Analisi critica della proposta di Regolamento UE sulle opportunità di pesca nel Mediterraneo e nel Mar Nero. Una valutazione sulle fallacie logiche e sfide per una gestione sostenibile

di Daniela MAINENTI

La recente proposta di regolamento dell'Unione Europea sulle possibilità di pesca per il 2025 nel Mar Mediterraneo e nel Mar Nero, del 16 settembre 2024, rappresenta uno sforzo significativo per affrontare la complessa questione della gestione sostenibile delle risorse ittiche. Essa cerca di bilanciare la necessità di conservare gli stock ittici e proteggere gli ecosistemi marini con gli interessi economici e sociali delle comunità di pesca. Tuttavia, un'analisi critica di tale proposta solleva diverse preoccupazioni riguardo alla sua formulazione e alla capacità di garantire efficacemente la sostenibilità a lungo termine degli stock ittici. Alcuni aspetti della stessa sembrano, infatti, fondarsi su presupposti eccessivamente rosei, forse addirittura velleitari, e su un’interpretazione selettiva delle evidenze scientifiche. Un elemento di preoccupazione, in particolare, riguarda proprio la selettività dei dati scientifici utilizzati per sostenere le misure proposte. La proposta di regolamento, sulla base della quale il prossimo 9 e 10 dicembre dovrebbe decidere il Consiglio Europeo per poi entrare in vigore dal 1° gennaio 2025, tende, infatti, a focalizzarsi su aspetti positivi, come i miglioramenti osservati in alcuni stock ittici, trascurando altri dati che potrebbero indicare situazioni di declino o criticità per altre popolazioni di pesci. Questa visione parziale potrebbe portare a una rappresentazione eccessivamente favorevole dello stato della pesca, suggerendo un quadro di sostenibilità che potrebbe non riflettere accuratamente la realtà sebbene sia presente un costante richiamo, nei consideranda del documento, al principio di precauzione.  Così, mentre la proposta sottolinea la coerenza con le raccomandazioni della Commissione Generale per la Pesca nel Mediterraneo (CGPM) e del Comitato Scientifico, Tecnico ed Economico per la Pesca (CSTEP), non è chiaro, al contempo, in che misura essa tenga conto delle incertezze scientifiche e delle lacune nei dati. Gli ecosistemi marini, di converso, dimostrano una realtà intrinsecamente complessa e la dinamica degli stock ittici può essere influenzata da una molteplicità di fattori, tra cui cambiamenti climatici, inquinamento e interazioni tra specie. La mancanza di una discussione approfondita su questi aspetti può portare a una valutazione esageratamente positiva delle misure di gestione proposte. Un'altra questione rilevante è l'assunto implicito che le misure indicate siano sufficienti per garantire la sostenibilità degli stock ittici a lungo termine. La proposta di regolamento assume che la riduzione dello sforzo di pesca e l'implementazione di limiti di cattura contribuiranno in modo diretto alla ricostituzione degli stock. Tuttavia, questa assunzione non viene adeguatamente giustificata attraverso un'analisi dettagliata di come queste misure interagiranno con altri fattori ecologici e socioeconomici che possono influenzare la salute delle risorse. L'efficacia di tali misure può infatti essere condizionata da variabili esterne, come le condizioni ambientali e la struttura delle comunità marine. L'assenza di un'analisi approfondita su queste interazioni lascia aperta la questione se le misure proposte siano effettivamente in grado di raggiungere gli obiettivi di conservazione in modo efficace e sostenibile. La proposta, inoltre, sembra adottare un approccio generalizzante, estendendo le misure di gestione a tutte le aree e a tutti gli stock ittici nel Mediterraneo e nel Mar Nero, senza una sufficiente considerazione delle specificità regionali e delle variazioni tra gli stock. Sebbene l'intenzione sia di creare un quadro normativo unificato, è fondamentale riconoscere che ogni ecosistema marino ha caratteristiche uniche e che gli stock ittici possono rispondere in modo diverso alle stesse misure di gestione. Ad esempio, gli stock di pesci in aree con differenti pressioni di pesca, habitat e condizioni ambientali potrebbero richiedere strategie di gestione più personalizzate. La mancanza di un approccio adattativo che tenga conto delle differenze regionali e delle peculiarità degli stock rischia, pertanto, di ridurre l'efficacia delle misure proposte e di non affrontare adeguatamente le sfide della gestione sostenibile in un contesto così eterogeneo. Un ulteriore aspetto che richiede attenzione è la fiducia riposta nell'autorità della CGPM e del CSTEP senza che emerga, in più punti del documento, una sufficiente trasparenza sul processo decisionale e sulle basi scientifiche che sottendono le misure proposte. Sebbene sia fondamentale che le decisioni di gestione si basino su pareri scientifici autorevoli, la proposta europea potrebbe beneficiare di una maggiore esplicitazione dei dati e delle analisi che hanno portato alla formulazione delle raccomandazioni. La trasparenza in questo contesto infatti è cruciale per assicurare la credibilità delle misure e per garantire che le parti interessate, compresi i pescatori e le organizzazioni ambientaliste, comprendano e accettino le decisioni prese. Inoltre, la proposta sembra presentare la gestione della pesca come una scelta tra approcci estremi: -
    a) l’attuale impostazione normativa, considerata come un equilibrio tra conservazione e uso sostenibile, o 
    b) alternative drastiche come il divieto totale di pesca. 
