Lexambiente - Rivista Trimestrale di Diritto Penale dell'Ambiente  

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Rapporto Ecomafia 2004 Introduzione da Legambiente Nuova pagina 2

Sono trascorsi dieci anni dalla pubblicazione del primo lavoro di ricerca elaborato da Legambiente, in collaborazione con l’Arma dei carabinieri e l’istituto Eurispes, sul fenomeno dell’ecomafia. La nostra associazione ha mantenuto l’impegno assunto allora e che abbiamo voluto ricordare nel distico che apre questo Rapporto: è cominciato, dieci anni fa, un cammino, che ha visto insieme, caso probabilmente unico in Europa, un associazione di volontariato e le forze dell’ordine; importanti uffici giudiziari come la Procura nazionale antimafia e qualificati istituti di ricerca, come il Cresme e l’Istituto nazionale di geofisica; commissioni parlamentari d’inchiesta, a partire da quella sul ciclo dei rifiuti, e tanti, tantissimi cittadini che con le loro denunce hanno costantemente alimentato questo percorso, di verità e di giustizia.

Oggi, il ruolo diretto delle organizzazioni mafiose nel saccheggio del patrimonio ambientale e culturale del nostro Paese, soprattutto nel Mezzogiorno, è un dato acquisito. L’ecomafia è entrata nel vocabolario della lingua italiana, viene studiata in molte scuole, è oggetto di tesi universitarie, ispira fumetti e persino barzellette. Non saremo certo noi a sottovalutare l’importanza culturale di tutti questi segnali di attenzione. Ma preferiamo ricordarne altri, che hanno cambiato la “classifica”, come sottolinea spesso il nostro presidente onorario, Ermete Realacci. In maniera permanente e qualche volta, purtroppo, per una brevissima stagione:

- la costituzione, a partire dal 1995, di una commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti e le attività illecite ad esso connesse, approvata in ogni legislatura con il consenso unanime di maggioranza e opposizione;

- l’introduzione, attraverso l’art.53 bis del decreto Ronchi, del delitto di organizzazione di traffico illecito di rifiuti, che ha portato nel giro di appena due anni, alla scoperta di colossali traffici di rifiuti pericolosi, con l’emissione di ben 133 ordinanze di custodia cautelare;

- gli abbattimenti di numerosi ecomostri, dal Fuenti alle otto torri del Villaggio Coppola, solo per citare quelli più conosciuti, che hanno contribuito a determinare, tra il 1999 e il 2000, una significativa riduzione del fenomeno dell’abusivismo edilizio;

- il deciso rafforzamento del Comando tutela ambiente dell’Arma dei carabinieri, con l’apertura di nuove sedi regionali e provinciali, il potenziamento del Reparto operativo e della Sezione operativa centrale, oggi impegnata in numerose e importanti indagini sui traffici illegali di rifiuti;

- il pieno riconoscimento delle funzioni di polizia ambientale svolte dal Corpo forestale dello Stato e dai suoi nuclei investigativi;

- l’attenzione, crescente, dedicata ai fenomeni d’illegalità ambientale da parte della Guardia di finanza, in particolare attraverso le sue Sezioni navali, e le Capitanerie di porto;

- l’attività di analisi e di indagine sviluppata sul ciclo illegale dei rifiuti dalla Direzione investigativa antimafia e dai servizi di sicurezza;

- il crescente rilievo attribuito alla denuncia degli illeciti ambientali da parte dei procuratori generali delle Corti d’Appello durante le inaugurazioni degli anni giudiziari;

- l’apertura di processi importanti, come quello sulla discarica di Pitelli, a La Spezia (denunciata da Legambiente già nel lontano 1986) e la conclusione di quello nei confronti dell’ex sindaco di Agrigento, Calogero Sodano, accusato di aver favorito l’abusivismo edilizio in cambio di voti condannato, con sentenza della Cassazione, a 18 mesi di reclusione, nonché al risarcimento dei danni nei confronti delle parti civili, tra cui Legambiente;

- la nascita, in diverse province e regioni, degli Osservatori su ambiente e legalità promossi dalla nostra associazione, a partire dalle esperienze maturate in Basilicata, nella provincia di Salerno e nell’area marina protetta di Punta Campanella;

- l’avvio di approfondite inchieste parlamentari, sollecitate anche da Legambiente nella precedente edizione del Rapporto Ecomafia, sui traffici illegali di rifiuti verso la Somalia e gli omicidi di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, avvenuti dieci anni fa a Mogadiscio.

