Cass. Sez. III n. 10468 del 8 marzo 2018 (Ud 17 ott 2017)
Presidente: Rosi Estensore: Aceto Imputato: Lo Giudice
Beni Culturali. Trasferimento all’estero di cose di interesse culturale di non eccezionale rilevanza

Il trasferimento all’estero di cose di interesse culturale di non eccezionale rilevanza di cui all’art. 65, comma 3, lett. a), d.lgs. n. 42 del 2004, diverse da quelle di cui all’allegato A, lettera B n. 1, e di valore pari o inferiore ad € 13.500,00, non integra il reato di cui all’art. 174, comma 1, d.lgs. n. 42 del 2004.  Le modifiche introdotte dall’art 175, comma 1, lett. g), nn. 1 e 2, legge 4 agosto 2017, n. 124, in quanto incidono sulla struttura del reato di cui all’art. 174, d.lgs. n. 42 del 2004, restringendone l’ambito applicativo, si applicano anche ai fatti commessi prima della sua entrata in vigore

RITENUTO IN FATTO

1. Il sig. Marcello Lo Giudice ricorre per l’annullamento della sentenza del 17/12/2016 della Corte di appello di Milano che, rigettando la sua impugnazione, ha confermato la sentenza del 15/10/2013 del Tribunale di Como che lo ha condannato alla pena di 40.000,00 euro di multa per il reato di cui agli artt. 56 cod. pen., 174 d.lgs. n. 42 del 2004, per aver compiuto atti idonei diretti in modo non equivoco a trasferire all’estero un quadro a firma dell’autore Carlo Carrà, opera di interesse artistico. Il fatto è contestato come consumato in Como Ponte Chiasso il 07/01/2010.
1.1. Con il primo motivo, deducendo che il dipinto non è mai stato dichiarato “cosa di interesse culturale” e che è di esclusiva proprietà privata, eccepisce, ai sensi dell’art. 606, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la erronea applicazione dell’art. 174 d.lgs. n. 42 del 2004, in relazione agli artt. 10 e 13 del medesimo decreto legislativo, nonché la mancanza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione in ordine alla qualificazione della cosa come di interesse culturale.
1.2. Con il secondo motivo, deducendo che il dipinto non è opera dell’artista Carlo Carrà (come attestato dal nipote, Luca Carrà, custode dell’archivio delle opere di Carlo Carrà ed unico titolato a certificarne l’autenticità, come esplicitamente riconosciuto anche dallo specializzato Nucleo dei Carabinieri), eccepisce, ai sensi dell’art. 606, lett. b) ed e), cod. proc. pen., il travisamento della prova quale conseguenza del malgoverno degli artt. 192 e 533, cod. proc. pen., nonché la mancanza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione in ordine alla conferma della propria colpevolezza “oltre ogni ragionevole dubbio” che si basa immotivatamente ed esclusivamente sulla valutazione della Sovrintendenza circa l’interesse artistico dell’opera e non circa la sua paternità.

CONSIDERATO IN DIRITTO

2. Il ricorso è manifestamente infondato e proposto per motivi non consentiti nel giudizio di legittimità, ma la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio perché il reato è estinto per prescrizione.

3. Il primo motivo è manifestamente infondato.
3.1. L’art. 174, comma 1, d.lgs. n. 42 del 2004, punisce con la reclusione da uno a quattro anni e con la multa da euro 258 a euro 5.165, chiunque trasferisce all'estero cose di interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, bibliografico, documentale o archivistico, nonché quelle indicate all'articolo 11, comma 1, lettere f), g) e h), senza attestato di libera circolazione o licenza di esportazione.
3.2. L’uscita definitiva dal territorio nazionale dei beni culturali mobili e delle cose di interesse culturale è disciplinata, in prima battuta, dall’art. 65 d.lgs. n. 42 del 2004 che, come modificato dall’art. 1, comma 175, lett. g, legge 4 agosto 2017, n. 124, così attualmente recita: <<1. E’ vietata l'uscita definitiva dal territorio della Repubblica dei beni culturali mobili indicati nell'articolo 10, commi 1, 2 e 3. 2. E' vietata altresì l’uscita: a) delle cose mobili appartenenti ai soggetti indicati all'articolo 10, comma 1, che siano opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre settanta anni, fino a quando non sia stata effettuata la verifica prevista dall'articolo 12; b) dei beni, a chiunque appartenenti, che rientrino nelle categorie indicate all'articolo 10, comma 3, e che il Ministero, sentito il competente organo consultivo, abbia preventivamente individuato e, per periodi temporali definiti, abbia escluso dall'uscita, perché dannosa per il patrimonio culturale in relazione alle caratteristiche oggettive, alla provenienza o all'appartenenza dei beni medesimi. 3. Fuori dei casi previsti dai commi 1 e 2, è soggetta ad autorizzazione, secondo le modalità stabilite nella presente sezione e nella sezione II di questo Capo, l'uscita definitiva dal territorio della Repubblica: a) delle cose, a chiunque appartenenti, che presentino interesse culturale, siano opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre settanta anni, il cui valore, fatta eccezione per le cose di cui all'allegato A, lettera B, numero 1, sia superiore ad euro 13.500; b) degli archivi e dei singoli documenti, appartenenti a privati, che presentino interesse culturale; c) delle cose rientranti nelle categorie di cui all'articolo 11, comma 1, lettere f), g) ed h), a chiunque appartengano. 4. Non è soggetta ad autorizzazione l’uscita: a) delle cose di cui all'articolo 11, comma 1, lettera d); b) delle cose che presentino interesse culturale, siano opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre settanta anni, il cui valore sia inferiore ad euro 13.500, fatta eccezione per le cose di cui all'allegato A, lettera B, numero 1. 4-bis. Nei casi di cui al comma 4, l'interessato ha l'onere di comprovare al competente ufficio di esportazione, mediante dichiarazione ai sensi del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, che le cose da trasferire all'estero rientrino nelle ipotesi per le quali non è prevista l'autorizzazione, secondo le procedure e con le modalità stabilite con decreto ministeriale. Il competente ufficio di esportazione, qualora reputi che le cose possano rientrare tra quelle di cui all'articolo 10, comma 3, lettera d-bis), avvia il procedimento di cui all'articolo 14, che si conclude entro sessanta giorni dalla data di presentazione della dichiarazione>>.
