TAR Liguria Sez. I n. 5564 del 1 luglio 2010
Acque. Vincolo idrogeologico

Ai fini del vincolo idrogeologico è irrilevante sia la mancata iscrizione del corso d’acqua negli appositi elenchi delle acque pubbliche, stante il carattere dichiarativo e non costitutivo di detti elenchi (cfr. l’art. 1 della legge 5.1.1994, n. 36 e l’art. 1 comma 4 del D.P.R. n. 238/1999), sia la circostanza che manchi una sorgente a monte e che, pertanto, abitualmente non vi scorra acqua: anche a voler prescindere dal chiaro disposto dell’art. 93 R.D. 25.7.1904, n. 523, è infatti evidente che anche un fossato creatosi naturalmente tra due rilievi collinari , convogliando le acque meteoriche, può determinare il dilavamento dei terreni, mettendone in pericolo la stabilità e turbando il regime delle acque superficiali (art. 1 R.D. 30.12.1923, n. 3267). Ed in tal senso è assai significativo che l’art. 1 comma 2 del D.P.R. 18.2.1999, n. 238 definisca pubbliche anche le acque piovane, non appena convogliate in un corso d’acqua.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

N. 05564/2010 REG.SEN.
N. 00672/2008 REG.RIC.


Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria

(Sezione Prima)


ha pronunciato la presente


SENTENZA


Sul ricorso numero di registro generale 672 del 2008, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Davide Panaro, rappresentato e difeso dagli avv.ti Giovanni Acquarone, Alessandro Salustri e Roberta Acquarone, con domicilio eletto presso il loro studio in Genova, via Corsica 21/18-20;


contro


Comune di Savona, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dall'avv. Corrado Mauceri, con domicilio eletto presso il suo studio in Genova, via Palestro 2/3;

per l'annullamento
previa sospensione dell'efficacia,

del provvedimento a firma del dirigente del settore pianificazione territoriale ed ambientale ufficio condono edilizio 8 maggio 2008 n. 23992, avente ad oggetto diniego di titolo edilizio in sanatoria ai sensi della legge n. 326/03 (condono edilizio), nonché dell'ordinanza dirigenziale 8 giugno 2009 n. 29360 (impugnata con atto per motivi aggiunti del 09/07/2009), di ingiunzione di demolizione delle opere di cui alla domanda di condono rigettata.


Visto il ricorso ed i motivi aggiunti, con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Savona;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 maggio 2010 l’avv. Angelo Vitali e uditi per le parti i difensori, come specificato nel verbale di udienza;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO


Con ricorso notificato in data 9.7.2008 il signor Davide Panaro ha impugnato il provvedimento del comune di Savona 8.5.2008, n. 23992, di diniego dell’istanza di condono edilizio presentata ai sensi della L. n. 326/03 in relazione ad opere di ampliamento di un manufatto mediante chiusura e modifiche della sagoma di una preesistente tettoia autorizzata, eseguite presso l’immobile sito in Savona, via nazionale del Piemonte n. 29, catastalmente censito al foglio 49, mappali 60 sub. 3, 61 e 130.

Il provvedimento negativo è motivato con la circostanza che le opere in questione, realizzate nel 1997, insisterebbero su di un’area soggetta ad un preesistente vincolo idrogeologico, ricadendo nella fascia di inedificabilità assoluta di mt. 10 relativa al corso d’acqua denominato rio Mulino, e sarebbero in contrasto con la destinazione agricola imposta alla zona dal P.R.G. vigente e dal P.U.C. adottato.

In particolare, il vincolo idrogeologico, già previsto sulla base del regime transitorio di cui all’art. 26 comma 2 lett. b) della legge regionale Liguria 28.1.1993, n. 9, sarebbe stato confermato dall’art. 8 comma 3 del piano di bacino vigente (approvato con D.C.P. 25.11.2003, n. 47), che individua il rio Mulino nel reticolo idrografico principale.

