Piano di Tutela delle Acque Regione Puglia: osservazioni sugli sprechi idrici
(Luigi Fanizzi – Giovinazzo)
Con la Direttiva Comunitaria 2000/60/CE l’Unione europea ha finalmente dato unicità e completezza al quadro normativo che regolamenta l’utilizzo e la tutela del patrimonio idrico comune. Questa direttiva, infatti, sostitutiva ed abrogativa di molti atti comunitari, che fino ad oggi hanno disciplinato in modo frammentario la materia delle acque, rende espliciti i principi cardine della politica europea di settore, quali la protezione ambientale della quantità ed il recupero della qualità dei corpi idrici.
Per quanto riguarda la gestione degli utilizzi delle risorse idriche superficiali e sotterranee, la normativa nazionale di riferimento è il D. Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (c.d. Testo Unico Ambientale) ma, poiché la risorsa idrica, per ovvie caratteristiche, rappresenta una risorsa governabile ed utilizzabile soprattutto a livello locale, molta parte della sua disciplina è stata affidata alle Regioni.
Ogni anno, in Italia, sono disponibili e gestibili 55 miliardi di metri cubi, ma il nostro fabbisogno, già al 2005 ha superato i 52 miliardi e siamo, quindi, già prossimi al limite.
Bisogna dunque adottare misure necessarie all’eliminazione, a breve termine, degli sprechi ed alla riduzione dei consumi, incrementando il riciclo ed il corretto riutilizzo di risorse idriche sia convenzionali (acque meteoriche) che non (acque reflue), anche mediante l’utilizzazione delle migliori tecniche disponibili.
Considerando che il DPCM 4 marzo 1996, pone un obiettivo di riduzione delle perdite di adduzione e distribuzione, sembra opportuno avviare, prioritariamente, a livello regionale, un programma di riduzione degli sprechi. Se dunque “non sprecare l’acqua in casa” dovrà essere l’appello ricorrente ai cittadini di fronte all’emergenza idrica, parallelamente, a livello di Pubblica Amministrazione si dovrà rivedere seriamente lo stato della rete idrica regionale e progettare tutti gli interventi necessari e sufficienti al suo completo risanamento: la vera grande opera di cui si ha bisogno. I dati parlano chiaro: circa il 53 % dell’acqua potabile, immessa nelle condutture, si disperde nel terreno a causa delle pessime condizioni delle tubature. Tale dispersione obbliga il Gestore ad immettere più acqua nelle condutture e questo produce un costo aggiuntivo per l’energia elettrica necessaria oltre che il peggioramento delle stesse (più una conduttura perde acqua e più continuerà a perderla perché maggiore sarà il flusso che dovrà essere pompato per assicurare agli utenti il servizio e quindi maggiore sarà lo stress pressorio delle giunture che tenderanno sempre più ad allentarsi). Oltre alle perdite fisiche reali, che ammontano a circa il 38 %, si dovranno risanare altresì le perdite amministrative (ca. il 15 %), quelle dovute cioè agli allacci abusivi, a banche dati non aggiornate, alle morosità degli utenti ed agli errori di misurazione di contatori, lungo la rete, guasti o, comunque, obsoleti. Bisogna dunque sviluppare le risorse idriche e l’efficienza degli impianti di distribuzione. Non sembra una brillante soluzione quella di trasportare acqua da altre nazioni (come si era prospettato a proposito dell’Albania) o da regioni viciniori: perché l’Abruzzo dovrebbe regalare la propria risorsa ad una regione sprecona? Altrettanto non sembra conveniente utilizzare le acque del mare: gli odierni dissalatori producono acque ad un costo tre volte maggiore e con scarti inquinanti (salamoie). L’utilizzazione di “casse di espansione” per l’accumulo delle acque piovane e la contestuale difesa idraulica ed ambientale dei bacini idrografici (ruimte voor de water  spazio all’acqua) sarebbe un modo più equilibrato di affrontare il problema del cambiamento climatico in maniera preventiva e così da dominare il fenomeno delle alluvioni e trasformarlo in una risorsa per l’economia regionale invece che continuare ad agire, come si è sempre fatto in passato, sino ai nostri giorni, dopo i disastri e con approcci emergenziali. Le casse di espansione sono opere costruite per la decapitazione delle piene di un bacino idrografico e possono, perciò, essere accumulate per poi essere reimpiegate in irrigazione dopo appropriati ed economici trattamenti depurativi. D’altra parte la nuova Dir. CEE 26 aprile 2006, prevede già la mappatura dei distretti idrografici, comprendenti i confini dei bacini stessi, dei sottobacini e delle aree costiere, dalla quale risulti, in modo evidente, la topografia e l’utilizzo del suolo nonché le aree soggette ad alluvione e le opere a loro difesa (fra cui, appunto, le casse d’espansione). In questo caso l’azione delle casse è di vero e proprio risparmio idrico nella sua accezione di riuso di una risorsa altrimenti non utilizzata (a differenza di un invaso di accumulo che, invero, non ha il significato di risparmio idrico in senso stretto, ma quello di migliorare la quantità delle risorse idriche disponibili). E non è neppure tutto qui, se fortunatamente le acque recuperate stanno diventando una realtà nell’industria rimane ancora l’agricoltura la grande responsabile degli sprechi d’acqua nella nostra regione. Oltre a non riusare le acque recuperate, si continua ad irrigare ancora come cento anni fa.
Neanche il 50 % è irrigato a pioggia e solo poco più del 10 % è microirrigato come, invero, per buona pratica agricola si dovrebbe fare, cioè sgocciolando solo dove e quando serve. Da ultimo le Autorità di bacino dovrebbero regolare sempre più strettamente la materia del drenaggio dei suoli urbani che non vuol dire soltanto porre in essere condotte separate per le acque di pioggia ma anche vasche di laminazione (si pensi, per esempio alle grandi coperture come gli aeroporti, gli ipermercati, gli scali merci e portuali, eccetera), ampliamento del verde pubblico e privato, incentivazione dei tetti verdi e delle opere di recupero individuali in tutto l’agglomerato urbano (c.d. rain harvesting).