Si tratta di risultati raggiunti anche grazie al nostro contributo. E l’elenco potrebbe proseguire ancora. Ma non possiamo dimenticare che in questi dieci anni sono state perse anche delle buone occasioni per affermare, nel nostro Paese, i principi di legalità e di tutela dell’ambiente:

- la mancata approvazione, nella precedente legislatura, del disegno di legge del governo, promosso dall’allora ministro dell’Ambiente Edo Ronchi e da quello della Giustizia, Oliviero Diliberto, che avrebbe introdotto anche nel nostro codice penale i delitti contro l’ambiente, garantendo efficaci strumenti di prevenzione e repressione;

- la mancata approvazione, sempre nella precedente legislatura, del disegno di legge promosso dall’allora ministero dei Lavori pubblici che avrebbe consentito di superare ritardi, inefficienze e difficoltà nell’abbattimento degli immobili costruiti illegalmente;

- la mancata approvazione, a tutt’oggi, della nuova legge contro il maltrattamento degli animali e la piaga dei combattimenti clandestini, sollecitata con forza dalla Lega Antivivisezione e che consentirebbe di contrastare con efficacia un’attività estremamente lucrosa per le organizzazioni mafiose, nonostante le modifiche introdotte.

Ma non c’è dubbio che le conseguenze peggiori per la tutela dell’ambiente, e non solo, sono state determinate dall’approvazione da parte dell’attuale governo del terzo condono edilizio, che come era facile prevedere ha innescato una forte ripresa dell’abusivismo edilizio in Italia. Si è contribuito in questo modo a diffondere nel nostro Paese la convinzione di una sostanziale impunità, che premia i furbi e penalizza chi rispetta le regole, anche nel mercato delle costruzioni.

Anche l’elenco delle “doglianze” potrebbe essere più lungo. Ma, come sempre, sono i numeri a dimostrare quanto siano fondate le preoccupazioni di Legambiente:

- negli ultimi dieci anni (1994-2003), le forze dell’ordine hanno accertato in Italia ben 246.107 infrazioni in materia ambientale; le persone denunciate o arrestate sono state 154.804; i sequestri effettuati, 40.258; il 40% di queste infrazioni (esattamente 98.536) si concentra nelle quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa (Campania, Puglia, Calabria e Sicilia); una percentuale che sale fino al 43% per quanto riguarda gli illeciti relativi al ciclo del cemento;

- nello stesso arco di tempo, sono state realizzate nel nostro Paese 405.606 costruzioni abusive, tra nuovi immobili e trasformazioni d’uso di rilevanti dimensioni (dalle stalle alle ville, magari con piscina, per intenderci); il 57% di questo diluvio di cemento illegale si concentra nelle quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa;

- il business complessivo delle ecomafie, tra mercato illegale (gestione illecita dei rifiuti, abusivismo edilizio, racket degli animali, archeomafia) e investimenti a rischio (appalti per la raccolta di rifiuti e per la realizzazione di opere pubbliche in Campania, Puglia, Calabria e Sicilia) viene stimato da Legambiente in circa 132 miliardi di euro;

- sono, infine, 169 i clan mafiosi con interessi diretti nei circuiti dell’ecomafia, censiti da Legambiente.