Pertanto, le opere in questione non sarebbero condonabili, ostandovi il disposto di cui all'art. 32 comma 27 lett. d) del D.L. 30 settembre 2003 n. 269, convertito in legge 24 novembre 2003 n. 326, il quale per l’appunto esclude che possano essere sanate le opere che siano state realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, qualora istituiti prima della esecuzione di dette opere, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici.

A sostegno del gravame deduce sei motivi di ricorso, rubricati come segue.

1. Violazione e falsa applicazione dell’art. 32 comma 27 lettera d) della legge 326/2003. Difetto di presupposto. Difetto di istruttoria.

Il vincolo di inedificabilità assoluta che il provvedimento impugnato fa discendere dall’art. 8 comma 3 della normativa di piano di bacino approvata con D.C.P. 25.11.2003, n. 47 è successivo alla realizzazione degli interventi oggetto della domanda di condono.

Né il vincolo potrebbe ritenersi sussistente in forza della previgente normativa di cui all’art. 96 lett. f) R.D. 25.7.1904, n. 523, perché il rio Mulino è un modesto impluvio neppure iscritto negli elenchi delle acque pubbliche.

2. Violazione e falsa applicazione dell’art. 32 comma 27 lettera d) L. 326/2003 sotto altro profilo. Difetto di istruttoria.

Non trattandosi – per quanto esposto in relazione al primo motivo - di interventi ricadenti in zona assoggettata a vincoli di inedificabilità assoluta (i soli rilevanti – a detta del ricorrente - ai fini di escludere la condonabilità dell’intervento), il comune non poteva respingere la domanda di sanatoria per contrasto delle opere con la normativa urbanistica.

3. Violazione falsa applicazione dell’art. 10 L. n. 241/1990. Difetto di istruttoria e di motivazione.

Non sarebbero state tenute in alcuna considerazione le osservazioni fatte pervenire al comune.

4. Violazione e falsa applicazione dell’art. 32 comma 27 lettera d) della L. 326/2003 in relazione alla violazione dell’art. 4 comma 1 della L.R. 5/2004. Difetto di presupposto sotto altro profilo.

La non condonabilità stabilita dell’art. 32 comma 27 lettera d) della L. 326/2003 si riferisce ai soli interventi di nuova costruzione, con esclusione dunque degli interventi di ristrutturazione quali quello in questione.

5. Violazione e falsa applicazione dell’art. 32 comma 27 lettera d) della L. 326/2003 sotto ulteriore profilo. Difetto di istruttoria. Contraddittorietà.

Il diniego di condono impugnato sarebbe in contrasto con il provvedimento 16.2.2004 del responsabile del servizio edilizia privata, di sospensione ex art. 44 L. 47/1985 dell’esecuzione della ordinanza di demolizione n. 544/1999, sospensione che implicherebbe un giudizio di astratta sanabilità delle opere abusivamente eseguite.

6. Violazione dell’art. 2 L.R. 18.3.1980, n. 15. Difetto di istruttoria.

Ai sensi della norma rubricata, stante la sussistenza del vincolo il parere della commissione edilizia avrebbe dovuto essere reso nella composizione integrata.

Con ricorso per motivi aggiunti notificato in data 2.7.2009 il ricorrente ha esteso l’impugnazione all’ordinanza dirigenziale 8.6.2009, n. 29360, di ingiunzione di demolizione delle opere di cui alla domanda di condono rigettata.

Tre i motivi aggiunti di gravame.

1. Violazione dell’art. 32 commi 25 e ss. D.L. n. 269/2003. Violazione dell’art. 31 e ss. L. n. 47/1985. Eccesso di potere per difetto di motivazione e di istruttoria. Contraddittorietà. Difetto assoluto dei presupposti.

L’amministrazione ha inteso portare ad immediata esecuzione un ordine di demolizione risalente a dieci anni fa, mentre la presentazione della istanza di condono rendeva necessaria l’adozione di un nuovo ed autonomo provvedimento sanzionatorio.

