Cass. Sez. III Sent. 46858 del 18 dicembre 2007 (ud.28 set.2007)
Pres. Grassi Est. Mancini Ric. Foti
Acque. Metodiche di campionamento e analisi

In tema di controllo dei reflui degli scarichi il metodo di campionamento è regolamentato da una metodica flessibile in quanto accanto al criterio ordinario riferito ad un campione medio prelevato nell\'arco di tre ore prevede la possibilità di criteri derogatori in relazione alle specifiche esigenze del caso concreto. Ne deriva che nessuna nullità può nella specie ravvisarsi per non essere stato osservato il metodo ordinario di campionamento dovendosi piuttosto verificare se il metodo in concreto adottato e consistito in un prelevamento di reflui protrattosi per un tempo inferiore abbia prodotto risultati fallaci o comunque inattendibili.

Svolgimento del processo

Con sentenza dell’8 gennaio 2007 la Corte di appello di Milano, decidendo sulla impugnazione proposta da Foti Michele avverso la sentenza resa in data 19 ottobre 2005 dal tribunale di Como che lo aveva condannato alla pena di giorni dieci di arresto ed euro 2.500,00 di ammenda per il reato di cui all’art. 59 co. 5 del D.L.vo 152 del 1999 - avendolo riconosciuto colpevole nella sua veste di legale rappresentante della Inerti ed asfalti srl di effettuato scarichi di acque reflue industriali con valori limite, per quanto concerne una serie di parametri, superiori a quelli fissati nella tabella 4 dell’alleg. 5 dello stesso decreto legislativo - ha confermato la sentenza stessa.

Peraltro la responsabilità dell’imputato era stata affermata dal tribunale con riferimento al solo parametro relativo al rame atteso che la norma penale sanziona la condotta di chi supera i limiti di cui alle sostanze indicate nella tabella 5 dell’alleg. 5 fra le quali sostanze compare il rame”.

La Corte territoriale replicando alle censure contenute nell’atto di appello proposto contro la sentenza di primo grado rileva che: a) il fatto che sia intervenuta una archiviazione in sede amministrativa non preclude e non impedisce l’accertamento in sede penale; b) neppure rileva che nella autorizzazione amministrativa allo scarico non venisse fatta menzione di tali limiti; c) parimenti irrilevante la circostanza che si trattasse di acque di lavaggio; d) quanto infine alle metodiche del campionamento gli organi accertatori avevano agito nell’ambito di una discrezionalità tecnica che deve essere loro riconosciuta.

Avverso la sentenza l’imputato ha proposto ricorso per cassazione a mezzo del difensore denunziando con il primo motivo violazione dell’art. 546 c.p.p. e/o mancanza o manifesta illogicità della motivazione sul punto, in quanto la limitazione della affermazione della responsabilità per la eccessiva presenza di rame nei reflui era stata operata nella sola parte motiva della decisione e di essa non c’era traccia nel dispositivo. La stessa Corte di appello peraltro pur avendo rilevato la contraddizione non ne ha tratto le dovute conseguenze omettendo di sanare il vizio e limitandosi al contrario, nel dispositivo della sentenza, ad annotare che la condanna riguardava il solo parametro del rame.

Denunzia quindi con altro motivo inosservanza e/o erronea applicazione della legge penale con riguardo all’art. 29 co. 1 del citato decreto legislativo, facendo notare che in forza di tale disposizione dal divieto sono escluse “ le acque provenienti dalla lavorazione di rocce naturali nonché dagli impianti di lavaggio delle sostanze minerali “, che è poi quanto si riscontra nell’attività svolta dalla azienda in questione. Ed è tanto vero che nel divieto non fosse compresa l’attività de qua che l’amministrazione provinciale di Como aveva autorizzato sic et simpliciter lo scarico sul suolo delle acque reflue provenienti dall’insediamento medesimo. Palesemente errato è sul punto il ragionamento della impugnata sentenza che ritiene operante la più ampia previsione dell’art. 59 co. 5 a prescindere dalle eccezioni formulate nel precedente art. 29. Peraltro la previsione dell’art. 29, correttamente interpretata, è del tutto comprensibile ove si consideri che con il lavaggio di rocce naturali al suolo vengono restituiti elementi che già ne fanno parte.

