TAR Campania (NA), Sez. VIII, n. 4520, del 9 ottobre 2013
Urbanistica.Legittimità diniego concessione edilizia entro un’area connotata da un sufficiente livello di urbanizzazione primaria e secondaria

E’ stato ritenuto che il diniego di una concessione edilizia volta alla costruzione di un fabbricato possa essere legittimamente opposto, allorquando sia verificata, sulla base della reale situazione dell'area, l'effettiva esigenza della redazione di un piano particolareggiato; e che, pertanto, sia legittimo il diniego di concessione edilizia in presenza di un insediamento su un’area da destinare ad urbanizzazione, quando l'adozione di un nuovo piano attuativo sia giustificata in virtù dell'insufficiente urbanizzazione primaria e secondaria della zona. Ed invero, non è sufficiente un qualsiasi stadio di urbanizzazione di fatto per eludere il principio fondamentale della pianificazione e per eventualmente aumentare i guasti urbanistici già verificatisi, essendo la pianificazione dell'urbanizzazione doverosa fino a quando essa conservi una qualche utile funzione anche in aree già compromesse o edificate (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese).

N. 04520/2013 REG.PROV.COLL.

N. 01202/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Ottava)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1202 del 2012, proposto da: 
Antonio Tartaro, rappresentato e difeso dall'avv. Paolo Centore, con domicilio eletto presso Paolo Centore in Napoli, via S. Lucia, 15, c/o Limatola;

contro

Comune di Marcianise, rappresentato e difeso dall'avv. Antonella Di Sivo, con domicilio eletto presso Camillo Paudicio in Napoli, via A. D'Isernia, 38, c/o St. Arena;

per l'annullamento

PROVVEDIMENTO PROT. 66 DEL 17/1/2012: RIGETTO DELLA DOMANDA DI PERMESSO DI COSTRUIRE DEL 15/11/2011 (PROT. 20323).



Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Marcianise;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 luglio 2013 il dott. Olindo Di Popolo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso notificato il 1° marzo 2012 e depositato il 15 marzo 2012, Tartaro Antonio impugnava, chiedendone l’annullamento, il provvedimento del 17 gennaio 2012, prot. n. 66 (comunicato in pari data), col quale il dirigente del V Settore – Urbanistica del Comune di Marcianise aveva rigettato la domanda di permesso di costruire presentata il 15 novembre 2011, prot. n. 20323, ed avente per oggetto la realizzazione di due corpi di fabbrica destinati a civile abitazione sul fondo ubicato in Marcianise, alla via Lecce ed al viale XXIV Maggio, censito in catasto al foglio 11, particella 1456, nonché ricadente in zona omogenea classificata F1 (“territorio destinato alla costruzione di attrezzature di interesse comune, quali uffici amministrativi, impianti religiosi, centri sociali, giardini, parchi, biblioteche, ambulatori, uffici di pubblica sicurezza, cinema, circoli, bar, ristoranti, centri commerciali, parcheggi”) dal vigente strumento urbanistico generale.

2. Il gravato diniego di permesso di costruire, preannunciato, ai sensi dell’art. 10 bis della l. n. 241/1990, con nota del 13 dicembre 2011, prot. n. 1382, era stato opposto in base ai seguenti rilievi: - “il lotto di terreno oggetto di intervento ricade in area classificata ‘zona omogenea F1 - Territorio destinato alla costruzione di attrezzature di interesse comune, quali uffici amministrativi, impianti religiosi, centri sociali, giardini, parchi, biblioteche, ambulatori, uffici di pubblica sicurezza, cinema, circoli, bar, ristoranti, centri commerciali, parcheggi’ dalla variante al p.r.g. comunale vigente e tale area non è assoggettata ad esproprio, atteso che i detti interventi possono essere anche di iniziativa privata … la prefata destinazione di zona, così come previsto dalla normativa del p.r.g., non è assoggettata a decadenza … pertanto l’intervento previsto in progetto ‘nuovi fabbricati per civili abitazioni’ risulta essere in contrasto con le previsioni del p.r.g. vigente per la detta zona F1”; - “i nuovi fabbricati di progetto, con destinazione residenziale, e quindi già in contrasto con le previsioni della zona F1, non sono stati progettati in allineamento ai fabbricati esistenti lungo via Lecce e lungo viale XXIV Maggio”; “non risulta rispettato il distacco di m 10 fra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti, anche se nell’ambito dello stesso lotto di terreno, perché nel computo delle citate distanze non si tiene conto della sporgenza dei balconi previsti in aggetto alle pareti nel lato interno cortile del terreno oggetto di edificazione”; - “nel computo della volumetria di progetto non si tiene conto della cubatura relativa ai porticati al piano terra, di dimensioni m 4,63 x 2,00 x 2,90, atteso che questi ultimi, per essere considerati ‘volumi tecnici’, devono essere aperti almeno su tre lati”.