L’anno appena trascorso è stato, purtroppo, caratterizzato da un deciso incremento di tutti i parametri presi in esame dalla nostra associazione:

- gli illeciti ambientali accertati dalle forze dell’ordine sono stati 25.798, circa il 32,6% in più di quelli riscontrati nel 2002; raddoppiano le notizie di reato relative agli incendi dolosi registrate dal Corpo forestale dello Stato (oltre 7mila quelle del 2003) ma crescono anche gli illeciti relativi al ciclo del cemento (più 16%) e a quello dei rifiuti (più 10,7%);

- è quasi raddoppiato in un anno il numero dei sequestri giudiziari, un provvedimento che, com’è noto, segnala la particolare gravità dei reati su cui s’indaga: sono stati ben 8.650 contro i 4.479 del 2002;

- aumenta anche il numero delle persone denunciate, 19.665, il 18,1% in più rispetto al 2002; quasi raddoppiato, invece, il numero degli arresti eseguiti: 160, contro gli 87 del 2002, un dato che risente, in modo particolare, delle operazioni compiute dal Reparto operativo del Comando tutela ambiente dell’Arma dei carabinieri per quanto riguarda i traffici di rifiuti, ma anche delle inchieste condotte dal Corpo forestale dello Stato (in materia di rifiuti, di escavazioni abusive e di bracconaggio) e della Guardia di finanza

- il maggior numero di illeciti ambientali viene accertato, anche nel 2003, nella regione Campania, seguita dalla Calabria e dal Lazio; in quest’ultima regione si registra, per il secondo anno consecutivo, un forte aumento degli illeciti, soprattutto per quanto riguarda il ciclo del cemento, che vedono proprio il Lazio al primo posto di questa classifica di “settore”; la Sicilia, invece, si conferma al primo posto per quanto riguarda gli illeciti relativi al ciclo dei rifiuti;

- le nuove costruzioni abusive realizzate nel 2003, secondo le stime elaborate dal Cresme, sono state 40 mila, per una superficie complessiva equivalente a oltre 5,4 milioni di metri quadrati di cemento illegale e un valore immobiliare superiore ai 2,7 miliardi di euro; si tratta di oltre 9mila nuove costruzioni illegali in più rispetto al 2002 (tra nuovi immobili e trasformazioni d’uso di rilevanti dimensioni), che sommate a quelle del 2002, consentono di attribuire all’effetto condono un’impennata di oltre il 40% di abusivismo edilizio “regalato” al nostro Paese, senza considerare l’inevitabile “trascinamento” in alto che si registrerà, sempre secondo il Cresme, anche nell’anno in corso (soprattutto dopo la scelta di concedere una proroga per la presentazione delle domande di sanatoria, finora molto al di sotto delle attese del governo);

- il 55% delle nuove costruzioni illegali si concentra nelle quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa, Campania in testa, che si conferma al primo posto della classifica anche per quanto riguarda l’abusivismo edilizio;

- si aggiunge, alle tre montagne di rifiuti spariti nel nulla e già denunciate nei precedenti Rapporti (rispettivamente di 1.150 metri nel 1988, di 1.120 metri nel 1999, di 1.382 metri nel 2000), una nuova “vetta” di 1.314 metri di altezza (se può consolare, 68 in meno rispetto all’anno precedente) e tre ettari di base, pari a 13,1 milioni di tonnellate di rifiuti speciali, anche pericolosi, di cui si stima la produzione ma non si conosce l’effettivo smaltimento;

- cresce il business complessivo dell’ecomafia, che nelle stime di Legambiente supera nel 2003 i 18,9 miliardi di euro, con un incremento del 14,2% rispetto al 2002;

- aumenta, infine, anche il numero dei clan censiti: 11 in più rispetto al precedente Rapporto Ecomafia, per un totale, come già accennato, di 169 clan.

Le poche notizie confortanti, perlomeno per quanto riguarda i numeri di questo rapporto, arrivano dall’attività in materia di tutela del patrimonio artistico e culturale:

- diminuisce il numero dei furti, secondo i dati forniti dal Comando carabinieri per la tutela del patrimonio culturale (1.293, il 15,9% in meno rispetto al 2002) e quello delle persone arrestate: 54 nel 2003, contro le 128 del 2002); la regione più colpita è il Piemonte (221 furti, con un incremento di circa il 24,1% sul 2002, in controtendenza rispetto al dato nazionale);

- resta sostanzialmente stabile il numero di opere trafugate (poco oltre le 18mila, come nel 2002) ma aumentano in modo esponenziale, e qui il dato torna a farsi preoccupante, quelle considerate di interesse notevole: ben 2.974, contro le “appena” 77 del 2002, a indicare, probabilmente, una crescente specializzazione di ladri e trafficanti.

