Cass. Sez. III n. 2340 del 17 gennaio 2013 (ud. 7 nov. 2012)
Pres. Mannino Est. Graziosi Ric. Sgroi
Acque. Reflui provenienti da studio odontoiatrico

Le acque reflue degli studi odontoiatrico privati ritentano nel novero delle acque reflue industriali in  quanto provenienti da attività di prestazione di servizi che ne rendono impossibile l'equiparazione con le acque reflue domestiche anche in ragione dell'utilizzazione, nelle attività terapeutiche, di sostanze, quali anestetici e farmaci, estranee alla vita domestica

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. MANNINO Saverio F. - Presidente - del 07/11/2012
Dott. GENTILE Mario - Consigliere - SENTENZA
Dott. GRILLO Renato - Consigliere - N. 2618
Dott. ROSI Elisabetta - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. GRAZIOSI Chiara - rel. Consigliere - N. 6428/2012
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) SGROI UMBERTO N. IL 21/01/1946;
avverso la sentenza n. 3269/2010 TRIBUNALE di CATANIA, del 11/11/2011;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 07/11/2012 la relazione fatta dal Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. IZZO Gioacchino, che ha concluso per l'annullamento con rinvio;
udito il difensore avv. Marchese Simone - Catania.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza dell'11 novembre 2011 il Tribunale di Catania riteneva Sgroi Umberto responsabile del reato di cui al D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 137 - perché senza le autorizzazioni necessarie connesse all'esercizio della professione sanitaria scaricava i reflui provenienti dall'attività medico-dentistica svolta sulla pubblica via immettendoli tramite una condotta in PVC sottotraccia all'interno della raccolta delle acque piovane - e lo condannava alla pena di Euro 3000 di ammenda.
La sentenza rilevava come il decreto assessoriale n. 34487 del 23 aprile 2001 aveva previsto per gli studi odontoiatrici privati lo smaltimento dei rifiuti tossici e nocivi tramite il conferimento a ditte specializzate, mentre era risultato dalla relazione di tale maresciallo Tomarchio che tutti i rifiuti liquidi dell'attività di cui era causa confluivano sul marciapiede della pubblica via tramite un tubo in PVC e da questo, mediante una sottotraccia con copertura cementizia, raggiungevano la grata delle acque piovane, senza distinzione tra semplici acque reflue ed acque contenenti rifiuti tossici e nocivi; l'imputato nel corso del suo esame affermava che una ditta specializzata si occupava della manutenzione afferente a tale smaltimento, ma nulla provava o chiedeva di provare al riguardo;
infine non risultava neppure che l'imputato avesse all'epoca dei fatti proposto domanda di autorizzazione per scarichi di acque reflue domestiche non recapitanti in pubblica fognatura al sindaco del comune di Catania ai sensi del D.Lgs. n. 152 del 2006.
2. Avverso la sentenza ha presentato ricorso la difesa dell'imputato con due motivi.
Il primo denuncia vizio motivazionale di illogicità. Il decreto assessoriale n. 34487 del 23 aprile 2001, all'art. 6, u.c., prevede per gli studi odontoiatrici privati lo smaltimento delle acque reflue mediante scarichi confluenti nella rete fognaria comunale, senza necessità di specifici pozzetti di ispezione giacché tali studi non sono insediamenti produttivi, e comunque i rifiuti tossici e nocivi, raccolti dagli stessi, vengono smaltiti mediante conferimento a ditte specializzate ed autorizzate, secondo la normativa specifica. L'imputato nel suo esame ha dichiarato che una ditta specializzata si occupava dello smaltimento ma secondo il giudice avrebbe dovuto provarlo, così invertendosi l'onere della prova sul rilevamento tecnico-chimico del tipo di acque smaltite, e fondandosi poi la sentenza solo su una deduzione personale del maresciallo Tomarchio che non è un chimico.
Il secondo motivo denuncia violazione del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 133 che sanziona amministrativamente la stessa condotta contenuta nell'art. 137, riferendosi però alle acque reflue domestiche e non industriali. Il giudice ha ritenuto inesistente la distinzione tra acque reflue domestiche e acque reflue industriali che potrebbero contenere rifiuti tossici e nocivi. Cass.,sez. 3, 5 febbraio 2009 n. 12865 insegna che nella nozione di acque reflue industriali di cui all'art. 74 dello stesso decreto rientrano tutti i tipi di acque derivanti dallo svolgimento di attività produttive; e il decreto assessoriale 34487/2001 definisce gli studi privati odontoiatrici non insediamenti produttivi. Erronea quindi è stata l'applicazione della normativa in questione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è infondato.
