Cass. Sez. III n. 16036 del 12 aprile 2019 (Pu 28 feb 2019)
Pres. Izzo Est. Ramacci Ric. Zoccoli
Ecodelitti.Traffico organizzato reato abituale proprio
Il delitto di cui all’art. 260 d.lgs. 152\06 (ora 452-quaterdecies cod. pen.) è reato abituale proprio, in quanto caratterizzato dalla sussistenza di una serie di condotte le quali, singolarmente considerate, potrebbero anche non costituire reato, con l'ulteriore conseguenza che la consumazione deve ritenersi esaurita con la cessazione dell'attività organizzata finalizzata al traffico illecito dei rifiuti e alla pluralità delle azioni, che è elemento costitutivo del fatto, corrisponde una unica violazione di legge .
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte d'Appello di Reggio Calabria, con sentenza del 27 giugno 2017 ha confermato la decisione con la quale, il 27 giugno 2014, il Tribunale di Locri aveva affermato la responsabilità penale di Giuseppe Saverio ZOCCOLI, Antonio Giovanni CRINÒ e Giorgio STIRITI in quanto imputati, secondo quanto indicato in sentenza, Giuseppe Saverio ZOCCOLI quale socio dell'impresa e procuratore speciale della società “ZETAMME S.a.s. di STRATI Rosa Maria”, Antonio Giovanni CRINÒ quale responsabile tecnico della società predetta, del reato di cui agli artt. 81, 110 cod. pen. e 260 d.lgs. 152/2006 perché, in concorso tra loro, nelle qualità sopra indicate, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, al fine di conseguire un ingiusto profitto, consistente nel risparmio del denaro dovuto per un corretto smaltimento del percolato, per la ricopertura e compattazione giornaliera dei rifiuti, nonché per le opere necessarie per una corretta manutenzione della discarica, con le seguenti operazioni illecite:
1) utilizzando per l’abbancamento dei rifiuti aree non autorizzate, utilizzando per l’abbancamento dei rifiuti aree senza previo isolamento del terreno con apposita geo-membrana;
2) versando il percolato prodotto dai rifiuti nel vallone e Rambotta;
3) abbancando rifiuti in qualità eccedente i limiti autorizzati;
4) omettendo di provvedere alla copertura e compattazione giornaliera dei rifiuti;
5) consentendo il conferimento di rifiuti non ammissibili in discarica;
6) consentendo il conferimento di rifiuti di soggetti non autorizzati;
il tutto con più azioni ed attraverso l'allestimento di mezzi ed attività continuativi organizzati sopra descritte, gestivano abusivamente ingenti quantitativi di rifiuti nelle quantità solo parzialmente potute quantificare. In Casignana, accertato dall'agosto 2010 a tutt'oggi.
Giorgio STIRITI e Giuseppe Saverio ZOCCOLI erano imputati, sempre secondo quanto testualmente riportato in sentenza, del reato di cui agli artt. 110 cod. pen. e 6, comma 1, lett. b) decreto-legge 172/2008, convertito nella legge 210/2008, in relazione al D.P.C.M. 18 dicembre 2008, che ha dichiarato lo stato di emergenza nel settore dei rifiuti nel territorio della Regione Calabria, perché, in concorso tra loro, il primo quale direttore tecnico della “LEONIA s.p.a.”, società incaricata della raccolta e smaltimento dei rifiuti solidi urbani della città di Reggio Calabria, il secondo quale gestore di fatto della discarica di Casignana, effettuavano un'attività di smaltimento rifiuti in assenza di autorizzazione. In particolare, scaricavano nella suddetta discarica rifiuti solidi urbani della città di Reggio Calabria in quantità superiori a quelle per le quali erano stati autorizzati dall’ordinanza del commissario di governo per l'emergenza rifiuti in Calabria n. 9558 del 6 settembre 2010. In Casignana il 7/9/2010.
2. Avverso tale pronuncia Giuseppe Saverio ZOCCOLI propone personalmente ricorso per cassazione, Antonio Giovanni CRINÒ e Giorgio STIRITI propongono separati ricorsi tramite i rispettivi difensori di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell'art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
3. Ricorso di Giuseppe Saverio ZOCCOLI
Con un primo motivo di ricorso deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione al disposto degli artt. 521 e ss. cod. proc. pen., sostenendo che la Corte territoriale non avrebbe adeguatamente motivato in ordine alla dedotta mancanza di correlazione tra accusa e sentenza con riferimento al capo a) dell'imputazione, il quale sarebbe riferito ad una condotta posta in essere “dall’agosto 2010 a tutt’oggi” mentre i fatti per cui è stato condannato sarebbero riferiti ad un arco temporale antecedente.