3. Avverso tale determinazione il Tartaro rassegnava censure così rubricate: 1) eccesso di potere per mancata comparazione degli interessi in gioco; disparità di trattamento; carenza di seria ed adeguata istruttoria; motivazione perplessa; 2) violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della l. n. 241/1990; eccesso di potere per carenza di motivazione, carenza di istruttoria, motivazione apparente; violazione e falsa applicazione dell’art. 10 bis della l. n. 241/1990; 3) violazione e falsa applicazione delle norme tecniche di attuazione del vigente strumento urbanistico generale; eccesso di potere per carenza di istruttoria, motivazione apparente e illogica, mancata comparazione degli interessi in gioco; 4) eccesso di potere per manifesta contraddittorietà tra atti della stessa amministrazione, travisamento dei fatti, carenza di istruttoria.

In estrema sintesi, lamentava che: - gli interventi edilizi controversi, ricadendo su un lotto ‘intercluso’, e cioè entro un’area connotata da un sufficiente livello urbanizzazione primaria e secondaria, non avrebbero richiesto l’approvazione di uno strumento attuativo preventivamente al rilascio del permesso di costruire, così come avvenuto in favore di proprietari di fondi limitrofi, ed a prescindere da quanto stabilito dalla disciplina pianificatoria generale relativa alla zona F1 e invocata dal Comune di Marcianise; - non sussisterebbe, poi, la contestata violazione della distanza minima (m 10) tra edifici, non essendo rinvenibili gli elementi aggettanti riscontrati dall’amministrazione intimata; - diversamente da quanto ritenuto da quest’ultima, in virtù delle vigenti disposizioni urbanistiche, i porticati a piano terra non avrebbero dovuto computarsi nella volumetria edificatoria utilizzata; - il rilievo di mancato allineamento dei fabbricati progettati a quelli esistenti non troverebbe appigli normativi; - le disposizioni urbanistiche poste a fondamento degli addebiti di violazione della distanza minima tra edifici e di indebito scorporo dei porticati dalla volumetria edificatoria concernerebbero non già la zona omogenea F1, bensì la zona omogenea B; - il Comune di Marcianise, nell’adottare il provvedimento definitivo impugnato, non avrebbe tenuto conto delle controdeduzioni fornite dal ricorrente al preavviso di rigetto della propria domanda di permesso di costruire.

4. Costituitasi l’amministrazione comunale intimata, eccepiva l’infondatezza del gravame esperito ex adverso, del quale richiedeva, quindi, il rigetto.

5. All’udienza pubblica dell’11 luglio 2013, la causa veniva trattenuta in decisione.

6. Venendo ora a scrutinare il merito del ricorso, privo di pregio se ne rivela il primo motivo, col quale il Tartaro lamenta che gli interventi edilizi controversi, ricadendo su un lotto ‘intercluso’, e cioè entro un’area connotata da un sufficiente livello di urbanizzazione primaria e secondaria, non avrebbero richiesto l’approvazione di uno strumento attuativo preventivamente al rilascio del permesso di costruire, così come avvenuto in favore di proprietari di fondi limitrofi, ed a prescindere da quanto stabilito dalla disciplina pianificatoria generale relativa alla zona F1 e invocata dal Comune di Marcianise.

6.1. In primis, la censura in esame risulta inconferente rispetto al tenore della motivazione provvedimentale con essa avversata.

Nel rilevare che l’area di intervento ricade in zona classificata F1 (“territorio destinato alla costruzione di attrezzature di interesse comune, quali uffici amministrativi, impianti religiosi, centri sociali, giardini, parchi, biblioteche, ambulatori, uffici di pubblica sicurezza, cinema, circoli, bar, ristoranti, centri commerciali, parcheggi”) dal vigente strumento urbanistico generale e che il vincolo di destinazione su di essa imposto non è assoggettato a decadenza, l’amministrazione comunale non ha, infatti, inteso predicare la necessità di una pianificazione esecutiva preventivamente al rilascio di titoli abilitativi alla realizzazione di fabbricati residenziali, ma ha inteso, all’evidenza, opporre, in via più radicale, l’inedificabilità abitativa della zona, in virtù del vincolo di destinazione su di essa gravante.

6.2. A prescindere dalle superiori considerazioni, l’assunto di parte ricorrente rimane, in ogni caso, destituito di fondamento fattuale.

6.2.1. Al riguardo, giova rammentare che, in base al piano regolatore generale del Comune di Marcianise, nella menzionata zona F1 gli interventi edilizi sono eseguibili “secondo progetti conformi alle normative specifiche nell’ambito delle più puntuali indicazioni e prescrizioni dei piani particolareggiati delle zone omogenee nei cui ambiti dette zone omogenee ricadono”.

In altri termini, la previsione sopra riportata subordina le costruzioni consentite nella menzionata zona F1 (comprendente il fondo in proprietà del ricorrente) alla preventiva approvazione di strumenti urbanistici attuativi, la cui mancanza ha costituito uno dei motivi dell’impugnata determinazione declinatoria.

