Campionamento di scarichi pericolosi. Il Consiglio di Stato contro la Cassazione

di Gianfranco AMENDOLA

pubblicato su osservatorioagromafie.it. Si ringraziano Autore ed Editore

1. La normativa italiana sul punto di campionamento degli scarichi. - 2. La giurisprudenza della Cassazione sul punto di campionamento. - 3. La sentenza del Consiglio di Stato 21 gennaio 2021, n. 652. - 4. Conclusioni.

1 . - La normativa italiana sul punto di campionamento degli scarichi. Sappiamo tutti che la normativa ambientale italiana presenta gravi e numerosi difetti «di fattura» cui spesso ha dovuto rimediare la giurisprudenza. Desta, pertanto, massima preoccupazione il delinearsi di un grave conflitto tra Cassazione e Consiglio di Stato su un argomento molto rilevante per la tutela dell’ambiente che attiene alla identificazione del punto di campionamento per il controllo degli scarichi industriali pericolosi.

Come è noto, il d.lgs. n. 152/06 stabilisce, in proposito, la regola generale che il campionamento «salvo quanto previsto dall’articolo 108, comma 4, va effettuato immediatamente a monte della immissione nel recapito in tutti gli impluvi naturali, le acque superficiali e sotterranee, interne e marine, le fognature, sul suolo e nel sottosuolo» (art. 101, comma 3), con la eccezione dell’art. 108, comma 5 ( e non 4) secondo cui, per gli scarichi industriali con sostanze pericolose «il punto di misurazione dello scarico è fissato secondo quanto previsto dall’autorizzazione integrata ambientale (...) e, nel caso di attività non rientranti nel campo di applicazione del suddetto decreto, subito dopo l’uscita dallo stabilimento o dall’impianto di trattamento che serve lo stabilimento medesimo ».

Ed è appena il caso di ricordare che l’eccezione dell’art. 108 è stata introdotta a seguito della condanna del nostro Paese da parte della Corte europea di giustizia, la quale, con riferimento al recepimento della direttiva 83/513/CEE sugli scarichi di cadmio, nel 1990 aveva rilevato che «la normativa italiana prevede che la misurazione dei valori limite deve essere effettuata a monte del punto di immissione nei corpi ricettori, mentre l’art. 3, n. 2 della direttiva prescrive che queste misurazioni vengano effettuate nel punto di emissione delle acque di scarico, ossia all’uscita delle stesse dallo stabilimento industriale o dall’impianto di trattamento»1.

Trattasi di regole che, in ogni caso, devono essere lette nel contesto generale in cui si inseriscono, tenendo conto soprattutto dei commi 4 e 5 dell’art. 101, i quali conferiscono massima libertà agli organi di controllo «per l’accertamento delle condizioni che danno luogo alla formazione degli scarichi», incluso il potere di richiedere che scarichi parziali contenenti sostanze pericolose «subiscano un trattamento particolare prima della loro confluenza nello scarico generale»; con divieto assoluto («in alcun caso») di camuffare mediante diluizione la qualità dello scarico, prescrivendo, a tal fine, che gli scarichi terminali con sostanze pericolose siano separati dagli scarichi delle acque di raffreddamento, di lavaggio, ovvero impiegate per la produzione di energia 2.

A questo punto, appare del tutto evidente che la ratio complessiva delle disposizioni relative al campionamento consiste nell’intento sostanziale di evitare che sostanze pericolose vengano immesse nell’ambiente tramite scarichi, prescrivendo, a tal fine, che i controlli siano effettuati, ove necessario, su singoli scarichi del ciclo produttivo prima della confluenza nello scarico finale, in modo da garantire la massima rappresentatività reale sulla natura, qualità e pericolosità degli scarichi stessi.

2. - La giurisprudenza della Cassazione sul punto di campionamento. In tal senso, del resto, si è sempre espressa la giurisprudenza della Suprema Corte la quale, sin dal 1994, occupandosi del divieto di diluizione 3, precisava che «il divieto di diluizione delle acque deve essere interpretato quale principio generale ed assoluto in materia di regolamentazione degli scarichi (...), non solo per ragioni letterali, ricavabili dall’espressione “ in nessun caso” ma per motivi logici e sistematici, in quanto si mira ad assicurare un risultato certo ossia rispondenza dei limiti di accettabilità alla reale natura dello scarico del ciclo produttivo specifico; di conseguenza, i prelievi devono essere eseguiti sullo scarico dello specifico ciclo produttivo, prima della confluenza con scarichi parziali utilizzanti acque prelevate per operazioni complementari ed accessorie (acque di raffreddamento, di lavaggio e simili), onde evitare il fenomeno della diluizione con il ricorso al mixing di tutte le acque comunque fornite dall’insediamento e il conseguente abbassamento surrettizio dei valori limite stabiliti dalla legge» 4; evitando, in tal modo «che fittiziamente gli standard risultino più bassi e, quindi, nella norma» 5.

