Consiglio di Stato, Sez. V, n. 873, del 13 febbraio 2013
Acque.Rinnovo concessione mineraria di acque termali.

La mancanza di una procedura competitiva circa l’assegnazione di un bene pubblico suscettibile di sfruttamento economico, nel caso specifico concessione mineraria di acque termali, introduce una barriera all’ingresso al mercato, determinando una lesione alla parità di trattamento, al principio di non discriminazione ed alla trasparenza tra gli operatori economici, in violazione dei principi comunitari di concorrenza e di libertà di stabilimento. La procrastinazione meccanica del termine originario di durata di un contratto sottrarrebbe in modo intollerabilmente lungo un bene economicamente contendibile alle dinamiche fisiologiche del mercato, non consente di procedere al rinnovo o alla proroga automatica dei contratti in corso, ma solo alla loro proroga espressa per il tempo strettamente necessario alla stipula dei nuovi contratti a seguito di espletamento di gare ad evidenza pubblica. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

 

N. 00873/2013REG.PROV.COLL.

N. 04542/2012 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4542 del 2012, proposto dalla Terme Santa Cesarea S.p.A., in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dall'avv. Ernesto Sticchi Damiani, con domicilio eletto presso il medesimo in Roma, via Bocca di Leone 78;

contro

Comune di Santa Cesarea Terme, in persona del sindaco in carica, rappresentato e difeso dall'avv. Silvestro Lazzari, con domicilio eletto presso Alfredo Placidi in Roma, via Cosseria 2;

nei confronti di

Regione Puglia, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dagli avv. Vittorio Triggiani e Leonilde Francesconi, con domicilio eletto presso la Delegazione della stessa Regione in Roma alla via Barberini 36;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. PUGLIA - SEZ. STACCATA DI LECCE, SEZIONE I, n. 721/2012, resa tra le parti, concernente rinnovo concessione mineraria di acque termali denominata "Santa Cesarea".

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Santa Cesarea Terme e della Regione Puglia;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 dicembre 2012 il Cons. Nicola Gaviano e uditi per le parti gli avvocati Ernesto Sticchi Damiani, Silvestro Lazzari ed Anna Bucci su delega dell'avv. Leonilde Francesconi;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO e DIRITTO

Il Comune di Santa Cesarea Terme proponeva ricorso dinanzi al T.A.R. per la Puglia – Sezione di Lecce contro la determinazione n. 64 del 19 luglio 2011 del Dirigente dell’Ufficio Pianificazione della Regione Puglia - Area Politiche per lo sviluppo economico, lavoro e innovazione - Servizio Attività Estrattive, notificata allo stesso Comune in data 8 agosto 2011, con la quale era stato accordato il rinnovo della concessione mineraria di acque termali denominata "Santa Cesarea" (Fonte Palazzo), in territorio di Santa Cesarea Terme, alla società Terme di Santa Cesarea, per la durata di anni venti a decorrere dalla data di scadenza (30 luglio 2011) del titolo originariamente conferito con il decreto n. 605 del 30 luglio 1991, con scadenza portata pertanto al 30 luglio 2031.

La società Terme di Santa Cesarea aveva infatti ottenuto, a suo tempo, con decreto del Presidente della Giunta regionale del 30 luglio 1991, la “concessione mineraria per lo sfruttamento delle sorgenti di acque termali denominata Santa Cesarea in territorio del Comune di Santa Cesarea Terme prov. di Lecce per costituire una zona di protezione igienico sanitaria, per la durata di anni 20 (venti) a decorrere dalla data del presente decreto”. E la medesima società, con domanda del 29 luglio 2010, aveva chiesto il rinnovo della concessione per ulteriori vent’anni.

Il Comune di Santa Cesarea aveva però subito comunicato alla Regione la propria opposizione, con nota del 23 marzo 2011, al rinnovo così richiesto. Ed in seguito, dopo la pubblicazione della suddetta domanda di rinnovo all’Albo Pretorio, lo stesso Comune, in veste di soggetto interessato a partecipare all’assegnazione della concessione scaduta, aveva presentato alla Regione un nuovo, dettagliato atto di opposizione.

La Regione, tuttavia, all’esito aveva rinnovato la concessione alla società.