Fin qui, i numeri. Ma la lettura del Rapporto Ecomafia rimanda, anche quest’anno, anche alle numerosissime inchieste giudiziarie, alle denunce, agli atti e alle relazioni istituzionali, alle notizie raccolte ed elaborate da Legambiente. Riassumerle tutte è davvero impossibile. Può essere utile, però, estrapolare alcune di quelle più significative, suddivise per area di ricerca.

Cominciamo dal ciclo del cemento:

- abbiamo già segnalato il primato del Lazio per quanto riguarda le infrazioni accertate dalle forze dell’ordine: sono state ben 1.450, più del doppio rispetto a quelle registrate nel 2002. E raddoppiano in questa regione anche i sequestri, che passano da 86 a 180. Buona parte di questi illeciti sembra consumarsi lungo le coste. Lo confermano i dati delle Capitanerie di porto, quelli delle Sezioni navali della Guardia di finanza e le indagini della magistratura. Una in particolare, condotta dalla Procura di Velletri e affidata ai carabinieri del Noe, ha portato a decine di sequestri lungo un tratto di litorale della provincia di Roma, tra Ardea e Tor San Lorenzo, compreso quello di ben 28 appartamenti, per un valore di circa 4 milioni di euro, costruiti abusivamente da una società immobiliare su un fosso demaniale;

- è proseguita con ulteriori arresti l’operazione Acheronte, condotta dal Corpo forestale dello Stato e dalla procura di Padova, che ha svelato l’esistenza di un vasto fenomeno di escavazioni abusive di sabbia, in particolare lungo il Po; si tratta di un’indagine che ha fatto scuola: nel corso del 2003, infatti, la procura della Repubblica di Belluno ha messo sotto inchiesta diverse imprese di escavazione nell’ambito dell’operazione Alluvium, relativa a prelievi abusivi di ghiaia lungo alcuni torrenti; prosegue, infine, con nuovi sequestri di motodraghe, l’indagine avviata dalla procura di Reggio Emilia, sempre in merito alle escavazioni abusive di sabbia nell’alveo del Po;

- ha avuto sviluppi clamorosi, coinvolgendo due prefetti e un magistrato, accusato di corruzione in atti giudiziari, l’inchiesta condotta dalla procura della Repubblica di Genova su diversi casi di abusivismo edilizio denunciati da Legambiente nell’isola d’Elba;

- si conferma particolarmente critica la situazione per quanto riguarda le cave abusive in Calabria, soprattutto nelle province di Cosenza (numerosi i sequestri eseguiti dal Corpo forestale dello Stato) e di Catanzaro, in particolare nel territorio di Lametia Terme, al centro di una vasta operazione di monitoraggio da parte del Nucleo operativo ecologico dei Carabinieri;

- sempre in questa regione, una nuova inchiesta, l’operazione Dinasty, ha confermato i reiterati episodi d’infiltrazione della ‘ndrangheta nei lavori di ammodernamento dell’autostrada A3, Salerno-Reggio Calabria; già lo scorso anno avevamo segnalato un’altra indagine, l’operazione Tamburo, dalla quale è emerso uno scenario a dir poco inquietante, che conferma le saldature esistenti, nelle attività dell’ecomafia, tra ciclo del cemento e ciclo dei rifiuti: durante le indagini, infatti, come spiega la Direzione investigativa antimafia nella relazione sul secondo semestre 2003, sono stati acquisisti “elementi investigativi in ordine all’interramento clandestino di 18mila metri cubi di rifiuti sotto l’asfalto dell’autostrada”, utilizzati per “riempire un tratto che aveva richiesto l’esecuzione di scavi e sbancamenti”;

- Legambiente non può fare altro che ribadire, anche in questa occasione, la grande preoccupazione che suscitano gli appetiti della ‘ndrangheta e di Cosa nostra intorno ai lavori previsti per la realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina, un’opera che giudichiamo inutile e contro la quale continueremo a batterci: già oggi, quando l’apertura dei cantieri è ancora sulla carta, “non si esclude - afferma la Dia – che si sia costituito ad hoc un consorzio criminale fra le cosche reggine, che avrebbero già pianificato le modalità d’intervento”.

