Relazioni Penali della Corte di Cassazione n. 1043-2004

REATI CONTRO LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE - DELITTI - DEI PUBBLICI UFFICIALI - ABUSO DI UFFICIO IN CASI NON PREVEDUTI SPECIFICAMENTE DALLA LEGGE -
Testo del Documento
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
UFFICIO DEL MASSIMARIO E DEL RUOLO
-Servizio Penale-
REL. N. 43/04
OGGETTO: 606056 - REATI CONTRO LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE - ABUSO
DI UFFICIO - ORIENTAMENTI DI GIURISPRUDENZA.
RIF. NORM.: COD. PEN. ART. 323
Sommario
1. Premessa: evoluzione legislativa e scrutinio di costituzionalita\'
2. Condotta
2.1) Violazione di legge o di regolamento
2.2) Violazione dell\'obbligo di astensione
3. Elemento soggettivo: dolo intenzionale
4. Reato di evento, configurabilita\' del tentativo e condotta
omissiva
5. Nozione di ingiusto vantaggio patrimoniale, reato plurisoggettivo
e concorso dell\'estraneo.
6. Nozione di ingiusto danno, reato plurioffensivo e qualifica di
persona offesa
7. Fattispecie
7.1) Violazione della normativa in materia edilizia
7.2) Condotte costituenti abuso di medico di una struttura pubblica
8. Dottrina
1. Premessa: evoluzione legislativa e scrutinio di costituzionalita\'
Il reato di abuso di ufficio in casi non previsti specificamente
dalla legge ha subito nel corso di un breve arco temporale una
evoluzione normativa che ha trasformato profondamente la
fattispecie, divenuta sostanzialmente a condotta vincolata, come
emerge agevolmente dal raffronto tra i testi normativi che si sono
succeduti nel tempo.
Il testo originale dell\'art. 323 cod. pen., contenuto nel codice
penale del 1930, era cosi\' formulato:
" Il pubblico ufficiale, che, abusando dei poteri inerenti alle sue
funzioni, commette, per recare ad altri un danno o per procurargli
un vantaggio, qualsiasi fatto non preveduto come reato da una
particolare disposizione di legge, e\' punito con la reclusione fino
a due anni o con la multa da lire centomila a due milioni."
Il testo conseguente alla riforma, introdotta con l\'art. 13 legge 26
aprile 1990 n. 86, era cosi\' formulato:
" Il pubblico ufficiale o l\'incaricato di un pubblico servizio, che,
al fine di procurare a se\' o ad altri un ingiusto vantaggio non
patrimoniale o per recare ad altri un danno ingiusto abusa del suo
ufficio, e\' punito, se il fatto non costituisce piu\' grave reato,
con la reclusione fino a due anni.
Se il fatto e\' commesso per procurare a se\' o ad altri un ingiusto
vantaggio patrimoniale, la pena e\' della reclusione da due a cinque
anni."
Il testo, attualmente in vigore, conseguente alla riforma introdotta
con l\'art. 1 legge 16 luglio 1997 n. 234, e\' il seguente:
" Salvo che il fatto costituisca un piu\' grave reato, il pubblico
ufficiale o l\'incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento
delle funzioni o del servizio, in violazione di norme di legge o di
regolamento, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un
interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi
prescritti, intenzionalmente procura a se\' o ad altri un ingiusto
vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto e\'
punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.
La pena e\' aumentata nei casi in cui il vantaggio o il danno hanno
un carattere di rilevante gravita\'."
Dall\'esame dei lavori preparatori risulta che le ragioni
politico-criminali che hanno indotto il legislatore a delineare la
nuova figura dell\'abuso di ufficio sono state in primo luogo quella
di evitare la penetrazione indebita del giudice penale nei settori
riservati all\'attivita\' discrezionale della pubblica amministrazione
e in secondo luogo quella di circoscrivere l\'ambito di punibilita\'
trasformando il reato da fattispecie a dolo specifico in illecito di
evento.
La nuova formulazione del reato e\' stata immediatamente sottoposta
all\'esame della Corte Costituzionale che, con sentenza n. 447 del
1998, ne ha sancito la legittimita\' costituzionale.
Ad avviso della Corte, la scelta del legislatore di limitare le
condotte di abuso punibili, pur potendo lasciare sguarnite di
sanzione penale condotte riprovevoli e lesive dei principi di
imparzialita\' e buon andamento della pubblica amministrazione, non
viola alcun precetto costituzionale, rientrando nei suoi poteri
l\'individuazione dei beni da tutelare mediante sanzione penale,
rispetto a quelli la cui tutela viene assicurata con diverse forme
di precetti e di sanzioni.
La Corte di Cassazione e\' intervenuta numerose volte dal 1998 ad
oggi sul reato di abuso d\'ufficio giungendo a delineare, ormai con
sufficiente stabilita\', i contorni della nuova fattispecie di reato
e l\'excursus che si propone mira ad offrire un orientamento
ragionato della giurisprudenza di legittimita\' sugli elementi
costitutivi del reato.
2. Condotta
Le prime interpretazioni del giudice di legittimita\' aventi ad
oggetto la condotta del reato di abuso si sono attenute al tenore
letterale della norma che aspira a rappresentare un parametro certo
e rigoroso per la definizione della condotta criminosa.
Sez. VI, 10 novembre 1997 n. 1163, ric. Marconi, rv. 209774, ha
affermato che il reato di abuso puo\' consistere solo in un\'azione
che costituisca violazione di legge o di regolamento o del dovere di
astensione, volta a procurare un ingiusto vantaggio patrimoniale o
un ingiusto danno, deducendone che i limiti posti al sindacato del
giudice penale hanno espunto dall\'area della rilevanza penale ogni
diversa ipotesi di abuso di potere e di funzione, si\' che non e\'
piu\' consentito al giudice penale entrare nell\'ambito della
valutazione della discrezionalita\' amministrativa.
Sez. VI, 17 febbraio 1998 n. 4075, ric. Ferrante, rv. 210402, ha
ritenuto che, con l\'attuale formulazione, non assume piu\' alcun
rilevo l\'illegittimita\' di un provvedimento amministrativo dovuto a
incompetenza, eccesso di potere o violazione di legge, non mirante a
procurare un ingiusto vantaggio o danno.
La giurisprudenza di legittimita\', esaminando di volta in volta cosa
dovesse intendersi per violazione di legge o di regolamento e
violazione del dovere di astensione in presenza di un interesse
proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, ha
tuttavia elaborato una costruzione del reato di abuso d\'ufficio con
confini meno limitati rispetto alle prime e piu\' generiche
interpretazioni.
2.1) Violazione di legge o di regolamento
I due parametri ai quali risulta ancorata la condotta del reato
appaiono ad un primo esame di facile applicazione
giudiziaria, ma essi, come si vedra\', sono stati oggetto di
orientamenti giurisprudenziali non sempre uniformi.