Il ricorso del Comune era affidato ai seguenti motivi: 1. Violazione e falsa applicazione dell’art. 30 l.r. 28 maggio 1975 n. 44; violazione dei principi generali dell’ordinamento; eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione; eccesso di potere per sviamento e per conflitto di interessi. 2. Violazione art. 30 l.r. 28 maggio 1975 n. 44 sotto diverso profilo secondo una lettura costituzionalmente orientata; violazione del diritto comunitario e in particolare della direttiva servizi 2006/123/CE; violazione della l. 241/1990; eccesso di potere per difetto di istruttoria, per difetto di motivazione. 3. Illegittimità costituzionale dell’art. 30 l.r. 28 maggio 1975 n. 44.

L’Ente ricorrente deduceva, in sintesi: che la Regione non aveva verificato se il concessionario avesse ottemperato agli obblighi impostigli con la concessione, né se possedesse ancora i relativi requisiti; che la domanda di rinnovo era stata presentata oltre il termine di cui all’art. 30 L.R. n. 44/1975; che la Regione non aveva preso in considerazione le opposizioni avanzate dal Comune; che per l’assegnazione della concessione si doveva fare una gara formale; che l’art. 30 L.R. n. 44/1975 doveva reputarsi incostituzionale laddove prevedeva il rinnovo della concessione senza gara.

Resistevano all’impugnativa la Regione Puglia e la Terme di Santa Cesarea S.p.a..

La concessionaria eccepiva l’inammissibilità del ricorso per carenza di legittimazione e di interesse.

Nel merito, obiettava: che una perdita contabile non incideva sulla regolarità del servizio; che il termine per la richiesta di rinnovo del titolo non era perentorio, e comunque la sua richiesta era stata depositata ben un anno prima della scadenza; che l’Amministrazione regionale aveva controdedotto alle osservazioni comunali; che l’uso delle risorse termali costituiva un servizio pubblico; che nel caso in esame trovava applicazione l’istituto così detto dell’ in house, la Regione essendo socio di maggioranza della Società concessionaria.

La Regione Puglia, dal canto suo, opponeva: che la domanda di rinnovo, presentata già il 29 luglio 2010, era stata protocollata solo il 19 agosto 2010 per ragioni di carenza di personale; che comunque i termini in materia non erano perentori; che il Comune ricorrente non aveva mai presentato istanza per acquisire un permesso di ricerca, presupposto indispensabile per ottenere la concessione di acque termali; che alla domanda di rinnovo della società era stata data ampia pubblicità; che, infine, alle questioni poste dal Comune era stato dato puntuale riscontro.

Il Comune ricorrente nel prosieguo replicava, con riguardo al fatto di non disporre del Centro Termale, che in proposito era in atto un contenzioso arbitrale. E soggiungeva: che l’attività di sfruttamento economico della risorsa termale non avrebbe integrato un servizio pubblico; e che non si poteva configurare la condizione del “controllo analogo” in presenza di una compagine societaria composta anche da capitale privato.

La Società controdeduceva anche su quest’ultimo punto.

A conclusione del giudizio il Tribunale adìto, con la sentenza n. 721/2012 in epigrafe, accoglieva il ricorso del Comune, annullando il provvedimento di rinnovo impugnato.

Il T.A.R., respinte le eccezioni di difetto di legittimazione e di interesse opposte dalle resistenti, riteneva che il titolo in controversia dovesse essere considerato non come una concessione di servizi, tale da poter essere affidata anche tramite il così detto in house, bensì quale una concessione di beni, come tale soggetta senza deroghe ai principi comunitari di libera concorrenza.

Così qualificata la concessione, il Giudice locale riscontrava l’incompatibilità dell’art. 30 L.R. n. 44/1975, disponente per le attività di ricerca e coltivazione delle acque minerali e termali che “La concessione scaduta è rinnovata, qualora il concessionario abbia ottemperato agli obblighi impostigli”, con gli obblighi comunitari che richiedono una procedura di affidamento nel rispetto dei principi di trasparenza e parità di trattamento.

