Consiglio di Stato, Sez. IV  n. 5620 del 5 novembre 2012
Acque.L’art. 96 del R.D. n. 523/1904 si applica anche alle sponde dei laghi.

L’art. 96 del regio decreto n. 523 del 1904 reca l’elenco dei lavori ed atti vietati in modo assoluto sulle acque pubbliche, loro alvei, sponde e difese. Nello specifico, la lettera f) vieta: le piantagioni di alberi e siepi, le fabbriche, gli scavi e lo smovimento del terreno a distanza dal piede degli argini e loro accessori da fiumi, torrenti e canali navigabili, minore di quella stabilita dalle discipline vigenti nelle diverse località, ed in mancanza di tali discipline, a distanza minore di metri quattro per le piantagioni e smovimento del terreno e di metri dieci per le fabbriche e per gli scavi. Il divieto di edificazione ha carattere assoluto e riguarda in genere le acque pubbliche, dunque anche le sponde dei laghi. Infatti, la finalità della disposizioni è quella di consentire il libero deflusso delle acque, dunque la medesima esigenza si pone con riguardo alle acque dei laghi, anch’esse soggette a innalzamenti di livello. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

 

 

N. 05620/2012REG.PROV.COLL.

N. 04415/2012 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4415 del 2012, proposto da:

Danilo Mazzoldi, rappresentato e difeso dagli avv. Paolo Stella Richter, Stefano Baciga, con domicilio eletto presso Paolo Stella Richter in Roma, viale Mazzini, 11;

contro

Annamaria Zagoli, Anna Frasson, Maria Giulia Frasson, Martina Treu, Tommaso Treu, Barbara Lilla Boschetti, Gaia Boschetti, rappresentati e difesi dagli avv. Fabio Lorenzoni, Aldo Travi, con domicilio eletto presso Fabio Lorenzoni in Roma, via del Viminale, 43;

nei confronti di

Comune di Malcesine, rappresentato e difeso dagli avv. Giovanni Sala, Luigi Manzi, con domicilio eletto presso Luigi Manzi in Roma, via Confalonieri, 5;

per la riforma

della sentenza breve del T.A.R. VENETO - VENEZIA: SEZIONE II n. 00642/2012, resa tra le parti, concernente permesso di costruire rilasciato in precedenza.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Annamaria Zagoli, Anna Frasson, Maria Giulia Frasson, Martina Treu, Tommaso Treu, Barbara Lilla Boschetti e Gaia Boschetti, nonché del Comune di Malcesine;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 ottobre 2012 il Cons. Giuseppe Castiglia e uditi per le parti gli avvocati Aldo Travi, Luca Mazzeo (su delega di Luigi Manzi) e Pasquale Di Rienzo (su delega di Paolo Stella Richter);

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

I signori Annamaria Zagoli e altri hanno impugnato il permesso di costruire rilasciato dal Comune di Malcesine per l’ampliamento volumetrico dell’hotel Venezia del signor Danilo Mazzoldi, confinante con immobili di loro proprietà.

Con sentenza in forma semplificata 12 aprile 2012, n, 642, il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, Sezione II, ha accolto il ricorso, ritenendo il permesso rilasciato in violazione dell’art. 2 della legge della Regione Veneto 8 luglio 2009, n. 14, come pure in violazione delle norme sulle distanze minime dal ciglio stradale, dalla sponda del lago e tra le costruzioni.

Con separati ricorsi, il signor Mazzoldi, con appello principale, e in seguito il Comune, con appello incidentale, hanno impugnato la sentenza, chiedendone anche la sospensione dell’esecutività.

Gli originari ricorrenti si sono costituiti in giudizio per resistere all’appello. Considerano inammissibile l’appello del signor Mazzoldi, perché non sarebbe stato specificamente impugnato un capo della sentenza. Contrastano poi gli appelli nel merito e ripropongono un’ulteriore censura, già formulata innanzi al giudice di primo grado a da questi non presa in considerazione.

I motivi degli appelli, con le relative difese degli appellati, possono essere riassunti nei termini che seguono.

1. La sentenza ha ritenuto illegittimo il permesso di costruire perché – nelle tavole che ne integrano in contenuto – commisurerebbe l’ampliamento al 20 per cento del volume, laddove – ai sensi dell’art. 2, comma 1, della legge regionale n. 14 del 2009 – questo andrebbe riferito al parametro della superficie coperta dell’immobile, trattandosi di edificio destinato a uso diverso da quello residenziale.