Con una prima pronuncia della Sez. II del 4 dicembre 1997 n. 877,
ric. Tosches, rv. 210224, si e\' precisato che la violazione di legge
o di regolamento che viene in rilievo non riguarda ogni violazione
normativa, magari di norme solo strumentali alla regolarita\'
dell\'attivita\' amministrativa, ma solo la violazione di quelle
norme che vietano in modo specifico il comportamento del pubblico
ufficiale o dell\'incaricato di un pubblico servizio e che assumono i
caratteri sostanziali e formali di leggi e regolamenti.
In senso meno restrittivo si e\' pronunciata Sez. VI del 9 febbraio
1998 n. 5820, ric. Mannucci, rv. 211110, specificando che la
condotta da prendere in considerazione e\' quella che inerisce alla
funzione e cioe\' all\'esercizio del potere attribuito al pubblico
ufficiale in vista di uno scopo pubblico, con la conseguenza che si
ha violazione di legge non solo quando la condotta e\' contraria a
quelle norme che regolano le forme e le procedure inerenti alla
funzione, ma anche quando il potere viene esercitato per un fine
diverso da quello voluto dalla legge per scopi personali e
oggettivamente al di fuori di uno schema di legalita\'.
Un\'ulteriore ampliamento di tale principio di diritto e\' contenuto
nella sentenza Sez. VI del 14 gennaio 2002 n. 1229, ric.
Bocchiotti, rv. 220649, secondo la quale sussiste la violazione di
legge non solo quando la condotta dell\'agente e\' in contrasto con
il significato letterale, logico e sistematico delle norme di
riferimento, ma anche quando oltrepassa ogni opzione attribuita per
conseguire il fine dello svolgimento della funzione o del servizio.
In sostanza, con tali pronunce si e\' voluto affermare che il nuovo
delitto di abuso richiede che il comportamento incriminato
costituisca modalita\' di esplicazione dell\'ufficio del pubblico
ufficiale o dell\'incaricato di un pubblico servizio.
In senso del tutto conseguenziale il rapporto tra la funzione
svolta e l\'esercizio del potere e\' stato affrontato da Sez. VI, 25
febbraio 1998 n. 5118, ric. Percoco, rv. 211709, secondo la quale
l\'elemento oggettivo del reato richiede comunque che l\'abuso si
realizzi attraverso l\'esercizio del potere attribuito al pubblico
ufficiale, mentre se egli agisce completamente al di fuori delle sue
funzioni il reato non e\' configurabile.
In ossequio a tale principio una recente sentenza, Sez. VI del 27
maggio 2003 n. 828, ric. Surace, rv. 226925, ha statuito che l\'uso
di minacce da parte del pubblico ufficiale per prendere visione,
all\'interno del suo ufficio, di alcune pratiche, non configura abuso
perche\' tale pretesa non rientra nei compiti del suo ufficio e
l\'attivita\' di ufficio e\' solo l\'occasione per lo svolgimento
dell\'attivita\' minacciosa.
Nell\'esame di particolari fattispecie la Corte, prendendo spunto
dalle modalita\' con cui era stato esercitato il potere del pubblico
ufficiale, ha valutato se potesse configurarsi o meno la violazione
di legge e si e\' espressa in senso non sempre conforme.
Sez. VI, 3 novembre 1998 n. 12793, ric. PG in proc. Caldarola, rv.
212016, ha affermato che le modalita\' con cui viene esercitato un
potere, se non trasmodano in una violazione di legge o di
regolamento, non costituiscono reato, riferendosi al cattivo uso
del potere di valutazione dei candidati di un concorso pubblico. In
parziale contrasto con tale pronuncia, Sez. III del 9 ottobre 1999
n. 13795, ric. Petrignano, rv. 216376, affermava invece che la
mancata obiettiva valutazione dei candidati di un pubblico concorso,
in quanto violazione dell\'art. 20 legge 29/3/83 n. 93 ( legge quadro
sul pubblico impiego), puo\' configurare il reato di abuso.
Sotto altro aspetto, Sez. VI, 1 marzo 1999 n. 5488, ric. Scarsi,
rv. 213918, ha ritenuto che non integra il reato di abuso la
violazione di norme di legge aventi carattere meramente procedurale
inerente all\'iter di formazione dell\'atto amministrativo, con
riferimento alla fattispecie di un preside che aveva formato le
classi senza rispettare i criteri fissati dalla legge. In piena
conformita\' si era ancora espressa Sez. VI del 20 febbraio 2003 n.
285, ric. Massari, rv. 226748, affermando che non sussiste il reato
quando la condotta del pubblico ufficiale e\' in contrasto con norme
interne relative al procedimento che non abbiano il carattere
formale ed il regime giuridico di norme o di regolamenti, con
riguardo alla fattispecie di funzionari di un Ufficio IVA che
avevano violato norme interne di procedimento nell\'evasione di
pratiche di rimborso di crediti di imposta.
Merita di essere segnalata anche la sentenza Sez. VI del 28 aprile
2000 n. 7290, ric. Catillo, rv. 220597, secondo la quale non
risponde del reato di abuso il pubblico ufficiale che in un iter
procedimentale complesso abbia emesso solo un atto amministrativo
legittimo, nonostante l\'illegittimita\' del provvedimento finale.
Altra specifica fattispecie e\' stata oggetto della sentenza Sez. VI
del 3 aprile 1999 n. 10230, ric. Cianetti, rv. 214378, secondo la
quale la violazione del segreto d\'ufficio sancita dall\'art. 28 della
l. 7/8/90 n. 241 configura la violazione di legge di cui all\'art.
323 c.p.
Secondo Sez. VI del 9 maggio 2000 n. 6806, ric. Perrotta, rv.
216234, sussiste la violazione di legge quando la condotta del
pubblico ufficiale si svolge in contrasto col presupposto da cui
trae origine il suo potere, caratterizzato dal vincolo della
tipicita\' e della stretta legalita\', riferendosi alla fattispecie
del custode giudiziario che aveva consentito ad uno dei proprietari
di distrarre un bene aziendale.
Un\'ultima sentenza, Sez. VI del 22 settembre 2003 n. 1157, ric.
Pannullo, rv. 226926, ha rilevato che sussiste il reato qualora il
preside di una scuola, in violazione delle disposizioni sulla nomina
del vicario, che deve avvenire per elezione del collegio docenti,
attribuisca tale incarico a persona diversa, realizzando cosi\'
l\'ingiusto vantaggio patrimoniale del nominato a cui e\' corrisposta
l\'indennita\' di funzione.
Assume, infine, rilevante interesse il tema affrontato con la
pronuncia Sez. VI del 18 novembre 1998 n. 7817, ric. Benanti, rv.
214730, secondo cui, avendo la nuova fattispecie previsto la
violazione di legge o di regolamento come elemento costitutivo della
condotta, il richiamo introduce nella norma penale ogni
disposizione legislativa che disciplina l\'operato ed i doveri delle
varie tipologie di pubblici ufficiali, e quindi, ai sensi dell\'art.