6.2.2. In argomento, il Collegio intende dare seguito alla giurisprudenza in base alla quale, a mente dell'art. 9 del d.p.r. n. 380/2001, costituisce regola generale ed imperativa, in materia di governo del territorio, il rispetto delle previsioni del p.r.g. che impongono, per una determinata zona, la pianificazione di dettaglio e che sono vincolanti e idonee ad inibire l'intervento diretto costruttivo (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 30 dicembre 2008, n. 6625). “Corollari immediati di tale principio fondamentale sono: a) che quando lo strumento urbanistico generale prevede che la sua attuazione debba aver luogo mediante un piano di livello inferiore, il rilascio del titolo edilizio può essere legittimamente disposto solo dopo che lo strumento esecutivo sia divenuto perfetto ed efficace, ovvero quando è concluso il relativo procedimento (cfr. Cons. Stato sez. V, 1 aprile 1997, n. 300); b) che, in presenza di una normativa urbanistica generale che preveda per il rilascio del titolo edilizio in una determinata zona l'esistenza di un piano attuativo, non è consentito superare tale prescrizione facendo leva sulla situazione di sufficiente urbanizzazione della zona stessa (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 3 novembre 2008, n. 5471); c) l'insurrogabilità dell'assenza del piano attuativo con l'imposizione di opere di urbanizzazione all'atto del rilascio del titolo edilizio” (Cons. Stato, sez. IV, 10 giugno 2010, n. 3699).

Sfugge, infatti, al ricorrente di considerare che la mera esistenza di infrastrutture (strade, spazi di sosta, fognature, reti di distribuzione del gas, dell'acqua e dell'energia elettrica, impianti di illuminazione stradale, scuole, chiese, mercato, aree a verde, attrezzature culturali, ecc.) all’interno del comparto attinto dall’attività edificatoria progettata in assenza della previa approvazione dello strumento attuativo non implica anche quell’adeguatezza e quella proporzionalità delle opere in parola rispetto all’aggregato urbano formatosi, la quale soltanto sarebbe idonea a soddisfare le esigenze della collettività, pari agli standards urbanistici minimi prescritti, ed esimerebbe, quindi, da ulteriori interventi per far fronte all'ulteriore aggravio derivante da nuove costruzioni.

Ed invero, i piani particolareggiati e i piani di lottizzazione hanno lo scopo di garantire che all'edificazione del territorio a fini residenziali corrisponda l'approvvigionamento delle dotazioni minime di infrastrutture pubbliche, le quali, a loro volta, garantiscono la normale qualità del vivere in un aggregato urbano. Cosicché può prescindersi dalle cennate convenzioni urbanistiche, solo quando detti standards siano altrimenti rispettati. Diversamente opinando, col rilascio di singoli permessi di costruire in area non urbanizzata, gli interessati verrebbero legittimati ad utilizzare l’intera proprietà a fini privati, scaricando interamente sulla collettività i costi conseguenti alla realizzazione di infrastrutture per i nuovi insediamenti (Cons. Stato, sez. V, 3 marzo 2004, n. 1013).

6.2.3. Ciò posto, è evidente che, ove si tratti di asservire per la prima volta ad insediamenti edilizi aree non ancora urbanizzate – che obiettivamente richiedano, per il loro armonico raccordo col preesistente aggregato abitativo, la realizzazione o il potenziamento delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria volte a soddisfare le esigenze della collettività – si rende necessario un piano esecutivo (particolareggiato o di lottizzazione), quale presupposto per il rilascio del permesso di costruire (cfr., Cons. Stato, ad. plen., 20 maggio 1980 n. 18; 6 dicembre 1992 n. 12; sez. V, 13 novembre 1990, n. 776; 6 aprile 1991, n. 446; 7 gennaio 1999, n. 1; sez. IV, 22 maggio 2006, n. 3001; 4 dicembre 2007, n. 6171 TAR Campania, sez. IV, 2 marzo 2000, n. 596; 8 maggio 2003, n. 5330; TAR Lazio, Latina, 27 ottobre 2006, n. 1375; TAR Puglia, Lecce, sez. III, 2 febbraio 2005, n. 4403 aprile 2007, n. 1501; 15 marzo 2007, n. 1037).

In tale fattispecie, nella quale l’originaria integrità del territorio non è sostanzialmente vulnerata, deve essere rigorosamente rispettata la cadenza, in ordine successivo, dell'approvazione del piano regolatore generale e dello strumento urbanistico attuativo, in modo da garantire una pianificazione razionale e ordinata del futuro sviluppo del territorio dal punto di vista urbanistico.

Il piano esecutivo, previsto dallo strumento urbanistico generale come presupposto dell'edificazione, non ammette, cioè, equipollenti, nel senso che, in sede amministrativa o giurisdizionale, non possono essere effettuate indagini volte a verificare se sia tecnicamente possibile realizzare costruzioni, che, ad avviso del legislatore, incidono negativamente sul razionale assetto del territorio, vanificando la funzione del piano attuativo, la cui approvazione può essere stimolata dall'interessato, con gli strumenti consentiti dal sistema (Cons. Stato, sez. V, 3 marzo 2004, n. 1013; 10 dicembre 2003, n. 7799; sez. IV, 19 febbraio 2008, n. 531).

6.2.4. L’indefettibilità dello strumento urbanistico attuativo neppure viene meno nelle ipotesi di zone edificate, esposte al rischio di compromissione di valori urbanistici, nelle quali la pianificazione può ancora conseguire l'effetto di correggere e compensare il disordine edificativo in atto (Cons. Stato, sez. V, 1° dicembre 2003, n. 7799); zone nelle quali si prospetti, quindi, l'esigenza di raccordare armonicamente le nuove costruzioni col preesistente aggregato urbano e di potenziare le opere di urbanizzazione esistenti, tanto più quando il nuovo intervento edilizio, per le sue dimensioni, abbia un consistente impatto sull' assetto territoriale; e nelle quali la preventiva redazione di un piano attuativo per il rilascio del titolo abilitativo edilizio si ponga, in definitiva, come imprescindibile (TAR Veneto, Venezia, sez. II, 31 marzo 2003, n. 2171; 8 settembre 2006, n. 2893; TAR Lazio, Roma, sez. II, 13 settembre 2006, n. 8463).

