Cass. Sez. III n. 15117 del 12 aprile 2024 (UP 28 mar 2024)
Pres. Sarno Est. Corbetta Ric. PM in proc. Sassi
Alimenti.Vendita di prosciutti contaminati da insetticidi
Integra l'illecito amministrativo di cui all'art. 6, comma 5, d.lgs. 6 novembre 2007, n. 193, e non il delitto di frode in commercio, la condotta di chi detiene per la vendita prosciutti conservati, durante la fase di stagionatura, in sale sottoposte a trattamenti di disinfestazione eseguiti con insetticidi nebulizzati, il cui utilizzo è vietato con riguardo agli alimenti.
RITENUTO IN FATTO
1. Con l’impugnata sentenza, il Tribunale di Udine, all’esito del giudizio abbreviato, ha assolto Emilio Sassi e Uli Gubiani dal reato di cui agli artt. 110, 81 cpv., 515 e 517-bis cod. pen., nella forma sia consumata (capo A), che tentata (capo B), perché il fatto non sussiste e, conseguentemente, ha escluso la responsabilità amministrativa di Selva Alimentari in relazione all’illecito di cui all’art. 25-bis1, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 231 del 2001, contestato al capo C).
Agli imputati, nella rispettiva qualità di legale rappresentante pro-tempore e di direttore pro-tempore del prosciuttificio Selva Alimentari s.p.a., si contesta di aver messo in commercio – ovvero tentato di mettere in commercio – diversi prosciutti D.o.p. San Daniele, ottenuti da cosce di suini conservate in saloni di stagionatura in cui erano stati eseguiti trattamenti di disinfestazione con l’impiego di insetticidi nebulizzati negli ambienti e/o spruzzati su parti e pavimenti, trattamenti non ammessi dal disciplinare di produzione della D.o.p. “Prosciutto di San Daniele” e, in ogni caso vietati, non essendo in generale consentito l’uso di insetticidi sugli alimenti.
2. Avverso l’indicata sentenza, il pubblico ministero ha proposto ricorso per cassazione, che deduce la violazione di legge in relazione agli artt. 515 e 517-bis cod. pen. Assume il ricorrente che la conclusione assunta dal Tribunale, ossia che il fatto integra gli estremi dell’illecito amministrativo di cui all’art. 6, comma 5, d.lgs. n. 193 del 2007, sarebbe smentita dall’inserimento nel codice penale della circostanza aggravante di cui all’art. 517-bis cod. pen., la quale persegue lo scopo di consolidare la tutela della Denominazione di origine protetta. Sostiene il ricorrente che la previsione di tale aggravante avrebbe risolto in radice il problema del rapporto tra le norme incriminatrici racchiuse negli artt. 516, 516 e 517 cod. pen. e le norme di carattere amministrativo che sanzionano le frodi alimentari concernenti prodotti a denominazione protetta, assegnando prevalenza alle prime; diversamente opinando, sarebbe svilito il significato degli artt. 515 e 517-bis cod. pen., posto che, in particolare, l’aggravante non potrebbe trovare applicazione.
Ad avviso del ricorrente, il Legislatore ha inteso predisporre una tutela rafforzata per chi produca alimenti D.o.p. senza attenersi alle prescrizioni dei relativi disciplinari, condotta che concretizza l’induzione in errore del consumatore circa l’effettiva qualità degli alimenti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
2. La materialità del fatto non è messa in discussione dal ricorrente.
Come accertato dal Tribunale, nello stabilimento della Selva Alimentari s.p.a. furono effettuati, all’interno dei saloni di stagionatura, trattamenti di disinfestazione senza sufficienti protezioni, così esponendo agli insetticidi anche i prosciutti; tuttavia, non è vi è prova di una contaminazione effettiva poiché le analisi non sono stato in grado di accertarla. Allo stesso modo, il Tribunale ha appurato che non vi è stata alcuna violazione disciplinare di produzione del prosciutto D.o.p., né una modifica delle qualità del prodotto.
Su queste basi fattuali, il Tribunale ha rilevato che i trattamenti in questione violano le disposizioni di cui del Regolamento sull’igiene dei prodotti alimentari 29 aprile 2004, n. 852/2004/CE, laddove stabilisce che “In tutte le fasi di produzione, trasformazione e distribuzione gli alimenti devono essere protetti da qualsiasi forma di contaminazione atta a renderli inadatti al consumo umano, nocivi per la salute o contaminati in modo tale da non poter essere ragionevolmente consumati in tali condizioni”.