2. In subordine e nel merito. Invalidità derivata dall’illegittimità del diniego opposto all’istanza di condono edilizio. Violazione degli artt. 8, comma 3, e 15, comma 4, delle N.T.A. del piano di bacino stralcio sul rischio idrogeologico della Provincia di Savona. Violazione dell’art. 32, comma 27, lett. d) D.L. n. 269/2003. Eccesso di potere per travisamento. Inesistenza dei presupposti legittimanti. Difetto di istruttoria e di motivazione. Contraddittorietà. Violazione di circolare.

Il motivo illustra ulteriormente l’invocata insussistenza del vincolo idrogeologico sul rio Mulino, già dedotta con il ricorso introduttivo.

3. Violazione e falsa applicazione delle norme sul procedimento amministrativo.

L’ordinanza di demolizione non sarebbe stata preceduta dalla doverosa comunicazione di avvio del procedimento.

Si è costituito in giudizio il comune di Savona, controdeducendo nel merito ed instando per la reiezione del ricorso.

Con ordinanza 16 luglio 2009, n. 240 la Sezione ha accolto la domanda incidentale di sospensione dell’esecuzione dell’ingiunzione di demolizione.

Con ordinanza 31.12.2009, n. 221 la sezione ha disposto verificazione demandando alla Provincia di Savona – Settore difesa del suolo, in persona del dirigente o di un suo delegato, di accertare se le opere oggetto dell’istanza di condono 10.12.2004 (doc. 6 delle produzioni 9.7.2009 di parte ricorrente) insistano su area soggetta a vincolo idrogeologico relativa al rio Mulino, e ciò con specifico riguardo al regime transitorio di cui all’art. 26 comma 2 lett. b) della legge regionale Liguria 28.1.1993, n. 9, precedente l’esecuzione delle opere e l’approvazione della normativa del piano di bacino.

Il funzionario incaricato della verificazione ha depositato in data 26.2.2010 la relazione istruttoria con la relativa documentazione e, all’udienza pubblica del 20 maggio 2010, il ricorso è stato trattenuto dal collegio per la decisione.


DIRITTO


Il ricorso è infondato.

1. Sul primo motivo di ricorso. L'art. 32 comma 27 lett. d), del D.L. 30 settembre 2003 n. 269 - convertito in legge 24 novembre 2003 n. 326 - esclude che possano essere sanate le opere abusive che siano state realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali, qualora istituiti prima dell'esecuzione di dette opere, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici.

L'operatività di tale esclusione è subordinata a due condizioni, costituite dal fatto che il vincolo sia stato istituito prima dell'esecuzione delle opere abusive e che le opere, realizzate in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio, non possano essere ritenute conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici (T.A.R. Puglia-Lecce, III, 6.6.2007, n. 2231).

Ciò posto, il punctum dolens della questione all’esame del collegio riguarda l’esistenza o meno del vincolo idrogeologico alla data di esecuzione delle opere (1997).

Difatti, é incontestabile che, quantomeno a far data dall’approvazione del piano di bacino stralcio sul rischio idrogeologico (25.11.2003), il rio Mulino, essendo chiaramente indicato con apposito tratto azzurro nella carta del reticolo idrografico principale (tavola 13 – cfr. doc. 16 delle produzioni 19.11.2009 di parte comunale), riveste una significativa rilevanza idraulica ed è conseguentemente assoggettato, ex art. 6 della normativa di piano (doc. 13 delle produzioni 9.7.2009 di parte ricorrente), alla disciplina vincolistica in materia di distanze dai corsi d’acqua, dettata dal successivo art. 8 comma 3 (“é stabilita una fascia di inedificabilità assoluta dai limiti dell'alveo, misurata ai sensi dei commi 1 e 2, pari rispettivamente a metri tre e a metri dieci all’interno e all’esterno del perimetro dei centri urbani”).

Non rileva, in senso contrario, la circostanza che il rio Mulino non sia indicato dall’art. 2.6.2 della relazione tecnica allegata al piano di bacino del Letimbro tra gli affluenti del torrente Lavanestro (doc. 19 delle produzioni 16.7.2009 di parte ricorrente), in apparente contrasto con la citata tavola n. 13, che lo individua nel così detto reticolo idrografico principale includendolo tra i corsi d’acqua rilevanti ai fini del vincolo.