Più in generale, un esame anche sommario della giurisprudenza della Cassazione evidenzia con chiarezza che la Suprema Corte privilegia, a proposito del campionamento, l’obiettivo sostanziale di accertare, al di là di regole formali tassative, la reale composizione di uno scarico che possa provocare pericolo all’ambiente; tanto è vero che, ad esempio, «le indicazioni sulle metodiche di prelievo e campionamento del refluo, contenute nell’Allegato 5 alla parte II del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, nello specificare che la metodica normale è quella del campionamento medio non stabiliscono un criterio legale di valutazione della prova, in quanto è consentito all’organo di controllo procedere con modalità diverse di campionamento, anche istantaneo, qualora ciò sia giustificato da particolari esigenze, costituite dal tipo di scarico o dal tipo di accertamento» 6.

Nello stesso quadro, quindi, «il campionamento del refluo industriale, al fine di accertare il reato di superamento dei parametri tabellari deve essere eseguito, in caso di confluenza tra acque di processo ed acque di diluizione, sullo scarico proveniente dal ciclo lavorativo (art. 108, d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152) e non sullo scarico finale» 7.

Infatti «le sostanze nocive non devono superare i limiti tabellari al momento dello scarico “dall’impianto di trattamento” (o dopo l’uscita dello stabilimento, solo se esiste un solo impianto di trattamento). Invero nelle ipotesi di più linee produttive con impianti di trattamento, i limiti non devono essere superati, dopo ognuno di essi; mentre all’uscita dello stabilimento se presente una sola linea di trattamento. È questa l’unica interpretazione che evita l’accertamento dopo la confluenza delle acque di processo produttivo con le acque di diluizione, con risultati non genuini». In altri termini, « è lo scarico proveniente dal ciclo produttivo che deve risultare nei limiti tabellari, non lo scarico finale – unito ad acque di diluizione. Infatti la norma, art. 108, comma 5, citato, non a caso indica i punti di accertamento sia in quello “subito dopo l’uscita dallo stabilimento” e sia in quello “dall’impianto di trattamento”; con una disgiunzione “o”, chiara, o l’uno o l’altro, a seconda della conformazione dell’impianto produttivo; unico – la prima ipotesi, subito dopo l’uscita dallo stabilimento – o con più linee produttive – la seconda ipotesi, dall’impianto di trattamento». E pertanto «l’indicazione contenuta nell’autorizzazione non rileva per i controlli, come quello in oggetto» 8.

3. - La sentenza del Consiglio di Stato 21 gennaio 2021, n. 652. A fronte di questo quadro consolidato – a nostro sommesso avviso, totalmente condivisibile – si deve registrare una recentissima sentenza del Consiglio di Stato 9 che afferma esattamente il contrario, sancendo che nel caso di impianto soggetto ad autorizzazione integrata ambientale (AIA) non è consentito frammentare un impianto unitario in più sezioni, e pretendere da ciascuno scarico, quelli parziali come quello finale, il rispetto da parte dell’impresa dei valori limite delle sostanze pericolose sanzionando eventuali sforamenti rispetto ai limiti; aggiungendo che il rispetto dei valori limite deve controllare quanto l’impianto nel suo complesso inquina l’ambiente, e va quindi valutato misurandoli nello scarico «finale», cioè in un punto situato fra l’uscita dall’impianto stesso e l’entrata dello scarico nell’ambiente; precisando altresì che la normativa (art. 108, comma 5, d.lgs. n. 152/2006) prevede che negli impianti complessi soggetti ad AIA si possano stabilire punti di prelievo aggiuntivi diversi da quello finale ma essi rilevano solo per un migliore controllo tecnico dell’impianto, e non rilevano a fini «fiscali» (cioè al fine del rispetto dei valori limite di legge e sanzionatorio).