47 c.p., tali norme perdono la natura di norme extrapenali e
l\'errore sulle stesse diviene inescusabile.
Sullo stesso argomento si e\' pronunciata in senso difforme Sez. VI
del 15 gennaio 2003 n. 10656, ric. Villani, rv. 224017, affermando
che la violazione di legge e\' un mero presupposto di fatto per
l\'integrazione del delitto di abuso e quindi il contenuto della
norma violata non si incorpora nella norma penale; nel caso di
specie, il giudice penale avrebbe dovuto effettuare la verifica
dell\' esistenza del presupposto di fatto nel momento in cui era
chiamato a giudicare, per cui se la norma extrapenale era nel
frattempo mutata, il reato doveva ritenersi insussistente.
Da ultimo, con sentenza Sez. VI dell\'8 maggio 2003 n. 719, ric.
Zardini, rv. 226706, si e\' ritenuto che la norma di cui all\'art. 97
comma primo della Costituzione, affermando il principio secondo cui
i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge che
assicurino il buon andamento e l\'imparzialita\' dell\'amministrazione,
ha un valore meramente programmatico e non precettivo per cui tali
principi non sono idonei a costituire oggetto di violazione di legge
che e\' elemento costitutivo del reato di abuso.
2.2) Violazione dell\'obbligo di astensione
La condotta tipica realizzata mediante violazione dell\'obbligo di
astensione non e\' stata affrontata dal giudice di legittimita\' in
relazione alla natura e provenienza di tale obbligo, ma in relazione
all\'evento procurato.
Una prima pronuncia, Sez. VI del 19 novembre 1997, ric. Cappabianca,
rv. 210843, ha ritenuto che l\'interesse proprio, da cui nasce
l\'obbligo di astensione, non e\' identificabile con il vantaggio di
natura patrimoniale, che costituisce l\'evento del reato, e neppure
con il concetto di lucro o utilita\' e comprende invece ogni
interesse personale, anche non economico e puramente affettivo, o in
grado di determinare una situazione di vantaggio nelle relazioni
sociali.
Una successiva sentenza, Sez. VI del 25 marzo 1998 n. 5966, ric.
Urso, rv. 211729, ha affermato il principio generale secondo cui la
semplice violazione del dovere di astensione non e\' punibile se non
e\' accompagnata dall\'evento di aver procurato un ingiusto vantaggio
patrimoniale o un ingiusto danno.
In assoluta conformita\' si e\' pronunciata Sez. VI del 21 febbraio
2003 n. 11415, ric. Gianazza, rv. 224070, affermando la necessita\'
per il giudice di indagare sia sull\'avvenuta violazione del dovere
di astensione sia sull\'ingiustizia dell\'evento, non potendo far
derivare la seconda dall\'accertamento della prima.
Sempre in materia si e\' pronunciata Sez. VI del 12 febbraio 2003 n.
17628, ric. Pinto, rv. 224683, secondo la quale, per la
configurazione del reato, la violazione del dovere di astensione
deve aver arrecato non solo un vantaggio patrimoniale a terzi ma
anche un vantaggio ingiusto o indebito.
In relazione a tale condotta, deve essere segnalata Sez. VI, 7
ottobre 1998 n. 11265, ric. Ordine, rv. 211749, secondo cui
costituisce violazione del dovere di astensione, rilevante ai fini
della condotta del reato di abuso, anche l\'attivita\' posta in essere
dal pubblico ufficiale in violazione dell\'obbligo di fedelta\',
riferendosi al professionista che, ricevuto un incarico da un ente
pubblico, abbia predisposto un progetto per l\'acquisto di beni
venduti da un societa\' in cui era socio un suo prossimo congiunto.
Merita ancora menzione la sentenza Sez. VI del 13 dicembre 2003 n.
1320, ric. Ferrini, rv. 223344 con la quale si e\' specificato che,
per la sussistenza del reato, la violazione del dovere di astensione
deve essere accompagnata anche dalla strumentalizzazione
dell\'ufficio, realizzandosi cosi\' uno sviamento di potere, cioe\' un
uso distorto dei poteri funzionali del pubblico ufficiale o un
cattivo esercizio dei suoi compiti istituzionali.
Solo con una recente sentenza, Sez. VI del 14 aprile 2003, n. 26702,
ric. Sangiovanni, rv. 225490, si e\' affrontato il problema della
provenienza di tale obbligo e si e\' affermato il principio di
diritto secondo cui, quando la condotta del reato consiste nella
violazione del dovere di astensione, non e\' necessario accertare
anche l\'avvenuta violazione di legge o di regolamento, deducendosene
che non necessariamente l\'obbligo deve discendere da leggi o
regolamenti.
3. Elemento soggettivo: dolo intenzionale
La giurisprudenza di legittimita\' con le prime pronunce in materia
di elemento soggettivo del reato avevano affermato che la nuova
fattispecie richiedeva un dolo diretto e che questo si ricavava
dall\'espressione contenuta nel testo della norma "intenzionalmente
procura" (Sez. VI, 16 ottobre 1997 n. 9357, ric. Angelo, rv. 209767;
Sez. VI 23 febbraio 1998 n. 2328, ric. Branciforte, rv. 209782),
escludendosi la punibilita\' per dolo eventuale.
Sez. VI, 16 novembre 1998 n. 11847, ric. Panariello, rv. 211922,
dopo aver analizzato l\'argomento in modo approfondito, ha chiarito
che la riforma ha creato una fattispecie in cui la tipicita\' del
fatto non e\' piu\' affidata al contenuto del dolo specifico, ma a
precise forme vincolate di condotta, per cui il dolo richiesto si e\'
trasformato in dolo generico, caratterizzato dal requisito della
intenzionalita\', e presuppone l\'assoluta omogeneita\' tra il momento
rappresentativo e il momento volitivo, escludendo invece la
rilevanza del dolo eventuale. La sentenza nella parte motiva afferma:
" Quel che peraltro diviene decisivo ai fini di una corretta
comprensione dello ius novum e\' una sorta di
emarginazione (bilanciata, pero\', dall\'inscindibile collegamento
con l\'evento) dell\'elemento soggettivo. A differenza dell\'art. 323
previgente che configurava l\'abuso di ufficio come reato a
consumazione anticipata, fondamentalmente incentrato sul dolo
specifico, sulla finalita\' di procurare a se\' o ad altri un
ingiusto vantaggio (se patrimoniale, con elevazione della pena da
un minimo di due a un massimo di cinque anni di reclusione) o di
arrecare ad altri un danno ingiusto (senza che rilevasse ai fini
sanzionatori la natura patrimoniale del danno), il legislatore del
1997 ha configurato l\'abuso di ufficio come reato di danno,
richiedendo che venga procurato a se\' o ad altri un ingiusto
vantaggio patrimoniale ovvero arrecato un danno ingiusto, cosi\'
da spostare in avanti la realizzazione della fattispecie.". "Il
che condurrebbe a ritenere che, penetrando l\'ingiustizia del danno o
del vantaggio nella struttura dell\'evento, la stessa qualifica di
dolo diretto che contrassegna l\'elemento soggettivo del reato in
parola comporta che anche il dato di qualificazione debba essere
preveduto e voluto."