Da un lato, infatti, sono le stesse norme di piano (art. 6) che attribuiscono rilevanza idraulica alle aste fluviali identificate nella parte grafica; dall’altro – soprattutto - nel caso di specie non si ravvisa un contrasto insanabile tra la parte normativa e quella grafica del piano, ma una semplice integrazione, atteso che anche le indicazioni grafiche contenute nelle planimetrie di uno strumento urbanistico generale hanno di per sé natura precettiva e rappresentano un modo valido ed efficace di imporre vincoli e destinazioni in sede di programmazione territoriale (cfr. C.S., IV, 3.4.2009, n. 2110).

Assodato dunque che, ad oggi, il rio Mulino costituisce un corso d’acqua rilevante ai fini vincolistici, si tratta di verificare se ciò accadesse anche alla data di realizzazione delle opere abusive (1997), in forza del regime transitorio di cui all’art. 26 della L.R. 28.1.1993, n. 9: circostanza espressamente richiamata dalla commissione edilizia nel parere 17.4.2008 (docc. 8 e 8b delle produzioni 15.7.2009 di parte resistente), citato nel provvedimento impugnato.

Tale disposizione legislativa prevede infatti, al comma 2 lettera b), che sono vietate “le nuove edificazioni ad una distanza inferiore a metri venti all'interno del perimetro dei centri urbani e a metri quaranta al di fuori di esso dai corsi d' acqua pubblici a sponde naturali o protette misurata dal piede della sponda e dell' opera di protezione e comunque dal limite della proprietà demaniale. L' autorità competente in materia di polizia idraulica può autorizzare deroghe alla distanza suddetta comunque non inferiori a metri tre e a metri dieci rispettivamente all'interno ed all'esterno del perimetro dei centri urbani”.

Ora, poiché non può dubitarsi della natura pubblica del rio Mulino (atteso che, ai sensi dell’art. 1 della legge 5.1.1994, n. 36, tutte le acque superficiali sono pubbliche), deve ritenersi che il vincolo idrogeologico fosse esistente sin dalla data di realizzazione delle opere abusive.

Alla medesima conclusione in merito all’assoggettamento del rio Mulino a vincolo idrogeologico al tempo della realizzazione delle opere abusive può del resto pervenirsi (oltre che in base al regime transitorio di cui all’art. 26 L.R. n. 9/1993) anche in virtù dell’art. 96 lett. f) R.D. 25.7.1904, n. 523, che parimenti vieta le fabbriche a distanza di dieci metri dal piede degli argini delle acque pubbliche (comprensive – ex art. 93 R.D. 523/1904, di rivi e scolatoi pubblici “ancorché in alcuni tempi dell'anno rimangono asciutti”).

Del resto, ai fini del vincolo idrogeologico è irrilevante sia la mancata iscrizione del corso d’acqua negli appositi elenchi delle acque pubbliche, stante il carattere dichiarativo e non costitutivo di detti elenchi (cfr. l’art. 1 della legge 5.1.1994, n. 36 e l’art. 1 comma 4 del D.P.R. n. 238/1999), sia la circostanza che manchi una sorgente a monte e che, pertanto, abitualmente non vi scorra acqua: anche a voler prescindere dal chiaro disposto dell’art. 93 R.D. 25.7.1904, n. 523, è infatti evidente che anche un fossato creatosi naturalmente tra due rilievi collinari (così viene descritto il rio Mulino nell’atto di motivi aggiunti dell’1.7.2009, p. 9), convogliando le acque meteoriche, può determinare il dilavamento dei terreni, mettendone in pericolo la stabilità e turbando il regime delle acque superficiali (art. 1 R.D. 30.12.1923, n. 3267).

Ed in tal senso è assai significativo che l’art. 1 comma 2 del D.P.R. 18.2.1999, n. 238 definisca pubbliche anche le acque piovane, non appena convogliate in un corso d’acqua.