Questo quadro non considera l'intera gamma di soluzioni possibili, né esplora in modo sufficientemente approfondito approcci innovativi o più flessibili che potrebbero offrire risultati migliori. Ad esempio, l'implementazione di strategie di gestione basate sugli ecosistemi, che considerino non solo gli stock bersaglio ma anche le interazioni tra specie e gli effetti sugli habitat marini, potrebbe rappresentare una soluzione più efficace e sostenibile nel lungo termine. In questo senso viene ampiamente riportato, nella proposta di regolamento, come sopra accennato, il principio di precauzione che, in questo contesto, gioca un ruolo centrale. Tale principio, nato, come è noto, quale strumento di gestione del rischio in condizioni di incertezza scientifica, è stato esteso alla protezione di un ampio novero di interessi, tra cui la tutela della salute umana e dell'ambiente. Tuttavia, l'applicazione del principio di precauzione presenta sfide e controversie. Il suo utilizzo estremo può comportare un'espansione del diritto penale, nonché esiti imprevedibili in sede processuale, influenzando grandemente la regolamentazione delle attività di pesca. Si tratta, in pratica, di un effetto distorsivo che ha radici profonde. Il principio di precauzione, infatti, ben noto alla dottrina tedesca, si basa su una logica diversa da quella della prevenzione. Mentre la prevenzione si fonda su rischi nomologicamente noti e prevedibili, la precauzione riguarda rischi ignoti e non escludibili. Questo approccio può portare a norme fondate su una presunzione di pericolosità, anche in assenza di evidenze empiriche definitive. Ciò può avere implicazioni significative per la regolamentazione della pesca, dove le misure precauzionali potrebbero limitare attività che non sono dimostrate come dannose, ma che non possono essere escluse come tali. Le critiche al principio di precauzione riguardano, pertanto, la sua flessibilità concettuale, che può portare a un'applicazione impropria o strumentale. Inoltre, il principio può entrare in conflitto con la necessità di bilanciare gli interessi economici e la libertà di azione con la tutela dell'ambiente e della salute. Il bilanciamento tra questi interessi può essere assai complicato, e la mancanza di criteri chiari per la sua applicazione può portare a decisioni arbitrarie. Nel contesto della proposta di regolamento sulle possibilità di pesca, dunque, l'applicazione del principio di precauzione, in un certo senso estremizzata, come appare evidente dala lettura del documento propositivo, potrebbe giustificare l'adozione di misure più restrittive per la gestione degli stock ittici. Tuttavia, è necessario che tali misure, al contrario, siano fondate su un'analisi approfondita e trasparente delle evidenze scientifiche disponibili e che tengano conto della complessità degli ecosistemi marini. Non può mancare a questa analisi, vieppiù, un'ulteriore sottolineatura alla proposta in esame. Essa riguarda la correlazione tra stazza (GT) e potenza motore (kW) dei pescherecci, spesso utilizzata per determinare la capacità di pesca e, di conseguenza, lo sforzo esercitato sugli stock ittici. Da tempo, chi scrive, non ha mancato di sottolineare l’inefficienza di tale rapporto matematico quale parametro unico di riferimento alla base della valutazione dello sforzo di pesca, eppure la proposta sembra assumere, ancora una volta, che limitare la capacità delle flotte in termini di numero di imbarcazioni, potenza motore e stazza possa ridurre efficacemente la pressione sugli stock ittici. Questa correlazione, aldilà di quanto già sottolineato in sede di analisi dottrinaria, potrebbe non riflettere accuratamente la realtà operativa della pesca, portando a conclusioni fuorvianti sulla reale efficacia delle misure di controllo. La capacità di pesca effettiva di un peschereccio dipende da una serie di fattori, tra cui la tecnologia delle attrezzature da pesca, le tecniche impiegate, la durata delle battute di pesca e l'efficienza operativa dell'equipaggio. Limitare il numero di imbarcazioni o la loro potenza e stazza potrebbe non tradursi in una riduzione proporzionale dello sforzo di pesca. Un peschereccio con una stazza minore ma dotato di attrezzature di pesca altamente efficienti potrebbe avere un impatto sugli stock ittici paragonabile, se non superiore, a quello di un'imbarcazione più grande ma meno equipaggiata. Inoltre, la proposta non affronta adeguatamente il fenomeno della "capacità latente" all'interno delle flotte. Questa si riferisce al potenziale di pesca inutilizzato all'interno di una flotta, ovvero imbarcazioni che potrebbero aumentare la loro attività in risposta a cambiamenti nelle condizioni economiche o di gestione. Senza un monitoraggio e una regolamentazione adeguata di questa capacità latente, i tentativi di controllare lo sforzo di pesca attraverso la limitazione della stazza e della potenza motore potrebbero rivelarsi inefficaci.