Rinviando alla lettura integrale della sentenza, sembra sufficiente, in questa sede, ricordare che, nel caso di specie, si trattava di uno stabilimento che produce «acque reflue, provenienti sia dal processo produttivo vero e proprio, sia dal raffreddamento dei prodotti d’acciaio, e per depurarle le convoglia attraverso un sistema di tubazioni e impianti di pompaggio al depuratore finale, che le scarica nel fiume Dora Baltea attraverso il punto di scarico denominato “SA01”», dando luogo a scarichi parziali derivanti dal trattamento di sostanze pericolose, che confluiscono nello scarico finale; di modo che l’autorizzazione imponeva, al fine di controllare il rispetto dei limiti, la prescrizione di effettuare il campionamento anche su questi scarichi parziali «ritenendo in sintesi estrema che, in presenza di scarichi contenenti le sostanze pericolose di cui si è detto, imporla rientri nei poteri dell’amministrazione»; prescrizione che la sentenza ritiene, invece, sostanzialmente irrilevante in quanto «negli impianti più complessi l’AIA per essi prevista può stabilire punti di prelievo aggiuntivi, diversi da quello finale a fini fiscali, nel senso che servono esclusivamente ad un migliore controllo tecnico dell’impianto. Nel caso di specie, l’AIA rilasciata è quindi da considerare legittima nella parte in cui prevede i punti di prelievo addizionali, illegittima nella sola parte in cui prevede che essi rilevino ai fini fiscali».

Insomma, per il Consiglio di Stato quello che conta, ai fini del rispetto dei limiti di legge (con relative sanzioni, in caso di superamento) è solo e sempre il campionamento sullo scarico finale, mentre sono del tutto irrilevanti, a tal fine, i campionamenti effettuati sugli scarichi parziali interni contenenti sostanze pericolose, anche se la legge stessa prevede possano essere imposti con l’AIA.

4 - Conclusioni. Prescindiamo, pure, da osservazioni «di contorno» che pure la sentenza ispira: non solo rispetto all’equiparazione (a noi ignota) di una valutazione penale a quella «fiscale» o della inedita distinzione terminologica tra «punti di misurazione» e «punti di campionamento» (come se il campionamento non servisse alla misurazione); ma anche e soprattutto quando afferma che «il campionamento di uno scarico è solo una misurazione, non un “trattamento”, inteso come un qualche processo chimico ovvero fisico al quale le acque reflue vengano sottoposte»; come se un campionamento su uno scarico derivante dal trattamento di sostanze pericolose non servisse a verificare la efficacia proprio del trattamento rispetto ai limiti di legge; o quando, con grande benevolenza, esclude la rilevanza del divieto di diluizione in quanto manca la prova che la miscelazione con altri scarichi (quali le acque di raffreddamento) avveniva «per esclusive ragioni artificiose di diluizione, e non per ragioni tecniche dipendenti dall’assetto complessivo dell’impianto».

Ciò che, a nostro sommesso avviso, è totalmente inaccettabile è la conclusione della sentenza secondo cui, in contrasto con la lettera e con la sostanza del dato normativo, ai fini penali quello che conta è il risultato del campionamento sullo scarico finale senza che abbia alcuna rilevanza il fatto di conseguire i limiti di legge non abbattendo le sostanze pericolose ma diluendole con altri scarichi o con altri artifici ed espedienti quali bypass, deviazioni ecc.

Conclusione cui, pur con tutto il rispetto che si deve al massimo organo della nostra giustizia amministrativa, il Consiglio di Stato perviene sulla base di una interpretazione solo formale e del tutto parziale, che non solo annulla, di fatto, il potere previsto dalla legge di fissare diversi punti di campionamento nell’AIA, ma ignora la chiarissima ratio della normativa nel suo complesso, la quale, come abbiamo visto, si propone l’obiettivo sostanziale di accertare, al di là di regole formali tassative, la reale composizione di uno scarico che possa provocare pericolo all’ambiente; senza neppure menzionare (ed, eventualmente, criticare) la ben più convincente e approfondita ricostruzione analitica della Cassazione che giunge alla conclusione diametralmente opposta.

Resta solo da sperare che il Consiglio di Stato riveda al più presto questo orientamento, che ha generato e sta generando incertezza (con conseguente immobilismo) in una fase delicatissima relativa al controllo dell’inquinamento da sostanze pericolose.