Orbene, all’esito della disposta verificazione si è accertato: che l’area oggetto degli interventi ricade all’esterno del perimetro del centro urbano, come delimitato dalla deliberazione del comune di Savona n. 163/1994; che l’immobile in questione è ubicato ad una distanza dall’alveo naturale del rio Mulino che varia da un minimo di m. 0,85 ad un massimo di m. 4,15 (cfr. la relazione di istruttoria ed il tratteggio in rosso nella planimetria generale ad essa allegata, depositati in data 26.2.2010).

Non vi è dubbio, pertanto, che le opere abusive insistano all’interno della fascia di inedificabilità assoluta di dieci metri di cui all’art. 26 comma 2 lett. b) L.R. n. 9/1993 (coincidente con quella di cui all’art. 96 lett. f del R.D. 25.7.1904, n. 523), in un tratto nel quale la citata disposizione non consente neppure possibilità di deroga da parte della competente autorità in materia di polizia idraulica.

2. Quanto al secondo motivo di ricorso, giova riportare il disposto dell’art. 32 comma 27 lettera d) del D.L. n. 269/2003, a mente del quale “le opere abusive non sono comunque suscettibili di sanatoria, qualora: […] d) siano state realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali qualora istituiti prima della esecuzione di dette opere, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici”.

Stante il chiaro disposto letterale e la natura eccezionale della norma - come tale soggetta ad interpretazione restrittiva - é evidente che la disposizione esclude il condono per gli abusi in contrasto con la disciplina urbanistica e realizzati su aree vincolate, senza richiedere affatto che il vincolo comporti anche l’inedificabilità assoluta dell’area.

In tal senso si è espressa di recente anche la Corte costituzionale (27.2.2009, n. 54), che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 1, comma 1, lett. c) della legge regionale Basilicata 18 dicembre 2007 n. 25, laddove prevedeva il divieto di sanare le opere abusive edificate su aree sottoposte a vincoli di tutela solo quando questi ultimi "comportino l'inedificabilità assoluta", in tal modo estendendo l'area degli interventi condonabili e rendendo irrilevanti gli ulteriori vincoli cui la legislazione statale e quella regionale previgente attribuiscono effetto impeditivo della sanatoria (cfr., in tema, anche T.A.R. Lazio, II, 10.9.2008, n. 8225).

In conclusione, allorché sussiste il vincolo di tutela, è sempre necessario che l’abuso edilizio sia conforme alla strumentazione urbanistica, alla stregua di quanto disposto per la sanatoria ordinaria.

Nel caso di specie difetta la conformità urbanistica, in quanto il manufatto, destinato ad attività produttiva (cfr. l’istanza di condono, doc. 6 delle produzioni 6.7.2009 di parte ricorrente) contrasta con la destinazione agricola impressa alla zona sia dal P.R.G. vigente che dal P.U.C. adottato (il punto è pacifico e non contestato).

3. L’amministrazione comunale ha tenuto conto delle osservazioni formulate dal ricorrente in data 11 e 18 gennaio 2008, al punto da acquisire un secondo parere della commissione edilizia, che, nella seduta del 17.4.2008 (doc. 8 e 8b delle produzioni 15.7.2009 di parte comunale) si è data carico di controbattere puntualmente alle stesse.

4. Con il quarto motivo il ricorrente osserva che la non condonabilità stabilita dell’art. 32 comma 27 lettera d) della L. 326/2003 si riferisce ai soli interventi di nuova costruzione, con esclusione dunque degli interventi di ristrutturazione, quali quello in questione.

E’ sufficiente osservare – sul punto – che lo stesso ricorrente, nella domanda di condono (doc. 6 delle produzioni 9.7.2009 di parte ricorrente), ha descritto l’abuso come “ampliamento fabbricato esistente, chiusure e modifiche della sagoma della tettoia autorizzata”, classificandolo come tipologia 1 (opere realizzate in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici), anziché come tipologia 3 (opere di ristrutturazione edilizia come definite dall'articolo 3, comma 1, lettera d) del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 realizzate in assenza o in difformità dal titolo abilitativo edilizio).

L’incontestato mutamento della volumetria e della sagoma escludono che l’intervento possa essere qualificato come ristrutturazione, in contrasto con quanto dichiarato dallo stesso ricorrente.

