Cass. Sez. III n. 7399 del 25 febbraio 2020 (CC  13 nov 2019)
Pres. Izzo Est. Semeraro Ric. Calise
Urbanistica.Incidenti di esecuzione

Nell’incidente di esecuzione ove si accerti che: l’opera non è suscettibile di rilascio di permesso in sanatoria; sia stato notificato l’ordine di demolizione da parte del comune; non essendo stata eseguita la demolizione, sia avvenuta l'acquisizione gratuita dell'opera abusiva al patrimonio disponibile del Comune; il Consiglio comunale non abbia deliberato il mantenimento dell'opera, l’unica possibilità per il condannato è chiedere la revoca dell’ordine di demolizione dell’a.g. al fine di procedere spontaneamente alla demolizione. Ogni altra richiesta è pertanto priva di interesse

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 3 aprile 2019 la Corte di appello di Napoli ha rigettato l’incidente di esecuzione proposto da Virgilio Calise per la sospensione e la revoca dell’ordine di demolizione emesso il 14 settembre 2009 dalla Procura Generale presso la Corte di appello di Napoli, a seguito della sentenza del Tribunale di Napoli, sezione distaccata di Ischia, del 13 gennaio 2003, parzialmente riformata dalla Corte di appello di Napoli del 7 febbraio 2006, irrevocabile il 19 dicembre 2006, per i reati ex art. 20 lett. c) legge 47/1985, per avere realizzato un manufatto al rustico, costituito da perimetrali in muratura, di mq. 57 con altezza di m. 3,5, in assenza della concessione edilizia, con opere in cemento armato senza la previa denuncia dei lavori al genio civile e la direzione dei lavori (art.2,13,4 e 14 legge 1086/1971), in zona sottoposta a vincolo paesaggistico ambientale in assenza della prescritta autorizzazione (art. 163 d.lgs. 490/1999).
I fatti furono accertati in Lacco Ameno il 29 novembre 2001.
 
2. Avverso l’ordinanza della Corte di appello ha proposto ricorso per cassazione il difensore di Virgilio Calise.
2.1. Dopo aver riportato l’iter del procedimento, il contenuto dell’incidente di esecuzione, la motivazione dell’ordinanza impugnata, con il primo motivo si deduce il vizio della motivazione per avere la Corte di appello omesso la decisione sull’istanza di sospensione dell’ordine di esecuzione per la prevedibile emissione di provvedimenti amministrativi con esso incompatibili, in base alla documentazione acquisita, ed all’art. 25 comma 2 del d.l. 109/2018, convertito dalla legge 130/2018, al ricorso al Tar pendente avverso il silenzio-rifiuto.
La Corte di appello avrebbe motivato solo sul rigetto dell’istanza di revoca dell’ordine di demolizione.
La Corte di appello avrebbe poi ritenuto erroneamente che l’opera ricada nella zona R.U.A. di inedificabilità assoluta, perché il P.T.P. di Ischia non precederebbe nella zona R.U.A. tale vincolo, posto invece nella zona P.I. (protezione integrale).
Quanto ai danni subiti per il terremoto, l’ordinanza non avrebbe tenuto conto che l’art. 25 del d.l. 109/2018 non richiede, ai fini della condonabilità, particolari accertamenti né verifiche della tipologia dei danni subiti per il sisma.
La Corte di appello avrebbe poi errato nel ritenere improcedibile l’istanza di condono, mentre sarebbe stato emesso solo un preavviso di improcedibilità, atto endo procedimentale non definitivo.
Si contesta poi la decisione laddove ha ritenuto rispettato il termine di 6 mesi dall’entrata in vigore della legge 130/2018, termine che invece sarebbe scaduto il 19 maggio 2019, quindi dopo la decisione impugnata.
2.2. Con il secondo motivo si deduce il vizio della motivazione quanto alla dedotta violazione degli art. 6, par. 1, 2 e 8 della Cedu.
