T.A.R. Friuli Venezia Giulia (Trieste), Sez. I, sentenza n. 551 del 29 settembre 2007.
Inquinamento idrico. Annullamento delibera regionale di individuazione delle zone vulnerabili da nitrati di origine agricola adottata ai sensi dell’art. 92 del D.Lgs 03.04.2006, n. 152 per carenza di istruttoria. (segnalazione Alan Valentino, Udine).

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Friuli Venezia Giulia

(Sezione Prima)
 
ha pronunciato la presente
SENTENZA
 
Vincenzo Antonio Borea, Presidente, Estensore
Lorenzo Stevanato, Consigliere
Vincenzo Farina, Consigliere
 
 
 

Sul ricorso numero di registro generale 606 del 2006, proposto da:

Societa' Agricola San Michele di Vadori Luca & C.,; Azienda Agricola Marinoni di G.F e G.R, Azienda Agricola La Sisile, Ditta A.A. Battello Andrea, Ditta Battaglia Claudio, Ditta Betto Renato e Marco Ss, Ditta Bianchin Roberta, Ditta Budai Alberto, Ditta Codarin Franco e Francesco e Biasinutto Paola, Ditta Collauto Adriano, Ditta Faggiani Nicola, Ditta Folla Daniele, Ditta Gambellini Dionigi, Ditta Gardisan Gabriele, Ditta Gardisan Giuseppe, Ditta Gazzola Sergio e Campeotto Carla, Ditta Madinelli Daniele, Ditta Magrino Paolo e Battello Mirella, Ditta Marchi Bruno, Ditta Mauro Elga e C. Ss, Ditta Morelli Attilio, Ditta Pestrin Giacomo e Baldassi Paola, Ditta Rigon Emanuela, Ditta Sbrugnera Maurizio, Flabio, Gianni, Ditta Sorato Bruno, Ditta Squizzato Silvestro, Ditta Tonelli Mario, Ditta Turco Stefano, Ditta Vilotti Massimo, tutti rappresentati e difesi dall’avv. Claudio Mussato e con il medesimo domiciliati in Trieste presso la Segreteria del Tribunale;

 
contro
 

Regione Autonoma Friuli - Venezia Giulia, rappresentato e difeso dagli avv.ti Enzo Bevilacqa e Gianna Di Danieli, domiciliata per legge in Trieste, via Carducci 6;

 
per l'annullamento
previa sospensione dell'efficacia,

delibera della Giunta Regionale n. 2323 dd. 6.10.2006 avente per oggetto "individuazione zone vulnerabili da nitrati di origine agricola". Approvazione definitiva.

 
Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Regione Autonoma Friuli - Venezia Giulia;

Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 06/06/2007 il dott. Vincenzo Antonio Borea e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
 
FATTO e DIRITTO
 

Con deliberazione 6 ottobre 2006 la Giunta Regionale del Friuli-Venezia Giulia ha proceduto alla individuazione come zona vulnerabile da nitrati di origine agricola, ai sensi dell’art. 92 del D.L.vo n. 152/06, l’area coincidente con il Comprensorio di bonifica della Bassa Friulana,  istituito con D.P.G.R. n. 419 del 31 luglio 1989.

I ricorrenti sono titolari di aziende agricole site nell’ambito del territorio racchiuso all’interno del suddetto comprensorio, e, dopo aver precisato che a seguito di tale deliberazione si vedranno assoggettare alle forti limitazioni alla propria attività agricola e di allevatori previste dagli artt. 21-26 del D.M. 7 aprile 2006 (attuativo dell’art. 19 del D.L.vo n. 152/99 il cui testo è stato poi trasfuso nell’art. 92 del ricordato D.L.vo n. 152/06, norme interne a loro volta attuative della direttiva comunitaria n. 676/91 concernente appunto la tutela contro l’inquinamento da nitrati di origine agricola) con particolare riguardo al fatto che, in base alla disposizione contenuta nell’art. 26 del detto D.M., gli spandimenti di effluenti di allevamento, nelle zone individuate come vulnerabili da nitrati di origine agricola  non possono superare un apporto di azoto pari a 170  kg per ettaro per anno, a fronte di un limite normale doppio  (340  kg per ettaro, art. 10), contestano la legittimità della delibera in questione  denunciandone in sostanza, causa una insufficiente istruttoria, la carenza di idonei presupposti.