La medesima Sezione ha chiarito definitivamente, con la sentenza 1
giugno 1999 n. 7581, ric. Graci, rv 213778, che il reato si
configura come reato di evento e l\'elemento soggettivo come
coscienza e volonta\' di abusare dei poteri: l\'ingiusto vantaggio o
il danno altrui devono essere presi di mira dall\'agente e non solo
cagionati, e quindi la volonta\' colpevole puo\' assumere solo la
forma del dolo intenzionale.
Ulteriore specificazione della nozione di dolo intenzionale si e\'
avuta con la sentenza Sez. VI 19 novembre 1999 n. 13331, ric.
Selvini, rv. 215277, secondo la quale alla coscienza e volonta\' del
soggetto agente di procurare un ingiusto vantaggio patrimoniale e\'
del tutto estraneo il movente, cioe\' il pensiero che spinge ad
agire l\'imputato, che puo\' essere anche del tutto personale e
diverso dallo scopo raggiunto.
Sempre in ordine al rilievo del movente, si segnala altra sentenza,
Sez. V del 17 novembre 1999 n. 14283, ric. Pinto, rv. 216122, con la
quale si e\' affermato che il movente e\' irrilevante anche qualora
sia lecito, se per perseguire tale scopo il pubblico ufficiale e\'
disposto a violare la legge e a procurare un ingiusto vantaggio
patrimoniale.
Un principio complementare e\' stato affermato con sentenza Sez. VI
27 gennaio 2000 n. 910, ric. Giansante, rv. 215430, secondo la quale
per configurare il dolo intenzionale non e\' richiesta la prova della
collusione col beneficiario dell\'abuso.
Merita poi di essere segnalata la sentenza Sez. VI, 1 giugno 2000
n. 8745, ric. P.G. in proc. Spitella, rv. 217558, secondo cui
l\'utilizzo da parte del legislatore dell\'avverbio "intenzionalmente"
ha escluso non solo la punibilita\' per dolo eventuale ma anche per
dolo diretto, perche\' il soggetto puo\' essere punito solo quando
l\'evento e\' la conseguenza immediatamente perseguita dal soggetto, e
non anche quando l\'evento sia rappresentato come altamente probabile
o certo ma non direttamente voluto (l\'affermazione era relativa alla
fattispecie di un rettore di una facolta\' di agraria che aveva
assunto personale per l\'apparente utilizzazione in azienda agricola
e poi lo aveva adibito a funzioni amministrative, violando cosi\' il
divieto legislativo del blocco delle assunzioni).
Sez. VI del 22 novembre 2002 n. 42839, ric. Casuscelli di Tocco,
rv. 222860, ha inaugurato un\'interpretazione ancora piu\'
restrittiva, ma ormai consolidata, affermando che l\'uso
dell\'avverbio "intenzionalmente" ha avuto come scopo di limitare il
sindacato del giudice penale alle condotte volte a perseguire, non
solo in modo diretto, l\'ingiusto vantaggio o l\'ingiusto danno, ma
addirittura in modo esclusivo, tanto e\' vero che, se il pubblico
ufficiale si prefigge di perseguire un interesse pubblico
legittimamente a lui affidato, violando la legge e realizzando un
vantaggio ingiusto per il privato, il reato non sussiste (principio
affermato in relazione alla fattispecie del sindaco di un comune
sito in zona turistica, che per assicurare comunque il regolare
svolgimento della stagione turistica aveva rilasciato un certificato
di abitabilita\' ad un complesso turistico in violazione di norme
urbanistiche).
Identico principio e\' stato ribadito con la sentenza Sez. IV
dell\'11 settembre 2002 n. 38498, ric. PG in proc. Lenoci, rv.
223410, relativa alla fattispecie di un provveditore agli studi che
aveva operato il trasferimento d\'ufficio di un insegnante,
consigliere comunale, in violazione delle norme che disciplinano il
diritto allo svolgimento del mandato elettorale, per esigenze di
funzionalita\' e buon andamento del servizio.
In senso conforme si e\' pronunciata Sez. VI del 17 febbraio 2003 n.
11413, ric. PG in proc. Allegra, rv. 224069, in relazione alla
fattispecie di un pubblico ufficiale che aveva dilazionato la
decisione di concedere l\'autorizzazione per un passo carrabile per
tentare di comporre le controversie, sorte sul punto, con altre
parti interessate.
Deve, ancora, essere segnalata la sentenza Sez. VI del 6 maggio
2003 n. 33068, ric. Cangini, rv. 226566, nella quale si e\' ribadito
il principio che, se nello svolgimento della funzione amministrativa
il pubblico ufficiale si prefigge di realizzare un interesse
pubblico legittimamente a lui affidato dall\'ordinamento (quale ad
esempio garantire la riuscita di un importante evento turistico del
comune), la violazione di legge, consistita nel rilasciare
un\'autorizzazione sanitaria a soggetto non abilitato e quindi la
realizzazione di un ingiusto vantaggio del privato, non ha rilevanza
penale. La sentenza si cura poi di specificare che l\'interesse
pubblico che il pubblico ufficiale si prefigge di realizzare non
puo\' essere confuso ne\' con un fine privato, ne\' con un fine
collettivo, ne\' con un fine privato di un ente pubblico o con un
fine politico.
Da ultimo, va ricordata la sentenza Sez. VI dell\'8 ottobre 2003 n.
1269, ric. Mannello, rv. 227280 che, a conferma
dell\'orientamento giurisprudenziale di cui ci si occupa, ha escluso
la sussistenza del reato nel caso di un sindaco che per favorire il
ripopolamento del centro storico del proprio Comune aveva emesso
un\'autorizzazione per la realizzazione di una terrazza in un bar in
violazione della disciplina urbanistica, con l\'intento esclusivo di
perseguire l\'interesse pubblico alla rivitalizzazione dell\'economia
della zona.
Puo\' in conclusione rilevarsi che l\'evoluzione della giurisprudenza
di legittimita\', in relazione all\'elemento del dolo nel nuovo reato
di abuso di ufficio, sembrerebbe delineare, ai fini della
punibilita\', la necessita\' della presenza di un dolo intenzionale,
diretto in modo specifico a realizzare l\'ingiusto vantaggio
patrimoniale o l\'ingiusto danno, e anche diretto in modo esclusivo
alla realizzazione di tali eventi, tanto e\' vero che, se
contemporaneamente l\'agente si prefigge di realizzare un interesse
pubblico legittimamente a lui affidato dall\'ordinamento, il reato
non sussiste.