1.1 L’appellante Mazzoldi rileva che il progetto di ampliamento approvato dal Comune osserverebbe in realtà entrambi i parametri. In particolare, la tavola di progetto n. 4 indicherebbe per ciascun piano sia la superficie di ampliamento, sia il nuovo volume corrispondente. D’altronde, dovendosi applicare l’ampliamento della superficie coperta nella misura del 20 per cento, l’ampliamento stesso dovrebbe intendersi assentito con riferimento all’intera altezza, cioè a tutti i piani dell’edificio. In definitiva, la sostanza dovrebbe prevalere sulla forma.

1.2 Anche il Comune ritiene che la previsione legislativa sia stata nella sostanza rispettata, sebbene la formulazione letterale del provvedimento impugnato possa apparire imprecisa. In fatto - come apparirebbe dal complesso della documentazione progettuale e in particolare dalla tavola 3.5 - sarebbe stato osservato sia il limite posto dalla legge per la superficie, sia quello stabilito per il volume dal Comune con la deliberazione n. 67 del 2011, ritenuta legittima dal Tribunale territoriale in quanto interpretata nel senso di introdurre un ulteriore limite massimo di edificabilità, ai sensi dell’art. 9, comma 5, della legge regionale citata.

1.3 Gli appellati contestano queste tesi. Aggiungono poi che, per valutare la superficie coperta, occorrerebbe avere riguardo non alla superficie di ciascun piano, ma - ai sensi del decreto ministeriale 2 aprile 1968 e dell’art. 21 delle N.T.A. al P.R.G. di Malcesine – alla proiezione, sul suolo, del filo esterno delle pareti perimetrali. Pertanto, nel caso di specie la superficie corrisponderebbe a quella del primo piano fuori terra, posto che i piani sovrastanti avrebbero un perimetro inferiore.

1.4 A questo rilievo le parti appellanti ribadiscono l’avvenuto rispetto, nei fatti, del criterio del limite della superficie coperta, sia che questa si intenda come superficie di calpestio piano per piano (ciò apparirebbe dalle tavole progettuali) sia che si intenda come proiezione dell’edificio sul suolo, essendosi gli ampliamenti realizzati ai piani superiori, tutti retratti rispetto al piano terreno.

1.5 Replicano gli appellati che la tavola progettuale 5.3 evidenzierebbe un incremento della superficie di un piano sovrastante al piano terra. Ne risulterebbe perciò modificata, inammissibilmente, la superficie utile e non quella coperta.

2. La sentenza ha inoltre ritenuto illegittimo il permesso per violazione della norma concernente la distanza minima dal ciglio stradale, pari a 10 metri, come previsto dal decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1993, n. 147 per le strade vicinali di tipo F nonché dall’allegato alla delibera comunale n. 67 del 2011.

2.1 Il Mazzoldi e il Comune sostengono che la via Roma – rispetto alla quale sarebbe violato il limite di distanza – sarebbe una strada urbana di quartiere di tipo E o una residua strada locale di tipo F, dunque una strada per cui il codice della strada non prevedrebbe alcuna distanza dal confine; la delibera comunale andrebbe intesa come riferita soltanto ad aree esterne al centro abitato; mancherebbe poi la prova dell’effettivo avanzamento della costruzione alberghiera entro la fascia di 10 metri.

2.2 Gli appellati rilevano che nessuna limitazione del genere conterrebbe la delibera n. 67; quanto al richiamo al d.P.R. n. 147 del 1993, si tratterebbe di un argomento ultroneo. Considerano inoltre irrilevante la circostanza che – sul lato est del fabbricato, prospiciente la strada in questione – l’ampliamento (che si coglierebbe dalla tavola di progetto n. 4.6) abbia riguardato solo i piani superiori al piano terreno.

3. Il provvedimento impugnato sarebbe inoltre illegittimo per violazione dell’art. 96, lettera f), del regio decreto 25 luglio 1904, n. 523 (letto in combinato disposto con l’art. 822 c.c.), nella parte in cui pone una soglia di inedificabilità assoluta di dieci metri dalla sponda del lago.