Occorre chiarire, come risulta dalla stessa motivazione della delibera impugnata oltre che dai documenti in atti e dalla analitica ricostruzione degli antefatti fornita nella memoria difensiva della Regione FVG, che, pur essendo da anni ben noto il rischio di eutrofizzazione in cui incorre la laguna di Grado-Marano (con le possibili note, anomale e dannose proliferazioni di alghe che sottraggono ossigeno alle acque), come rilevato in varie stazioni di monitoraggio all’uopo predisposte sin dal 2000-01, l’Amministrazione regionale non aveva mai ritenuto necessario intervenire, sino a quando, in epoca recentissima, è accaduto che si sia mossa la  Commissione delle Comunità Europee, la quale, con comunicazione 4 aprile 2006 di avvio di procedura di infrazione, ha contestato al governo italiano il mancato rispetto della suaccennata direttiva CEE n. 676/91,  rilevando tra l’altro, per quel che qui interessa, che “Nel territorio sversante nella laguna di Grado-Marano (circa 70.000 ettari) viene praticata l’agricoltura intensiva, con oltre il 70% di seminativi e allevamenti intensivi. Alla luce degli elementi menzionati sopra le acque della laguna di Grado-Marano sono da considerarsi acque inquinate ai sensi dell’art. 3, paragrafo 1, della direttiva, a causa dell’eutrofizzazione, e il territorio che scarica nella laguna va considerato vulnerabile ai nitrati a causa del contributo verosimilmente significativo delle fonti agricole ai carichi di nutrienti  nella laguna”.

Ricostruita così, succintamente, la fattispecie, ritiene il collegio che la denuncia di insufficienza dell’istruttoria condotta dalla P.A. sia fondata.

Giustamente si sottolinea, in primo luogo, come costituisca un chiaro sintomo del vizio denunciato il fatto che nella motivazione della delibera l’Amministrazione intimata abbia fatto proprio l’avverbio “verosimilmente” con il quale la Commissione ha prudentemente ritenuto di poter accostare il rilevato inquinamento della laguna alle attività agricole svolte nell’area a questa antistante. E’ chiaro infatti che non spettava alla Commissione, bensì alla autorità specificamente competente, e nella specie, in base alle norme interne di riparto delle competenze, alla Regione  FVG, compiere tutti gli accertamenti necessari in ordine sia al grado di reale inquinamento da nitrati  della laguna di Grado-Marano che alle cause effettive di tale inquinamento, e della necessità di tali ulteriori e più completi adempimenti istruttori, a giudizio della commissione, a verifica ed eventuale conferma delle risultanze di cui la commissione stessa era a conoscenza, costituisce prova evidente proprio l’espressione usata “verosimilmente”, la quale, come giustamente si osserva in ricorso, non può da sé sola,  giustificare, senza prove certe, l’imposizione di vincoli e gravami a carico dei produttori agricoli.

Ora, appare evidente  dalla documentazione in atti che a tale necessario completamento istruttorio non si è di fatto dato corso.

In primo luogo, dal contenuto del Rapporto sullo stato dell’Ambiente dell’ARPA aggiornato al 2006, così come riportato nelle premesse della delibera  impugnata, e cioè con il richiamo al fatto che la pur rilevata ipertrofia delle aree antistanti alle foci fluviali non impedisce di ritenere che il sistema lagunare possa considerarsi nel suo complesso in equilibrio mesotrofico, si comprende perché la Regione, prima del severo intervento della commissione europea, non avesse ritenuto di assumere  provvedimento alcuno: con la precisazione che non a caso, forse, nella delibera impugnata si omette di riportare la ragione concreta per quale l’ARPA ha potuto parlare di equilibrio mesotrofico lagunare, ragione consistente nel fatto che “nel periodo 2003-2005 non si sono verificate né crisi ipossiche né fioriture di micro o macroalghe”.

In secondo e determinante luogo, poi, e sul punto giustamente si insiste da parte ricorrente, la delibera impugnata non si è in alcun modo curata di dar conto della possibilità che la temuta eutrofizzazione delle acque lagunari potesse essere provocata da scarichi diversi da quelli di origine agricola, e cioè da scarichi industriali e civili (si pensi ai detersivi).

L’argomentazione appare confortata in modo determinante da una relazione dell’ERSA,  Agenzia regionale per lo sviluppo rurale, stranamente senza data ma da ritenersi presumibilmente anteriore all’adozione della delibera impugnata, sia perché frutto di un lavoro richiesto dalla stessa giunta regionale dopo l’arrivo del rimprovero comunitario (e non è quindi ragionevole pensare che si sia adottata la delibera conclusiva senza attendere il richiesto parere, sia pur considerando che nel provvedimento non se ne fa alcun cenno, il che appare sintomatico) e sia perché di tale relazione si dà conto in una nota della Direzione centrale delle risorse agricole della Regione che reca la data del 17 ottobre 2006, e cioè appena undici giorni dopo l’adozione della delibera impugnata (6 ottobre).