Da qui la conclusione del T.A.R. della necessità di disapplicare la norma regionale, che prevedeva un rinnovo automatico del titolo, riconoscendo quindi un diritto di insistenza al concessionario, senza contemplare alcuna procedura competitiva.

Avverso la pronuncia del Giudice locale proponevano appello tanto la società Terme Santa Cesarea quanto, in forma incidentale, la Regione Puglia.

In sintesi, le convergenti deduzioni critiche degli appellanti vertevano sui seguenti punti:

- il T.A.R. non avrebbe chiarito se la norma regionale era stata censurata per l’automaticità del rinnovo previsto in favore del precedente concessionario, oppure per il fatto della preferenza da essa accordata al medesimo nell’ambito di un confronto concorrenziale pur astrattamente ammesso;

- non sarebbe stato vero che la norma regionale disciplinava un rinnovo automatico escludendo in radice una procedura competitiva: il relativo procedimento con la pubblicazione del “rende noto” si aprirebbe, in realtà, alla partecipazione di eventuali altri aspiranti, che concorrerebbero con il concessionario uscente; nella specie, peraltro, alla pubblicazione del “rende noto” nessun soggetto aveva presentato istanze concorrenti;

- il Comune, segnatamente, non aveva mai richiesto un permesso di ricerca né manifestato interesse a partecipare ad una gara, e nemmeno avrebbe avuto i requisiti per parteciparvi (anche perché, quale ente pubblico territoriale, non potrebbe svolgere attività lucrativa): donde l’inammissibilità del suo ricorso per difetto di legittimazione attiva o di interesse;

- la risorsa “acqua termale” sarebbe presente in abbondanza nell’area, con la conseguenza di poter essere oggetto di diverse concessioni per il suo sfruttamento, indipendentemente dal titolo in controversia.

Il Comune si costituiva in giudizio in resistenza ad entrambi gli appelli chiedendone la reiezione siccome infondati.

Con ordinanza della Sezione in data 16 luglio 2012 la domanda cautelare dell’appellante principale veniva accolta sul fondamento del pericolo di danno interinale, grave ed irreparabile, prospettato dalla società.

La medesima appellante con successiva memoria riprendeva le proprie argomentazioni, insistendo per l’accoglimento dell’impugnativa e la riforma della sentenza in epigrafe.

Il Comune, dal canto suo, con uno scritto di replica tornava sulle ragioni dell’infondatezza degli appelli avversari, concludendo per il loro rigetto.

Alla pubblica udienza del 14 dicembre 2012 la causa è stata trattenuta in decisione.

Tanto l’appello principale quanto quello incidentale sono infondati e vanno respinti.

1 La disamina del merito della controversia può muovere dalla verifica dei contenuti dell’art. 30 della L.R. n. 44/1975.

Il primo comma dell’articolo recita: “La concessione scaduta è rinnovata, qualora il concessionario abbia ottemperato agli obblighi impostigli.”

Il primo Giudice ha ritenuto che tale norma preveda una proroga automatica del titolo senza procedura competitiva, riconoscendo quindi al concessionario in scadenza un pregnante diritto di insistenza.

Da parte delle appellanti si argomenta variamente per tentare di mettere in discussione il punto che l’art. 30 L.R. citata disciplini un rinnovo vincolato e sostanzialmente automatico.

La norma è però del tutto chiara nell’accordare senz’altro il rinnovo del titolo al concessionario non inadempiente ai propri obblighi. E, d’altra parte, proprio in tali termini (come si vedrà di qui a poco) essa è stata sic et simpliciterapplicata dalla Regione nella fattispecie concreta.

Né vale opporre che sarebbe proprio la preferenza per gli Enti Locali sancita dall’art. 13, comma 3, L.R. citata a denotare il carattere concorsuale e competitivo della procedura disegnata dalla legge, poiché tale norma non dà mostra di riguardare anche il particolare caso della concessione scaduta il cui titolare uscente abbia chiesto il rinnovo; ipotesi che risulta difatti ricadere in modo specifico quanto esclusivo nell’ambito regolato dall’art. 30 della stessa legge.