3.1 Sostengono il Mazzoldi e il Comune che invece l’art. 96, letto alla luce complessiva dell’insieme delle sue disposizioni e nel raffronto con i successivi artt. 97 e 99, farebbe esclusivo oggetto della propria disciplina i corsi d’acqua e non sarebbe perciò applicabile ai laghi, come peraltro la prassi dimostrerebbe.

3.2 Gli appellati contestano questa ricostruzione della normativa.

3.3. Il Mazzoldi replica che in ogni caso, non essendo stata modificata la pianta del piano terreno, la distanza dal lago di questo – evidentemente rilevante ai fini della tutela idraulica – non sarebbe diminuita.

4. Il permesso sarebbe infine illegittimo per violazione della distanza minima tra le costruzioni, pari a dieci metri, prevista sia dalla ricordata delibera n. 67 del 2011 che dall’art. 38 delle N.T.A. – variante turistico alberghiera.

4.1 Con riguardo a ciò, il Mazzoldi fa riferimento alle eccezioni già formulate nella memoria di costituzione in primo grado.

4.2 Il Comune, dal canto suo, sostiene che il permesso di costruire, rilasciato a norma dell’art. 2 della legge regionale n. 14 del 2009, derogherebbe ogni previsione degli strumenti urbanistici locali, salvo diversa prescrizione comunale. Si sarebbe dovuta perciò applicare soltanto la normativa statale, nel caso rispettata.

4.3 Gli appellati – come detto – eccepiscono in primo luogo l’inammissibilità dell’appello del Mazzoldi (eccezione che il Mazzoldi, dal canto suo, contesta). Nel merito replicano che la delibera n. 67 del 2011 ripeteva il limite della distanza tra fabbricati diversi: così facendo il Comune si sarebbe avvalso della facoltà – prevista dall’art. 9, comma 5, della legge regionale n. 14 del 2009 – di fissare ulteriori limiti e modalità per l’applicazione della normativa regionale. Si tratterebbe in ogni caso di un limite generale, posto dalla normativa statale e neppure suscettibile di essere derogato dalla Regione.

4.4 In punto di fatto, gli appellanti negano e gli appellati affermano il mancato rispetto delle distanze.

4.5 Il Mazzoldi aggiunge che, con riguardo ai confini meridionali della proprietà, esisterebbe un alto muro di confine, che come tale costituirebbe costruzione ai sensi dell’art. 878 c.c. e renderebbe inapplicabile la disposizione comunale in materia di distanze.

5. Le parti appellate ripropongono, infine, una censura già formulata in primo grado e non oggetto di pronuncia in quella sede.

Ai sensi della delibera n. 67 del 2011, l’ampliamento non avrebbe potuto essere realizzato oltre il terzo piano. Nel caso di specie, invece, il permesso avrebbe riguardato anche il quarto piano fuori terra.

5.1 A questo proposito gli appellanti sostengono che, secondo il linguaggio comune, i piani degli edifici si numererebbero a partire dal piano sopra il piano terra. Intesa in tal modo la prescrizione, l’intervento – interessante il piano terra e i tre piani sopra terra – sarebbe legittimo.

Alla camera di consiglio del 10 luglio 2012, la causa è stata rinviata al merito.

Alla successiva udienza pubblica del 23 ottobre 2012, l’appello è stato chiamato e trattenuto in decisione.

DIRITTO

E’ possibile prescindere dall’esame dell’eccezione di inammissibilità dell’appello del signor Mazzoldi, formulata dagli appellati. Ciò sia perché l’impugnazione è comunque sorretta dal tempestivo appello incidentale del Comune, che sviluppa i medesimi motivi, sia perché gli appelli sono comunque infondati nel merito.

A questo proposito il Collegio, per comodità espositiva ed economia di atti, ritiene di partire dall’esame del terzo motivo, che considera conclusivo.

L’art. 96 del regio decreto n. 523 del 1904 reca l’elenco dei “lavori ed atti vietati in modo assoluto sulle acque pubbliche, loro alvei, sponde e difese”.

Nello specifico, la lettera f) vieta “le piantagioni di alberi e siepi, le fabbriche, gli scavi e lo smovimento del terreno a distanza dal piede degli argini e loro accessori come sopra, minore di quella stabilita dalle discipline vigenti nelle diverse località, ed in mancanza di tali discipline, a distanza minore di metri quattro per le piantagioni e smovimento del terreno e di metri dieci per le fabbriche e per gli scavi”.