Così, è stato ritenuto che il diniego di una concessione edilizia volta alla costruzione di un fabbricato possa essere legittimamente opposto, allorquando sia verificata, sulla base della reale situazione dell'area, l'effettiva esigenza della redazione di un piano particolareggiato; e che, pertanto, sia legittimo il diniego di concessione edilizia in presenza di un insediamento su un’area da destinare ad urbanizzazione, quando l'adozione di un nuovo piano attuativo sia giustificata in virtù dell'insufficiente urbanizzazione primaria e secondaria della zona (TAR Calabria, Catanzaro, sez. II, 5 febbraio 2004, n. 230).

Ed invero, non è sufficiente un qualsiasi stadio di urbanizzazione di fatto per eludere il principio fondamentale della pianificazione e per eventualmente aumentare i guasti urbanistici già verificatisi, essendo la pianificazione dell'urbanizzazione doverosa fino a quando essa conservi una qualche utile funzione anche in aree già compromesse o edificate (TAR Puglia, Lecce, sez. III, 18 gennaio 2005, n. 164).

6.2.5. Nella specie, il Tartaro, limitandosi a richiamare le apodittiche risultanze della relazione tecnica e le ristrette inquadrature fotografiche versate in atti, ha allegato l’esistenza di una rete viaria, fognaria, idrica, di distribuzione dell’energia elettrica e del gas, di impianti di illuminazione stradale, di scuole, di chiese, di aree a verde e di attrezzature culturali; .

Ma non ha, però, compiutamente dimostrato, ai sensi dell’art. 64, comma 1, cod. proc. amm., se tali opere di urbanizzazione primaria e secondaria siano qualitativamente e quantitativamente sufficienti a soddisfare le esigenze della comunità locale.

Ad es.empio, non ha compiuentamente dimostrato che: - tutte le strade e tutti i marciapiedi esistenti hanno ampiezza adeguata rispetto alle caratteristiche del traffico automobilistico e pedonale; - tutte le strade sono costeggiate da marciapiedi e dotate di impianti di illuminazione; - la rete stradale assicura l’ordinato andamento del traffico di zona ed è organicamente raccordata a quella dei comparti adiacenti; - la portata del sistema fognario è proporzionata all’incremento demografico ed edilizio del comparto; - la rete di distribuzione dell’acqua, dell’energia elettrica e del gas è completamente ramificata entro l’intero agglomerato formatosi in assenza di pianificazione esecutiva; - tale agglomerato è sufficientemente dotato di verde pubblico; - esistono in zona parcheggi, attrezzature sportive e strutture sanitarie; - quali sono le scuole, gli edifici di culto e le attrezzature culturali genericamente indicati a servizio del comparto.

Dalla esigua documentazione fotografica depositata in giudizio emerge, anzi, che: - la zona è scarsamente edificata; - le strade sono prive di adeguata segnaletica verticale e orizzontale; - la via Lecce non è costeggiata da marciapiedi.

6.2.6. Tutto quanto sopra induce, in definitiva, ad escludere che il richiesto titolo abilitativo edilizio potesse essere legittimamente emesso senza la preventiva approvazione di uno strumento urbanistico attuativo.

6.3. Il ricorrente nemmeno può fondatamente dolersi della circostanza che in favore di proprietari di fondi limitrofi sarebbero stati assentiti interventi edilizi diretti.

In proposito, giova rammentare che:

- onde configurare il vizio di eccesso di potere per disparità di trattamento è necessario che vi sia un rapporto di coincidenza fra la soluzione dedotta in giudizio e quella richiamata come termine di paragone, e, quindi, l’oggettiva ed assoluta identità di situazioni messe a confronto, in modo da dimostrare l’esistenza della lamentata sperequazione, di un contrasto logico insanabile e di una palese ingiustizia (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 22 giugno 2004, n. 4466; 5 ottobre 2005, n. 5349; 26 aprile 2006, n. 2291; sez. III, 23 ottobre 2007, n. 202; sez. VI, 6 giugno 2008, n. 2720; 9 aprile 2009, n. 2199; 29 luglio 2009, n. 4732; 23 settembre 2009, n. 5671; TAR Lombardia, Brescia, 12 gennaio 2007, n. 13; TAR Campania, Napoli, sez. IV, 22 gennaio 2007, n. 573; 4 luglio 2007, n. 6460; 17 aprile 2009, n. 2015; TAR Lazio, Roma, sez. III, 22 febbraio 2007, n. 1554; sez. I, 6 marzo 2007, n. 2177; 7 novembre 2007, n. 10983, sez. II, 15 maggio 2008, n. 4269; sez. I, 3 marzo 2009, n. 2191; TAR Trentino Alto Adige, Bolzano, 21 dicembre 2007, n. 394; Trento, 17 novembre 2008, n. 290; TAR Piemonte, Torino, sez. I, 19 febbraio 2008, n. 276; TAR Emilia Romagna, Parma, sez. I, 28 ottobre 2008, n. 400);