In subordine sul punto il ricorrente lamenta mancanza e/ o carenza di motivazione dal momento che l’affermazione della responsabilità dell’imputato avrebbe richiesto ben altra motivazione. Ed infatti uno dei testi qualificati escussi in dibattimento - Virdis Marco - aveva confermato che sul piano amministrativo nessuna infrazione era stata registrata e l’autorizzazione amministrativa avrebbe dovuto a suo avviso scriminare la condotta dell’imputato anche sul piano penale.

Ancora mancanza o insufficienza della motivazione. I rilievi formulati dalla difesa circa le anomalie del campionamento sono stati risolti troppo sbrigativamente dai giudici di merito i quali hanno trascurato di tenere conto che tale operazione (protrattasi nell’arco di mezz’ora invece delle tre ore ordinarie) era avvenuta mentre erano in fase di manutenzione sia l’impianto che il depuratore ad esso collegato e la circostanza ben poteva avere infinito sull’esito delle analisi (come ipotizzato dal teste Mauri) tanto più in presenza di un valore di poco superiore al massimo ed in considerazione dei valori, dentro la norma, riscontrati prima e dopo l’accertamento per cui è causa.

Inoltre questi ulteriori e diversi accertamenti offrivano la prova - si assume nell’ultimo dei motivi proposti - che l’evento dal punto di vista dell’imputato non era prevedibile e neppure evitabile, con l’effetto di escludere, nel caso e comunque, la presenza dell’elemento soggettivo del reato.

 

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato e deve essere respinto.

Con il primo dei motivi proposti il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 546 c.p.p. dedicato ai requisiti che devono caratterizzare la sentenza. La violazione nella specie si sarebbe verificata in quanto mentre nel capo di imputazione si contestava all’azienda della quale il ricorrente è legale rappresentante il superamento di una serie di parametri, in definitiva l’accertamento della responsabilità era avvenuto con riferimento al solo parametro del rame e tuttavia tale limitazione era stata bene evidenziata nella sola parte motiva della sentenza, non invece nel dispositivo.

La doglianza non è condivisibile.

In primo luogo infatti essa non appare sostenuta da un concreto interesse del ricorrente dal momento che neppure si allega che la quantificazione della pena, di cui al dispositivo della pronuncia, non sia avvenuta tenendosi il debito conto che il riconoscimento della responsabilità dell’imputato era avvenuto da parte del giudicante con riguardo al solo parametro del rame.

Peraltro e considerato che nella sentenza di primo grado nessuna nullità poteva ravvisarsi sotto tale profilo, nella sentenza di appello tale asimmetria, fra parte motiva e dispositivo della sentenza, è comunque scomparsa posto che anche nel dispositivo della impugnata sentenza si chiarisce come la responsabilità dell’imputato sia circoscritta al solo parametro del rame.

Parimenti non condivisibile è la doglianza che concerne la metodica del prelievo e campionamento del refluo nella specie osservata dall’organo accertatore.

“In tema di tutela delle acque dall’inquinamento la disposizione sulla metodica di prelievo e campionamento del refluo di cui all’All. 5 del D.L.vo 152 del 1999 come modificato dal D.L.vo 258 del 2000 non opera una integrazione della fattispecie penale di cui all’art. 59 del cit. D.L.vo 152 né indica un criterio legale di valutazione della prova atteso che si limita ad indicare quale metodica normale del campionamento medio nell’arco delle tre ore ma non esclude che l’organo di controllo possa procedere ad un campionamento diverso anche istantaneo in considerazione delle caratteristiche del ciclo produttivo” (così Cass. Sez. III, n. 29884 del 2006 Rv 234662).

Ed ancora, sempre di questa III Sez., sent. n. 14425 del 2004 Rv 227782 “in tema di controllo dei reflui degli scariche di acque reflue industriali l’inosservanza del metodo di campionamento medio nell’arco di tre ore non è assoggettata ad alcuna sanzione atteso che spetta all’autorità amministrativa di controllo ed in sede processuale al giudice valutare la razionalità del metodo adottato in relazione alle specifiche caratteristiche del ciclo produttivo e delle modalità dello scarico“.