La Corte di appello avrebbe omesso di motivare sulla richiesta di applicazione dei principi espressi dalla sentenza Ivanova del 21 aprile 2016 della Corte edu e sulla proporzionalità dell’ordine di demolizione.
Dopo aver riportato la motivazione dell’ordinanza impugnata, si elencano una serie di sentenze della Cedu i cui principi la Corte di appello avrebbe violato con il provvedimento in esame in tema di esercizio del diritto di difesa e sulla proporzionalità.
La Corte di appello avrebbe omesso anche di motivare sulla questione dedotta per cui l’esecuzione dell’ordine di demolizione dopo 15 anni concretizzerebbe la violazione degli artt. 8 e 6 par. 1 della Cedu, a fronte dell’inerzia della p.a. tale da ingenerare un legittimo affidamento nell’esecutato.
Il ricorrente ritiene poi che l’ordine di demolizione abbia natura di sanzione penale, in base alle sentenze della Corte edu richiamate nel ricorso.
Si ritiene violato l’art. 6 par. 1 della Cedu per il tempo decorso, pari a 15 anni, per l’inerzia della Procura Generale.
2.3. Con il terzo motivo si deduce il vizio della motivazione in relazione alla dedotta violazione dell’art. 649 cod. proc. pen. ed agli effetti della sentenza Grande Stevens contro Italia depositata il 4 marzo 2014.
Si contesta la motivazione per relationem adottata dalla corte territoriale rispetto al parere della Procura Generale.
Il richiamo alla sentenza Grande Stevens sarebbe giustificato dal fatto che la sanzione amministrativa inflitta dal comune di Lacco Ameno sarebbe divenuta definitiva.
La sanzione amministrativa divenuta definitiva, inflitta dal comune di Lacco Ameno, avrebbe natura penale, ed implicherebbe così l’improcedibilità del processo penale, perché mentre l’art. 31 comma 9 d.P.R. 380/2001 comporta in fase esecutiva la distruzione fisica della res abusiva, quella comunale, laddove il contravventore non vi ottemperi, comporta l’acquisizione al patrimonio dell’ente non solo dell’immobile realizzato senza titolo ma anche dell’area di sedime e di quella accessoria cd. di pertinenza urbanistica.
Si ribadisce la questione di legittimità costituzionale dell’art. 649 cod. proc. pen., per violazione degli artt. 117 Cost., in relazione all’art. 4 del protocollo n. 7 allegato alla convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, nella parte in cui non prevede l’applicabilità del divieto di secondo giudizio al caso in cui l’imputato sia risultato destinatario per il medesimo fatto, nell’ambito di un procedimento amministrativo, di un provvedimento definitivo volto all’applicazione di una sanzione alla quale debba riconoscersi natura penale, secondo la giurisprudenza della Corte Edu.
2.4. Con il quarto motivo si deduce il vizio della motivazione in relazione alla dedotta violazione degli art. 3 e 97 Cost. sotto il profilo della mancata osservanza dei canoni di ragionevolezza e di buon andamento dell’amministrazione della giustizia nell’organizzazione della tempistica delle procedure finalizzate alla materiale demolizione di manufatti abusivi, nonché in relazione alla dedotta violazione del provvedimento adottato dal procuratore generale presso la Corte di appello di Napoli il 10 dicembre 2015.
2.5. Con il quinto motivo si deduce il vizio della motivazione ex art. 606 lett. e) cod. proc. pen.; vi sarebbe un difetto di motivazione quanto alla dedotta inesistenza del titolo esecutivo in parte qua.
La demolizione comprenderebbe anche interventi eseguiti successivamente alla sentenza di condanna che sarebbero indipendenti rispetto al manufatto descritto in sentenza ed oggetto di ordine di demolizione; sicchè la demolizione delle opere potrebbe avvenire senza la rimozione delle opere realizzate successivamente. Ciò emergerebbe dalla c.t. di parte riportata nel ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Va preliminarmente rilevato che la Corte di cassazione, Sez. 3, con la sentenza n. 21961 del 2013, ha rigettato il ricorso proposto da Virginio Calise avverso l’ordinanza del 29 settembre 2010 con la quale la Corte d'appello di Napoli respinse l'istanza di revoca dell'ingiunzione alla demolizione di opere edili indicate dalla sentenza della corte di appello di Napoli del 7 febbraio 2006 emessa nei confronti di Virginio Calise.