3.1. Con un secondo motivo di ricorso denuncia la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione al delitto di cui all'art. 260 d.lgs. 152/2006, osservando che la Corte territoriale non avrebbe spiegato adeguatamente in base a quale percorso logico-argomentativo è giunta ad affermare la penale responsabilità degli imputati nonostante oggettive ed incontrovertibili conclusioni di segno diverso emergenti dalle consulenze in atti, che illustra.
Aggiunge che non possono condividersi le argomentazioni offerte dai giudici del gravame in ordine al raggiungimento della prova dell'illecito conferimento di pneumatici in discarica nella parte in cui affermano che quanto sostenuto dalla difesa e, cioè, che gli pneumatici avrebbero dovuto essere utilizzati sul bordo dei teli per migliorarne l'ancoraggio, sarebbe smentito da quanto dichiarato da un teste.
3.2. Con un terzo motivo di ricorso deduce il vizio di motivazione riguardo alla dosimetria della pena ed alla concessione dei benefici di legge.
4. Ricorso di Antonio Giovanni CRINÒ
Con un primo motivo di ricorso deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione, rilevando che la Corte di Appello avrebbe sostanzialmente operato un integrale rinvio alla sentenza di primo grado, senza offrire adeguata valutazione delle prove acquisite ed omettendo di considerare le allegazioni difensive.
In particolare, lamenta che i giudici dell'appello non avrebbero appropriatamente motivato in ordine alla sussistenza del dolo specifico richiesto per la configurabilità delitto contestato, limitandosi ad una impropria valorizzazione di un intercettazione ambientale relativa ad una conversazione intercorsa tra lui ed altro soggetto, in cui veniva sollecitata la saldatura tra la vecchia e la nuova geo-membrana della discarica nel timore di fuoriuscita del percolato, confondendo un evidente atteggiamento di zelo professionale con l’intenzione preordinata di commettere il reato.
Aggiunge che la Corte d'Appello avrebbe fornito una motivazione soltanto apparente sulla sua posizione, liquidando con pochi parole la consulenza tecnica di parte.
Rileva, inoltre, che le conclusioni della Corte territoriale sarebbero meramente congetturali e muoverebbero da una premessa sbagliata, per la quale una ritenuta e dimostrata criticità ordinaria, riscontrabile nella discarica autorizzata, di per sé integrerebbe la violazione dell'articolo 260 d.lgs. 152/2006 e ciò sarebbe avvenuto anche in ragione di una travisata lettura delle intercettazioni e delle videoriprese, che sarebbe smentita dalle dichiarazioni gli stessi testi di accusa, dalla documentazione acquisita e dall'elaborato redatto dal consulente di parte.
4.1. Con un secondo motivo di ricorso deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione alla mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
4.2. Con un terzo motivo di ricorso deduce, infine, l’intervenuta prescrizione del reato.
5. Ricorso di Giorgio STIRITI
Con un primo motivo di ricorso denuncia la violazione di legge ed il vizio di motivazione, osservando che l'affermazione di responsabilità nei suoi confronti deriverebbe esclusivamente da alcune intercettazioni telefoniche, i cui contenuti sarebbero stati erroneamente interpretati in chiave accusatoria, mentre si tratterebbe, in realtà, di un colloquio nel corso del quale egli, alle prese ormai da giorni con una situazione di criticità, causata da un eccezionale evento meteorologico, si informava del fatto se fosse possibile conferire in discarica un ulteriore quantitativo di rifiuti senza che ciò comportasse problemi tecnici. Non vi sarebbe stata, pertanto, la volontà di porre in essere una condotta illecita, ma soltanto l'intenzione di tamponare una grave emergenza nella consapevolezza che la discarica era comunque abilitata a ricevere i quantitativi di rifiuti richiesti.
Assume, inoltre, che tale situazione non sarebbe stata idonea a configurare un’attività posta in essere in assenza di autorizzazione, anche in considerazione del fatto che i compattatori contenenti i rifiuti, prima di poterli conferire nella discarica, devono essere autorizzati dal personale della stessa, cosa che, nella circostanza, sarebbe avvenuta.