3.3. Deve essere in primo luogo respinta la tesi difensiva, compendiata nel primo motivo, secondo la quale <<solo le cose [già] dichiarate di interesse culturale ex art. 13 D.Lgs. 42/04 sono assoggettabili alla disciplina prevista per l’uscita dal territorio dello Stato con necessità di autorizzazione per la loro esportazione>>. Tale tesi si fonda sull’interpretazione letterale e sistematica dei commi secondo e terzo dell’art. 174, d.lgs. n. 42, cit., e del comma terzo dell’art. 65.
3.4. L’art. 174 recita: <<1. Chiunque trasferisce all'estero cose di interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, bibliografico, documentale o archivistico, nonché quelle indicate all'articolo 11, comma 1, lettere f), g) e h), senza attestato di libera circolazione o licenza di esportazione, è punito con la reclusione da uno a quattro anni o con la multa da euro 258 a euro 5.165. 2. La pena prevista al comma 1 si applica, altresì, nei confronti di chiunque non fa rientrare nel territorio nazionale, alla scadenza del termine, beni culturali per i quali sia stata autorizzata l'uscita o l'esportazione temporanee. 3. Il giudice dispone la confisca delle cose, salvo che queste appartengano a persona estranea al reato. La confisca ha luogo in conformità delle norme della legge doganale relative alle cose oggetto di contrabbando. 4. Se il fatto è commesso da chi esercita attività di vendita al pubblico o di esposizione a fine di commercio di oggetti di interesse culturale, alla sentenza di condanna consegue l'interdizione ai sensi dell'articolo 30 del codice penale>>.
3.5. Il ricorrente sostiene che, se si aderisse all’interpretazione seguita dai Giudici di merito, non potrebbe mai essere disposta la confisca dei “beni culturali” temporaneamente usciti dal territorio della Repubblica ai sensi degli artt. 66, 67 e 74, comma 4, d.lgs. n. 42 del 2004 e non rientrati alla scadenza del termine, perché l’oggetto della confisca prevista dal comma terzo dell’art. 174 sono le <<cose>>. L’art. 65, comma 3, lett. a), d.lgs. n. 42 del 2004, prosegue, fa espresso riferimento alle <<cose (…) di interesse culturale>>, non a quelle di “interesse artistico”, come il disegno oggetto di contestazione. Solo i beni di proprietà dello Stato e degli altri enti pubblici e privati di cui all’art. 10, commi 1 e 2, sono di per sé “beni culturali”; i beni di proprietà privata e degli enti diversi da quelli di cui ai commi 1 e 2, lo sono solo quando (ed in quanto) sia intervenuta la dichiarazione di interesse culturale di cui all’art. 13 (art. 10, comma 3, d.lgs. n. 42 del 2004). In questi casi, dunque, la dichiarazione ha efficacia costitutiva della qualifica di bene culturale; in sua assenza la “cosa” può essere liberamente esportata dal territorio nazionale. Nel caso di specie è incontestato che il dipinto era di proprietà privata tant’è che la stessa Corte di appello ha contraddittoriamente affermato, ai fini della sussistenza del dolo, che, pur mancando la dichiarazione di interesse culturale, l’imputato era certamente consapevole della “nota di culturalità”.  
3.6. La tesi difensiva è manifestamente infondata.
3.7. La diversa definizione dell’oggetto materiale delle condotte penalmente sanzionate dai commi 1 e 2 dell’art. 174, d.lgs. n. 42 del 2004, non ha rilevanza decisiva. Gli artt. 66, 67 e 74 dello stesso decreto, infatti, disciplinano l’uscita (o l’esportazione) temporanea delle <<cose e dei beni culturali>> e tuttavia l’art. 174, comma 2, fa riferimento esclusivamente ai “beni culturali” legittimamente usciti dal territorio nazionale e non rientrati alla scadenza del termine. Se ne dovrebbe dedurre, seguendo la tesi difensiva, che il mancato rientro delle “cose di interesse culturale” di cui all’art. 65, comma 3, sarebbe penalmente irrilevante. Seguendo lo stesso criterio interpretativo sarebbe penalmente irrilevante anche l’esportazione illecita di <<beni culturali>> sol perché non menzionati tal quali dal primo comma dell’art. 174, comma 1. Nemmeno l’interpretazione (letterale) dell’art. 65, comma 3, lett. a), è condivisibile. L’interesse culturale, che costituisce predicato necessario delle “cose” la cui uscita definitiva dal territorio nazionale è soggetta ad autorizzazione, è ricavabile dall’art. 2, comma 2, stesso decreto, che qualifica come “patrimonio culturale” l’insieme di tutte le cose immobili e mobili che, ai sensi degli artt. 10 e 11, <<presentano interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, archivistico e bibliografico>>. La natura “culturale" dell’interesse richiama e racchiude in sé ogni possibile sua declinazione (artistica, storica, archeologica, etnoantropologica, archivistica e bibliografica) che impone la tutela e la valorizzazione della “cosa” ai sensi degli artt. 1, 3 e 6, d.lgs. n. 42 del 2004. E’ l’interesse (culturale) che, costituendo predicato della “cosa”, la attrae nell’orbita della disciplina di tutela del patrimonio culturale. Questa Corte sul punto ha già affermato il principio, che deve essere qui confermato, secondo il quale il riferimento contenuto nell'art. 2 del D.Lgs. 22 gennaio 2004 n. 42 alle "altre cose individuate dalla legge o in base alla