Il ricorrente chiese la revoca adducendo la carenza di titolo dell'ingiunzione (avendo la sentenza di condanna emesso solo ordine di ripristino dello stato dei luoghi e non l’ordine di demolizione del manufatto abusivo), la presentazione di istanza di concessione in sanatoria con pagamento della somma dovuta a titolo di oblazione e l'estraneità della proprietaria del suolo al reato con conseguente inopponibilità del titolo alla stessa.
La Corte di cassazione, in quella sede ritenne infondata la tesi della inesistenza del titolo, poiché, ad avviso del ricorrente, l'ordine di ripristino dello stato dei luoghi non coincide con l'ordine di demolizione del fabbricato, rilevando che «poiché la modifica dello stato dei luoghi era consistita, come evidenzia l'ordinanza, nella costruzione dell'opera edile abusiva».
La Corte di cassazione ribadì la costante giurisprudenza per cui «la formale distinzione non rileva qualora si tratti di provvedimenti che nella fattispecie concreta assumono identico contenuto».
Dunque, secondo quanto affermato dalla Corte di cassazione, l’ordine di rimessione in pristino contiene in sé l’ordine di demolizione. Il punto non può pertanto essere messo più in discussione.

2. Il primo motivo di ricorso è infondato.
2.1. Quanto alla condonabilità delle opere, deve rilevarsi che la questione era stata già oggetto del precedente incidente di esecuzione e la Corte di appello aveva rigettato l’istanza ritenendo che, trattandosi di opera insistente in zona assoggettata a vincolo paesaggistico- ambientale, non era ipotizzabile la sanatoria amministrativa dell'illecito.
In ogni caso, a prescindere dalla riproposizione della questione, risulta chiaramente dalla lettura dell’ordinanza impugnata che il comune di Lacco Ameno ha comunicato che l’istanza di sanatoria non può essere accolta perché ha ad oggetto un’opera del tutto diversa da quella originariamente ed abusivamente realizzata, poiché nel tempo è avvenuta la costruzione di nuove volumetrie, fino a giungere a mq. 114,64 (secondo quanto emerge dalle allegazioni difensive), con un patio di mq. 21,66, ed il completamento dell’opera, rifinito ed abitato.
Pertanto, correttamente la Corte di appello ha rigettato l’incidente di esecuzione ritenendo non condonabili le opere.
2.2. Ciò rende del tutto irrilevante la questione dedotta sull’eventuale omessa risposta sull’istanza di sospensione dell’ordine di demolizione perché, secondo la costante giurisprudenza, qualora la procedura amministrativa non si sia ancora risolta, il giudice deve effettuare una valutazione di prognosi sui tempi di definizione sui possibili esiti del procedimento amministrativo pendente, sussistendo i presupposti per la sospensione dell'esecuzione solo qualora il procedimento amministrativo possa essere risolto favorevolmente in tempi rapidi.
La Corte di appello ha escluso, con una motivazione ineccepibile, che siano possibili esiti favorevoli della domanda di condono edilizio.
2.3. Sono pertanto del tutto irrilevanti le questioni dedotte sull’eventuale errore in cui sarebbe incorsa la Corte di appello sulla sussistenza o meno del vincolo di inedificabilità assoluta.
2.4. Manifestamente infondato è poi il motivo nella parte in cui invoca l’applicazione dell’art. 25 del d.l. 109/2018, convertito con modificazioni dalla legge L. 16 novembre 2018, n. 130 poiché tale norma si applica esclusivamente, come correttamente ritenuto dalla Corte di appello, alle «istanze di condono relative agli immobili distrutti o danneggiati dal sisma del 21 agosto 2017»: nulla su tali danni risulta allegato dal ricorrente.