1 Corte di giustizia CE 13 dicembre 1990, in causa C-70/89, in Riv. giur. amb., 1991, 477. Cfr., in proposito, anche la direttiva n. 91/271/CEE sul trattamento delle acque reflue urbane [Allegato 1, lett. d)], secondo cui «2. I campioni su ventiquattro ore o proporzionali alla portata sono raccolti nel medesimo punto, esattamente definito, allo sbocco e, se necessario, all’entrata dell’impianto di trattamento per controllare la loro conformità con i requisiti alle acque reflue scaricate specificati nella presente direttiva».

2 Nello stesso quadro, cfr. anche art. 108, comma 5, secondo cui «l’autorità competente può richiedere che gli scarichi parziali contenenti le sostanze della tabella 5 del medesimo Allegato 5 siano tenuti separati dallo scarico generale e disciplinati come rifiuti. Qualora, come nel caso dell’articolo 124, comma 2, secondo periodo, l’impianto di trattamento di acque reflue industriali che tratta le sostanze pericolose, di cui alla tabella 5 del medesimo Allegato 5, riceva, tramite condotta, acque reflue provenienti da altri stabilimenti industriali o acque reflue urbane, contenenti sostanze diverse non utili ad un modifica o ad una riduzione delle sostanze pericolose, in sede di autorizzazione l’autorità competente ridurrà opportunamente i valori limite di emissione indicati nella tabella 3 del medesimo Allegato 5 per ciascuna delle predette sostanze pericolose indicate in Tabella 5, tenendo conto della diluizione operata dalla miscelazione delle diverse acque reflue».

3 Ovviamente con riferimento alla legge in vigore all’epoca (con la stessa formulazione).

4 Cass. Sez. III Pen. 29 luglio 1994, n. 8487, Groenen, in questa Riv., 1996, 115. Nello stesso senso, cfr. Cass. Sez. III Pen. 6 luglio 1999, n. 11006, Vichi, in Ambiente e sicurezza, Il Sole 24 ore, 1999, n. 21, 120. secondo cui «(...) il divieto di diluizione deve essere interpretato quale principio generale ed assoluto in materia di regolamentazione degli scarichi non solo per ragioni testuali (come si rileva dalla espressione “in ogni caso” dell’art. 9, comma 4, legge n. 319/1976), ma per ragioni logiche, in quanto si mira ad assicurare, da una parte, un risultato certo attraverso la rappresentatività e rispondenza dei limiti accertati rispetto a quelli legali in relazione alla reale natura del contenuto dello scarico, e dall’altra una più efficace protezione della qualità dei corpi recettori (...). Giustamente i prelievi sono stati eseguiti sugli scarichi specifici del ciclo produttivo (subito dopo l’uscita dal depuratore, in un apposito pozzetto), prima della confluenza con altri scarichi, pur provenienti dallo stesso insediamento produttivo, ma aventi natura diversa (scarichi di acque di raffreddamento delle mense e dei servizi igienici, confluenti in un pozzetto comune successivo)».

5 Cass. Sez. III Pen. 9 aprile 2001, n. 19126 (c.c.), Fiorini, in Rivistambiente, 2001, n. 9, 984, la quale prosegue affermando che, di conseguenza, «bisogna tenere distinti, ai fini del controllo, gli scarichi specifici dell’insediamento produttivo da altri scarichi che abbiano utilizzato comunque acque di diluizione perché i limiti tabellari non possono essere raggiunti con immissione di acque di raffreddamento o di lavaggio». Per la giurisprudenza amministrativa, cfr. nello stesso senso, T.A.R. Veneto, Sez. III 20 ottobre 2009, n. 2624, in AmbienteDiritto.it. In dottrina, per approfondimenti e richiami, si rinvia a Ramacci, Brevi osservazioni in tema di divieto di diluizione degli scarichi , in www.lexambiente.it, 30 novembre 2001, nonché al nostro Il diritto penale dell’ambiente, Roma 2017, 137 e ss.

6 Cass. Sez. III Pen. 17 dicembre 2018, n. 56670, T.E. ed a., inwww.lexambiente .it. 12 gennaio 2019, cui si rinvia anche per richiamo di precedenti.

7 Cass. Sez. III Pen. 17 giugno 2011, n. 24426 (c.c.), Bruni, in www.lexambiente.it, 28 maggio 2012.

8 Cass. Sez. III Pen. 12 gennaio 2017, n. 1296, Seghezzi, in www.lexambiente.it, 19 luglio 2018.

9 Cons. Stato, Sez. Sez. V 21 gennaio 2021, n. 652, in www.osservatorioagromafie.it.