Sez. 3, Sentenza n. 20512 del 10/05/2005 Ud. (dep. 01/06/2005 ) Rv. 231654
Presidente: Papadia U. Estensore: De Maio G. Relatore: De Maio G. Imputato:
Bonarrigo. P.M. Geraci V. (Conf.)
(Rigetta, App. Reggio Calabria, 5 Luglio 2004)
ACQUE - Tutela dall'inquinamento - Reati di cui al D.Lgs. n. 152 del 1999 -
Responsabilità degli amministratori o gestori - Configurabilità - Fondamento -
Obbligo di adottare le misure idonee ad evitare il danno da inquinamento.
In tema di tutela delle acque dall'inquinamento, rispondono dei reati previsti
dal D.Lgs. 11 maggio 1999 n. 152, e successive modificazioni, tutti i soggetti
che di fatto esercitano funzioni di amministrazione e di gestione
dell'insediamento dal quale originano i reflui, senza che tale responsabilità
assuma carattere oggettivo ed automatico, ma a titolo di colpa, intesa in senso
ampio, ovvero conseguente non soltanto a comportamenti commissivi, ma anche per
inosservanza del dovere di adottare tutte le misure tecniche ed organizzative di
prevenzione del danno da inquinamento. (massima Fonte CED
cassazione)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. PAPADIA Umberto - Presidente - del 10/05/2005
Dott. POSTIGLIONE Amedeo - Consigliere - SENTENZA
Dott. DE MAIO Guido - Consigliere - N. 982
Dott. VANGELISTA Vittorio - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. FIALE Aldo - Consigliere - N. 32308/2004
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA/ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
1) BONARRIGO GIUSEPPE ANTONIO N. IL 22/07/1937;
avverso SENTENZA del 05/07/2004 CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA;
visti gli atti, la sentenza ed il procedimento;
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dr. DE MAIO GUIDO;
udito il PM nella persona del Dott. GERACI Vincenzo che ha concluso:
rigetto del ricorso.
MOTIVAZIONE
Con sentenza in data 5.7.2004 del Giudice monocratico del Tribunale di Palmi,
Bonarrigo Giuseppe Antonio fu condannato, con le attenuanti generiche e la
sospensione condizionale, alla pena di euro cinquemila di ammenda, perché
riconosciuto colpevole del reato di cui agli artt. 45-59 l. 152/99 ("perché,
nella qualità di legale rappresentante della Itals srl, apriva e comunque
effettuava nuovi scarichi di acque reflue industriali provenienti dalla
lavorazione delle arance, senza la preventiva autorizzazione, riversando le
stesse, senza alcun trattamento e senza farle passare dall'impianto di
depurazione, nel fiume Vacale - Acque reflue industriali non conformi ai
requisiti previsti dalla tabella 3 allegato 5 del predetto D.L.vo", acc. in c.da
Acquabianca di Rosario il 6.2.2002). Avverso tale sentenza ha proposto appello
(poi conv. ex artt. 593 co. 3 e 568 co. 5 cpp in ric. per cassaz. con sentenza
5.7.2004 della C.A. di Reggio Calabria) il difensore dell'imputato, il quale
deduce con il primo motivo che "il reato contestato non può ritenersi esistente
in quanto, come accertato nel corso del giudizio, si è trattato di un fatto del
tutto episodico e conseguenza diretta della rottura della pompa di aspirazione
delle acque"; il ricorrente rileva che il reato "si riferisce esclusivamente a
comportamenti che inducono a ritenere l'esistenza di fatti inquinanti duraturi e
non del tutto episodici". La censura è infondata avendo il primo Giudice
esattamente ravvisato il reato contestato nel fatto accertato della "esistenza
di un condotto in funzione al momento dell'ispezione che permetteva di
by-passare il depuratore, conducendo le acque della lavorazione direttamente nel
torrente". Infatti, anche alla stregua della decisione di questa Corte citata
dal ricorrente (la n. 2774 del 3.9.1999), penalmente irrilevante è solo la
immissione occasionale, che è cosa ben diversa dallo scarico di acque reflue
industriali. Questo ultimo è ravvisabile tutte le volte che venga attuato, come
nella specie, tramite una condotta e cioè a mezzo di qualsiasi sistema stabile -
anche se non proprio ripetitivo e non necessariamente costituito da una
tubazione - il rilascio delle acque predette; la prima, per contro, deve
rivestire - per entità, durata e modalità sue proprie - i caratteri della
eccezionalità e della precarietà correlati in modo diretto e specifico al dato
di fatto occasionante. In altri termini, la stabilità (nel senso, per l'appunto,
della non precarietà) del mezzo di rilascio e l'apprezzabile durata dello stesso
determinano il travalicamento dalla mera occasionalità al vero e proprio scarico
penalmente rilevante.