 Per non dire: inutili. 
D’altra parte, vi è anche il rischio che tali limitazioni incoraggino un'evoluzione tecnologica che porti a una maggiore efficienza delle imbarcazioni esistenti. Questo fenomeno, noto come "capacità di pesca latente tecnologica," potrebbe portare a un incremento dello sforzo di pesca senza un corrispondente aumento della stazza o della potenza nominale dei pescherecci. Potenziamento, tra l’altro, già preannunciato, in termini di incentivi per l’innovazione tecnologica delle imbarcazioni, proprio dall’attuale governo italiano. È dunque fondamentale che la proposta di regolamento europeo sviluppi un approccio più olistico alla gestione della capacità di pesca. Piuttosto che concentrarsi esclusivamente su metriche meccanicamente rigide come stazza e potenza motore, sarebbe opportuno, piuttosto, adottare misure che considerino l'effettivo impatto delle attività di pesca sugli ecosistemi marini. Ciò potrebbe includere una valutazione più completa delle pratiche di pesca, l'implementazione di tecnologie di monitoraggio più avanzate e l'introduzione di incentivi per la pesca sostenibile. Alla luce di queste considerazioni, la proposta appare limitata se considerata nel contesto di un'assenza di effettiva programmazione spaziale marittima. In paesi come l'Italia, per esempio, l'implementazione concreta di tale pianificazione è, ancora oggi, frammentaria e incompleta, quando non totalmente inesistente, perfino nei dibattiti istituzionali, rendendo difficile affrontare in modo integrato le molteplici attività che competono l'uso delle risorse marine. La mancanza di una strategia coordinata che includa zone di protezione, aree di pesca regolamentata e zone dedicate a specifici usi marittimi crea una situazione in cui le misure proposte rischiano di essere insufficienti per contrastare fenomeni gravissimi come la pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata (INN), figuriamoci il semplice sforzo di pesca. Pertanto, senza una chiara definizione e implementazione di tali piani, gli sforzi per regolare la pesca rischiano di essere vanificati dalla mancanza di un contesto operativo adeguato. La situazione in Italia evidenzia come questa lacuna possa compromettere gli obiettivi di gestione sostenibile delle risorse ittiche. Nonostante gli sforzi per sviluppare un quadro normativo nazionale per la pianificazione spaziale marittima, la sua attuazione è stata sinora lenta e limitata, per non dire inesistente, spesso ostacolata da conflitti di competenza tra autorità regionali e nazionali e da una mancanza di coordinamento tra i diversi settori interessati. In questo contesto, le misure proposte nella regolamentazione appaiono lontane dall'avere un impatto reale nella lotta contro la pesca illegale e distanti anni luce da una concreta riduzione della pressione sulla pesca. A titolo di esempio la questione della gestione sostenibile delle risorse ittiche nel Mar Mediterraneo e nel Mar Nero diventa ancora più complessa se consideriamo il mancato controllo di attrezzi da pesca non autorizzati, come le trappole multifilo per la cattura del pesce spada. In particolare, nella Sicilia orientale, l'uso di queste trappole è un problema significativo. Nonostante non siano attrezzi autorizzati dal Ministero, vengono ampiamente utilizzati e sfuggono spesso alla verifica da parte degli organi di controllo. Questo fenomeno rappresenta una seria violazione delle norme di pesca e contribuisce in modo preoccupante allo sfruttamento eccessivo di una risorsa già in stato di sofferenza. Le trappole multifilo per la cattura del pesce spada sono particolarmente dannose per la sostenibilità degli stock ittici. Il pesce spada è una specie migratrice e ha già subito una significativa pressione di pesca negli ultimi decenni. L'utilizzo di attrezzi non autorizzati come la tipologia citata aggrava ulteriormente la situazione, poiché spesso queste trappole catturano non solo gli individui bersaglio, ma anche numerose altre