Dal cemento, ai rifiuti:

- quando non ci sono grandi appalti da “inquinare” le cosche mafiose cercano di sfruttare tutte le occasioni possibili di guadagno: è il caso della provincia di Agrigento. Sempre secondo la Dia, in questa provincia “quello dello smaltimento dei rifiuti si sta rivelando una nuova e lucrosa attività, che è attualmente oggetto di particolare attenzione investigativa”. E probabilmente non è un caso se proprio in Sicilia, come abbiamo già accennato, si riscontra il maggior numero di illeciti accertati dalle forze dell’ordine in questo settore d’intervento;

- la situazione di gran lunga più preoccupante resta, comunque, quella della Campania: la camorra, come ha denunciata la stessa Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti, ha puntato “l’affare emergenza”, a partire dalla compravendita delle aree in cui stoccare le cosiddette ecoballe; sempre in questa regione proseguono incessantemente i traffici e gli smaltimenti illeciti di rifiuti provenienti soprattutto dal Centro-Nord, come hanno rivelato diverse inchieste condotte nel 2003 dai carabinieri del Comando tutela ambiente (dall’operazione “Eldorado” alla “Re Mida”);

- una situazione di emergenza ambientale caratterizza, ormai da tempo, i territori dell’Agro aversano, in provincia di Caserta, e di diversi comuni dell’area a nord di Napoli, in particolare nel triangolo Qualiano, Giugliano, Villaricca: è la terra dei fuochi, già denunciata nello scorso Rapporto ecomafia, dove si continuano a bruciare ogni notte ingenti quantitativi di rifiuti con tecniche sempre più raffinate (dai pneumatici usati come combustibile alla nuova frontiera delle balle di stracci imbevute, molto probabilmente, con solventi e altri rifiuti pericolosi); da questi roghi, com’è noto, si sprigionano rilevanti quantità di diossina; è molto probabile che proprio questa sorta di “termocombustione”, criminale e diffusa sul territorio, sia all’origine dei gravi fenomeni di contaminazione, che hanno portato al sequestro e all’abbattimento di alcune migliaia di capi bovini, in particolare bufale, nonché alla recentissima emanazione di ordinanze sindacali che vietano, in alcune aree dei comuni di Frignano e Villa Literno (ma quelli interessati sarebbero in realtà almeno sette), il pascolo, la detenzione di animali da cortile, la raccolta del foraggio, che deve essere inviato a “idonei impianti di incenerimento”;

- alcune indagini giudiziarie condotte tra il 2003 e i primi mesi del 2004 hanno confermato l’estensione su quasi tutto il territorio nazionale dei traffici illegali di rifiuti; con l’operazione Mosca, condotta dal Comando tutela ambiente dell’Arma dei carabinieri, sono stati accertati smaltimenti illeciti di ingenti quantitativi di rifiuti in Molise; l’operazione Clean Sweep, portata avanti dallo stesso Comando, ha acceso i riflettori sul profondo nord, la provincia di Cuneo, anch’essa meta di smaltimenti illeciti; quella Phantom Recycling, condotta dal Nucleo investigativo di polizia ambientale del Cfs di Brescia ha confermato il massiccio impiego di capannoni industriali dismessi, che vengono riempiti di rifiuti e lasciati in eredità alle comunità locali, dalla Lombardia al Veneto, dall’Emilia Romagna al Friuli; sempre in Veneto, l’operazione Houdini, condotta di nuovo dal Comando tutela ambiente e coordinata dal Reparto operativo, ha confermato il ruolo cruciale di questa regione come luogo di raccolta e “smistamento” di rifiuti speciali, spesso pericolosi, su tutto il territorio nazionale;

- sorprende, infine, per l’originalità del sistema di smaltimento illecito adottato l’operazione Paddock, condotta dal Corpo forestale dello Stato e dalla Guardia di finanza, in collaborazione con l’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente della regione Toscana: le indagini, partite da Barberino del Mugello hanno consentito di individuare l’impiego di rifiuti (cavi elettrici finemente tritati) mescolati con sabbia per “allestire” le aree di allenamento dei cavali in numerosi maneggi della provincia di Firenze, e probabilmente non solo (questo tipo di traffico ha interessato anche la Lombardia, l’Emilia Romagna e le Marche); il materiale in questione sarebbe particolarmente adatto perché, come rivela un comunicato stampa della stessa Arpat, “conferisce una buona elasticità al fondo e non comporta la formazione di polvere”: peccato che si tratti di rifiuti classificati come pericolosi.