Il Tribunale ha perciò ravvisato l’illecito amministrativo di cui all’art. 6, comma 5, d.lgs. n. 193 del 2007, il quale, “salvo che il fatto costituisca reato”, punisce con la sanzione amministrativa pecuniaria “l'operatore del settore alimentare operante ai sensi dei regolamenti (CE) n. 852/2004 e n. 853/2004 a livello diverso da quello della produzione primaria che non rispetta i requisiti generali in materia di igiene di cui all'allegato II al regolamento (CE) n. 852/2004 e gli altri requisiti specifici previsti dal regolamento (CE) n. 853/2004.”
3. Si tratta di una conclusione giuridicamente corretta, che resiste alle censure mosse dal ricorrente.
4. L’art. 515 cod. pen., che incrimina il delitto di “fronde nell’esercizio del commercio”, punisce con la reclusione fino a due anni o con la multa fino a euro 2.065, qualora il fatto non costituisca più grave delitto, “chiunque, nell'esercizio di un'attività commerciale, ovvero in uno spaccio aperto al pubblico, consegna all'acquirente una cosa mobile per un'altra, ovvero una cosa mobile, per origine, provenienza, qualità o quantità, diversa da quella dichiarata o pattuita”.
Il bene tutelato dalla norma incriminatrice in esame risiede nella lealtà e nella correttezza negli scambi commerciali (Sez. 3, n. 14017 del 04/12/2018, dep. 2019, p.m. in c. Origlia, Rv. 275357; Sez. 3, n. 2291 del 07/07/1994, p.m. in c. Timperi, Rv. 198851); in particolare, la norma è posta a presidio non soltanto del compratore, ma anche dell'interesse del produttore che, per il contegno ingannevole del commerciante, veda ridotta la richiesta dei beni e parallelamente la spinta alla loro produzione.
La condotta punita consiste nella consegna all’acquirente di aliud pro alio ovvero di una cosa diversa da quella dichiarata o pattuita, laddove la diversità può riguardare, alternativamente, l’origine, la provenienza, la qualità o la quantità.
5. Nel caso in cui oggetto della condotta sia un alimento o una bevanda la cui denominazione di origine o geografica o le cui specificità sono protette dalle norme vigente, l’art. 517-bis cod. pen. prevede non già una fattispecie incriminatrice autonoma, bensì una specifica circostanza aggravante che, per espressa previsione del comma 1, può accedere ai delitti di cui agli artt. 515, 516 e 517 cod. pen.
Orbene, è del tutto evidente che, anche in relazione agli alimenti D.o.p., il reato di frode in commercio in tanto può configurasi, in quanto sia riscontrabile una divergenza tra quelle espressamente indicate dall’art. 515 cod. pen., cui accede, ricorrendone gli estremi, la circostanza aggravanti ex art. 517-bis cod. pen.
6. In questo senso è orientata la giurisprudenza di questa Sezione, la quale, proprio in relazione al prosciutto D.o.p., ha affermato che, anche dopo la trasformazione in illecito amministrativo delle sanzioni previste dalla legge 13 febbraio 1990 n. 26 sulla tutela della denominazione d'origine "prosciutto di Parma", la consegna di un diverso tipo di prosciutto integra il delitto previsto dagli artt. 515 e 517-bis cod. pen., in quanto la disposizione codicistica ha come oggetto la tutela del leale esercizio del commercio e conseguentemente l'interesse del consumatore a non ricevere una cosa diversa da quella richiesta, così come quello del produttore a non vedere i propri prodotti scambiati surrettiziamente con prodotti diversi (Sez. 3, n. 4351 del 04/12/2003, dep. 2004, Colasanti, Rv. 227560).
Si è precisato, inoltre, che la consegna di un tipo di prosciutto diverso da quello indicato nell'etichetta e protetto da denominazione di origine integra il reato previsto dall'art. 515 e 517-bis cod. pen. che, avendo per oggetto la tutela del leale esercizio del commercio, protegge sia l'interesse del consumatore a non ricevere una cosa differente da quella richiesta, sia quello del produttore a non vedere i propri articoli scambiati surrettiziamente con prodotti diversi (Sez. 3, n. 2617 del 06/11/2013, dep. 2014, Rv. 258585, la quale ha ritenuto la configurabilità del reato nell'ipotesi di confezioni riportanti sull'etichetta le denominazioni "Prosciutto di Parma" e "Prosciutto San Daniele”, sebbene le attività di affettamento del prodotto fossero avvenute con modalità diverse da quelle previste nel Disciplinare D.O.P.).