I due motivi possono essere accorpati, giacché si fondano entrambi sul asserto che le acque reflue degli studi odontoiatrici privati non siano qualificabili come acque reflue industriali, poiché il decreto assessoriale n. 34487 del 2001 non qualifica gli studi odontoiatrici privati insediamenti produttivi. Viene invocata la giurisprudenza di questa Suprema Corte, per cui le acque reflue industriali ex D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 74 derivano dallo svolgimento di attività produttive. In realtà, l'arresto richiamato (sez. 3, 5 febbraio 2009 n. 12865) afferma che ai fini della tutela penale dall'inquinamento idrico nella nozione di acque reflue industriali ex art. 74, comma 1, lett. h, del suddetto decreto (come modificato dal D.Lgs. 16 gennaio 2008, n. 4) rientrano tutti i tipi di acque derivanti dallo svolgimento di attività produttive, in quanto detti reflui non attengano prevalentemente al metabolismo umano ed alle attività domestiche di cui alla nozione di acque reflue domestiche, come definite dall'art. 74, comma 1, lett. g). Per determinare, quindi, le acque che derivano dalle attività produttive occorre procedere a contrario, vale a dire escludere le acque ricollegabili al metabolismo umano e provenienti dalla realtà domestica (cfr. sez. 3, 27 novembre 2003-20 gennaio 2004 n. 978; conformi sez. 3, 1 luglio 2004 n. 35870 e sez. 3, 24 ottobre 2002 n. 42932). Attività produttive, d'altronde, che non necessitano per essere tali di un vero e proprio stabilimento, ma il cui insediamento può essere effettuato anche in un edificio che non abbia complessivamente destinazione industriale (cfr., a proposito di un'attività produttiva espletata in un locale situato in un condominio, i cui reflui erano scaricati nella pubblica fognatura mediante la tubazione condominiale, sez. 3, 7 luglio 2011 n. 36982, che ancora evidenzia, come discrimen, il fatto che le acque abbiano "caratteristiche qualitative diverse da quelle delle acque reflue domestiche"). Il che significa che non dalla natura della struttura in cui sono prodotte (insediamento industriale o meno) bensì dalla natura delle acque stesse scaturisce l'applicabilità della tutela penale dall'inquinamento idrico. Che gli studi odontoiatrici producano acque reflue provenienti da attività domestiche è insostenibile alla luce del notorio: i reflui prodotti provengono da una attività che effettua servizi terapeutici, e quindi non qualificabili domestici, e a ben guardare che è anche fornitrice di beni ai clienti (si pensi alle protesi dentarie). In applicazione, quindi, dell'art. 74, comma 1, nel combinato disposto delle lett. g) e h) - che, come sopra si è già osservato, si pongono in rapporto di reciproca esclusione nel loro dettato definitorio -, deve ritenersi che il giudice di merito abbia correttamente applicato la normativa di settore, trattandosi di acque reflue per cui è configurabile la contravvenzione ex D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 137, comma 1, avendo l'imputato effettuato scarichi senza autorizzazione di tali reflui nella raccolta delle acque piovane. D'altronde, si osserva meramente ad abundantiam, le acque in questione, per l'utilizzazione nelle attività terapeutiche di sostanze estranee alla vita domestica (quali, per esempio, gli anestetici e in generale i farmaci), non potrebbero neppure qualificarsi come dotate di caratteristiche qualitative equivalenti a quelle domestiche (cfr. D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 101, comma 7, lett. e) ai fini di una disciplina regionale assimilativa. Quanto poi alla pretesa inversione dell'onere della prova, la doglianza è priva di consistenza, dal momento che l'accusa ha adempiuto al suo onere della prova tramite la relazione Tomarchio (la cui adeguatezza è questione fattuale, in questa sede inammissibile, non emergendo peraltro soluzioni di continuità logica dalla motivazione), onde spettava all'imputato contrastarla dimostrando la propria allegazione difensiva quanto al conferimento dell'incarico di manutenzione afferente allo smaltimento delle acque reflue a ditta specializzata, non potendo certo allo scopo esser sufficiente la mera affermazione in sede di esame.
In conclusione, il ricorso va rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 7 novembre 2012.
Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2013