Il criterio di esclusivita\' determinerebbe un restringimento
ulteriore del sindacato del giudice penale, il quale, pure in
presenza di un\'accertata violazione di norme o regolamenti, dovra\'
verificare se l\'evento abbia realizzato comunque un interesse
pubblico e se questo sia stato voluto dal pubblico ufficiale, e,
anche in presenza della realizzazione di un ingiusto vantaggio
patrimoniale o di un ingiusto danno a terzi, dovra\' escludere ogni
rilievo penale alla condotta perche\' tali ultimi eventi perderebbero
rilevanza di fronte al perseguimento dell\'interesse primario dalla
pubblica amministrazione costituito dalla realizzazione
dell\'interesse pubblico.
4) Reato di evento, configurabilita\' del tentativo e condotta
omissiva
Dottrina e giurisprudenza hanno da subito convenuto che, con la
riforma legislativa del 1997, il reato di abuso d\'ufficio si e\'
trasformato da reato di mera condotta, caratterizzato dal dolo
specifico, in reato di evento in cui l\'ingiusto vantaggio
patrimoniale e il danno ingiusto sono diventati elementi costitutivi
della fattispecie.
In virtu\' di tale nuova configurazione Sez. VI del 27 aprile 1998 n.
6561, ric. Celico, rv. 210892, ha affermato che, qualora non si
provi tale evento, l\'assoluzione dell\'imputato deve avvenire perche\'
il fatto non sussiste e non piu\' perche\' il fatto non costituisce
reato. Con la stessa sentenza, rv. 210896, si e\' poi affermato che
il reato di abuso si e\' trasformato da reato di mera azione in reato
di azione e di evento, perche\' elemento essenziale della fattispecie
e\' sia la condotta illegittima sia l\'ingiusto vantaggio o l\'ingiusto
danno che essa arreca. Con un\'ulteriore specificazione la stessa
sentenza affermava, rv. 210895, il principio della doppia
ingiustizia, e cioe\' che, per configurare il nuovo reato, deve
essere ingiusta, contra ius, la condotta, ma ingiusto anche
l\'evento, si\' che l\'ingiustizia riguarda non solo il fatto causativo
ma anche il risultato dell\'azione.
Tale principio e\' stato confermato da Sez. VI del 26 novembre 2002
n. 62, ric. De Lucia, rv. 223194, che ha ribadito la necessita\', per
l\'integrazione del reato di abuso d\'ufficio, della sussistenza della
doppia ingiustizia, nel senso che ingiusti devono essere sia la
condotta che l\'evento.
Con sentenza Sez. VI del 22 ottobre 2002 n. 3381, ric. Fontanella,
rv. 224914, si e\' affermato che, poiche\' l\'art. 323 c.p. delinea un
reato di evento, non ha alcuna rilevanza la mera esposizione a
pericolo dell\'interesse protetto, per cui il reato non sussiste
quando non vi e\' la prova che sia stato raggiunto il risultato
contra ius, anche se e\' provata una condotta non iure (il principio
e\' stato affermato in relazione alla fattispecie di un pubblico
ufficiale che, dopo aver intrattenuto rapporti economici con le
parti, non aveva ritenuto di doversi astenere, ma anzi aveva avocato
a se\' la pratica, e pur tuttavia non si erano provati elementi che
collegassero la condotta e il vantaggio ingiusto patrimoniale con
idoneo nesso di causalita\').
In modo specifico la sentenza Sez. VI del 30 aprile 1999 n. 10230,
ric. Cianetti, rv. 214376, si e\' occupata della decorrenza del
termine di prescrizione e ha dedotto che essendo il reato di abuso
un reato di evento, il termine di prescrizione inizia a decorrere
dall\'avvenuto conseguimento dell\'ingiusto vantaggio patrimoniale o
dal momento in cui si e\' arrecato l\'ingiusto danno.
Il giudice di legittimita\' si e\' poi occupato dell\'ammissibilita\',
nella fattispecie cosi\' delineata, del tentativo, rispondendo in
senso positivo, attesa la trasformazione del reato in delitto di
evento.
Con sentenza Sez. VI del 24 giugno 1998 n. 10136, ric. P.G. in proc.
Ottaviano, rv. 211567 la Corte ha affermato che il reato si consuma
solo se la condotta illegittima del pubblico ufficiale ha
effettivamente realizzato l\'evento dell\'ingiusto profitto o del
danno ingiusto, e pertanto diviene ammissibile la configurazione del
tentativo punibile quando ne ricorrono tutti i presupposti; in
sostanza deve gia\' essersi realizzata la violazione di legge o di
regolamento o la violazione dell\'obbligo di astensione, mentre
l\'evento dell\'ingiusto vantaggio patrimoniale o del danno ingiusto
non deve essersi realizzato per cause indipendenti alla volonta\'
dell\'agente.
Parimenti, circa l\'ammissibilita\' della condotta omissiva, Sez. VI
del 1 marzo 1999 n. 6839, ric. P.G. in proc. Menditto, rv. 214309,
ha affermato che, essendo la fattispecie costruita come reato di
evento, l\'abuso mediante omissione e\' ravvisabile tutte le volte in
cui ci si trovi di fronte ad un soggetto su cui gravi l\'obbligo di
impedire l\'evento.
Conformemente a tale orientamento si e\' espressa Sez. VI del 26
febbraio 2002 n. 31895, ric. Marcello, rv. 222571, nel senso che
risponde del delitto di concorso nel reato di cui all\'art. 323 c.p.
il pubblico ufficiale che non impedisca la violazione dell\'obbligo
di astensione di altri pubblici ufficiali.
Sempre in tema puo\' essere citata Sez. VI del 22 novembre 1999 n.
14641, ric. Battista, rv. 216325 che, in relazione alla fattispecie
del vigile urbano il quale aveva elevato una contravvenzione al
codice della strada ad un soggetto e non ad un altro che aveva
commesso la medesima infrazione, ha affermato che il reato puo\'
essere commesso anche mediante omissione, quando sussiste sia la
violazione di legge che l\'evento dell\'aver arrecato l\'ingiusto
vantaggio patrimoniale.
5) Nozione di ingiusto vantaggio patrimoniale, reato
plurisoggettivo e concorso dell\'estraneo.
La giurisprudenza di legittimita\' ha identificato la nozione di
ingiusto vantaggio patrimoniale anche aldila\' della mera
interpretazione letterale della norma, ponendola poi in stretta
correlazione con il problema della configurabilita\' del reato
plurisoggettivo.
Con sentenza Sez. VI del 22 dicembre 1997 n. 1192, ric. Urso, rv.
209776 si e\' affermato che si verifica l\'ingiusto vantaggio
patrimoniale ogni volta che risulta ampliata la sfera della
situazione soggettiva facente capo al destinatario dell\'atto
amministrativo.