3. Gli altri motivi sono manifestamente infondati per le seguenti considerazioni.
3.1. Nel ricorso si richiamano le sentenze della Corte Edu senza alcun collegamento tra il fatto oggetto dell’incidente di esecuzione e quello che ha dato luogo alle sentenze citate
3.2. Secondo il costante orientamento della giurisprudenza, in tema di reati edilizi, l'ordine di demolizione adottato dal giudice ai sensi dell'art. 31 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, al pari delle altre statuizioni contenute nella sentenza definitiva, ha natura di provvedimento giurisdizionale, anche se applicativo di sanzione amministrativa, ed è soggetto all'esecuzione nelle forme previste dal codice di procedura penale (Sez. 3, n. 30679 del 20/12/2016, dep. 2017, Pintacorona, Rv. 270229 – 01).
L'ordine di demolizione del manufatto abusivo disposto con la sentenza di condanna assolve ad una funzione ripristinatoria del bene leso, non ha finalità punitive ed ha carattere reale, con effetti sul soggetto che si trova in rapporto con il bene, anche se non è l'autore dell'abuso; di conseguenza, la corte ha escluso che ad esso si applichi la disciplina della prescrizione stabilita dall'art. 173 cod. pen. per le sanzioni penali: all’ordine di demolizione non si applica alcuna prescrizione né è suscettibile di estinzione per decorso del tempo (Sez. 3, n. 43006 del 10/11/2010, La Mela, Rv. 248670 – 01).
3.3. La tesi del ricorrente sulla natura di pena dell’ordine di demolizione è manifestamente infondata in diritto.
La giurisprudenza ha costantemente escluso che l'ordine di demolizione possa ricondursi alla nozione convenzionale di «pena» nel senso elaborato dalla giurisprudenza della Corte EDU (Sez. 3, n. 3979 del 21/09/2018, dep. 2019, Cerra srl, Rv. 275850 – 02), alla cui motivazione si rimanda per ragioni di sintesi.
Si veda anche Sez. 3, n. 41475 del 03/05/2016, Porcu, Rv. 267977 – 01, che ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, per violazione degli artt. 3 e 117 Cost., dell'art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001 per mancata previsione di un termine di prescrizione dell'ordine di demolizione del manufatto abusivo disposto con la sentenza di condanna, in quanto le caratteristiche di detta sanzione amministrativa - che assolve ad una funzione ripristinatoria del bene leso, configura un obbligo di fare per ragioni di tutela del territorio, non ha finalità punitive ed ha carattere reale, producendo effetti sul soggetto che si trova in rapporto con il bene, anche se non è l'autore dell'abuso - non consentono di ritenerla «pena» nel senso individuato dalla giurisprudenza della Corte EDU, e, pertanto, è da escludere sia la irragionevolezza della disciplina che la riguarda rispetto a quella delle sanzioni penali soggette a prescrizione, sia una violazione del parametro interposto di cui all'art. 117 Cost.
3.4. Va poi ricordato che è possibile la revoca dell’ordine di demolizione solo quando esso risulti assolutamente incompatibile con i provvedimenti della P.A. che abbiano conferito all'immobile una diversa destinazione o ne abbiano sanato l'abusività (Cfr. in tal senso Sez. 3, n. 3456 del 21/11/2012, Oliva, Rv. 254426).
3.5. Nel caso in esame, invece, risulta non solo che non può essere accolta la domanda di condono edilizio ma che il comune di Lacco Ameno ha ingiunto in tre diverse occasioni la demolizione delle opere e che tale demolizione non è stata eseguita, tanto che si chiede la revoca dell’ordine di demolizione emesso dalla Procura Generale presso la Corte di appello di Napoli.
Va ricordato che il trasferimento al patrimonio comunale della proprietà dell'immobile abusivo consegue automaticamente alla scadenza del termine fissato per l'ottemperanza all'ordinanza sindacale di demolizione: nel caso in esame, pertanto, secondo quanto rappresentato nel ricorso, il bene è divenuto di proprietà del comune di Lacco Ameno, non avendo ottemperato il ricorrente alla demolizione imposta dal comune.