specie, compresi esemplari giovani e in fase di riproduzione. Questo impatto negativo compromette la capacità di rigenerazione degli stock ittici, minando gli sforzi di conservazione e gestione sostenibile. L'assenza di un controllo efficace su questi attrezzi di pesca più tecnologici non autorizzati, ma neanche esplicitamente vietati, evidenzia una significativa lacuna nell'attuazione delle politiche di pesca e nella operatività delle azioni di controllo. Ciò porta a una situazione in cui le norme esistenti non sono sufficientemente applicate, e l'uso di attrezzi illegali, come le summenzionate trappole multifilo, può continuare senza conseguenze ponendo a rischio non solo la sostenibilità degli stock di pesce spada, ma, anche, minando la fiducia degli operatori nelle istituzioni e nella capacità delle politiche di pesca di garantire una gestione sostenibile, ma soprattutto equa, delle risorse. Questo problema è strettamente connesso alla necessità di un approccio più integrato alla gestione delle risorse marine, che includa una pianificazione spaziale marittima efficace e l'applicazione rigorosa, attraverso i controlli, delle norme esistenti. La mancanza di un quadro di riferimento spaziale ben definito e l'assenza di un monitoraggio adeguato delle attività di pesca illegale, e del suo approdo nel mercato dell’intera filiera, rendono difficile il raggiungimento degli obiettivi di conservazione. Un miglioramento delle attività di sorveglianza e controllo, unitamente a una regolamentazione più rigorosa e a una maggiore consapevolezza tra i pescatori, è essenziale per prevenire l'uso di attrezzi non autorizzati e per promuovere pratiche di pesca sostenibili. Incorporare una gestione adattativa e applicare il principio di precauzione, ma anche di prevenzione, in questo contesto significa anche essere proattivi nell'identificare e mitigare gli impatti degli attrezzi da pesca illegali o più invasivi. Le autorità devono adottare misure concrete per identificare e reprimere l'uso di attrezzi sempre più potenti e aggressivi, spesso utilizzati da chi esercita la pesca in forme diverse o abusive, garantendo che tali attività siano condotte in modo conforme alle normative, ma, al contempo, è fondamentale che il legislatore europeo costruisca una regolamentazione davvero appropriata. Questo potrebbe includere un aumento delle risorse dedicate al controllo e alla sorveglianza, l'uso di tecnologie di monitoraggio più avanzate, la cybersecurity e l’intelligenza artificiale potrebbero essere utilizzate ampiamente in questo ambito, e la promozione di una maggiore collaborazione tra gli organi di controllo, le comunità di pesca e le organizzazioni ambientaliste. La gestione efficace delle risorse ittiche nel Mediterraneo richiede, dunque, un approccio integrato che affronti non solo le questioni di regolamentazione, ma anche l'applicazione pratica delle norme. Il caso dell’uso delle trappole più avanzate e innovative per la cattura di risorse marine già in sofferenza rappresenta una sfida significativa per la sostenibilità degli stock ittici. Affrontare questo problema è essenziale per garantire la conservazione delle specie marine e per promuovere una pesca responsabile e maggiormente in linea con gli obiettivi che si propone di raggiungere la proposta di regolamento alla luce del principio di precauzione approcciato in modo adeguato e corretto. In definitiva, per rendere davvero efficaci le misure proposte e per avanzare nella lotta contro la pesca illegale, è essenziale che l'Unione Europea e gli Stati membri investano nello sviluppo e nell'attuazione di una pianificazione spaziale marittima integrata. Solo attraverso un approccio coordinato che includa la definizione di zone di gestione e la protezione degli habitat critici sarà possibile creare le condizioni necessarie per una pesca sostenibile e per il contrasto efficace delle attività illegali nel Mediterraneo e nel Mar Nero.
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