Sez. VI del 5 ottobre 1999 n. 12944, ric. Antonini, rv. 216396, ha
specificato che il vantaggio patrimoniale va inteso avendo riguardo
al complesso dei rapporti giuridici a carattere patrimoniale cui si
da\' vita con l\'atto illegittimo.
Il principio conseguente affermato con sentenza Sez. VI dell\'11
febbraio 1999 n. 6024, ric. Morgagni, rv. 213481, e\' che il reato di
abuso finalizzato alla realizzazione di un ingiusto vantaggio
patrimoniale non e\' necessariamente un reato plurisoggettivo,
qualificato dalla presenza dell\'extraneus a favore del quale e\'
diretto l\'abuso.
Con sentenza Sez. VI del 30 aprile 1999 n. 9575, ric. Lisciotto, rv.
214317 si e\' ribadito che, per configurare il concorso
dell\'extraneus e\' necessario un contributo concreto alla
realizzazione del delitto e non e\' sufficiente l\'esistenza di un
comune interesse e la virtuale adesione al delitto.
Sez. VI del 30 aprile 1999 n. 12928, ric. Mautone, rv. 215275, ha
specificato che la prova della collusione tra il privato e il
pubblico ufficiale non puo\' essere dedotta dalla mera coincidenza
tra la richiesta dell\'uno ed il provvedimento dell\'altro, essendo
invece necessario provare che vi sia stata un\'intesa o comunque
delle pressioni dirette a sollecitare il pubblico ufficiale a
commettere l\'azione illegittima.
Assolutamente conforme e\' Sez. VI del 29 maggio 2000 n. 8121, ric.
Margini, rv. 216719, secondo cui non puo\' ravvisarsi il concorso
nella condotta del privato che si limiti a presentare un\'istanza
relativa ad un atto illegittimo, in quanto il privato non e\' tenuto
a conoscere le norme che regolano l\'attivita\' del pubblico ufficiale.
Sez. VI del 25 febbraio 2003 n. 15116, ric. Gueli, rv. 224690, ha
ribadito che, per configurare il concorso dell\'extraneus nel reato
di abuso, dev\'essere provata l\'intesa o la sussistenza di pressioni,
mentre non e\' sufficiente l\'avvenuta presentazione di una semplice
istanza.
Da ultimo, la sentenza Sez. VI del 14 ottobre 2003 n. 43020, ric.
Pandilfelli, rv. 227025, in relazione al concorso dell\'extraneus, ha
ribadito la necessita\' di provare l\'esistenza di un\'intesa del
pubblico ufficiale col privato, ravvisandola peraltro nella condotta
di colui che aveva accompagnato la richiesta con documentazione a
tal punto irregolare da dimostrare la consapevolezza di non aver
maturato alcun diritto al rilascio di una concessione edilizia.
A conferma di un orientamento ormai consolidato, deve essere
ricordata la sentenza Sez. VI dell\'1 dicembre 2003 n. 1588, ric.
Celiano, rv. 227260, che, in merito alla fattispecie relativa alla
concessione di un\'indennita\' d accompagnamento per infermita\', in
cui era stato provato un mero contatto telefonico tra il pubblico
ufficiale ed il privato, ha escluso la sussistenza del concorso,
non essendosi accertato che, oltre alla consapevolezza
dell\'illegittimita\' dell\'istanza, il privato avesse compiuto
ulteriori atti diretti a sollecitare o persuadere il pubblico
ufficiale ad agire illegittimamente.
6) Nozione di ingiusto danno, reato plurioffensivo e qualifica di
persona offesa
Sulla nozione di ingiusto danno la giurisprudenza di legittimita\'
esclude che il danno ingiusto rilevante sia solo quello patrimoniale.
Sez. VI, 2 ottobre 1998 n. 11549, ric. Arcidiacono, rv. 213032 ha
affermato che la nozione di danno ingiusto non si riferisce solo a
situazioni soggettive di carattere patrimoniale e nemmeno solo a
diritti soggettivi perfetti, ma ad ogni aggressione ingiusta della
sfera della personalita\' tutelata dalla Costituzione.
Di particolare interesse e\' la sentenza Sez. VI del 24 febbraio 2000
n. 4881, ric. Genazzani, rv. 220519, con la quale si e\' affermato
che, per verificare l\'evento del danno ingiusto, rilevano non solo
le norme che vietano il comportamento sostanziale del pubblico
ufficiale ma ogni altra norma, anche di natura procedimentale, la
cui violazione determini un danno ingiusto ai sensi dell\'art. 2043
c.c.: tale precetto infatti non e\' una norma secondaria ma una norma
primaria volta ad apprestare una riparazione del danno ingiustamente
sofferto.
Tale principio di diritto e\' stato utilizzato da Sez. VI del 26
giugno 2003 n. 1036, ric. Ippolito, rv. 226548, per sostenere che
la situazione soggettiva tutelata dalla norma, nel caso che l\'evento
sia stato la determinazione di un danno ingiusto, e\' anche
l\'aggressione ingiusta alla sfera della personalita\' tutelata da
norme costituzionali, come ad esempio l\'instaurazione di un\'indagine
penale in violazione delle regole che disciplinano la competenza ai
sensi dell\'art. 11 c.p.p.
Da ultimo, la sentenza Sez. VI 15 gennaio 2004 n. 56, ric.
Ottaviano, rv. 227281, ha ribadito che il contenuto dell\'evento di
danno e\' qualunque aggressione ingiusta della personalita\' come
tutelata dai principi costituzionali, in riferimento alla
fattispecie di un pubblico ufficiale che, per vendicarsi di una
dipendente che aveva testimoniato contro di lui, aveva emesso un
ordine di servizio palesemente illegittimo, con il quale le aveva
revocato ogni incarico determinando cosi\', oltre che una perdita
economica, anche una perdita di prestigio presso i colleghi.
Sull\'ammissibilita\' della presenza di una persona offesa diversa
dalla pubblica amministrazione, l\'orientamento della giurisprudenza
di legittimita\' non e\' stato sempre conforme.
Con sentenza Sez. VI del 13 gennaio 1998 n. 17, ric. Airo\', rv.
210831, si e\' affermato che nel reato di abuso di ufficio persona
offesa e\' solo la pubblica amministrazione in quanto titolare
dell\'interesse protetto, costituito dal buon andamento,
dall\'imparzialita\' e dalla trasparenza, mentre il privato, che abbia
eventualmente subito un danno ingiusto, puo\' assumere solo la veste
di persona danneggiata e quindi, mentre puo\' costituirsi parte
civile nel processo, non ha veste per intervenire nelle indagini
preliminari.
Ha affermato la tesi contraria Sez. VI dell\'11 novembre 1998 n.
3508, ric. Messineo, rv. 212318, secondo la quale, quando l\'abuso e\'
finalizzato ad arrecare un danno ingiusto, la persona che subisce il
danno riveste la qualifica di persona offesa perche\' il fatto e\'
idoneo a ledere sia l\'interesse pubblico che il concorrente
interesse privato e pertanto il privato e\' legittimato a proporre
opposizione alla richiesta di archiviazione.