5.1. Con un secondo motivo di ricorso rileva che, nel caso di specie, si sarebbe dovuta rinvenire la particolare tenuità del fatto, con conseguente applicazione della causa di non punibilità di cui all'articolo 131-bis cod. pen.
5.2. Con un terzo motivo di ricorso deduce che, avuto riguardo alla data di commissione del fatto, il reato deve ritenersi ormai travolto dalla prescrizione.
5.3. Con un ulteriore motivo di ricorso, successivamente presentato ad integrazione dei precedenti, denuncia la violazione di legge, osservando come, in ogni caso, la condotta ascrittagli avrebbe potuto essere, al più, collocata nella fattispecie astratta di cui all’art. 6, comma 1, lett. f) della legge 210/2008, la quale sanziona l'ipotesi di inosservanza delle prescrizioni contenute o richiamate nelle autorizzazioni, nonché la carenza dei requisiti e delle condizioni richiesti per l'iscrizione comunicazioni.
Tutti insistono, pertanto, per l'accoglimento dei rispettivi ricorsi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono inammissibili.
2. Occorre rilevare, quanto al ricorso ricorso di Giuseppe Saverio ZOCCOLI, che lo stesso risulta essere stato presentato dall’interessato personalmente e non da difensore abilitato al patrocinio in Cassazione.
Tale evenienza determina l’inammissibilità del ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 613 cod. proc. pen., come modificato dall'art. 1, comma 63) della legge 23 giugno 2017, n. 103, in vigore dal 3 agosto 2017, data antecedente al deposito dell’atto di impugnazione, avvenuto il 25 giugno 2018, come attestato sulla sentenza della Corte di appello.
3. Venendo all’esame del ricorso presentato nell’interesse di Antonio Giovanni CRINÒ, deve rilevarsi, con riferimento al primo motivo di ricorso, che, diversamente da quanto sostenuto, la Corte di appello non si è affatto pedissequamente adagiata sulle conclusioni del primo giudice, avendo, del tutto legittimamente, ritenuto condivisibili le argomentazioni poste a sostegno della sentenza di primo grado, alla quale ha rinviato per il dettagliato esame delle emergenze probatorie, riportandone testualmente le parti di interesse per la valutazione delle doglianze formulate dagli appellanti quando necessario.
La disamina delle questioni prospettate alla Corte del merito, tuttavia, non si è esaurita con tali richiami, avendo i giudici dell’appello proceduto ad una accurata indicazione dei motivi di gravame, ai quali è stata successivamente fornita ampia e dettagliata risposta, con la quale il ricorrente si confronta solo in parte.
La Corte territoriale, nel rispondere alle dedotte censure, ha compiutamente illustrato i contenuti della giurisprudenza di questa Corte relativa al delitto di cui all’art. 260 d.lgs. 152/06 (ora art.. 452-quaterdecies cod. pen., con assoluta continuità normativa) dando poi correttamente conto del fatto che il compendio probatorio acquisito nel giudizio di primo grado, al fine di valutare la fondatezza delle doglianze difensive, andava analizzato nel suo complesso onde evitare un approccio “eccessivamente atomistico e parcellizzato che, nello scandagliare la portata di ogni singolo elemento fattuale, ne perda di vista l’incidenza sulla complessiva gestione della discarica, la cui ‘abusività’ deve essere apprezzata in ragione della sinergica operatività di tutti i fattori rilevanti”.
Si tratta di un metodo di valutazione del tutto corretto il quale, tuttavia, viene ignorato dal ricorrente, che concentra le proprie censure su alcuni specifici aspetti, quali la “lettura” dei contenuti di una conversazione intercettata che, a suo dire, sarebbero stati interpretati in maniera fuorviante ed in chiave esclusivamente accusatoria.