legge quali testimonianze aventi valore di civiltà" costituisce una formula di chiusura che consente di ravvisare il bene giuridico protetto dalle nuove disposizioni sui beni culturali ed ambientali non soltanto nel patrimonio storico-artistico-ambientale dichiarato, ma anche in quello reale, ovvero in quei beni protetti in virtù del loro intrinseco valore, indipendentemente dal previo riconoscimento da parte della autorità competenti (Sez. 2, n. 36111 del 18/07/2014, Rv. 260366, secondo cui il reato di impossessamento illecito di beni culturali di cui all'art. 176 del D.Lgs. n. 42 del 2004 non richiede, quando si tratti di beni appartenenti allo Stato, l'accertamento del cosiddetto interesse culturale, né che i medesimi presentino un particolare pregio o siano qualificati come culturali da un provvedimento amministrativo, essendo sufficiente che la "culturalità" sia desumibile da caratteristiche oggettive del bene; nello stesso senso, Sez. 3, n. 45841 del 18/10/2012, Diamanti, Rv. 253998; Sez. 3, n. 21400 del 15/02/2005, Pavoncelli, Rv. 231638; nonché, in tema di impossessamento illecito di beni culturali, Sez. 2, n. 36111 del 18/07/2014, Rv. 260366, secondo cui il reato di cui all'art. 176 del D.Lgs. n. 42 del 2004 non richiede, quando si tratti di beni appartenenti allo Stato, l'accertamento del cosiddetto interesse culturale, nè che i medesimi presentino un particolare pregio o siano qualificati come culturali da un provvedimento amministrativo, essendo sufficiente che la "culturalità" sia desumibile da caratteristiche oggettive del bene). E’ vero che alcune delle pronunce testé citate si riferiscono esplicitamente ai “beni culturali indicati nell’art. 10 appartenenti allo Stato”, rinvenuti nel sottosuolo o sui fondali marini, che costituiscono oggetto materiale delle condotte sanzionate dal diverso reato di cui all’art. 176, d.lgs. n. 42 del 2004; ma è altrettanto vero che anche per tali beni si rende necessaria la verifica dell’interesse culturale di cui all’art. 12, stesso decreto, verifica richiesta, in generale, per tutti i beni di cui all’art. 10, comma 1, che presentano interesse culturale. Sicché l’equazione: “bene culturale = cosa già dichiarata di interesse culturale all’esito delle procedure previste dagli artt. 12 e 14, d.lgs. n. 42 del 2004”, proposta dalla difesa a sostegno dell’interpretazione dell’art. 174, comma 1, d.lgs. n. 42 del 2004, non ha riscontri nemmeno nella lettera della legge.  
3.8. Nessun argomento di ordine sistematico, tanto meno letterale, osta dunque all’interpretazione dell’art. 174, comma 1, d.lgs. n. 42 del 2004 secondo la quale oggetto materiale della condotta illecita prevista dalla fattispecie sono (anche) le “cose che presentano interesse culturale”, a prescindere dal riscontro di un effettivo interesse che ne giustifichi la formale dichiarazione di “beni culturali” ai sensi dell’art. 13, stesso decreto (nello stesso senso già Sez. 3, n. 17223 del 03/11/2016, Rv. 269627, che, nello stabilire il principio secondo il quale nel caso di illecito trasferimento all'estero di cose di interesse storico o artistico, deve essere obbligatoriamente disposta la confisca prevista dall'art. 174 del D.Lgs. n. 42 del 22 gennaio 2004, indipendentemente dal fatto che, sui beni oggetto di esportazione clandestina, sia stata effettuata la dichiarazione di interesse culturale, ha esplicitamente osservato che il precetto sanzionatorio di cui al citato art. 174 non fa riferimento ai soli beni culturali riconosciuti tali con la dichiarazione prevista dall'art. 13 del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, ma, più in generale, a cose di interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, bibliografico, documentale archivistico, in maniera da tutelare le cose che sarebbero suscettibili di dichiarazione di interesse culturale anche qualora quest'ultima non sia in concreto intervenuta). E’ necessario e sufficiente, insomma, che la cosa presenti un oggettivo interesse culturale (e che, ovviamente, di ciò sia consapevole l’autore della condotta, nel caso di specie un artista). Ne consegue che il reato di <<uscita o esportazione illecite>> di cose di interesse culturale di cui all’art. 174, comma 1, d.lgs. n. 42 del 2004, è configurabile indipendentemente dalla produzione di un danno al patrimonio artistico nazionale (Sez. 2, n. 1253 del 28/02/1995, Vallorani, Rv. 201588; Sez. 4, n. 2056 del 21/01/2000, Silva, Rv. 215955; nello stesso senso, più recentemente, Sez. 3, n. 39517 del 20/07/2017, Iuliano, Rv. 271467, secondo cui l'art. 174 d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 142 punisce l'esportazione di beni per i quali non sia stato ottenuto l'attestato di libera circolazione [per il trasferimento verso Paesi comunitari] o la licenza di esportazione [per il trasferimento verso Paesi extracomunitari], indipendentemente dal fatto che il provvedimento autorizzatorio possa essere rilasciato o meno: ne consegue che, sussistendo la qualità di bene culturale e mancando l'attestato o la licenza richiesta, il reato è configurabile indipendentemente dalla produzione di un danno al patrimonio storico ed artistico nazionale).