E’ stata la rivista Polizia di Stato a segnalare, con un’ampia inchiesta, un fenomeno crescente per quanto riguarda il racket degli animali, il furto di cavalli: ne vengono rubati ogni anno almeno 5mila esemplari, spesso destinati al mercato della macellazione clandestina. A causa delle giuste preoccupazioni suscitata dalla “mucca pazza”, infatti, il consumo di carne equina in Italia è cresciuto in maniera significativa (circa il 40%) e le organizzazioni criminali, ovviamente, si adeguano. Senza dimenticare le tradizionali fonti di guadagno:

- resta, infatti, assai diffuso il fenomeno del bracconaggio nel nostro Paese, come dimostra l’Operazione pettirosso, condotta dal Noa, il Nucleo operativo antibracconaggio del Corpo forestale dello Stato: in 45 giorni di indagini, lungo le valli bresciane e del bergamasco, sono state denunciate 102 persone, sequestrati 4.239 archetti e trappole, 157 reti. Le prede sono sempre le stesse (pettirossi, allodole, fringuelli, scriccioli) piccoli volatili catturati illegalmente che alimentano un ricco mercato: un piatto, con il gusto del proibito, di “polenta e osei” può costare anche 40 euro; un archetto, appena 15 centesimi;

- si diventa cacciatori di frodo anche solo per “passione”, magari dopo aver lavorato regolarmente dal lunedì al venerdì, dirigendo la filiale di un istituto di credito: è soltanto un cacciatore di frodo tra i tanti quello denunciato anche quest’anno sui “laghetti” del litorale Domitio flegreo, in provincia di Caserta, ma proprio il suo ruolo sociale, rispettabile, e la sua disponibilità a pagare anche 8 mila euro l’anno per affittare un capanno abusivo fanno davvero riflettere; anche perché questi laghetti, in gergo “vasche”, dove cercano ristoro moltissimi specie di migratori, sono spesso gestiti dalla camorra (Legambiente, per inciso, ha avviato, in collaborazione con la Lipu, un progetto di recupero e riqualificazione di alcune aree umide di questa provincia, nell’ambito dell’operazione SalvaItalia, che si avvale del contributo di Tim).

“La gente ricca serve per la fortuna di quelli che possono arricchirsi alle loro spalle”: è solo un frammento, ma davvero significativo, della conversazione, intercettata dai carabinieri del Nucleo tutela patrimonio culturale di Roma, tra un padre, considerato tra i più esperti ladri e ricettatori di opere d’arte, in servizio da più di 30 anni, e il figlio. Ma spiega molto degli interessi che ancora “orbitano” intorno al saccheggio del patrimonio archeologico, storico e artistico del nostro paese. Partivano dall’antica Etruria, tra il Lazio e la Toscana, solo per fare un esempio, i reperti archeologici sequestrati dagli investigatori della Guardia di finanza, impegnati nelle attività di contrasto dei traffici d’arte. E finivano in Svizzera: qui in un sofisticato laboratorio ginevrino si provvedeva al “restauro” prima di collocarli sul mercato internazionale: a fare da consulenti, un esperto in etruscologia, italiano, e un collezionista, svizzero, ai quali era affidato il compito di costruire un’identità legale ai reperti.

Molto più brutale e diretta è la nuova “mafia di campagna”. Un fenomeno su cui indaga una sezione specializzata della Procura nazionale antimafia, voluta dal Procuratore Piero Luigi Vigna, e che Legambiente ha deciso di sottolineare, per la sua gravità in questo Rapporto Ecomafia 2004. I numeri che emergono dal lavoro di ricerca “Campagne sicure 2003: la criminalità in agricoltura nelle regioni del Sud” (elaborato dalla Fondazione Cesar per conto della Confederazione italiana dell'agricoltura), non lasciano margini di dubbio:

- i reati accertati dalle forze dell’ordine nelle campagne del nostro Mezzogiorno, durante il 2002, sono stati ben 228.253;

- al primo posto figurano i furti di attrezzature e mezzi agricoli (accompagnati spesso dalla richiesta di un “riscatto”, il cosiddetto “cavallo di ritorno”) seguiti dal racket, dall’abigeato, dai furti di prodotti agricoli, in quantitativi ingenti e direttamente dalle piante.