In definitiva “in tema di controllo dei reflui degli scarichi il metodo di campionamento è regolamentato da una metodica flessibile in quanto accanto al criterio ordinario riferito ad un campione medio prelevato nell’arco di tre ore prevede la possibilità di criteri derogatori in relazione alle specifiche esigenze del caso concreto” ( così Cass. Sez. III, n. 32996 del 2003 Rv 225547).

Ne deriva che nessuna nullità può nella specie ravvisarsi per non essere stato osservato il metodo ordinario di campionamento dovendosi piuttosto verificare se il metodo in concreto adottato e consistito in un prelevamento di reflui protrattosi per un tempo inferiore abbia prodotto risultati fallaci o comunque inattendibili.

Al riguardo tuttavia nessuna allegazione che non sia meramente congetturale è stata avanzata dal ricorrente il quale si limita ad osservare - senza che ciò possa tuttavia in alcun modo invalidare l’esito dell’accertamento - che a) soltanto di poco è stato superato il limite massimo di presenza del rame nei reflui degli scarichi industriali; b) il campionamento è avvenuto in un momento in cui l’impianto era oggetto di lavori di manutenzione.

Con altro motivo di ricorso si rappresenta che il fatto era stato oggetto di indagine amministrativa (conclusasi con l’archiviazione) ed inoltre che lo scarico era stato debitamente autorizzato dall’autorità preposta senza che il relativo provvedimento richiamasse in alcun modo parametri insuperabili di presenza di sostanze nei reflui industriali.

Orbene quanto al primo punto è appena il caso di osservare che il procedimento penale si svolge in piena autonomia rispetto ad ogni altro tipo di procedimento e quindi anche rispetto alla inchiesta amministrativa (peraltro conclusasi nella specie, secondo quanto ricorda lo stesso ricorrente, con la archiviazione e dunque con un provvedimento che anche sul piano concettuale è inidoneo ad avere forza di giudicato ed a creare preclusioni di sorta).

Quanto all’altro punto di questo complesso ed articolato motivo si rileva che all’imputato non è contestato di avere effettuato scarichi di acque reflue industriali senza autorizzazione bensì di avere ecceduto nello scarico sul suolo debitamente autorizzato i limiti di cui alla tabella 4 dell’allegato 5 del decreto legislativo 152 per quanto riguarda il rame. Con altro motivo si invoca l’applicazione nella specie dell’art. 29 co. 1 lett. d) del medesimo decreto richiamandosi e facendo leva sul tipo di attività dell’azienda rappresentata dall’imputato.

Neppure tale doglianza è condivisibile.

La norma in questione muovendo dal presupposto che gli scarichi devono avvenire dentro appositi corpi idrici vieta in linea generale “lo scarico sul suolo o negli strati superficiali del sottosuolo “prevedendo al contempo una serie di eccezioni fra le quali una riguarda - v. la cit. lett. d) dell’art. 29 – “le acque provenienti dalla lavorazione di rocce naturali nonché dagli impianti di lavaggio delle sostanze minerali.

Ciò posto si osserva che nel caso in esame per più ragioni il richiamo di tale norma non è calzante.

In primo luogo infatti la eccezione al generale divieto è subordinata non solo al tipo di lavorazione ma anche alla presenza di altre condizioni puntigliosamente elencate nella stessa citata lett. d) dell’art. 29 in relazione alle quali difetta nella specie qualsivoglia indicazione o notizia.

In secondo luogo è bene ricordare che la fattispecie contravvenzionale contestata al ricorrente e per la quale è intervenuta condanna a suo carico (co. 5 dell’art. 59 del D.L.vo 152) riguarda esplicitamente gli scarichi autorizzati sia che avvengano in corpi idrici e sia che avvengano, come nel caso in esame, sul suolo ed inoltre che l’allegato 4 di cui alla contestazione concerne testualmente “i limiti di emissione per le acque reflue urbane ed industriali che recapitano sul suolo”.

Quanto all’ultimo articolato motivo di impugnazione, incentrato sull’elemento soggettivo del reato, è sufficiente osservare che trattasi di reato contravvenzionale per il quale tale elemento si integra anche in presenza della sola colpa e che la misura della pena, pur trattandosi di persona plurirecidiva per fatti specifici, è stata contenuta in misura prossima ai minimi edittali (per avere di fatto tenuto conto, i giudici del merito, che lo “sforamento” del parametro non è stato di rilevante entità).

Il rigetto del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.