3.9. Tale interpretazione è conforme alla lettera della legge ed è coerente, sul piano sistematico, sia con la ‘ratio’ del controllo sulla circolazione dei beni costituenti il patrimonio culturale <<in tutte le sue componenti>> (così l’art. 64 bis d.lgs. n. 42, cit., omogeneo, nel suo contenuto definitorio, all’art. 2), sia, per quanto qui rileva, con l’art. 68, d.lgs. n. 42 del 2004, che disciplina l’uscita “definitiva” dal territorio nazionale delle <<cose indicate dall’art. 65, comma 3>> (delle cose, cioè, che presentano interesse culturale per le quali non è ancora intervenuta la dichiarazione di cui all’art. 13). L’art. 68 è stato modificato dall’art. 2, comma 1, lett. uu, d.lgs. n. 62 del 2008, che vi ha espunto ogni riferimento alla parola <<beni>> in esso precedentemente contenuta, così da rendere chiaro, per un verso, che i “beni culturali” (le cose già oggetto della dichiarazione di cui all’art. 13) non possono normalmente uscire definitivamente dal territorio della Repubblica (in coerenza con quanto dispone l’art. 65, comma 1), dall’altro (e correlativamente) che oggetto di disciplina sono proprio tutte quelle cose che, presentando interesse culturale e non essendo state formalmente dichiarate beni culturali, potrebbe tuttavia esserlo in conseguenza del diniego di attestato di libera circolazione che comporta l’avvio del procedimento di dichiarazione dell’interesse culturale di cui all’art. 14, d.lgs. n. 42 del 2004 (art. 68, commi 4 e 5).
3.10. La finalità di preservare il <<patrimonio culturale in tutte le sue componenti>> (art. 64-bis) giustifica il controllo sulla circolazione internazionale di tutte le cose che presentano interesse culturale e che, dunque, potrebbero essere dichiarate di interesse culturale all’esito della valutazione del competente ufficio di esportazione al quale la cosa deve essere presentata (art. 68). La tutela è anticipata al momento dell’uscita dal territorio nazionale della cosa che, presentando interesse culturale, potrebbe definitivamente (ed ufficialmente) far parte del patrimonio culturale. Questo spiega perché, ai fini della sussistenza del reato di cui all’art. 174, comma 1, d.lgs. n. 42 del 2004, è necessario e sufficiente che la cosa presenti interesse culturale.  
3.11. Nel caso di specie, è indiscutibile che l’opera oggetto di addebito presentasse oggettivo interesse culturale e che, dunque, dovesse essere presentata al competente ufficio di esportazione ai fini del rilascio dell’attestato di libera circolazione e di licenza di esportazione.  
3.12. Il primo motivo, così come argomentato dal ricorrente, è dunque manifestamente infondato.

4. Anche il secondo motivo è manifestamente infondato, oltre che proposto per motivi non consentiti nel giudizio di legittimità.
4.1. Non corrisponde, innanzitutto, a verità che la <<Corte di appello ha affermato la penale responsabilità di Marcello Lo Giudice (…) attribuendo acriticamente piena attendibilità alla valutazione in atti a firma della Sovrintendenza circa la riconducibilità dell’opera oggetto di asserita esportazione all’artista Carlo Carrà>>, preferita, in quanto <<unico organo pubblico deputato a dichiarare il rilevante interesse artistico dell’opera>>, alla <<dichiarazione sottoscritta dal nipote dell’artista, Luca Carrà, che ha invece drasticamente escluso la riconducibilità dell’opera alla mano dello zio>>. Non è inoltre corretto, per quanto oltre si dirà, affermare che la Corte di appello ha travisato il compendio probatorio e, con esso, la nota con cui il Nucleo CC Tutela del patrimonio artistico culturale aveva invitato gli agenti della dogana a sottoporre il dipinto al nipote dell’artista <<che ne [avrebbe certificato] l’autenticità o meno ed il valore economico approssimativo>>.
4.2. Oggetto materiale della condotta è un disegno o litografia su cartoncino, eseguito in matita nera su carbone, raffigurante un uomo a cavallo con una chiesa sullo sfondo, delle dimensioni di cm. 80 x 60, apparentemente firmato Carrà e datato 1938. Tre sono le iscrizioni presenti sul disegno: una, a matita, sulla parte anteriore (“Carrà”), l’altra, ad inchiostro a penna, sul retro (“C.Carrà a Felice 1938”), la terza, a matita, sul retro del passepartout (“Carrà 1938”).
4.3. La tesi difensiva, supportata dalla dichiarazione del nipote dell’artista, Luca Carrà, responsabile dell’omonimo archivio, secondo cui si tratterebbe di una copia speculare di un quadro ad olio del 1949 (il Gran Lombardo) eseguita da un’altra persona, è stata disattesa dai Giudici di merito in base alle seguenti considerazioni: a) le dimensioni del disegno e la sua caratteristica “preparatoria”, che rendono poco plausibile l’ipotesi del falso, non essendo comprensibile perché l’autore del falso non abbia riprodotto l’opera compiuta, piuttosto che uno schizzo preparatorio; b) la data, incomprensibilmente anteriore di dieci anni all’originale, ma ben più coerente con la genuinità del bozzetto e il suo destinatario (il più anziano Felice Casorati o il coetaneo Felice Carena, entrambi pittori); c) le dediche e la loro inspiegabile imitazione, compresa quella delle firme poste sul retro; d) l’assenza di rilievi da parte di Luca Carrà sull’autenticità delle sottoscrizioni. Per queste ragioni, sia il Tribunale che la Corte di appello hanno dato maggior credito alla valutazione della Sovrintendenza secondo la quale, invece, il disegno <<costituiva un’importante elaborazione compositiva elaborata nel momento dell’esecuzione della serie degli innevati paesaggi valtellinesi dell’Aprica (1938), successivamente ripresa e valorizzata, un decennio dopo, per la realizzazione di soggetti da trattare autonomamente su tela (…) preziosa la dedicazione segnata sul verso del cartone (presumibilmente riferita all’omaggio del foglio al più anziano Felice Casorati o al coetaneo Felice Carena, colleghi entrambi pittori>>.