A conferma della riferita interpretazione di quest’ultima norma, la difesa comunale a ragione attira l’attenzione, inoltre, sulla motivazione del provvedimento oggetto di gravame, sottolineando come questa si esaurisca nel richiamo alla condizione - tipizzata appunto dalla norma come decisiva - della richiesta di rinnovo del concessionario uscente, senza prendere in sostanziale considerazione né il fatto che erano mancate istanze in concorrenza, né la primitiva richiesta del Comune, poi non più coltivata, di avvalersi della preferenza stabilita dall’art. 13 cit., né la successiva opposizione dello stesso Ente Locale.

Sulla stessa linea si pone anche il tipo di riscontro che la medesima Regione aveva dato alla prima delle due opposizioni comunali, con la sua nota del 14 aprile 2011: con questa si esponeva che la titolare della concessione ne aveva chiesto il rinnovo, e che, in tale quadro, le aspettative del Comune alla concessione avrebbero potuto essere soddisfatte solo in caso di rinunzia della società richiedente.

Risulta quindi ineccepibile l’interpretazione data dal primo Giudice all’art. 30 della fonte regionale, nel senso che la norma configurava una proroga automatica del titolo senza procedura competitiva (e questo senza che metta conto occuparsi dell’interrogativo, privo di rilievo pratico, se quello accordato dalla norma fosse, o meno, un vero e proprio “diritto di insistenza”).

Da questo presupposto scaturiva dunque, secondo l’ammissione della stessa appellante, la possibilità e doverosità della disapplicazione della norma regionale (cfr. pag. 13 dell’appello) per contrasto con i principi comunitari proconcorrenziali.

2 Altro aspetto da mettere subito a fuoco è quello della natura del provvedimento che forma oggetto dell’originario gravame.

La valutazione del T.A.R. che lo stesso costituisca una concessione di beni, e non di servizi pubblici, è rimasta sostanzialmente incontestata da parte degli appellanti (cfr. l’appello principale alle pagg. 8-9, e l’appello incidentale alle pagg. 6-7), che in concreto non hanno proposto alcuna critica idonea a far dubitare della intrinseca bontà del rilievo di fondo del T.A.R. per cui il provvedimento riguarda la tutela e valorizzazione del bene in funzione della sua utilizzazione per fini economici, e non già per –indeterminati- fini sociali.

Della sentenza oggetto di scrutinio va pertanto confermata anche la qualificazione del titolo in controversia quale concessione di beni, e non di servizi.

Ne consegue, sempre secondo l’impostazione della sentenza appellata, rimasta immune da puntuali contestazioni anche sotto questo profilo, l’ininfluenza del richiamo di parte appellante all’istituto dell’ in house providing, siccome dipendente dalla qualificazione del provvedimento controverso necessariamente in termini di concessione di servizio pubblico, qualificazione finita per converso recessiva –come si è appena confermato- in favore di quella della concessione di beni.

E’ appena il caso di ricordare, infatti, che all’istituto dell’in house non corrisponde un principio generale prevalente sulla normativa interna, bensì un principio derogatorio delle regole generali del diritto comunitario, come tale di carattere eccezionale (C.G. CE, 6 aprile 2006, C-410/04, Anav; C.d.S., Ad. Pl. 3 marzo 2008, n. 1), il quale consente, e non obbliga, i legislatori nazionali a prevedere la relativa forma di affidamento (C.d.S., VI, 3 aprile 2007, n. 1514), e pertanto può operare solo nei limiti in cui sorretto da specifiche norme di diritto interno.

In proposito può aggiungersi che nella fattispecie, ad ogni modo, risulterebbe altresì carente –quantomeno- il requisito dell’esercizio, da parte della società affidataria, della parte più importante della propria attività con gli enti che la controllano (come è noto, per un legittimo affidamento inhouse è difatti necessario che con il requisito del c.d. "controllo analogo" concorra quello della dedizione sostanzialmente esclusiva dell'attività dell’affidatario ai bisogni e fini dell’ente pubblico, occorrendo, cioè, che la maggior parte dell'attività del primo sia svolta per conto/in favore degli enti pubblici controllori : cfr. C.d.S., VI, 3 aprile 2007, n. 1514; Ad. Pl. 3 marzo 2008, n. 1; V, 26 agosto 2009, n. 5082).