- l’eccesso di potere sotto forma di disparità di trattamento non è configurabile allorquando il termine di raffronto consista in atti non conformi a legge, essendo evidente che il soggetto illegittimamente escluso da un determinato beneficio non può invocare l’eventuale illegittimità commessa in favore di altri al fine di ottenere che essa venga compiuta anche in suo favore (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 30 settembre 2008, n. 4685; 9 aprile 2009, n. 2190; TAR Emilia Romagna, Parma, 10 gennaio 2007, n. 3; TAR Lazio, Roma, sez. I, 5 giugno 2009, n. 5419; TAR Valle d’Aosta, Aosta, sez. I, 16 settembre 2009, n. 74).

Ebbene, nella specie, non risulta, innanzitutto, dimostrato da parte ricorrente che i casi invocati a sostegno della tesi della disparità di trattamento fossero identici a quello dedotto nel presente giudizio, non essendo, segnatamente, verificabile se e su quali suoli ricadenti in zona F1 sarebbero state assentite nuove costruzioni abitative.

Nel contempo, va osservato che, seppure si trattasse di casi identici, e cioè seppure fossero stati rilasciati permessi di costruire fabbricati residenziali nel vigore del vincolo strumentale sull’anzidetta zona F1, simili provvedimenti sarebbero illegittimi alla stregua delle considerazioni svolte retro sub n. 6.2; con la conseguenza che – come premesso – il Tartaro non potrebbe, comunque, dolersi della disparità di trattamento e, quindi, invocare l’eventuale illegittimità commessa in favore di altri al fine di ottenere che essa venga compiuta anche in suo favore.

7. Tardivo e inammissibile, in quanto proposto soltanto (“incidenter tantum”) con memoria depositata il 7 giugno 2013, e, quindi, esulante dal thema decidendum definito col ricorso introduttivo del presente giudizio, risulta essere, poi, il profilo di doglianza inteso a far valere la pretesa decadenza del vincolo (strumentale) di inedificabilità rilevato nel motivo di diniego avversato con la distinta ed autonoma censura sopra scrutinata.

8. A questo punto, il Collegio osserva che la contestata violazione della destinazione di zona riservata all’area di intervento e del vincolo (strumentale) di inedificabilità gravante su di essa costituisce, in rapporto alle ulteriori ragioni di diniego (cfr. retro, sub n. 2), nucleo motivazionale del tutto autosufficiente e si rivela, quindi, suscettibile di sorreggere, di per sé, il rigetto della domanda di permesso di costruire, prot. n. 20323, del 15 novembre 2011.

Fondandosi l’impugnato provvedimento declinatorio su una motivazione plurima, solo l’accertata illegittimità di tutti i singoli profili su cui esso risulta incentrato avrebbe potuto comportare l’illegittimità e il conseguente effetto annullatorio del medesimo (cfr., in tal senso, ex multis, Cons. Stato , sez. IV, 31 maggio 2007, n. 2882; 8 giugno 2007, n. 3020; sez. V, 28 dicembre 2007, n. 6732; sez. IV, 10 dicembre 2007, n. 6325; TAR Lazio, Roma, sez. II, 16 gennaio 2007, n. 268; 28 marzo 2007, n. 2723; 4 maggio 2007, n. 3995; 2 luglio 2007, n. 5892; 1 agosto 2007, n. 7401; 3 ottobre 2007, n. 9718; sez. I, 8 gennaio 2008, n. 73; sez. II, 28 gennaio 2008, n. 608; 10 marzo 2008, n. 2165; 23 aprile 2008, n. 3505; 14 maggio 2008, n. 4127; 1 luglio 2008, n. 6346; TAR Campania, Napoli, sez. IV, 26 giugno 2007, n. 6252; Salerno, sez. II, 26 settembre 2007, n. 1918; Napoli, sez. III, 2 ottobre 2007, n. 8744; sez. VIII, 5 marzo 2008, n. 1102; Salerno, sez. II, 18 marzo 2008, n. 313; Napoli, sez. I, 17 giugno 2008, n. 5943; sez. III, 9 settembre 2008, n. 10065; sez. V, 5 agosto 2008, n. 9774; sez. VII, 6 agosto 2008, n. 9861; sez. I, 7 ottobre 2008, n. 13437; TAR Lombardia, Milano, sez. II, 30 novembre 2007, n. 6532; TAR Liguria, Genova, sez. II, 21 giugno 2007, n. 1188; sez. I, 29 novembre 2007, n. 1988; sez. II, 11 aprile 2008, n. 543; 26 novembre 2008, n. 2041; TAR Sardegna, Cagliari, sez. I, 9 novembre 2007, n. 2032; 27 ottobre 2008, n. 1847; TAR Emilia Romagna, Parma, sez. I, 17 giugno 2008, n. 314).