4.4. Non è dunque vero che la Corte di appello (e prima ancora il Tribunale) ha acriticamente dato maggior credito al parere della Sovrintendenza in virtù della sola provenienza pubblica del relativo giudizio (sulla qualificata rilevanza di tale parere si veda oltre); inoltre, la deduzione secondo la quale il nipote dell’artista non aveva disconosciuto la paternità delle sottoscrizioni di questi non costituisce argomento esclusivo, bensì ulteriore passaggio della motivazione che concorre a rafforzare, sul piano logico, le conclusioni dei Giudici di merito. Tra l’altro, la Corte di appello non ha mai fatto propria, né ripreso la considerazione del Tribunale secondo la quale il nipote dell’artista avrebbe avuto un non meglio precisato interesse ad aiutare l’imputato in quanto artista noto: l’ha anzi del tutto trascurata. La “scelta” della Corte territoriale a favore dell’autenticità dell’opera si basa sulle considerazioni oggettivamente e razionalmente verificabili sopra indicate e non sulle apodittiche affermazioni sviluppate, sul punto, dal Tribunale e ampiamente censurate con l’odierno ricorso. La Corte di appello, infatti, si limita a prendere atto del mancato disconoscimento delle tre firme apposte sull’opera e questo, al di là delle ragioni di tale condotta, è un fatto, valutato insieme con le altre emergenze processuali. V’è piuttosto da dire che la difesa ha totalmente abbandonato in questa sede la tesi della legittima provenienza del dipinto da una galleria milanese, disattesa dai Giudici di merito a causa della non genuinità del relativo buono di consegna prodotto in sede di giudizio. Dunque, il conclusivo giudizio della Corte di appello circa la effettiva riconducibilità dell’opera alla mano dell’artista costituisce il frutto di un ponderato esame critico di tutti gli elementi di prova a disposizione, compendiato in una motivazione che, non essendo manifestamente illogica né, per quanto si dirà, conseguenza di decisivi travisamenti della prova, si sottrae al sindacato di questa Suprema Corte.
4.5. La difesa eccepisce che la Corte di appello ha travisato (per omissione) il contenuto della email trasmessa il 07/01/2010 dal Nucleo Carabinieri per la tutela del patrimonio culturale agli agenti della Dogana di Ponte Chiasso.  In tale mail i Carabinieri avevano invitato il loro interlocutore a sottoporre il dipinto al nipote dell’artista <<che ne [avrebbe certificato] l’autenticità o meno ed il valore economico approssimativo>>.
4.6. L’eccezione impone le precisazioni che seguono.
4.7. Il travisamento della prova è configurabile solo quando si introduce nella motivazione una informazione rilevante che non esiste nel processo o quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia; il relativo vizio ha natura decisiva solo se l'errore accertato sia idoneo a disarticolare l'intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa del dato processuale/probatorio (Sez. 6, n. 5146 del 16/01/2014, Del Gaudio, Rv. 258774; Sez. 2, n. 47035 del 03/10/2013, Giugliano, Rv. 257499). Il travisamento della prova, dunque, consiste in un errore percettivo (e non valutativo) della prova stessa tale da minare alle fondamenta il ragionamento del giudice ed il sillogismo che ad esso presiede. In particolare, consiste nell’affermare come esistenti fatti certamente non esistenti ovvero come inesistenti fatti certamente esistenti. Il travisamento rende la motivazione insanabilmente contraddittoria con le premesse fattuali del ragionamento così come illustrate nel provvedimento impugnato, una diversità tale da non reggere all’urto del contro-giudizio logico sulla tenuta del sillogismo. Il travisamento è perciò decisivo quando la frattura logica tra la premessa fattuale del ragionamento e la conclusione che ne viene tratta è irreparabile. Come recentemente ribadito da Sez. U, n. 18620 del 19/01/2017, Patalano, n.m. sul punto, il travisamento delle prova sussiste quando emerge che la sua lettura sia affetta da errore "revocatorio", per omissione, invenzione o falsificazione. In questo caso, difatti, la difformità cade sul significante (sul documento) e non sul significato (sul documentato).  
4.8. Poiché il vizio riguarda la ricostruzione del fatto effettuata utilizzando la prova travisata, se l’errore è imputabile al giudice di primo grado la relativa questione deve essere devoluta al giudice dell'appello, pena la sua preclusione nel giudizio di legittimità, non potendo essere dedotto con ricorso per cassazione, in caso di c.d “doppia conforme”, il vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il giudice di secondo grado se il travisamento non gli era stato rappresentato (Sez. 5, n. 48703 del 24/09/2014, Biondetti, Rv. 261438; Sez. 6, n. 5146 del 2014, cit.), a meno che, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, il giudice di secondo grado abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice (nel qual caso il vizio può essere eccepito in sede di legittimità, Sez. 4, n. 4060 del 12/12/2013, Capuzzi, Rv. 258438).