La sussistenza in concreto del requisito non ha trovato, infatti, alcuna dimostrazione. Il che conferma l’estraneità dell’istituto alla materia del contendere; istituto la cui non configurabilità nella specie è altresì avvalorata dalla mancanza dell’ulteriore requisito della totale partecipazione pubblica.

3 Fissati questi primi aspetti, la Sezione ritiene di dover precisare che il thema decidendum del presente giudizio è quello dell’obbligo della Regione di indire una procedura competitiva, e non già quello del diritto di preferenza per gli Enti Locali di cui all’art. 13 L.R. citata.

Il Comune, invero, pur avendo inizialmente rivendicato per sé, a tutta prima, la preferenza accordata agli Enti Locali dal già visto art. 13, nella sua seconda e più articolata opposizione, con la nota sindacale del 19 maggio 2011 (avente base nella deliberazione della G.M. 12 maggio 2011, n. 59) si è limitato ad obiettare che un rinnovo automatico della concessione si sarebbe posto in contrasto con il diritto comunitario, invitando perciò la Regione ad indire, per l’attribuzione del titolo, un’apposita selezione pubblica, nella quale anche la domanda del Comune avrebbe potuto trovare esame.

Di riflesso, una rivendicazione della preferenza ex lege non compare nel ricorso comunale di prime cure, dove semmai si sostiene, appunto, la tesi di fondo della necessità dell’indizione di una normale gara. Né, del resto, la detta preferenza trova alcuna eco nella sentenza in epigrafe.

Di conseguenza, l’appellante principale non può essere seguita nel suo tentativo di spostare sulla stessa preferenza il fulcro della causa, la quale ha il ben diverso oggetto sopra indicato. Sicché le perplessità, di varia natura, sollevate dalla stessa appellante rispetto alla compatibilità del già detto art. 13 L.R. n. 44/1975con principi di grado superiore, siccome prive di rilevanza rispetto al caso concreto, non sono in questa sede suscettibili di trattazione.

4 Valutazioni non molto diverse possono farsi a proposito dell’insistito argomento degli appellanti circa una presunta carenza, da parte del Comune, dei requisiti tecnici necessari alla gestione di una struttura termale, con prospettazione che vorrebbe ricollegare a siffatta carenza la conseguenza della carenza di legittimazione, o di interesse, del Comune al ricorso.

E lo stesso vale per la connessa argomentazione tesa a far valere il fatto che il Comune non avrebbe mai presentato istanza per acquisire il permesso di ricerca mineraria di cui all’art. 2 della L.R. n. 44/1975, argomentazione che pure si vorrebbe dimostrativa della carenza di legittimazione attiva dell’Ente.

Oggetto del corrente giudizio è semplicemente la dedotta illegittimità della mancata indizione di una procedura competitiva da parte della Regione, e non già la questione dell’attuale titolarità da parte del Comune dei requisiti per ottenere la concessione (quasi che questo Ente in un’apposita gara ipoteticamente già aperta fosse stato colpito da un’esclusione proprio per una ragione siffatta, e dovesse qui contestarne il fondamento).

Da qui il carattere ampiamente prematuro della valutazione che le appellanti vorrebbero già in questa sede promuovere sulla presenza, in capo al Comune, dei requisiti soggettivi per partecipare ad una gara, in realtà, ancora mai indetta. Una valutazione del genere non può infatti essere condotta ex ante, a prescindere da una concreta procedura competitiva in atto: anche perché, a mente dell’art. 34, comma 2, C.P.A., al Giudice amministrativo non è consentito pronunciarsi con riferimento a poteri amministrativi non ancora esercitati.

A fronte, pertanto, dei convergenti rilievi delle appellanti circa un presunto difetto di legittimazione del Comune per carenza dei requisiti, è agevole opporre che l’art. 13 della L.R. citata esige una dimostrazione di idoneità tecnica, tecnico-scientifica ed economica solo quale condizione per l’attuale rilascio della concessione.

Sicché le problematiche sollevate avrebbero motivo di essere poste in occasione della verifica della sussistenza dei presupposti di una (futura) offerta di gara da parte del Comune, ma certo non già in questo contenzioso.