3.6. Orbene, se la giurisprudenza ha affermato (cfr. Sez. 3, n. 45703 del 26/10/2011, Mammoliti, Rv. 251319) che il condannato per reato edilizio, in quanto destinatario dell'ordine di demolizione del manufatto abusivo, è legittimato a proporre incidente di esecuzione contro l'ingiunzione a demolire, a prescindere dall'acquisizione del bene al patrimonio comunale, occorre chiarire però i limiti della domanda che egli può proporre in sede di incidente di esecuzione, soprattutto quando, come nel caso in esame, risulta non accoglibile l’istanza di condono edilizio, a seguito della successiva trasformazione del bene da parte dell’istante.
Va ricordato infatti che l'acquisizione gratuita dell'opera abusiva al patrimonio disponibile del Comune non è incompatibile con l'ordine di demolizione emesso dal giudice con la sentenza di condanna: l'acquisizione è finalizzata in via principale alla demolizione e il soggetto condannato può richiedere al Comune, divenuto medio tempore proprietario, l'autorizzazione a procedere alla demolizione a proprie spese, così come può provvedervi, a spese del condannato, l'autorità giudiziaria.
3.7. Si ha incompatibilità tra l’acquisizione gratuita e l’ordine di demolizione emesso dal giudice con la sentenza di condanna soltanto se con delibera consiliare l'ente locale stabilisce, ai sensi dell'art. 31, comma 5, d.P.R. n. 380 del 2001, di non demolire l'opera acquisita (il comma 5 recita: «L'opera acquisita è demolita con ordinanza del dirigente o del responsabile del competente ufficio comunale a spese dei responsabili dell'abuso, salvo che con deliberazione consiliare non si dichiari l'esistenza di prevalenti interessi pubblici e sempre che l'opera non contrasti con rilevanti interessi urbanistici, ambientali o di rispetto dell'assetto idrogeologico.»); cfr. in tal senso Sez. 3, n. 37120 del 11/05/2005, Morelli, Rv. 232174 – 01.
Si veda anche Sez. 3, n. 42698 del 07/07/2015, Mazzotta, Rv. 265495 – 01, che ha affermato che l'acquisizione gratuita dell'opera abusiva al patrimonio disponibile del Comune non è incompatibile con l'ordine di demolizione emesso dal giudice con la sentenza di condanna e con la sua successiva esecuzione da parte del pubblico ministero, a spese del condannato, sussistendo incompatibilità solo nel caso in cui l'ente locale stabilisca, con propria delibera, l'esistenza di interessi pubblici al mantenimento delle opere abusive, prevalenti rispetto a quello del ripristino dell'assetto urbanistico violato.
In motivazione la sentenza Mazzotta ha rilevato che l'ordine di demolizione impartito dal giudice con la sentenza di condanna, ai sensi dell'art.31, comma nono, d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, costituisce esplicitazione di un potere sanzionatorio autonomo e non residuale o sostitutivo rispetto a quello dell'autorità amministrativa, atteso che assolve ad una autonoma funzione ripristinatoria del bene giuridico leso (Sez. 3, n. 37120 del 11/05/2005, Morelli, Rv. 232172) e che ha carattere reale, ricadendo direttamente sul soggetto che è in rapporto con il bene, indipendentemente dall'essere stato o meno quest'ultimo l'autore dell'abuso, né la sua operatività può essere esclusa dalla alienazione a terzi della proprietà dell'immobile, con la sola conseguenza che l'acquirente potrà rivalersi nei confronti del venditore a seguito dell'avvenuta demolizione.
3.8. Ne consegue che ove il Consiglio comunale non abbia deliberato il mantenimento dell'opera, il procedimento sanzionatorio amministrativo (per le opere realizzate in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali) ha come sbocco unico ed obbligato la demolizione a spese del responsabile dell'abuso.