4.9. Tanto premesso, è agevole osservare che: a) la prova documentale oggetto dell’eccepito travisamento non è stata prodotta per la prima volta in sede di appello; b) l’impugnazione della sentenza del Tribunale non ne sollecitava, né ne eccepiva l’omesso esame; c) la Corte di appello non ha fondato le proprie ragioni sul documento in questione; d) il documento, anzi, contiene mere valutazioni, proprie del pubblico ufficiale redigente, ancorché qualificato, sulla idoneità del solo nipote a certificare l’autenticità delle opere dell’artista. Il “travisamento”, in conclusione, non solo non era decisivo, ma non sussisteva affatto e la relativa eccezione, non sollevata in appello, non è consentita in questa sede, traducendosi in una inammissibile deduzione fattuale volta a scardinare l’impianto logico della motivazione su basi estranee al testo della sentenza.
4.10. E’ opportuno, a questo punto, richiamare la consolidata giurisprudenza amministrativa secondo la quale <<l'apprezzamento compiuto dall'Amministrazione preposta alla tutela [del vincolo culturale] - da esercitarsi in rapporto al principio fondamentale dell'art. 9 Cost. - è sindacabile, in sede giudiziale, esclusivamente sotto i profili della logicità, coerenza e completezza della valutazione, considerati anche per l'aspetto concernente la correttezza del criterio tecnico e del procedimento applicativo prescelto, ma fermo restando il limite della relatività delle valutazioni scientifiche, sicché, in sede di giurisdizione di legittimità, può essere censurata la sola valutazione che si ponga al di fuori dell'ambito di opinabilità, affinché il sindacato giudiziale non divenga sostitutivo di quello dell'Amministrazione attraverso la sovrapposizione di una valutazione alternativa, parimenti opinabile. In altri termini, la valutazione in ordine all'esistenza di un interesse culturale (artistico, storico, archeologico o etnoantropologico) particolarmente importante, tale da giustificare l'imposizione del relativo vincolo ai sensi degli artt. 13, comma 1, e 10, comma 3, lett. a), D.Lgs. n. 42 del 2004, è prerogativa esclusiva dell'Amministrazione preposta alla gestione del vincolo e può essere sindacata in sede giurisdizionale solo in presenza di profili di incongruità ed illogicità di evidenza tale da far emergere l'inattendibilità della valutazione tecnico-discrezionale compiuta>> (Cons. St., Sez. 6, n. 4747 del 14/10/2015, che richiama, in motivazione, le precedenti sentenze n. 1000/2015, n. 3360/2014, n. 2019/2014 e n. 1557/2014).
4.11. Il principio affermato in sede amministrativa non legittima, ovviamente, l’acritica trasposizione, nel processo penale, delle conclusioni della Sovrintendenza circa la qualificazione della cosa come di effettivo interesse culturale. Vi osta l’obbligo, per il giudice penale, di risolvere in modo autonomo ogni questione (anche amministrativa) dalla quale dipende la decisione (art. 2 cod. proc. pen.) che comporta il divieto, nel processo penale, di ricorrere a prove legali e/o gerarchicamente sovraordinate alle altre. E tuttavia, non si può nemmeno negare la particolare pregnanza di un parere proveniente da un organo pubblico qualificato e deputato a esprimersi sulla imposizione del vincolo culturale, un parere che, quando positivamente espresso, esonera il giudice dall’obbligo di rivalutarne ogni volta la correttezza in assenza di elementi specifici tali da ingenerare anche solo il dubbio sul punto. Nel caso di specie, come visto, i Giudici di merito si sono confrontati con gli argomenti di segno contrario proposti dalla difesa, superandoli con un ragionamento che, come detto, sfugge completamente al sindacato di questa Corte.

5. Benché il ricorso sia inammissibile, la sentenza impugnata deve essere annullata, senza rinvio, per prescrizione del reato.
5.1. Successivamente alla sentenza, e allo stesso ricorso per cassazione, il legislatore ha introdotto modifiche rilevanti al d.lgs. n. 42 del 2004 che incidono sulla astratta sussistenza del reato contestato all’odierno imputato.
5.2. In particolare, l’art. 175, comma 1, lett. g), nn. 1 e 2, legge 4 agosto 2017, n. 124, ha modificato l’art. 65, commi 2, lett. a), e 3, lett. b), d.lgs. n. 42 del 2004, nel senso che non è (più) soggetta ad autorizzazione l’uscita delle cose che presentino interesse culturale, che siano opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre settanta anni (non più cinquanta), il cui valore sia inferiore ad euro 13.500, e non siano comprese nell’elenco delle cose di cui all'allegato A, lettera B, numero 1 (e cioè i reperti archeologici, quelli derivanti dallo smembramento di monumenti, gli incunaboli e i manoscritti, qualunque sia il valore).
5.3. In precedenza, tutte le opere di autore non più vivente, la cui esecuzione risaliva ad oltre cinquanta anni, che presentavano interesse culturale, non potevano uscire dal territorio della Repubblica senza attestato di libera circolazione, a prescindere dal loro valore; quelle di autore vivente o comunque non risalenti ad oltre cinquanta anni potevano uscire liberamente alle sole condizioni previste dall’art. 65, comma 4, d.lgs. n. 42 del 2004, che oneravano l’interessato di comprovare al competente ufficio di esportazione che le cose da trasferire all’estero fosse opera di autore vivente o la cui esecuzione non risalisse ad oltre cinquanta anni, secondo le procedure e con le modalità stabilite con decreto ministeriale.