Una simile implicazione demolitoria risulta preclusa dalla circostanza che il rigetto della domanda di permesso di costruire, prot. n. 20323, del 15 novembre 2011 è stato infondatamente, tardivamente e inammissibilmente censurato, nella parte in cui rileva la violazione della destinazione di zona riservata all’area di intervento e del vincolo (strumentale) di inedificabilità gravante su di essa (cfr. retro, sub n. 6 e 7).

Le superiori considerazioni inducono, pertanto, a ravvisare la carenza di interesse di parte ricorrente all’accoglimento e, quindi, a predicare l’assorbimento degli ulteriori motivi di gravame, formulati avverso i nuclei argomentativi incentrati sul mancato allineamento ai fabbricati esistenti, sull’inosservanza della distanza minima tra edifici e sull’illegittimo scorporo della cubatura corrispondente ai porticati al piano terra; nuclei argomentativi in rapporto ai quali rimane distinto ed autonomo quello resistito alle censure esaminate retro, sub n. 6 e 7 (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 8 giugno 2007, n. 3020).

9. Fermo restando quanto osservato retro, sub n. 8, gli ordini doglianze rivolti ai residui punti motivazionali dell’impugnato provvedimento del 17 gennaio 2012, prot. n. 66 sono, comunque, infondati.

10. Innanzitutto, smentito per tabulas è l’assunto secondo cui non sussisterebbe la contestata violazione della distanza minima (m 10) tra edifici, non essendo rinvenibili gli elementi aggettanti riscontrati dall’amministrazione intimata.

Ed invero, è sufficiente esaminare gli elaborati grafici allegati alla domanda di permesso di costruire, prot. n. 20323, del 15 novembre 2011 e depositati in giudizio dallo stesso Tartaro il 15 marzo 2012, per avvedersi che: - sulle pareti tra loro frontistanti dei due fabbricati progettati (opposte, rispettivamente alla via Lecce ed al viale XXIV Maggio, nonché prospicienti sul previsto cortile interno) figurano elementi aggettanti costituiti da balconi; - la distanza tra le due pareti frontistanti (m 10) è stata calcolata al lordo della profondità (m 1,80) di ciascuno dei due predetti balconi; - conseguentemente, la distanza tra i due fabbricati progettati [m 10 – (1,80 + 1,80) = 6,40] risulta inferiore a quella minima consentita, tenuto conto dell’imprescindibile presenza dei rilevati elementi aggettanti.

11. Neppure, poi, può accreditarsi la tesi in base alla quale i porticati a piano terra non avrebbero dovuto computarsi nella volumetria edificatoria utilizzata.

11.1. In proposito, giova rammentare che, a tenore della disciplina dettata dal piano regolatore generale del Comune di Marcianise per le zone B, dalla cubatura urbanisticamente rilevante possono essere dedotti i “volumi tecnici”, quali, segnatamente, “le aree porticate a piano terra”.

11.2. Ebbene, tale disposizione, richiamata da parte ricorrente a sostegno della propria tesi, è da reputarsi inapplicabile al caso di specie.

Come emerge univocamente dagli elaborati grafici allegati alla domanda di permesso di costruire, prot. n. 20323, del 15 novembre 2011 e depositati in giudizio dallo stesso Tartaro il 15 marzo 2012, trattasi di porticati stabilmente ancorati al suolo e chiusi su tre lati.

Una simile circostanza elide l’invocata applicabilità della esonerativa norma pianificatoria.

In questo senso, deve, in primis, osservarsi che il porticato, in quanto suscettibile di autonomo utilizzo (e, quindi, non classificabile come pertinenza) ed avente un proprio impatto volumetrico, costituisce opera a sé stante rispetto al fabbricato adiacente e incide, quindi, in modo permanente e non precario sull’assetto edilizio (cfr. TAR Toscana, Firenze, sez. III, 17 luglio 2003, n. 2850; TAR Lazio, Latina, 19 gennaio 2007, n. 44; TAR Lombardia, Milano, sez. II, 18 giugno 2010, n. 2107).

Esso è, dunque, riconducibile al novero dei manufatti edilizi fuori terra non pertinenziali, i quali, ai sensi del comma 1, lett. e.1, dell’art. 3 del d.p.r. n. 380/2001, rivestono autonoma rilevanza urbanistica.

Conseguentemente, in omaggio al principio di prevalenza sancito dal successivo comma 2 del citato art. 3 (in base al quale “le definizioni di cui al comma 1 prevalgono sulle disposizioni degli strumenti urbanistici generali e dei regolamenti edilizi”), la disciplina dettata dal piano regolatore generale di Marcianise non può non interpretarsi – o non disapplicarsi – in conformità ad un’accezione – riveniente dall’inderogabile apparato definitorio legislativo – di ‘volume tecnico’ circoscritta ai locali “destinati agli impianti necessari per l’utilizzo dell’abitazione e che non possono essere ubicati al suo interno” (Cons. Stato, sez. IV, 28 gennaio 2011, n. 678).