5. Nessun contrasto o contraddittorietà è predicabile rispetto al provvedimento 16.2.2004 prot. 5196 (doc. 5 delle produzioni 9.7.2009 di parte ricorrente) di sospensione ex art. 44 L. 28.2.1985, n. 47 dell’esecuzione dell’ordinanza di demolizione n. 544/1999, giacché si tratta di un atto dovuto ed a carattere provvisorio, emesso sulla base della sola pendenza dei termini per la presentazione dell’istanza di condono ed in assenza di una compiuta istruttoria (difettando, a quella data, la stessa domanda di condono).

6. Palesemente infondato è il sesto motivo di ricorso (violazione dell’art. 2 L.R. 18.3.1980, n. 15), secondo il quale, stante la sussistenza del vincolo, il parere della commissione edilizia avrebbe dovuto essere reso nella composizione integrata.

Ai sensi della norma rubricata la commissione edilizia opera nella composizione integrata soltanto in caso di vincolo paesaggistico ai sensi della legge 20.6.1939, n. 1497, non già in caso di vincolo idrogeologico, sussistente nel caso di specie.

Fondato è invece il primo motivo del ricorso per motivi aggiunti.

Secondo quanto più volte affermato dalla giurisprudenza della Sezione, “l'ingiunzione a demolire un'opera abusivamente realizzata perde del tutto efficacia, qualora l'interessato abbia attivato uno dei procedimenti tipici (accertamento di conformità, ovvero istanza di condono) previsti dalla legge per ottenere la concessione edilizia in sanatoria dell'opera stessa. La detta ingiunzione a demolire, infatti, ha, nell'ambito del procedimento di repressione degli abusi edilizi, lo scopo di permettere al responsabile di provvedere spontaneamente alla demolizione stessa per evitare la più onerosa sanzione dell'acquisizione del bene, dell'area di sedime e delle relative pertinenze urbanistiche. Sennonché, per tutto il termine assegnatogli per la detta demolizione e comunque fino alla materiale esecuzione delle sanzioni amministrative irrogate, l'interessato può chiedere il rilascio di specifica concessione in sanatoria per le opere edilizie abusivamente realizzate. Ne consegue che il riesame dell'abusività dell'opera al fine di verificarne l'eventuale sanabilità, comporta la necessaria formazione di un nuovo provvedimento che vale comunque a superare il provvedimento sanzionatorio originariamente adottato dall'amministrazione. […] In caso di reiezione dell'istanza, poi, l'originario provvedimento sanzionatorio non potrà parimenti produrre di per sé effetto alcuno, dovendo comunque essere sostituito da una nuova ingiunzione di demolizione […] che, in ogni caso, assegni all'interessato un nuovo termine per la spontanea demolizione. Non v'è dubbio alcuno, infatti, che quest'ultimo non possa essere penalizzato dalla circostanza di avere esercitato una facoltà prevista dalla legge, ed essere costretto alla demolizione in un tempo ridotto, che in ipotesi potrebbe essere anche di un solo giorno, pena l'acquisizione gratuita delle opere al patrimonio comunale. La sanzione acquisitiva prevista dalla legge, infatti, avendo carattere afflittivo e non meramente ripristinatorio, può legittimamente essere irrogata solo quando siano oggettivamente presenti i presupposti fissati dalla norma stessa, e cioè la volontaria inottemperanza protrattasi ininterrottamente per novanta giorni dall'ingiunzione, senza che l'interessato abbia opposto alcun valido impedimento di diritto o di fatto alla demolizione delle opere nell'anzidetto termine. Tutte le volte pertanto che il soggetto interessato si avvalga delle facoltà attribuitegli dall'ordinamento per opporsi alla disposta ingiunzione di demolizione, e questa ne risulti a qualsiasi titolo sospesa (istanza di accertamento di conformità, istanza di condono, impugnativa giurisdizionale con eventuale concessione della misura cautelare, auto-sospensione da parte della P.A. e simili), non v'è dubbio che l'ingiunzione stessa perda efficacia e non possa più produrre direttamente i suoi effetti tipici, essendo destinata ad essere sostituita dalle nuove determinazioni che l'amministrazione dovrà necessariamente assumere al riguardo, ed in ogni caso da una nuova ingiunzione che riassegni il termine legale minimo di novanta giorni previsto dalla norma per la spontanea demolizione” (così, tra le tante, T.A.R. Liguria, I, 10.2.2006, n. 111).