5.4. Il legislatore del 2017 ha ampliato la possibilità di esportare liberamente opere di autore non più vivente, da un lato aumentando a settanta anni l’arco temporale di riferimento, dall’altro introducendo un criterio di valore al di sotto del quale l’opera può essere liberamente esportata. In tal caso l'interessato ha il solo onere di comprovare al competente ufficio di esportazione, mediante dichiarazione ai sensi del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, che le cose da trasferire all'estero rientrino nelle ipotesi per le quali non è prevista l'autorizzazione, secondo le procedure e con le modalità stabilite con decreto ministeriale. Il competente ufficio di esportazione, qualora reputi che le cose presentino un interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico eccezionale per l'integrità e la completezza del patrimonio culturale della Nazione, avvia il procedimento di cui all'articolo 14, che si conclude entro sessanta giorni dalla data di presentazione della dichiarazione. Normalmente, dunque, tutte le cose che presentano interesse culturale e che rispettano i requisiti del novellato art. 65, comma 3, lett. b), d.lgs. n. 42 del 2004 possono circolare liberamente ed uscire dal territorio della Repubblica, a meno che non presentino un interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico eccezionale per l'integrità e la completezza del patrimonio culturale della Nazione. In tale eventualità la cosa, qualunque valore abbia, deve essere dichiarata al competente ufficio di esportazione che, all’esito del procedimento di cui all’art. 14, potrebbe negare il rilascio dell’attestato o della licenza.  
5.5. E’ necessario soffermarsi ulteriormente sulla struttura del reato di uscita o esportazione illecite di cose di interesse culturale di cui all’art. 174, comma 1, d.lgs. n. 42 del 2004. La fattispecie prevede, quali elementi costitutivi, la assenza dell’attestato di libera circolazione ovvero della licenza di esportazione.
5.6. L’attestato di libera circolazione è disciplinato dall’art. 68 ed ha ad oggetto, come già detto, le (sole) cose indicate dall’art. 65, comma 3, d.lgs. n. 42 del 2004, con esclusione, quindi, di quelle indicate nel comma successivo (soggette a regime di libera circolazione) che non presentino interesse culturale eccezionale. L’attestato di libera circolazione può essere temporaneo se si tratta dei beni e delle cose indicati dall’art. 65, commi 1 e 2 per i quali vige il divieto di uscita definitiva dal territorio della Repubblica.
5.7. Per l’esportazione al di fuori del territorio dell’Unione Europea occorre la licenza di esportazione, disciplinata dall’art. 2, del regolamento (CE) n. 116/2009 del 18 dicembre 2008 del Consiglio relativo all’esportazione di beni culturali (che ha sostituito ed abrogato il regolamento CEE n. 3911/92 del Consiglio, del 9 dicembre 1992, e successive modificazioni), richiamato dagli artt. 73 e 74, d.lgs. n. 42 del 2004). Oggetto di licenza sono solo i beni indicati nell’allegato A al d.lgs. n. 42 del 2004, che, richiamando l’analogo allegato I al regolamento (CE) n. 116/2009, li distingue per categoria e per valore. In particolare, necessitano sempre della licenza di esportazione qualunque ne sia il valore: A) i reperti archeologici aventi più di cento anni provenienti da: a) scavi e scoperte terrestri o sottomarine; b) siti archeologici; c) collezioni archeologiche; B) gli elementi, costituenti parte integrante di monumenti artistici, storici o religiosi e provenienti dallo smembramento dei monumenti stessi, aventi più di cento anni; C) gli incunaboli e i manoscritti. Per tali beni, infatti, l’allegato I al regolamento (CE) n. 116/2009, cit., afferma senz’altro la qualifica di “beni culturali” e la espressa applicabilità, ad essi, del regolamento stesso a prescindere dal loro valore (cfr. anche il considerando 4 che fa riferimento ai beni culturali specificamente considerati come tali dal regolamento). Gli altri beni, invece, sono assoggettati alla disciplina regolamentare se il valore è pari o superiore a quello specificamente indicato per ciascuno di essi. Di conseguenza, per tali beni la licenza è necessaria solo se il valore supera quello specificamente indicato. Tale valore deve essere accertato al momento della presentazione della domanda di esportazione (allegato I al regolamento e allegato A al d.lgs. n. 42 del 2004). In particolare, per i disegni è necessario che il valore sia pari o superiore ad € 13.979,50; per gli acquerelli, guazzi e pastelli il valore deve essere pari o superiore ad € 27.959,00; per i quadri, pari o superiore ad € 139.794,00.
5.8. La licenza di esportazione non è alternativa all’attestato di libera circolazione, ma deve essere rilasciata contestualmente a quest’ultima (art. 74, comma 3, d.lgs. n. 42 del 2004). Ne consegue che gli oggetti astrattamente esportabili in via definitiva dal territorio dell’Unione europea, potrebbero non esserlo in virtù del divieto di uscita definitiva dal territorio della Repubblica di cui all’art. 65, commi 1 e 2, d.lgs. n. 42, cit.. Ciò del resto non sarebbe affatto in contrasto con la disciplina eurounitaria che fa espressamente salva la applicazione della legislazione nazionale in materia di tutela del patrimonio intero avente valore artistico, storico o archeologico nello Stato membro di cui trattasi (art. 2, comma 2, reg. CE, e il considerando 7).
5.9. Il legislatore del 2017 ha in questo modo uniformato le due discipline, quella interna e quella comunitaria, prevedendo, anche ai fini dell’attestato di libera circolazione, il valore in corrispondenza del quale e al di sotto del quale la cosa di interesse culturale può liberamente uscire in via definitiva dal territorio della Repubblica (salva la necessità della licenza di esportazione in caso di esportazione al di fuori del territorio dell’Unione europea). L’attestato di libera circolazione è sempre richiesto per i reperti archeologici, per gli elementi provenienti dallo smembramento dei monumenti, per gli incunaboli e i manoscritti, nonché, come detto, per le cose che presentano interesse culturale di eccezionale rilevanza.