Peraltro, anche a voler escludere l’autonomia individuale e funzionale dei porticati controversi ed a volervi attribuire natura civilisticamente pertinenziale, essi costituiscono parte integrante ed incidente sul complessivo assetto edilizio divisato (Cons. Stato, sez. V, 13 giugno 2006, n. 3490; TAR Piemonte, Torino, sez. I, 30 novembre 2004, n. 3531; TAR Campania, Napoli, sez. IV, 21 settembre 2002, n. 5491; Salerno, sez. II, 3 maggio 2004, n. 311; Napoli, 2 dicembre 2004, n. 18027; 10 maggio 2005, n. 5765; sez. VII, 12 dicembre 2007, n. 16226; 21 dicembre 2007, n. 16493; 24 gennaio 2008, n. 361; sez. III, 9 settembre 2008, n. 10059; sez. VI, 17 dicembre 2008, n. 21346; sez. II, 29 gennaio 2009 , n. 492; sez. VIII, 7 maggio 2009, n. 2438; TAR Emilia Romagna, Bologna, sez. II, 5 aprile 2006, n. 359; TAR Lombardia, Milano, sez. II, 4 dicembre 2007, n. 6544; TAR Abruzzo, Pescara, 9 febbraio 2008, n. 98; TAR Puglia, Lecce, sez. III, 17 novembre 2008 , n. 3323).

Come accennato, essi risultano, infatti, suscettibili di arrecare un proprio impatto volumetrico e, dacché privi dei connotati della precarietà, si presentano destinati a soddisfare esigenze non già temporanee e contingenti, ma durevoli nel tempo, con conseguente incremento del godimento dell’immobile cui ineriscono e del relativo carico urbanistico (TAR Campania, Napoli, sez. III, 9 ottobre 2007, n. 9134; sez. II, 24 gennaio 2008, n. 402; TAR Lazio, Latina, sez. I, 5 agosto 2009 , n. 771).

Militano, in particolare, in questo senso: - la realizzazione di un piano di base coperto e di almeno due superfici verticali contigue (cfr. TAR Puglia, Bari, sez. III, 8 ottobre 2009, n. 2375; TAR Campania, Napoli, sez. VIII, 7 febbraio 2013, n. 789); - le significative dimensioni (m 4,63 x 2,00 x 2,90), implicanti cospicue espansioni dei fabbricati, con funzioni strumentali, ma distinte dagli stessi (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 7 luglio 2008, n. 3379; 2 febbraio 2012, n. 615; TAR Campania, Napoli, sez. III, 9 ottobre 2007, n. 9134; sez. II, 24 gennaio 2008, n. 402; sez. VIII, 11 marzo 2010, n. 1381); - la destinazione al soddisfacimento di esigenze durevoli nel tempo, palesata dalle caratteristiche strutturali (cfr. TAR Campania, Napoli, sez. VI, 6 novembre 2008, n. 19292).

12. Destituito di fondamento si rivela, altresì, il motivo di impugnazione a tenore del quale l’addebito di mancato allineamento dei fabbricati progettati a quelli esistenti non troverebbe appigli normativi.

Ed invero, come eccepito dall’amministrazione resistente, quest’ultima, nel formulare l’addebito censurato, ha tenuto conto delle disposizioni dell’art. 46 del regolamento edilizio comunale, secondo cui, ai fini, segnatamente, della corretta armonia delle linee architettoniche, le fronti degli edifici prospicienti su vie e spazi pubblici e su vie private o comunque da questi visibili debbono soddisfare le esigenze del decoro urbano, nonché secondo cui i fabbricati di nuova costruzione debbono armonizzarsi nelle linee con gli edifici circostanti.

13. Non coglie, poi, nel segno l’ordine di doglianze incentrato sulla considerazione che le disposizioni urbanistiche poste a fondamento dei rilievi di violazione della distanza minima tra edifici e di non scorporabilità dei porticati dalla volumetria edificatoria concernerebbero non già la zona omogenea F1, bensì la zona omogenea B.

13.1. In realtà, la distanza minima tra edifici (m 10), di cui si contesta la violazione, è contemplata dall’art. 9, comma 1, n. 2, del d.m. n. 1444/1968 (che impone, appunto, per i nuovi edifici ricadenti in zone diverse dalla quella classificata A, “la distanza minima assoluta di m 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti”).

Tale previsione prevale sulla disciplina locale difforme e trova, altresì, applicazione in mancanza di statuizioni in proposito dello strumento urbanistico (cfr. Cons. Stato, sez. V, 23 maggio 2000, n. 2983).

Essa trae dall’art. 41 quinquies della l. n. 1150/1942 efficacia precettiva inderogabile (Cass., sez. II, 3 marzo 2008, n. 5741); deriva, cioè, dalla norma ‘delegante’ di rango primario la capacità di integrare con efficacia precettiva il regime delle distanze fra costruzioni di cui all’art. 872 cod. civ. (cfr. TAR Lombardia, Brescia, sez. I, 30 agosto 2007, n. 832). Sia in ragione della relativa fonte di legittimazione sia per la funzione igienico-sanitaria assolta (evitare la formazione di intercapedini malsane), costituisce, dunque, un principio inderogabile della materia, vincolando la potestà legislativa regionale, la potestà regolamentare-pianificatoria comunale e l’autonomia negoziale dei privati (cfr. TAR Lombardia, Brescia, sez. I, 3 luglio 2008, n. 788).