E’ un vero e proprio assalto. Che ha come vittime migliaia di agricoltori italiani, troppo spesso abbandonati al loro destino. E che vede di nuovo in alcuni territori funestati dal fenomeno dell’ecomafia, come la provincia di Caserta e quella di Napoli, veri e propri “epicentri” di queste attività illecite. Che non preoccupano soltanto per le conseguenze sociali, pure gravissimi, ed economiche.

Queste attività criminali s’intrecciano, spesso, con altri fenomeni, come la macellazione clandestina, gli allevamenti illegali, il ricorso a farmaci proibiti per “dopare” gli animali, i traffici di derrate alimentari che non dovrebbero raggiungere il mercato. Non può non inquietare, solo per fare un esempio, il sequestro avvenuto in provincia di Frosinone, da parte della polizia di Cassino, di due autobotti con latte che proveniva da allevamenti sequestrati della provincia di Caserta, a causa della contaminazione da diossina. Il latte era destinato a ditte del basso Lazio. E la preoccupazione cresce, se a questa notizia si affianca quella del sequestro da parte del Nucleo operativo ecologico dei carabinieri, su delega dalla Procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere, di due allevamenti gestiti da affiliati a clan camorristici.

Non si tratta di fare allarmismo (davvero non se ne avverte il bisogno, visto il quadro generale che emerge dalle inchieste giudiziarie e da diversi atti istituzionali) ma è certo che contro la mafia di campagna vanno sviluppate, rapidamente, forti contromisure, per restituire serenità agli agricoltori e sicurezza ai consumatori.

Anche quest’anno, il Rapporto Ecomafia ospita un’ampia pagina dedicata ai cosiddetti “mercati globali” dell’ecocriminalità: i traffici illeciti di rifiuti (per i quali si segnala una ricerca comparata tra Italia e Spagna, realizzata da Legambiente in collaborazione con il Gruppo Abele e l’associazione ambientalista spagnola Gepec), quelli di specie protette (che si collocano ormai al terzo posto come profitti per le holding criminali, dopo i traffici di armi e di droga) e quelli di opere d’arte. Gli spunti di riflessione non mancano, ma anche per ragioni di sintesi, ne vogliamo sottolineare uno. Che guarda a un tema di grande attualità: l’allargamento dell’Unione europea. La prima indagine effettuata sulla criminalità ambientale in Europa, ampiamente citata nel capitolo sugli scenari internazionali, rivela una significativa frequenza di traffici e smaltimenti illeciti di rifiuti nei paesi dell’Est, a cominciare dalla Cecoslovacchia. Sembra quasi un ritorno al passato, a prima della caduta del Muro, quando proprio verso Est (in particolare la Romania) si dirigevano rotte importanti degli smaltimenti illeciti, che affiancavano quelle tradizionali verso l’Africa (ancora attive).

Il nostro lavoro di ricerca si conclude, come sempre, con i contributi dei Centri di azione giuridica di Legambiente: i nostri sportelli della legalità, a disposizione dei cittadini e attivi in quasi tutte le regioni italiane. Si tratta di un lavoro che coinvolge decine e decine di avvocati, a titolo gratuito (quando gli va bene), affiancati da magistrati da sempre attenti alle questioni ambientali.