7. Orbene, può astrattamente configurarsi il delitto di cui all’art. 515 cod. pen. nel caso di violazioni del Disciplinare di produzione della denominazione di origine protetta «Prosciutto di San Daniele», come recentemente modificato con provvedimento del Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste del 27 aprile 2023, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale n. 106 del 8 maggio 2023, ossia quando non siano rispettate o l’origine geografica ovvero le modalità di produzione dell’alimento.
Ove, invece, sono osservate le indicazioni prescritte dal disciplinare – e quindi il prodotto consegnato all’acquirente è conforme per origine, provenienza, qualità e quantità a quanto pattuito o dichiarato – e, nondimeno, il prodotto è in qualche modo “alterato” non è configurabile il delitto ex art. 515 cod. pen., ma possono eventualmente trovare applicazione altre e diverse fattispecie incriminatrici, come, ad esempio, quelle poste a tutela - non della buona fede negli scambi commerciali bensì - della salute pubblica, come l’art. 440 cod. pen. nel caso di adulterazione o contraffazione di sostanze alimentari in modo concretamente pericoloso, appunto, per la salute pubblica, ovvero dell’igiene dei prodotti, quali le figure contravvenzionali previste dalla l. 30 ottobre 1962, n. 283, che puniscono fatti prodromici al verificarsi di un pericolo effettivo per la salute, come, ad esempio, il reato di cui al comma 5, lett. c), se nei prosciutti sono riscontrate “cariche microbiche” superiori ai limiti di legge, ovvero lett. d), se i prosciutti si trovano ”in stato di alterazione” o sono comunque “nocivi”.
8. Nella vicenda in esame, in cui viene in rilevo l’esposizione dei prosciutti a trattamenti di disinfestazione utilizzati, senza sufficienti protezioni, per la disinfestazione delle sale di stagionatura, è pacifico, come ritenuto dal Tribunale, che i prosciutti sono stati prodotti nel rispetto del disciplinare di
produzione della denominazione di origine protetta «Prosciutto di San Daniele», il che esclude alla radice la sussistenza del delitto di cui all’art. 515 cod. pen., posto che il prodotto aveva tutte le caratteristiche che, appunto, connotato quel peculiare tipo di prosciutto e che l’eventuale contaminazione non ha inciso sulla qualità del prodotto.
Allo stesso modo, il fatto non è sussumibile in alcuna delle previsioni di cui all’art. 5 l. n. 283 del 1962 – né, tantomeno, nel più grave delitto ex art. 440 cod. pen. - perché le analisi effettuate sui prosciutti non hanno rilevato alcuna effettiva contaminazione.
Di conseguenza, il fatto rientra nell’illecito amministrativo di cui di cui all’art. 6, comma 5, d.lgs. n. 193 del 2007, il quale, “salvo che il fatto costituisca reato”, punisce con la sanzione amministrativa pecuniaria “l'operatore del settore alimentare operante ai sensi dei regolamenti (CE) n. 852/2004 e n. 853/2004 a livello diverso da quello della produzione primaria che non rispetta i requisiti generali in materia di igiene di cui all'allegato II al regolamento (CE) n. 852/2004 e gli altri requisiti specifici previsti dal regolamento (CE) n. 853/2004”. Risulta infatti violata una peculiare disposizione cautelare prevista dall’Allegato II del Regolamento sull’igiene dei prodotti alimentari 29 aprile 2004, n. 852/2004/CE, in particolare, quella contemplata dal punto 3 del capitolo IX, la quale stabilisce che “In tutte le fasi di produzione, trasformazione e distribuzione gli alimenti devono essere protetti da qualsiasi forma di contaminazione atta a renderli inadatti al consumo umano, nocivi per la salute o contaminati in modo tale da non poter essere ragionevolmente consumati in tali condizioni”.
9. Alla luce di tali considerazioni, è perciò evidente l’errore prospettico del ricorrente, il quale si sofferma unicamente sulla previsione dell’art. 517-bis cod. pen. – che, come detto, delinea una mera circostanza aggravante – senza considerare i presupposti integranti il delitto di frode in commercio, cui quell’aggravante può accedere.
10. Per i motivi indicati, il ricorso deve perciò essere rigettato.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Così deciso il 28/03/2024.