In particolare, nell’emanare gli strumenti urbanistici, le amministrazioni comunali, in rapporto alle distanze minime ex art. 9 del d.m. n. 1444/1968, non possono fissare distacchi inferiori (cfr. Cons. Stato, sez. V, 26 ottobre 2006, n. 6399; sez. IV, 12 marzo 2009, n. 1491), i quali, dacché contra legem, si renderebbero disapplicabili (cfr. TAR Abruzzo, L’Aquila, 27 ottobre 2002, n. 3309; TAR Liguria, Genova, sez. I, 26 marzo 2010, n. 1235) e direttamente sostituibili (cfr. TAR Campania, Napoli, sez. VIII, 9 dicembre 2010, n. 27124) con le prime dall’adito giudice amministrativo in sede di giurisdizione generale di legittimità ovvero, comunque, dallo stesso reputabili subvalenti rispetto alle prime (cfr. Cass., sez. II, 11 febbraio 2008, n. 3199).

Alla medesima stregua, in caso di lacuna della disciplina locale, i parametri di cui all’art. 9 del d.m. n. 1444/1968 sono direttamente applicabili – come accennato – in via eterointegrativa, e cioè in forza dell’efficacia precettiva riveniente dall’art. 41 quinquies della l. n. 1150/1942.

In considerazione di ciò, e tenuto conto dell’assenza di previsioni dello strumento urbanistico con specifico riguardo alla zona F1, correttamente, dunque, il Comune di Marcianise ha ritenuto operante, nella specie, la distanza minima (m 10) ex art. 9, comma 1, n. 2, del d.m. n. 1444/1968.

13.2. Quanto alla denegata scorporabilità dei porticati dalla volumetria edificatoria, se già l’imputazione di simili manufatti, da parte del piano regolatore generale con riferimento alla zona B, al novero dei ‘volumi tecnici’ si è rivelata recessiva rispetto alla prevalente e inderogabile normativa primaria ex art. 3 del d.p.r. n. 380/2001 (cfr. retro, sub n. 11.2), la mancanza di statuizioni in tal senso da parte dello stesso piano regolatore generale con riferimento alla zona F1 induce, vieppiù, a predicare l’applicabilità della predetta normativa primaria, che – come legittimamente ritenuto dall’amministrazione resistente – postula nelle opere in parola un proprio impatto volumetrico, l’attitudine a soddisfare esigenze durevoli nel tempo ed un conseguente incremento del godimento dell’immobile cui ineriscono e del relativo carico urbanistico.

14. Il Tartaro lamenta, infine, che il Comune di Marcianise non avrebbe tenuto conto delle controdeduzioni rassegnate il 13 gennaio 2012 (prot. n. 866) al preavviso di rigetto di cui alla nota del 13 dicembre 2011, prot. n. 1382.

In effetti, dell’avvenuta valutazione e reiezione di tali osservazioni viene fornita puntuale indicazione nell’impugnato provvedimento del 17 gennaio 2012, prot. n. 66, (“viste le osservazioni prodotte … con nota prot. n. 866 del 13 gennaio 2012 … ritenuto che le osservazioni stesse non hanno chiarito i dubbi palesati in sede di preliminare istruttoria”), il quale legittimamente si discosta e addiviene a conclusioni diverse da quelle propugnate dal ricorrente, sulla base di un impianto motivazionale che, per il suo tenore, non può non postulare logicamente il previo scrutinio degli elementi addotti in contrario.

D’altronde, l'obbligo di motivazione ex art. 3 della l. n. 241/1990 non avrebbe potuto tradursi – a discapito dei principi di efficacia e celerità dell’agire amministrativo – in un interminabile confronto dialettico e in una analitica replica alle osservazioni del 13 gennaio 2012 (prot. n. 866) (cfr. TAR Abruzzo, L'Aquila, 26 luglio 2004, n. 836; sez. I, 6 giugno 2007, n. 285; TAR Friuli Venezia Giulia, Trieste, 14 maggio 2005, n. 459; TAR Liguria, Genova, sez. II, 7 luglio 2005, n. 1022; TAR Sicilia, Palermo, sez. II, 7 aprile 2006, n. 772; TAR Lazio, Roma, sez. I, 4 agosto 2006, n. 6950; 14 settembre 2007, n. 8951), avendo esso per oggetto i presupposti fattuali che, all’esito di un articolato e definito contraddittorio procedimentale, avevano evidenziato, in logica e insuperata antitesi alle anzidette osservazioni, nonché in senso confermativo delle pregresse determinazioni, la legittimità del divisato diniego di permesso di costruire.

15. In conclusione, stante la ravvisata infondatezza, tardività e inammissibilità di tutte le censure proposte, il ricorso in epigrafe deve essere, nel complesso, respinto.

16. Quanto alle spese di lite, esse devono seguire la soccombenza e, quindi, essere poste a carico della parte ricorrente.

Dette spese vanno liquidate in complessivi € 1.500,00 in favore dell’amministrazione resistente.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Ottava), definitivamente pronunciando, respinge il ricorso in epigrafe.

Condanna Tartaro Antonio al pagamento delle spese ed onorari di giudizio in favore del Comune di Marcianise, che liquida in complessivi euro 1.500,00.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 11 luglio 2013 con l'intervento dei magistrati:

Antonino Savo Amodio, Presidente

Paolo Corciulo, Consigliere

Olindo Di Popolo, Primo Referendario, Estensore

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 09/10/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)