Conforme a tale orientamento e\' Sez. V del 6 maggio 1999 n. 2133,
ric. Macri\', rv. 213525, affermandosi che l\'abuso, realizzato
mediante l\'evento dell\'ingiusto danno, lede sia l\'interesse pubblico
che l\'interesse del privato; quest\'ultimo pertanto riveste la
qualita\' di persona offesa ed e\' legittimato non solo a costituirsi
parte civile ma anche a proporre opposizione alla richiesta di
archiviazione.
Come ulteriore specificazione la sentenza Sez. VI del 31 marzo 1999
n. 1147, ric. Testa, rv. 214749, ha concluso che, solo nel caso di
abuso realizzato mediante la produzione di un ingiusto danno, il
reato e\' plurioffensivo nel senso della presenza, ontologicamente
necessaria, di un determinato soggetto leso, diverso dalla pubblica
amministrazione.
Una recente sentenza, Sez. VI del 23 settembre 2003 n. 1507, ric.
Mancini, rv. 226936, ha affermato in modo speculare che, quando
l\'abuso viene realizzato allo scopo di arrecare un ingiusto
vantaggio patrimoniale, l\'unica persona offesa e\' la pubblica
amministrazione e quindi il soggetto privato non assume la qualifica
di persona offesa e non e\' ammessa la sua opposizione alla richiesta
di archiviazione.
7) Fattispecie
Si propone un breve esame di sentenze che hanno affrontato alcune
fattispecie particolari ma piuttosto ricorrenti, in relazione alle
quali vi sono stati orientamenti difformi della giurisprudenza.
7.1) Violazione della normativa in materia edilizia
La sentenza Sez. VI del 9 luglio 1998 n.12320, ric. P.G. in proc.
Maccan, rv. 212319, ha affermato che il rilascio di una concessione
edilizia in senso difforme o contrario al piano urbanistico
regionale costituisce violazione di legge ed il reato sussiste se ne
deriva un vantaggio patrimoniale per il privato.
Conforme Sez.VI del 24 giugno 1998 n. 393, ric. De Vita, rv. 212911,
secondo cui la violazione della legge urbanistica costituisce
violazione di legge ai fini del reato di abuso.
Una pronuncia rimasta isolata, Sez. VI del 2 ottobre 1998 n. 11984,
ric. Tilesi, rv. 213035, ha affermato che la violazione delle
prescrizioni contenute nel piano regolatore non rileva, perche\' il
piano non ha natura di legge ne\' di regolamento ed anche il richiamo
operato dalla legge alla conformita\' agli strumenti urbanistici non
e\' idoneo a trasformare il precetto in norma di legge.
Successive sentenze hanno invece ribadito il principio contrario. In
particolare, Sez. VI del 16 ottobre 1998 n. 3090, ric. Lo Baido, rv.
213085, ha attribuito alla violazione delle regole fissate nel
piano comprensoriale urbanistico rilievo penale, anche se tale
strumento non ha di per se natura di regolamento o legge, essendo il
presupposto di fatto della violazione delle norme in materia di
concessione edilizia. Conforme a tale orientamento e\' la sentenza
Sez. VI del 22 settembre 1999 n. 12221, ric. Carbone, rv. 216026,
secondo cui il rilascio di una concessione edilizia in contrasto con
le previsioni degli strumenti urbanistici vigenti costituisce
violazione di legge grazie al richiamo contenuto nell\'art. 4 legge
n. 10/77. Ancora in tal senso si sono pronunciate Sez. VI del 6
ottobre 1999 n. 13794, ric. Callaci, rv. 216375; Sez. VI del 14
marzo 2000 n. 6247, ric. Sisti, rv. 216229; Sez. VI del 2 aprile
2001 n. 16241, ric. Ruggeri, rv. 218516, secondo le quali
costituisce violazione di legge il rilascio di una concessione
edilizia in contrasto col piano regolatore generale.
Sez. VI, 30 ottobre 2001 n. 39932, ric. Redolfi, rv. 220248, ha poi
affrontato il tema della normativa applicabile nel tempo ed ha
affermato che, per verificare se la concessione sia conforme o meno
agli strumenti urbanistici deve aversi riguardo al momento in cui
viene emessa la concessione in sanatoria e non invece al momento in
cui e\' stata realizzata l\'opera abusiva.
7.2) Condotte costituenti abuso di medico di una struttura pubblica
La sentenza Sez. V del 12 febbraio 1999 n. 3570, ric. Sanna, rv.
213027 ha affrontato l\'argomento del medico che ponga in essere
vessazioni verso altri medici del suo reparto, che non assecondano
le sue scelte di dirottare i pazienti dell\'ospedale pubblico verso
strutture private ed ha affermato che commette abuso mediante
violazione di legge, consistente nella violazione dell\' art. 13 del
D.P.R. 11 gennaio 1956 n. 17 (Statuto degli impiegati civili dello
Stato).
Sez. VI del 9 aprile 2001 n. 24066, ric. Caminati, rv. 219578, ha
affermato che configura abuso la condotta del medico di una
struttura pubblica che indirizzi un paziente verso un laboratorio di
analisi non convenzionato, di cui sia socio, per l\'espletamento di
un esame che poteva essere eseguito anche presso la struttura
pubblica.
Infine, Sez. VI del 22 gennaio 2003 n. 9949, ric. Mele, rv. 226343,
ha ritenuto che il medico ospedaliero, che non ha optato per
l\'attivita\' libero professionale intramuraria, non puo\' utilizzare
le strutture pubbliche per visite private, in quanto in tal caso
esercita abusivamente, in violazione della relativa disciplina, la
professione privata.
8) Dottrina
La dottrina si e\' occupata diffusamente del reato di abuso di
ufficio analizzando dettagliatamente l\'ultima riforma legislativa e
individuandone le ragioni.
Si ritiene in questa sede di limitare l\'analisi ai commenti che
alcune pronunce del giudice di legittimita\' hanno avuto in dottrina.
Dev\'essere innanzitutto ricordato il contrasto esistente circa la
possibilita\' di considerare dotato di effetto immediatamente
precettivo l\'art. 97 della Costituzione.