Va rilevato, a tale proposito, in linea generale, che l'interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, è questione di fatto rimessa all'apprezzamento del giudice di merito e si sottrae al giudizio di legittimità se la valutazione risulta logica in rapporto alle massime di esperienza utilizzate (Sez. U, n. 22471 del 26/2/2015, Sebbar, Rv. 263715. Conf. Sez. 3, n. 35593 del 17/5/2016, Folino, Rv. 267650. V. anche Sez. 6, n. 46301 del 30/10/2013, P.G., Corso e altri, Rv. 258164; Sez. 2, n. 35181 del 22/5/2013, Vecchio e altri, Rv. 257784; Sez. 6, n. 11794 del 11/2/2013, Melfi, Rv. 254439; Sez. 6, n. 17619 del 8/1/2008, Gionta e altri, Rv. 239724; Sez. 6, n. 15396 del 11/12/2007 (dep. 2008), Sitzia e altri, Rv. 239636; Sez. 4, n. 117 del 28/10/2005, (dep.2006), Caruso, Rv. 232626; Sez. 5, n. 3643 del 14/7/1997, Ingrosso P, Rv. 209620).
4. Nel caso di specie, il giudice dell’appello, lungi dal concentrarsi esclusivamente sullo specifico dato fattuale emergente dalla conversazione intercettata, ha dato una completa indicazione della condotta posta in essere dagli imputati e finalizzata al perseguimento del corrispettivo pattuito per la gestione della discarica, nonostante evidenti criticità riscontrate nella sua gestione, nonché al contemporaneo contenimento delle spese.
Specifica la Corte territoriale che la società, dopo che la discarica era divenuta satura di rifiuti, tanto che l’altezza di quelli abbancati superava, in un area, quella consentita di alcuni metri, aveva continuato a conferire rifiuti in una vasca di nuova realizzazione, per la quale non era stata rilasciata la necessaria autorizzazione e nella piena consapevolezza delle conseguenze della incompleta impermeabilizzazione di una parte dell’impianto, suscettibile di provocare la fuoriuscita del percolato.
I giudici dell’appello valutano, dunque, tale dato fattuale sulla base delle emergenze probatorie, tra le quali figurano i dialoghi che indicano riportati testualmente nelle pagine 6-20 della sentenza di primo grado e dei contenuti dei quali danno conto in sentenza, considerando poi le risultanze delle videoriprese pure effettuate nel corso delle indagini.
In tale contesto, la Corte territoriale ha valutato anche le considerazioni svolte dagli appellanti e dal consulente di parte, osservando come il contributo di quest’ultimo fosse inidoneo a contraddire le risultanze probatorie alla luce delle intercettazioni e dei contenuti delle testimonianze, che indica nel dettaglio.
Le considerazioni del consulente sono state pertanto adeguatamente valutate dai giudici del gravame e ritenute ininfluenti, ai fini della decisione, sulla base di argomentazioni del tutto coerenti e logiche, alla luce di dati fattuali la cui disamina è preclusa in questa sede di legittimità.
5. A conclusioni analoghe deve pervenirsi per ciò che concerne l’elemento soggettivo che, per il reato in esame, è quello del dolo specifico di ingiusto profitto.
Anche in questo caso la Corte di appello ha fornito adeguata motivazione, spiegando accuratamente quali fossero gli intenti perseguiti dagli imputati e in cosa si era concretato il profitto perseguito, osservando, con specifico riferimento alla posizione del CRINÒ, che lo stesso era perfettamente consapevole della situazione in cui versava la discarica e che, ciò nonostante, aveva proseguito nell’attività, dando conto del fatto che la diversa tesi dell’imputato era smentita, tra l’altro, dal contenuto di una conversazione telefonica e dalle dichiarazioni di un teste.
Non vi è stato, in definitiva, alcun travisamento della prova e, attraverso la deduzione di tale vizio, il ricorrente sostanzialmente richiede una interpretazione alternativa delle emergenze probatorie, sebbene il travisamento non costituisca il mezzo per valutare nel merito la prova, bensì lo strumento per saggiare la tenuta della motivazione, nel caso specifico immune da censure, alla luce della sua coerenza logica con i fatti sulla base dei quali si fonda il ragionamento.
6. Manifestamente infondato risulta anche il secondo motivo di ricorso, in quanto i giudici del gravame, nel giustificare il diniego delle circostanze attenuanti generiche, hanno posto l’accento sulla gravità dei fatti addebitati all’imputato, evidenziata anche dalla protrazione della condotta illecita entro un significativo arco temporale.
La valutazione di gravità, è evidente, deve essere peraltro letta alla luce di quanto la motivazione posta a supporto della decisione ha complessivamente evidenziato, in precedenza, nel ricostruire ed analizzare i fatti per cui è processo.