5.10. Ne consegue, in ultima analisi, che per il disegno oggetto della condotta incriminata, ferma restando la sua attribuzione all’artista Carlo Carrà e la datazione ad oltre settanta anni prima del fatto, potrebbero non essere necessari né l’attestazione di libera circolazione di cui all’art. 68, d.lgs. n. 42 del 2004, né la licenza di esportazione di cui al successivo art. 74. Al momento del fatto l’accertamento del valore, ancorché sollecitato dagli stessi CC del Nucleo tutela patrimonio artistico nella mail indicata dal ricorrente, non era necessario né rilevante perché, comunque, l’esportazione del bene dal territorio della Repubblica rendeva obbligatorio il rilascio dell’attestato di libera circolazione. Le modifiche intervenute nel 2017 hanno inciso sulla attuale struttura del reato, sottraendo dalla fattispecie incriminatrice le condotte di esportazione che hanno ad oggetto cose che presentano interesse culturale di non eccezionale rilevanza, diverse dei reperti archeologici, dagli elementi provenienti dallo smembramento dei monumenti, dagli incunaboli e manoscritti, che siano opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre settanta anni, di valore pari o inferiore ad € 13.500,00. Si tratta di modifica indubbiamente più favorevole, immediatamente applicabile, ai sensi dell’art. 2, comma 2, cod. pen., anche ai fatti pregressi.
5.11. Deve perciò essere affermato il seguente principio di diritto: <<il trasferimento all’estero di cose di interesse culturale di non eccezionale rilevanza di cui all’art. 65, comma 3, lett. a), d.lgs. n. 42 del 2004, diverse da quelle di cui all’allegato A, lettera B n. 1, e di valore pari o inferiore ad € 13.500,00, non integra il reato di cui all’art. 174, comma 1, d.lgs. n. 42 del 2004.
Le modifiche introdotte dall’art 175, comma 1, lett. g), nn. 1 e 2, legge 4 agosto 2017, n. 124, in quanto incidono sulla struttura del reato di cui all’art. 174, d.lgs. n. 42 del 2004, restringendone l’ambito applicativo, si applicano anche ai fatti commessi prima della sua entrata in vigore>>.
5.12. Tale principio non si pone in contrasto con quello affermato, in costanza di legislazione previgente, da questa Corte con sentenza Sez. 3, n. 39517 del 20/07/2017, Iualiano, Rv. 271467, secondo cui l'art. 174 d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 142 punisce l'esportazione di beni per i quali non sia stato ottenuto l'attestato di libera circolazione (per il trasferimento verso Paesi comunitari) o la licenza di esportazione (per il trasferimento verso Paesi extracomunitari), indipendentemente dal fatto che il provvedimento autorizzatorio possa essere rilasciato o meno: ne consegue che, sussistendo la qualità di bene culturale e mancando l'attestato o la licenza richiesta, il reato è configurabile indipendentemente dalla produzione di un danno al patrimonio storico ed artistico nazionale. La motivazione della sentenza spiega infatti che le cose di cui all’art. 65, comma 4, d.lgs. n. 42 del 2004, possono liberamente circolare anche fuori del territorio nazionale. Successivamente alla sentenza, come detto, il legislatore del 2017 ha inserito nell’elenco delle cose di interesse culturale liberamente esportabili anche quelle di cui al comma 3, lett. a), di valore pari o inferiore a € 13.500,00 e/o la cui esecuzione non risalga ad oltre settanta anni. Per tali beni (ad esclusione di quelli di cui all’allegato A, lett. B, n. 1) non è necessaria nemmeno la licenza di esportazione, visto che il regolamento comunitario non li considera “beni culturali”.  
5.13. Nel caso di specie, come detto, ferma la datazione dell’opera ad oltre settanta anni prima del fatto e la sua attribuzione all’artista, non ne è stato accertato il valore, né l’eventuale rilevanza eccezionale dell’interesse artistico. La sentenza, dunque, dovrebbe essere annullata con rinvio per l’accertamento di tale ulteriore requisito della fattispecie penale. Sennonché l’intervenuta prescrizione del reato rende superfluo l’incombente istruttoria. Tuttavia non si può procedere alla restituzione della cosa, come richiesto dal difensore in sede di pubblica discussione, posto che, ove l’opera sia di valore superiore a quello previsto dalla legge o abbia un interesse culturale di eccezionale rilevanza, ne deve essere obbligatoriamente disposta la confisca, secondo quanto prevede l’art. 174, comma 3, d.lgs. n. 42 del 2004, anche in caso di prescrizione del reato (Sez. 3, n. 42458 del 10/06/2015, Almagià, secondo cui la confisca prevista dall'art. 174 D.Lgs. del 22 gennaio 2004, n. 42, deve essere obbligatoriamente disposta anche se il privato non è responsabile dell'illecito o comunque non ha riportato condanna, fatta salva la sola eccezione che la cosa appartenga a persona estranea al reato, poichè trattasi di misura recuperatoria di carattere amministrativo la cui applicazione è rimessa al giudice penale a prescindere dall'accertamento di una responsabilità penale. Non rilevano, in questo caso, i principi affermati dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo nella sentenza del 29 ottobre 2013, Varvara c.Italia, in quanto, trattandosi di beni appartenenti al patrimonio indisponibile dello Stato, il provvedimento ablativo non incide sul diritto di proprietà privata Rv. 265046; Sez. 3, n. 17223 del 03/11/2016, Ciaccia, cit.; Sez. 3, n. 49438 del 04/11/2009, Zerbone, Rv. 245862).
5.14. Tale incombente, che richiede accertamenti in fatto e valutazioni non rilevabili ictu oculi dalla lettura della sentenza, impedisce a questa Corte di pronunciarsi sulla confisca. Sarà compito del giudice dell’esecuzione, ove investito della richiesta di restituzione dell’opera, a provvedere in merito.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata per essere il reato estinto per prescrizione.
Così deciso in Roma, il 17/10/2017.