Ai fini della legittimazione alla contestazione in giudizio della validità di un affidamento senza gara è sufficiente che il terzo ricorrente versi in una posizione qualificata, e perciò dissimile da quella del quisque de populo, condizione che non potrebbe essere certo negata al Comune nel cui territorio sorge la risorsa del cui sfruttamento si tratta.

Solo per desiderio di completezza si rileva, infine, la pertinenza del richiamo fatto dal primo Giudice, sulle tematiche di cui si tratta, alla recente decisione della Sez. VI di questo Consiglio n. 714 del 31 gennaio 2011, le cui condivisibili osservazioni denotano anche l’infondatezza della gran parte delle deduzioni in discorso:

“…non poteva condizionarsi il rilascio della concessione ad uno studio propedeutico sulla quantità e quantità dell’acqua, trattandosi di sorgente ormai nota nella sua portata e nelle qualità chimiche e terapeutiche ed avendo formato già oggetto di pluriennale concessione per il suo utilizzo.

Quanto al rilievo dato nel parere della conferenza di servizi all’assenza di una “struttura termale realizzata”, si tratta di requisito non esigibile in capo a chi intende accedere all’utilizzo delle acque termali, che solo in presenza dell’ atto di concessione può assumere validi impegni sul piano economico per la realizzazione delle strutture a ciò necessarie.

Accedere all’opposta tesi verrebbe a determinare un evidente sbilanciamento, in sede di valutazione comparativa, fra il precedente concessionario, che già dispone delle strutture termali, e chi per la prima volta intende accedere all’utilizzo della sorgente. Surrettiziamente verrebbe a privilegiarsi il diritto di insistenza nella concessione (che la stessa Amministrazione, dando luogo alla valutazionecomparativa, ha inteso ripudiare), impedendosi l’accesso al bene pubblicoda parte di chi non ne aveva la precedente disponibilità, in violazione dei principi di concorrenza e della libertà di stabilimento garantita dall’art. 42 del Trattato C.E. (cfr. sui principi Corte Costituzionale, 1° luglio 2010, n. 233).”

5a Si rivelano quindi privi di pregio gli argomenti diretti a contestare, anche in questo grado di giudizio, la legittimazione attiva e l’interesse a ricorrere del Comune appellato.

Questo vale anche rispetto all’argomento per cui il Comune, quale ente pubblico, potrebbe svolgere un’attività economica solo se connaturata ai propri fini istituzionali, oppure in presenza di una conforme previsione di legge.

Come ha ragionevolmente obiettato la difesa comunale, infatti, il Comune potrebbe concorrere alla selezione pubblica fin qui omessa sia perseguendo l’obiettivo della sub concessione in favore di operatori locali, a mente dell’art. 20, comma 1, della più volte citata L.R. n. 44/1975; sia con l’intento di avvalersi della risorsa per fornire un pubblico servizio; sia, infine, allo scopo di creare un’apposita società mista per utilizzare la stessa risorsa anche a fini economici. E basterebbe l’astratta possibilità anche di una sola di tali proiezioni a fondare l’interesse ad agire e la legittimazione dell’originario ricorrente.

5b Privo di consistenza è pure l’assunto che il Comune, per il fatto di essere titolare di circa il 49 % delle azioni della società appellante, non avrebbe potuto ricorrere “contro se stesso”, di tutta evidenza essendo la diversa identità dei due soggetti, e non potendo negarsi al Comune l’assunzione di qualsivoglia iniziativa nel settore sol perché titolare dell’anzidetta partecipazione.

5c Viene altresì opposto che la risorsa dell’acqua termale sarebbe presente “in abbondanza” nell’area, con la conseguenza che il suo sfruttamento potrebbe essere oggetto di diverse concessioni indipendentemente dal titolo in controversia. E si ricorda, al riguardo, che tanto la direttiva comunitaria c.d. “servizi”, quanto la normativa nazionale fanno dipendere la necessità della procedura selettiva dalla condizione che il numero dei titoli disponibili per una determinata attività sia limitato per la scarsità delle risorse naturali.

Da parte delle appellanti non è stata però sufficientemente dimostrata la carenza di quest’ultimo presupposto.