E’ un altro piccolo esempio di quello spirito di cooperazione che caratterizza le nostre attività associative. E che ispira anche le proposte, concrete, con le quali vogliamo concludere questa premessa:

- torniamo a sollecitare, anche quest’anno, l’introduzione dei delitti contro l’ambiente nel nostro Codice penale; abbiamo positivamente ascoltato, al riguardo, durante un convegno organizzato proprio dalla nostro associazione lo scorso 19 marzo a Roma, una sostanziale unità d’intenti e di obiettivi con la Commissione presieduta dal giudice Carlo Nordio, impegnata, su delega del ministro della Giustizia nella più complessiva riforma del Codice penale; sempre in quella occasione è stato confermato l’impegno, nella stessa direzione, della Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti, in particolare del suo presidente, l’on. Paolo Russo; speriamo che queste sinergie consentano di superare dubbi ed ostacoli e favoriscano l’approvazione, entro questa legislatura, di una riforma, prevista anche dal Consiglio d’Europa e dalla Commissione europea;

- Legambiente propone, al di là degli esiti dei ricorsi pendenti davanti alla Corte costituzionale contro il terzo condono edilizio (che ci auguriamo, ovviamente, portino alla bocciatura di questo provvedimento), l’istituzione di un Ufficio nazionale per la lotta all’abusivismo edilizio, con funzioni operative e di coordinamento, che supporti Comuni ed Enti parco nelle attività di demolizione di tutto ciò che è comunque non sanabile, nonché in quelle di repressione del nuovo abusivismo (quello successivo, per intenderci, alla data del 31 marzo 2003); questo ufficio, magari alle dipendenze del ministero dell’Ambiente e del territorio, potrebbe, solo per fare un esempio, raccogliere e rilanciare il prezioso lavoro svolto dalla Procura generale di Lecce sulle sentenze di demolizione passate in giudicato di opere non sanabili: grazie alla collaborazione avviata anche con le sedi locali dell’Ance (l’Associazione nazionale costruttori), la Procura generale ha elaborato, tra l’altro, procedure d’intervento con costi inferiori a quelli praticati dal Genio militare;

- la nostra associazione sollecita l’adozione di misure, queste sì davvero straordinarie, con cui ripristinare la legalità nelle cosiddette “terre dei fuochi”, in particolare l’Agro aversano e i comuni dell’area a nord della Provincia di Napoli (soprattutto nel triangolo tra Qualiano, Giugliano e Villaricca): si tratta di agire, a nostro avviso, con lo stesso impegno che ha caratterizzato l’Operazione Primavera, attraverso la quale, è stato sostanzialmente stroncato un sistema criminale che teneva in scacco la provincia di Brindisi. In quel caso si trattava di contrastare bande sempre più spietate di contrabbandieri di sigarette. Questa nuova “Operazione Primavera” dovrebbe avere come obiettivo, invece, i contrabbandieri di rifiuti che avvelenano quei territori, minacciano la salute dei cittadini e compromettono importanti attività economiche;

- chiediamo, più in generale, una forte iniziativa politico-amministrativa per superare, in Campania, Puglia, Calabria e Sicilia, la stagione, in qualche caso ormai più che decennale, della gestione commissariale del ciclo dei rifiuti, creando finalmente le condizioni per un autentico decollo della raccolta differenziata e delle attività di recupero e riciclaggio, antidoto indispensabile all’azione delle ecomafia;

- ci aspettiamo, infine, dalla nuova presidenza di Confindustria una maggiore attenzione verso quanto emerge dalle indagini sui traffici illegali di rifiuti nel nostro paese, alimentati dai residui di produzione di importanti cicli industriali (dalle concerie agli impianti siderurgici fino agli stabilimenti petrolchimici); la proposta è semplice: elaborare un “Manuale contro l’ecomafia”, rivolto al sistema imprenditoriale, in cui vengono spiegate le conseguenze di queste attività illecite e si illustrano i costi effettivi e le procedure necessarie per smaltire correttamente i rifiuti; si tratterebbe di un piccolo gesto ma, allo stesso tempo, di una chiara assunzione di responsabilità, che aiuterebbe peraltro le stesse imprese private che operano, legalmente, nella gestione dei rifiuti.

Anche in questo caso, siamo pronti a dare il nostro contributo, di idee e di esperienze maturate in questi dieci anni. Lo faremo con lo spirito che ci ha sempre contraddistinto: affiancare al rigore della ricerca e al dovere della denuncia, l’impegno di formulare proposte, fatte soltanto nell’interesse generale del nostro Paese e dell’ambiente in cui viviamo