Tale argomentazione deve ritenersi pienamente sufficiente, tenuto conto del fatto che, riguardo all’onere motivazionale, il giudice non deve ritenersi obbligato a prendere in considerazione tutti gli elementi, favorevoli o sfavorevoli, dedotti dalle parti o risultanti dagli atti, ben potendo fare riferimento esclusivamente a quelli ritenuti decisivi o, comunque, rilevanti ai fini del diniego delle attenuanti generiche (v. Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899; Sez. 2, n. 3609 del 18/1/2011, Sermone, Rv. 249163 ; Sez. 6, n. 34364 del 16/6/2010, Giovane, Rv. 248244), con la conseguenza che la motivazione che appaia congrua e non contraddittoria non è suscettibile di sindacato in sede di legittimità, neppure quando difetti uno specifico apprezzamento per ciascuno dei reclamati elementi attenuanti invocati a favore dell’imputato (Sez. 6, n. 42688 del 24/9/2008, Caridi, Rv. 242419; Sez. 6, Sentenza n. 7707 del 4/12/2003 (dep. 2004), Anaclerio, Rv. 229768).
7. Quanto al terzo motivo di ricorso, deve ricordarsi come la giurisprudenza di questa Corte abbia qualificato il delitto in esame quale reato abituale proprio, in quanto caratterizzato dalla sussistenza di una serie di condotte le quali, singolarmente considerate, potrebbero anche non costituire reato, con l'ulteriore conseguenza che la consumazione deve ritenersi esaurita con la cessazione dell'attività organizzata finalizzata al traffico illecito dei rifiuti (Sez. 3, n. 44629 del 22/10/2015, Bettelli e altro, Rv. 265573) e che alla pluralità delle azioni, che è elemento costitutivo del fatto, corrisponde una unica violazione di legge (Sez. 3, n. 46705 del 3/11/2009, Caserta, Rv. 245605).
Orbene, nell’imputazione per il delitto in esame la condotta viene indicata come accertata “dall’agosto 2010 a tutt’oggi”.
Si è già condivisibilmente affermato, con riferimento ai reati permanenti, che la contestazione contenuta nel decreto che dispone il giudizio con la formula "ad oggi" o "tutt'ora" delimita la durata della contestazione e, quindi, la cessazione della permanenza alla data di formulazione dell'accusa. (Sez. 6, n. 7605 del 16/12/2016 (dep. 2017), D C, Rv. 269053. Conf. Sez. 5, n. 4554 del 9/12/2010 (dep. 2011), Cambria Scimone e altri, Rv. 249263; Sez. 6, n. 49525 del 24/9/2003, Tasca, Rv. 229504 ed altre prec. conf.), precisando, altresì, che tale regola processuale non deve essere confusa con la prova della protrazione della condotta criminosa fino a tale limite processuale, spettando all'accusa l'onere di fornire la prova a carico dell'imputato in ordine al protrarsi della condotta criminosa fino all'indicato ultimo limite processuale (Sez. 2, n. 23343 del 1/3/2016, Ariano e altri, Rv. 267080 ed altre, prec. conf.).
Tali principi devono ritenersi utilizzabili anche con riferimento ai reati abituali, quale quello in esame, condividendosi quanto affermato in una precedente pronuncia in tema di maltrattamenti in famiglia (art. 572 cod. pen.) richiamando la dottrina ed osservando come ogni rato abituale sia “reato di durata”, che mutua la disciplina della prescrizione da quella prevista per i reati permanenti, sicché il decorso del termine di prescrizione avviene dal giorno dell'ultima condotta tenuta, che chiude il periodo consumativo iniziatosi con la condotta che, insieme alle precedenti, forma la serie minima di rilevanza (così, in motivazione, Sez. 6, n. 39228 del 23/9/2011, S., Rv. 251050).
Nel caso di specie il ricorrente non formula alcuna osservazione sul punto, limitandosi ad affermare che il reato sarebbe prescritto perché si tratterebbe di fatti asseritamente verificatisi nel 2008, come indicato a pag. 6 della sentenza impugnata.
Tale evenienza è smentita dalla formulazione stessa dell’imputazione e non si rinviene, nella sentenza impugnata, nella pagina indicata, quanto asserito in ricorso, mentre dal tenore della motivazione si parla di condotte ancora perduranti nel giugno 2011.
Va altresì considerato che il delitto contestato rientra tra quelli indicati nell’art. 51, comma 3-bis cod. proc. pen., cui si applica l’eccezione di cui all’art. 160, comma 3 cod. proc. pen.