Donde l’illegittimità del provvedimento 8.6.2009, prot. 29360, limitatamente alla parte in cui, a seguito del rigetto della domanda di condono, ha ingiunto di dare immediata esecuzione alla precedente ordinanza di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi: conseguentemente, il comune dovrà nuovamente ingiungere la demolizione delle opere abusive – ex artt. 31 D.P.R. n. 380/2001 e 45 L.R. n. 16/2008 - assegnando all’uopo il termine di legge.

Il secondo motivo aggiunto si limita a riproporre, in via di invalidità derivata dall’illegittimità del diniego opposto all’istanza di condono, i motivi del ricorso introduttivo volti a sostenere l’inesistenza del vincolo idrogeologico.

Esso è dunque infondato e, concernendo in realtà la legittimità del presupposto diniego di condono 8.5.2008 (basato sull’esistenza del vincolo idrogeologico), addirittura tardivo.

Quanto al terzo motivo aggiunto, il collegio non ignora la giurisprudenza secondo la quale anche i procedimenti sanzionatori di abusi edilizi devono essere di regola preceduti dalla comunicazione di avvio del procedimento.

Nondimeno, osserva che nel caso di specie il procedimento sanzionatorio era già pendente (ancorché sospeso), e che il ricorrente ne aveva piena conoscenza, al punto da aver presentato istanza di condono fornendo più volte il suo apporto partecipativo (cfr. i docc. 9 e 10 delle produzioni 9.7.2009 di parte ricorrente).

Può dunque richiamarsi la giurisprudenza della Sezione secondo la quale, poiché la partecipazione al procedimento aliunde conseguita esonera dalla comunicazione d'avvio del procedimento (sul punto cfr. Cons. di St., VI, 20.5.2009, n. 3086), la presentazione dell'istanza di condono, in una con l'inoltro di osservazioni, soddisfa l'esigenza sostanziale sottesa all'art. 7, l. n. 241 del 1990 (T.A.R. Liguria, I, 1.2.2010, n. 199).

In ogni caso, soccorre la sanatoria giurisprudenziale di cui all’art. 21-octies comma 2 L. n. 241/1990, a mente del quale “il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell'avvio del procedimento qualora l'amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”.

Nel caso di specie, infatti, l’amministrazione comunale ha dimostrato che le opere de quibus non sono condonabili, sicché l’ordine di demolizione assume natura vincolata ex art. 45 comma 1 L.R. n. 16/2008.

Attesa la soccombenza reciproca, sussistono giustificati motivi per compensare per un terzo tra le parti le spese di giudizio, mentre per gli altri due terzi sono poste a carico del ricorrente, nella misura di cui in dispositivo, unitamente alle spese di verificazione.


P.Q.M.


Rigetta il ricorso principale.

Accoglie il ricorso per motivi aggiunti e, per l’effetto, annulla il provvedimento 8.6.2009, prot. 29360, limitatamente alla parte in cui ingiunge l’immediata esecuzione dell’ordinanza di demolizione n. 544/99.

Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del comune di Savona, dei due terzi delle spese di giudizio, che si liquidano in € 5.000,00 (cinquemila), oltre I.V.A. e C.P.A., oltre alle spese di verificazione, che si liquidano in complessivi € 415,76 (quattrocentoquindici//76) in favore della Provincia di Savona.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Genova nella camera di consiglio del giorno 20 maggio 2010 con l'intervento dei Signori:

Santo Balba, Presidente
Luca Morbelli, Primo Referendario
Angelo Vitali, Primo Referendario, Estensore

L'ESTENSORE

IL PRESIDENTE


DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 05/07/2010