In punto di fatto, non è contestato che i lavori di ampliamento dell’hotel Venezia si siano svolti a distanza inferiore a dieci metri dalla sponda del lago. Gli appellanti sostengono però l’inapplicabilità alla fattispecie della disposizione in questione.

La tesi, però, non è fondata.

Il divieto di edificazione in oggetto ha carattere assoluto e riguarda in genere le acque pubbliche; tale è senz’altro il lago di Garda, sul quale l’albergo è costruito.

Nessuno dei rilievi opposti per affermare l’inapplicabilità del divieto alle sponde dei laghi resiste alla critica. Ciò si deve dire, in particolare, per gli argomenti che gli appellanti vorrebbero trarre dall’analisi delle norme contenute nel regio decreto citato.

Osservano gli appellanti che dal complesso delle disposizioni recate dall’art. 96 emergerebbe l’intento del legislatore dell’epoca di limitare la disciplina ai soli corsi d’acqua. Questa sembra piuttosto una petizione di principio, per di più in contrasto con l’alinea dell’articolo, che, nel fare riferimento alle acque pubbliche in genere, non pone alcuna restrizione del genere diversamente da quanto invece dispone l’art. 98, la lettera d) del quale testualmente è circoscritta a “le nuove costruzioni nell'alveo dei fiumi, torrenti, rivi, scolatoi pubblici o canali demaniali”.

E’ poi irrilevante la circostanza che solo il successivo art. 97 menzioni espressamente i laghi. La disposizione della lettera n), alla quale ci si richiama, reca infatti una previsione particolare riferita al regime delle spiagge dei laghi e nulla dice circa la disciplina delle sponde, per la quale dunque non può non valere la norma generale dell’art. 96.

Il rilievo secondo cui l’inciso della lettera f) dell’art. 96 “dal piede degli argini e loro accessori come sopra” richiamerebbe “i fiumi, torrenti e canali navigabili” previsti dalla lettera e) che precede è del pari fallace, apparendo invece chiaro che esso, rispetto agli argini, si riferisce alle loro “banche o sottobanche”.

Che questa sia la corretta interpretazione delle norme lo dimostra poi una considerazione ulteriore di carattere generale. Se la finalità delle disposizioni in oggetto è quella di consentire il libero deflusso delle acque, è evidente che la medesima esigenza si pone con riguardo alle acque dei laghi, anch’esse soggette a innalzamenti di livello. Mentre infine non può rilevare che la violazione della regola sulla distanza non riguarderebbe il piano terra, ma un piano superiore, perché, così argomentando, si vuole introdurre una deroga, che la legge non conosce, al divieto di edificare, assoluto e inderogabile.

A una diversa conclusione, infine, non è possibile giungere prendendo in considerazione l’esistenza di altri manufatti a ridosso della riva del lago di Garda. Si tratta di circostanza che, genericamente affermata più che effettivamente dimostrata, andrebbe comunque esaminata con riguardo ai singoli casi concreti. Dato il divieto di edificabilità, peraltro, l’esistenza di eventuali abusi edilizi non potrebbe di per sé legittimare la pretesa a identico trattamento (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 14 aprile 2010, n. 2105; Id., Sez. IV, 24 febbraio 2011, n. 1235).

L’accertata violazione della norma sulla distanza della costruzione dalle acque pubbliche è di per sé ragione sufficiente per giudicare illegittimo il permesso di costruire rilasciato dal Comune di Malcesine.

Non è dunque neppure necessario esaminare gli altri motivi degli appelli, bastando l’argomento trattato ad assicurare il mantenimento della sentenza.

Considerata la complessità della materia, sussistono peraltro giustificate ragioni per compensare tra le parti le spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, respinge l’appello principale e l’appello incidentale; per l'effetto, conferma la sentenza impugnata.

Compensa le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 ottobre 2012 con l'intervento dei magistrati:

Paolo Numerico, Presidente

Sergio De Felice, Consigliere

Raffaele Greco, Consigliere

Diego Sabatino, Consigliere

Giuseppe Castiglia, Consigliere, Estensore

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 05/11/2012

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)