Orbene in tale relazione, giustamente valorizzata dai ricorrenti (e a ben vedere poco importa se al momento di adozione della delibera impugnata la P.A. ne fosse o meno formalmente a conoscenza, risultando in ogni caso comprovate le carenze istruttorie che viziano la delibera stessa), sia pur confermandosi, come già risultava alla commissione di Bruxelles,  che  oltre il 70% del territorio è destinato a coltura, dopo essersi condotta una particolareggiata analisi della natura dei suoli e dei tipi di coltura praticati, si perviene alla conclusione che sia con riguardo al fosforo, che, in particolare, all’azoto, per quel che qui più interessa, sia da escludere che il temuto inquinamento sia di origine agricola. In particolare si osserva che “in considerazione degli ordinamenti colturali praticati nella maggior parte del comprensorio, che prevedono la rotazione delle colture come la soia e l’erba medica che non richiedono concimazioni azotate, i fabbisogni di azoto medi su base comunale sono relativamente bassi e in particolare in 14 comuni  su  33 totali sono inferiori a 100 kg di N/ ha/ anno. Solo in cinque comuni i fabbisogni di azoto sono compresi fra 200 e 250 kg in relazione alla maggior rilevanza delle superfici a mais”. Quanto poi ai carichi di azoto zootecnico, e alla sua incidenza sul fabbisogno delle colture, si segnala che “in ben 18 comuni il carico di azoto d’origine zootecnica è molto contenuto (<20 kg/ ha / anno) e valori modesti (compresi tra 20 e 50 kg/ ha/ anno) si riscontrano in altri 8 comuni. Solamente in due  comuni, Pocenia ed Aquileia, il carico azotato è superiore a 150 kg/ ha/ anno”. In conclusione, si legge nella suddetta relazione, “agricolo dal confronto tra i fabbisogni colturali ed i carichi azotati di natura zootecnica è possibile evidenziare che sul territorio sussiste un forte deficit di azoto. Il settore zootecnico pertanto non comporta, come in altre realtà della pianura padano-veneta, una fonte di inquinamento azotato delle falde. Per evitare che il settore agricolo eserciti una pressione inquinante sulle acque è sufficiente che il deficit di azoto venga compensato con concimi con adeguate e oculate concimazioni chimiche, seguendo quelle che sono le  buone pratiche agricole”.

In definitiva, così  conclude l’ERSA, “ in relazione allo studio effettuato a largo spettro su molteplici fattori di natura sia ambientale che antropica, che possono concorrere alla determinazione del comprensorio della Bassa Friulana come possibile concausa della eutrofizzazione della laguna di Grado-Marano, si può affermare che, non solo presumibilmente, ma quasi certamente la causa principale della eutrofizzazione della laguna deve essere ricercata in altri ambiti e settori di attività produttive. L’analisi climatica, pedologica e idrogeologica evidenzia che la vulnerabilità legata alle caratteristiche del territorio è in genere bassa, e solo limitatamente alla porzione nord-occidentale si riscontra una vulnerabilità di un certo rilievo. La valutazione dei carichi di azoto di origine zootecnica mostra un modestissimo carico di bestiame e di conseguenza di azoto (pari a 28 kg/ ha/ anno), molto al di sotto dei fabbisogni delle colture praticate nel territorio.”.

Appare a questo punto agevole riscontrare la fondatezza della doglianza mossa a carico della delibera impugnata di difetto di istruttoria, posto che la P.A., conoscesse  o meno la relazione dell’ERSA, certamente si è indotta ad imporre il contestato vincolo non tanto in base ad una necessaria approfondita e conclusiva istruttoria, quanto, all’evidenza, soltanto, sostanzialmente, sulla spinta della contestazione di inadempienza pervenuta da Bruxelles, posto che l’inerzia sino ad allora tenuta sembra ragionevolmente giustificata dal fatto, di cui sopra si è fatto cenno,  che l’inquinamento da nitrati pur riscontrato nella laguna negli ultimi anni non aveva comunque provocato i temuti fenomeni di “fioriture di micro o macroalghe”.

Chiarito da ultimo che vanamente, nelle premesse dell’atto impugnato, si invoca il principio di precauzione ex art. 174 del Trattato istitutivo della Comunità Europea a sostegno del vincolo imposto, dato che, come giustamente osservano i ricorrenti, appare all’evidenza necessario che la concretezza del rischio al quale si intende in via precauzionale far fronte sia frutto di una valutazione  seria e ponderata, e cioè di una istruttoria accurata e conclusiva, istruttoria che invece nella specie non ha avuto luogo, ed anzi il rischio temuto sembra smentito dalla ricordata relazione dell’ERSA, non resta che accogliere il ricorso in esame.

Considerata peraltro la particolarità della fattispecie dovuta alla indubbia autorevolezza che riveste una procedura di infrazione avviata dalla Commissione europea, le spese possono essere compensate tra le parti.

 
P.Q.M.
 

Il Tribunale Amministrativo Regionale del Friuli-Venezia Giulia, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo accoglie, e per l’effetto annulla la delibera impugnata. Compensa le spese tra le parti e pone il contributo unificato a carico dell’Amministrazione soccombente. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

 

Così deciso in Trieste nella camera di consiglio del giorno 06/06/2007 con l'intervento dei signori:

 
Vincenzo Antonio Borea, Presidente, Estensore
Lorenzo Stevanato, Consigliere
Vincenzo Farina, Consigliere