La misurata nota tecnica prodotta dalla società il 10 luglio 2012 si limita a riconoscere la mera “possibilità” di reperire acque termali sulfuree anche in altre zone limitrofe all’attuale area di concessione: e questo di per sé non vale ad escludere la scarsità della risorsa.

Gli elementi tecnici prodotti dal Comune il successivo giorno 13 sono, inoltre, ancor meno possibilisti all’indicato riguardo.

Da qui l’inevitabile conclusione della mancata dimostrazione dell’evenienza pur allegata dalle appellanti.

6a Dalle appellanti viene inoltre negata l’esistenza di un conflitto della norma di legge regionale dell’art. 30, comma 1, della L.R. n. 44/1975con i principi comunitari valorizzati dal Giudice locale.

La tesi centrale svolta all’uopo è che con il “rende noto” si sarebbe attivata proprio una procedura competitiva: onde nessuna lesione dei principi della concorrenza si sarebbe in concreto verificata.

Erronea sarebbe quindi, nella sentenza appellata, l’esclusione della possibilità che il “rende noto” assumesse il valore dell’indizione di una procedura competitiva. La relativa pubblicazione, si deduce, avrebbe la finalità di comunicare la possibilità di affidamento di un bene appartenente alla pubblica amministrazione, dando ad altri soggetti interessati la possibilità di dimostrare il proprio interesse alla concessione e partecipare al confronto competitivo, così aprendo il mercato.

Né sarebbe corretto opporre la mancanza, nel “rende noto”, dei criteri da seguire nella comparazione tra le future offerte, in quanto gli stessi potrebbero ben essere stabiliti in un secondo tempo (id est, una volta constatata la presenza effettiva di terzi interessati a concorrere).

6b E’ tuttavia sufficiente una piana lettura del “rende noto” per avvedersi di come questo non fosse affatto inteso a dare ad altri soggetti la possibilità di dimostrare il proprio interesse alla concessione ed a partecipare ad un confronto competitivo.

Esso si limitava, infatti, a dare avviso dell’istanza di rinnovo della concessione presentata dalla società, e della possibilità di inoltrare, al riguardo, “eventuali opposizioni” da parte di chi ne avesse “giustificati motivi”.

Da qui la strutturale inidoneità di un simile atto ad assolvere la funzione di “apertura del mercato” cui le appellanti lo vorrebbero destinato.

Non solo. Il Comune sin dalla sua prima opposizione aveva espresso il proprio inequivocabile interesse a concorrere ai fini dell’assegnazione della concessione (come viene riconosciuto anche, ad es., nell’appello incidentale, alla pag. 4), interesse poi confermato dall’Ente in occasione dell’opposizione successiva, suscitata proprio dalla pubblicazione del “rende noto”.

Questa constatazione, allora, vieppiù smentisce la ricostruzione proposta negli appelli in esame, atteso che nemmeno l’inequivocabile sollecitazione del Comune è valsa ad indurre la Regione a sottoporre l’affidamento ad una procedura pubblica di gara. Il punto non ha neppure formato materia di motivazione nel testo del provvedimento di rinnovo.

6c Rimanendo sull’argomento del “rende noto”, dalle appellanti viene anche assunto (non senza una certa contraddittorietà con la tesi appena confutata) che il Comune avrebbe avuto l’onere di impugnarlo. Ma la sua natura di atto solo preparatorio escludeva di per se stessa l’esistenza di un onere di farne oggetto di gravame.

6d Sul tema, infine, dell’obbligatoria applicabilità anche alle concessioni di beni pubblici di procedure competitive, la Sezione può senz’altro limitarsi al richiamo delle osservazioni più volte recentemente espresse sulla problematica.

Con la decisione 17 maggio 2011, n. 3250, in particolare, è stato osservato quanto segue.

“6.1.2.2. Ma la prospettazione dell’appellante risulta in ogni caso insuscettibile di favorevole esame quand’anche si volesse accedere alla tesi che il rapporto controverso abbia la consistenza della concessione di beni pubblici; anche in questo caso, infatti, l’ente locale sarebbe stato tenuto a dare corso ad una procedura competitiva per la sceltadel concessionario.