Con il terzo motivo, il cui esame costituisce un antecedente logico e giuridico
del secondo, viene dedotto che il Bonarrigo non è il titolare dell'azienda, come
contestato, ma solo "il Presidente del Consiglio di Amministrazione della ITALS
srl, che non ha... un rapporto diretto con le strutture meccaniche di
trasformazione", atteso che egli, in detta qualità, "deve interessarsi della
amministrazione dell'azienda e non certo del funzionamento o meno delle
macchine". Da ciò deriva (quarto motivo) che "manca nei fatti di causa e nel
comportamento assunto dal Bonarrigo qualsiasi elemento che possa far ritenere
che lo stesso abbia in qualche modo, per colpa, consentito lo scarico nel fiume
Vacale". Anche tali deduzioni sono infondate. Infatti, il primo Giudice ha
riferito l'attività illecita all'attuale ricorrente, al di là della qualifica da
lui formalmente rivestita, rilevando ineccepibilmente che "gli atti
autorizzativi intestati all'imputato e la sua presenza sul posto escludono ogni
dubbio". Il convincimento in tal modo espresso costituisce esatta
interpretazione dell'art. 59 l. 152/1999 sulla tutela delle acque
dall'inquinamento, il quale sancisce condotte criminose a carico di "chiunque"
o, comunque, di "coloro che effettuano scarichi" non conformi alla legge; ciò
significa che rispondono dei reati previsti dalla legge in esame tutti i
soggetti che, di fatto, esercitano funzioni di amministrazione e di gestione.
D'altra parte, è pacifico che la responsabilità penale - discendente, in questa
materia, dalla legge citata (come da quelle che la hanno preceduta) a carico dei
soggetti che abbiano poteri di rappresentanza, gestione e spesa dell'impresa
inquinante - non ha carattere oggettivo ed automatico, ma discende da colpa,
intesa in senso ampio, ossia negligenza, imprudenza o imperizia, conseguente non
solo a comportamenti commissivi, ma anche a inosservanza del dovere positivo di
adozione di tutte le misure tecniche ed organizzative di prevenzione del danno
ambientale. Estremi questi che sono stati esattamente riferiti all'attuale
ricorrente non solo, come si diceva, per la qualifica dallo stesso rivestita, ma
anche, e soprattutto, in relazione ai poteri e alla specifica attività a lui
facenti capo.
Con il secondo motivo si invoca uno stato di necessità o forza maggiore, "che ha
costretto, non il Bonarrigo, ma i responsabili presenti nell'azienda, a
proseguire l'attività per evitare il blocco del ciclo aziendale". Anche tale
motivo non è meritevole di accoglimento: già i rilievi esposti in relazione al
primo motivo rendono evidente come, in ragione della natura e delle
caratteristiche dello scarico incriminato, non sia possibile parlare di stato di
necessità o di forza maggiore. Peraltro, è del tutto pacifico che il fatto in sè
di un guasto nel funzionamento dell'impianto di depurazione - senza che lo
stesso sia riferibile in termini di certezza a una causa per sua natura
imprevedibile o inevitabile - lungi dall'escludere, comprova l'insufficienza
delle misure predisposte e, dunque, a dimostrare la responsabilità del soggetto,
quanto meno a titolo di colpa.
Inammissibile in questa sede, perché di mero fatto, e comunque solo assertiva, è
poi la deduzione che la condotta andrebbe riferita "non al Bonarrigo, ma ai
responsabili presenti nell'azienda". È ben noto che in questa materia, ai fini
dell'esonero da responsabilità dell'imprenditore o del titolare del potere di
gestione dell'impresa, è necessaria l'esistenza da un lato di una delega formale
e dall'altro di effettiva autonomia gestionale ed economica in capo al delegato:
di tutto ciò manca negli atti qualsiasi riferimento. Il ricorso va, pertanto,
rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma, il 10 maggio 2005.
Depositato in Cancelleria il 1 giugno 2005