Nell’incidente di esecuzione, pertanto, ove si accerti che:
- l’opera non è suscettibile di rilascio di permesso in sanatoria;
- sia stato notificato l’ordine di demolizione da parte del comune;
- non essendo stata eseguita la demolizione, sia avvenuta l'acquisizione gratuita dell'opera abusiva al patrimonio disponibile del Comune;
- il Consiglio comunale non abbia deliberato il mantenimento dell'opera,
l’unica possibilità per il condannato è chiedere la revoca dell’ordine di demolizione dell’a.g. al fine di procedere spontaneamente alla demolizione.
Ogni altra richiesta è pertanto priva di interesse (cfr. in tal senso Sez. 3, n. 45432 del 25/05/2016, Ligorio, Rv. 268133).

4. Del tutto parziale è poi il richiamo alla sentenza Ivanova: sul punto per ragioni di sintesi, si rimanda alla motivazione di Sez. 3, n. 15141 del 20/02/2019, Pignalosa, non massimata, che ha ribadito che in tema di reati edilizi, non sussiste alcun diritto «assoluto» all'inviolabilità del domicilio, desumibile dalle decisioni della Corte EDU, tale da precludere l'esecuzione dell'ordine di demolizione di un immobile abusivo, finalizzato a ristabilire l'ordine giuridico violato.
4.1. Dalla giurisprudenza CEDU si ricava, afferma la sentenza Pignalosa, al contrario l'opposto principio dell'interesse dell'ordinamento all'abbattimento - in luogo della confisca - delle opere incompatibili con le disposizioni urbanistiche.
Cfr. sul punto la sentenza emessa nel caso Sud Fondi c. Italia del 20 gennaio 2009.
Si è ribadito che la Corte europea considera del tutto legittimo il ricorso alla sanzione ripristinatoria della demolizione che, in quanto rivolta a ristabilire l'ordine giuridico violato, prevale sul diritto (rectius, interesse di mero fatto) all'abitazione dell'immobile abusivamente realizzato.
4.2. Non può esser qui invocata la sentenza della Corte EDU 21/4/2016, n. 46577/15 (Ivanova e Cherkezov c/Bulgaria), secondo la quale il diritto all'abitazione di cui al citato art. 8 - tra cui dovrebbe annoverarsi, nella lettura del ricorrente, anche l'abitazione abusiva - richiede una valutazione di proporzionalità, da parte di un Tribunale imparziale, tra la misura della demolizione e l'interesse del singolo al rispetto del proprio domicilio.
La Corte EDU, nella decisione Ivanova, ha ribadito la legittimità convenzionale della demolizione, allorquando, valutandone la compatibilità con il diritto alla abitazione, il suo unico scopo sia quello di garantire l'effettiva attuazione delle disposizioni normative che gli edifici non possono essere costruiti senza autorizzazione, poiché la stessa può essere considerata come diretta a ristabilire lo stato di diritto, fatto salvo il rispetto della proporzionalità della misura con la situazione personale dell'interessato.
Nel caso Ivanova la violazione è stata ritenuta perché i rimedi interni, previsti nell'ordinamento bulgaro, non garantiscono la verifica dei requisiti procedurali che impongono che ogni persona che sia esposta al rischio di perdere la propria abitazione - anche se non appartenente ad un gruppo vulnerabile - dovrebbe in linea di principio disporre della possibilità che la valutazione della proporzionalità di tale misura (che comporta la perdita dell'abitazione) sia effettuata da un giudice indipendente.
4.3. Nulla di tutto questo è accaduto nel caso in esame: non solo il ricorrente ha avuto ampiamente la possibilità di difendersi, ma la sanzione è stata inflitta da un giudice indipendente; l’esecuzione della stessa è stata sottoposta due volte all’autorità giudiziaria, con esperimento di tutti i rimedi.
Soprattutto, rispetto al momento dell’applicazione della sanzione, vi sono state altre evidenti violazioni da parte del ricorrente, con il raddoppio della costruzione, fino al totale completamento delle opere, fino alla realizzazione di una villa con patio nell’isola d’Ischia in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, il che rende la misura originariamente inflitta del tutto proporzionale rispetto alla lesione arrecata.