Considerati anche i periodi di sospensione, la censura deve ritenersi infondata. In ogni caso, va considerato che l'inammissibilità del ricorso, per manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e, pertanto, preclude la possibilità di dichiarare comunque la prescrizione intervenuta nelle more del procedimento di legittimità (Sez. 2, n. 28848 del 8/5/2013, Ciaffoni, Rv. 256463, Sez. 4, n. 18641 del 20/1/2004, Tricomi, Rv. 228349; Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, D. L, Rv. 217266).
8. Per ciò che concerne, infine, il ricorso di Giorgio STIRITI, va ribadito, con riferimento al primo motivo di ricorso, quanto in precedenza osservato circa l’adeguatezza, completezza, logicità e coerenza della motivazione della sentenza impugnata ed alla inammissibilità di questioni concernenti l’interpretazione dei contenuti delle conversazioni intercettate e la valutazione alternativa delle emergenze processuali.
Le censure, peraltro articolate anche in fatto, non superano, conseguentemente, la soglia della ammissibilità.
9. Quanto al secondo motivo, va osservato che, per quanto è dato rilevare dalla sentenza impugnata e dal ricorso, l’imputato ed il suo difensore non hanno prospettato al giudice del merito la questione della particolare tenuità del fatto e, secondo quanto già affermato da questa Corte, quando la sentenza di merito è successiva alla vigenza della nuova causa di non punibilità, la questione dell'applicabilità dell'art. 131-bis cod. pen. non può essere posta per la prima volta nel giudizio di legittimità come motivo di violazione di legge (cfr. Sez. 3, n. 23174 del 21/03/2018, Sarr, Rv. 272789; Sez. 5, n. 57491 del 23/11/2017, Moio, Rv. 271877; Sez. 3, n. 19207 del 16/3/2017, Celentano, Rv. 269913; Sez. 6, n. 20270 del 27/4/2016, Gravina, Rv. 26667801; Sez. 7, n. 43838 del 27/5/2016, Savini, Rv. 26828101), né può affermarsi, in assenza di specifica richiesta, che nella fattispecie il giudice avesse l’obbligo di pronunciarsi comunque.
10. Per ciò che concerne il motivo presentato ad integrazione del primo ricorso, va rilevato che lo stesso risulta inammissibile, in quanto relativo a questione non prospettata con i motivi di appello.
La difesa non ha, invero, in alcun modo dimostrato di averla sollevata davanti alla Corte territoriale ed, inoltre, dall’esame dell’atto di impugnazione, recante la data del 4/11/2015 e depositato il 9/11/2015 non emerge alcun riferimento alla disposizione che ora si assume violata né, tanto meno, ciò si rinviene nel verbale di udienza.
Invero, l'articolo 606, comma 3 cod. proc. pen. dispone, come è noto, che il ricorso per cassazione proposto per violazioni di legge non dedotte con i motivi di appello è inammissibile (Sez. 5, n. 28514 del 23/4/2013, Grazioli Gauthier, Rv. 255577)
Si tratta, come rilevato dalla giurisprudenza di questa Corte, di una disciplina ragionevole di regolazione del diritto di ricorrere per cassazione per violazione di legge contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale, limitato, per ragioni di funzionalità complessiva del sistema, soltanto per il caso in cui la parte abbia inteso adire tutti i tre gradi di giudizio (Sez. 2, n. 40240 del 22/11/2006, Roccetti, Rv. 235504).
Anche nei confronti dello STIRITI valgono le medesime considerazioni in precedenza formulate circa la dedotta prescrizione del reato e l’impossibilità di dichiararla in conseguenza della inammissibilità del ricorso
11. Tutti i ricorsi, conseguentemente, devono essere dichiarati inammissibili e alla declaratoria di inammissibilità consegue l’onere delle spese del procedimento, nonché quello del versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma, equitativamente fissata, di euro 2.000,00 per ciascun ricorrente.
I ricorrenti ZOCCOLI e CRINÒ vanno altresì condannati alla rifusione in solido delle spese in favore della costituita parte civile, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila ciascuno in favore della Cassa delle ammende, nonché ZOCCOLI e CRINÒ alla rifusione in solido delle spese in favore della costituita parte civile che si liquidano in complessivi euro 2.500,00, oltre spese generali nella misura del 15%, C.P.A. ed I.V.A.
Così deciso in data 28/2/2019