinteressati.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 5 luglio 2018 con l'intervento dei magistrati:

Alessandra Farina, Presidente

Mara Bertagnolli, Consigliere

Alessio Falferi, Consigliere, Estensore