5. È infondata anche la questione del tempo, poiché se l’ordine di rimessione in pristino è stato pronunciato con la sentenza di primo grado e confermato in appello, l’ordine di esecuzione della procura generale non è stato emesso non nel 2019, ma dopo poco più di due anni dal passaggio in giudicato della sentenza.
Pertanto, proprio alla luce della giurisprudenza della Corte Edu in relazione al tempo, la sanzione deve ritenersi proporzionata, perché emessa dopo un ragionevole lasso di tempo, proprio come ritenuto nel caso Ivanova.
Come chiaramente indicato nella sentenza Pignalosa, nella decisione sul caso Ivanova la Corte Edu ha escluso che l'ordine di demolizione contrasti con l'art. 1 del protocollo n.1 (protezione della proprietà); ha altresì affermato che l'ordine di demolizione dell'immobile, emesso dopo un ragionevole lasso di tempo dopo la sua edificazione (per un precedente, cfr. Hamer c. Belgio, del 27 novembre 2007, n. 21861/03), ha l'obiettivo di garantire il ripristino dello status quo ante così ristabilendo l'ordine giuridico violato dal comportamento dell'autore dell'abuso edilizio; dall'altro, che l'ordine di demolizione e la sua esecuzione servono anche per scoraggiare altri potenziali trasgressori (il riferimento è al caso Saliba c. Malta, n. 4251/02, dell'8 novembre 2005).

6. Manifestamente infondato è il terzo motivo, con il quale si invoca l’applicazione della sentenza Grande Stevens contro Italia depositata il 4 marzo 2014.
Oltre a rilevarsi che la sentenza Grande Stevens ha ad oggetto un caso concreto del tutto diverso da quello in esame, il ricorso trascura del tutto di analizzare le successive sentenze emesse sulla stessa questione ed in particolare la sentenza A e B contro Norvegia la Grande Camera della Corte EDU, quelle della Grande sezione della Corte di giustizia del 20 marzo 2018 (rispettivamente in causa C-537/16, Garlsson Real Estate SA e altri, in cause C-596/16 e C-597/16, Di Puma e CONSOB, e in causa C-524/15, Menci).
Sul punto, per ragioni di sintesi, si richiamano i principi espressi dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 222, depositata il 24 ottobre 2019, che dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 649 cod. proc. pen., in riferimento agli artt. 3 e 117, comma 1, Cost. - quest’ultimo in relazione all’art. 4 del Protocollo n. 7 alla CEDU, nella parte in cui non prevede l’applicabilità della disciplina del divieto di un secondo giudizio nei confronti di imputato al quale, con riguardo agli stessi fatti, sia già stata irrogata in via definitiva, nell’ambito di un procedimento amministrativo, una sanzione di carattere sostanzialmente penale ai sensi della CEDU e dei relativi Protocolli, con riferimento al reato di cui all’art. 10-ter d.lgs. 74/2000.

7. Il quarto motivo è manifestamente infondato: anche in tal caso le asserzioni in diritto sono avulse dal caso concreto.
L’ordine di demolizione, emesso come già indicato in tempi ragionevoli rispetto alla definitività della sentenza, di cui si chiede la revoca o la sospensione è del 14 settembre 2009: si invoca la violazione di un provvedimento interno alla Procura Generale presso la Corte di appello di Napoli emesso il 10 dicembre 2015.

8. Rispetto al quinto motivo il ricorrente non ha più interesse, posto che le opere sono state acquisite, secondo la ricostruzione del fatto da lui prospettata, al patrimonio del comune, per non avere egli ottemperato all’ordine di demolizione impartito dal comune e potendo esclusivamente, a fronte della impossibilità di beneficiare del condono edilizio, solo procedere alla demolizione spontanea.

9. Pertanto, il ricorso deve essere rigettato.
Ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen. si condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso il 13/11/2019.