Sul punto il collegio non intende discostarsi dai più recenti approdi della giurisprudenza costituzionale ed amministrativa (cfr. Corte cost., 20 maggio 2010, n. 180; Cons. St., sez. V, 7 aprile 2011, n. 2151, cui si rinvia a mente dell’art. 74 c.p.a.), in forza dei quali:

a) la mancanza di una procedura competitiva circa l’assegnazione di un bene pubblico suscettibile di sfruttamento economico, introduce una barriera all’ingresso al mercato, determinando una lesione alla parità di trattamento, al principio di non discriminazione ed alla trasparenza tra gli operatori economici, in violazione dei principi comunitari di concorrenza e di libertà di stabilimento;

b) anche dopo il Trattato di Lisbona, l’indifferenza comunitaria alla qualificazione nominale delle fattispecie consente di sottoporre al nucleo essenziale dei principi di evidenza pubblical’affidamento di concessioni su beni pubblici, senza che a ciò vi osti la generica deduzione della occasionale partecipazione del privato all’esercizio dei pubblici poteri, dovendosi a tal fine riscontrare, con certezza, la traslazione effettiva di poteri pubblici autoritativi (del tutto indimostrata nel caso di specie);

c) non vi sono margini di tutela dell’affidamento dei precedenti concessionari, attraverso proroghe legali o amministrative, salvo casi eccezionali in cui si debba ripristinare la durata di un rapporto concessorio illegittimamente abbreviato rispetto alla sua scadenza naturale, ovvero per il tempo strettamente necessario alla definizione delle procedure per la stipula dei nuovi contratti (anche tale circostanza è rimasta indimostrata nel caso di specie)”(sentenza n. 3250/2011 cit.; nello stesso senso cfr. anche le decisioni della Sez. VI, 22 marzo 2011, n. 1747, e 31 gennaio 2011, n. 714).

Analogamente, con la sentenza 7 aprile 2011, n. 2151, si è osservato:

“In definitiva la legislazione vigente, partendo dal presupposto che la procrastinazione meccanica del termine originario di durata di un contratto sottrarrebbe in modo intollerabilmente lungo un bene economicamente contendibile alle dinamiche fisiologiche del mercato, non consente di procedere al rinnovo o alla proroga automatica dei contratti in corso, ma solo alla loro proroga espressa per il tempo strettamente necessario alla stipula dei nuovi contratti a seguito di espletamento di gare ad evidenza pubblica.

3.2. La Sezione deve poi rimarcare, a confutazione del diverso avviso espresso dal Primo Giudice, che il divieto in esame , pure se fissato dal legislatore in modo espresso, esso con riguardo agli appalti di sevizi, opere e forniture, esprime un principio generale attuativo di un vincolo comunitario discendente dal Trattato e, come tale, operante per la generalità dei contratti pubblici ed estensibile anche alle concessioni di beni pubblici (così Cons. Stato , sez. VI, 21 maggio 2009 , n. 3145; n. 3642/2008; Cons. Stato, V, n. 2825/2007; VI, n. 168/2005).

L’obbligo di dare corpo a procedure di evidenza pubblica deriva, infatti, in via diretta dai principi del Trattato dell'Unione Europea, direttamente applicabili a prescindere dalla ricorrenza di specifiche norme comunitarie o interne, in guisa da tenere in non cale disposizioni interne di segno opposto” (sentenza n. 2151/2011 citata).

7 Per le ragioni esposte, in conclusione, sia l’appello principale che quello incidentale devono essere respinti, in quanto infondati.

Le spese processuali del presente grado vengono liquidate secondo soccombenza dal seguente dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sulla causa in epigrafe, respinge sia l’appello principale che quello incidentale.

Condanna al rimborso delle spese processuali del presente grado, in favore del Comune di Santa Cesarea Terme, la società Terme di Santa Cesarea e la Regione Puglia, liquidando le dette spese nella misura di euro duemilacinquecento, oltre gli accessori di legge, a carico di ciascuna delle soccombenti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella Camera di consiglio del giorno 14 dicembre 2012 con l'intervento dei magistrati:

Carmine Volpe, Presidente

Paolo Giovanni Nicolo' Lotti, Consigliere

Antonio Amicuzzi, Consigliere

Doris Durante, Consigliere

Nicola Gaviano, Consigliere, Estensore

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 13/02/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)