C. Grosso, in Foro ital., 1999, V, pag. 329 ss., rileva che
l\'espressione usata dal legislatore implica che ogni violazione di
una norma legislativa, ovunque sia collocata e qualunque sia il suo
contenuto, costituisca la condotta richiesta dalla norma. In
particolare l\'Autore ritiene che fra le disposizioni di legge che
regolano l\'attivita\' della pubblica amministrazione possa farsi
rientrare come norma immediatamente precettiva l\'art. 97 della
Costituzione, in quanto l\'art. 323 cod. pen non richiede che vi sia
una specifica violazione di legge ma ogni tipo di violazione. Il
richiamo ad ogni tipo di violazione di legge e regolamento senza
distinguere tra violazioni penalmente rilevanti e irrilevanti
introduce la possibilita\' di coinvolgere sul terreno della rilevanza
penale ipotesi di illegittimita\' solo formali, mere irregolarita\'
amministrative e comunque di reintrodurre la possibilita\' di
sindacare il vizio di eccesso di potere. L\'Autore plaude a quegli
interventi della Suprema Corte nei quali si e\' affermato (vedasi RV
211110 cit.) che il potere esercitato per un fine diverso da quello
voluto dalla legge si pone per cio\' stesso fuori dallo schema di
legalita\' e ritiene che l\'uso distorto della discrezionalita\'
amministrativa sia ancora passibile di censura penale.
M. Scoletta, in Dir. pen. e proc., 2003, pag. 446 ss., analizzando
le varie tesi espresse sul punto ne deduce che la tesi piu\'
estensiva porterebbe a consentire il sindacato del giudice penale su
ogni attivita\' esercitata in modo parziale e scorretto, mentre la
tesi piu\' restrittiva vedrebbe il realizzarsi della violazione di
legge o di regolamento solo quando la condotta violasse una fonte
normativa specifica e precisa nella descrizione del contenuto
precettivo. L\'Autore analizza poi alcune pronunce della Suprema
Corte in materia di concorsi pubblici e rileva che i giudici di
legittimita\' hanno trovato una terza strada, definita del "metodo
teleologico o finalistico", e cioe\' un\'interpretazione delle norme
precettive sull\'operato della pubblica amministrazione che tenga
conto del fine ultimo che la norma si prefigge, per cui quando
questo viene palesemente violato sussiste il reato.
Interessanti interventi dottrinali vi sono stati in relazione alla
evoluzione della giurisprudenza di legittimita\' in ordine
all\'elemento soggettivo del reato.
T. Padovani, in Legisl. pen., 1997, pag. 741 ss., definisce
"sconcertante" la singolare soluzione del legislatore - che non
trova precedenti nell\'attuale sistema penale - volta a valorizzare
in via esclusiva il dolo intenzionale.
Ugualmente critica e\' la posizione espressa da G. Fiandaca-E. Musco,
in Diritto penale, parte speciale, vol. I, pag. 245 ss., che hanno
definito "inconsueto" il fatto che il legislatore abbia indicato in
modo espresso e vincolante per l\'interprete la forma del dolo, ed
hanno evidenziato il rischio che una simile indagine comporta,
richiedendosi al giudice di sondare in profondita\' il processo
motivazionale del pubblico funzionario per verificare se egli abbia
agito allo scopo di provocare l\'evento di vantaggio o di danno.
In relazione all\'orientamento della giurisprudenza di legittimita\'
che ha portato all\'affermazione della necessita\' che il pubblico
ufficiale persegua in modo intenzionale ed esclusivo l\'ingiusto
vantaggio patrimoniale o l\'ingiusto danno, la dottrina ha commentato
generalmente in modo favorevole tale approdo, tranne qualche voce
contrastante.
C. Benussi, I delitti contro la pubblica amministrazione, in
AA.VV., Trattato di diritto penale, a cura di G. Marinucci-E.
Dolcini, 2001, pag. 611 ss., rileva che tale esclusivita\' non e\'
prevista dalla norma e che appare veramente difficile ipotizzare che
tramite un violazione di legge o di regolamento si possa realizzare
comunque un interesse pubblico in quanto ogni situazione di
vantaggio non puo\' che passare attraverso il rispetto della
normativa in materia.
Decisamente favorevole e\' invece il commento di F. R. Fantuzzi, in
Cass. pen., 2004, pag. 464 ss., la quale, commentando la sentenza
Sez. VI, Cangini, rv. 226566, cit., rileva che lo scopo
dell\'avverbio "intenzionalmente" consiste proprio nell\'imporre al
giudice di individuare e provare l\'obiettivo che l\'agente si sia
prefisso con la sua condotta, e mira ad escludere la rilevanza del
dolo diretto. Secondo l\'Autrice, occorrera\' di volta in volta
verificare l\'effettiva spinta psicologica che ha determinato il
pubblico ufficiale ad agire per non legittimare comportamenti che
altro non sono se non favoritismi occultati da millantati interessi
pubblici.
Infine, in relazione alla possibilita\' di configurare il reato di
abuso mediante una condotta omissiva, I. Ciarnello, in Cass. pen.,
2000, pag. 1768 ss., fa leva sulla portata generale dell\'art. 40
c.p.. La violazione dell\'obbligo giuridico di impedire l\'evento,
prevista dall\'art. 40 c.p., deve necessariamente avvenire tramite
una violazione di legge o di regolamento o una violazione del dovere
di astensione e perche\' cio\' sia possibile e\' necessario che il
soggetto attivo abbia anche una posizione di garanzia. Poiche\' il
contenuto della posizione di garanzia si sostanzia in un peculiare
rapporto fra il soggetto attivo ed il titolare del bene giuridico,
rapporto in virtu\' del quale insorge per il soggetto il vincolo di
tutela del bene giuridico, solo nel caso in cui il pubblico
ufficiale ha l\'obbligo giuridico di impedire l\'evento e\' ammissibile
la fattispecie nella forma della condotta omissiva.
Roma, 5 maggio 2004
Redattore: Paola Piraccini
Il vice direttore
(Giovanni Canzio)
GIURISPRUDENZA
1. Premessa
Corte Costituzionale, sentenza n. 447 del 1998
2. Condotta
Sez. VI del 10 novembre 1997 n. 1163, ric. Marconi, rv. 209774
Sez. VI del 17 febbraio 1998 n. 4075, ric. Ferrante, rv. 210402
2.1) Violazione di legge o di regolamento
Sez. II del 4 dicembre 1997 n. 877, ric. Tosches, rv. 210224
Sez. VI del 9 febbraio 1998 n. 5820, ric. Mannucci, rv. 211110
Sez. VI del 25 febbraio 1998 n. 5118, ric. Percoco, rv. 211709
Sez. VI del 3 novembre 1998 n. 12793, ric. PG in prc. Caldarola, rv.
212016
Sez. VI del 18 novembre 1998 n. 7817, ric. Benanti, rv. 214730
Sez. VI dell\'1 marzo 1999 n. 5488, ric. Scarsi, rv. 213918
Sez. VI del 3 aprile 1999 n. 10230, ric. Cianetti, rv. 214378
Sez. III del 9 ottobre 1999 n. 13795, ric. Petrignano, rv. 216376
Sez. VI del 28 aprile 2000 n. 7290, ric. Catillo, rv. 220597
Sez. VI del 9 maggio 2000 n. 6806, ric. Perrotta, rv. 216234
Sez. VI del 14 gennaio 2002 n. 1229, ric. Bocchiotti, rv. 220649
Sez. VI del 15 gennaio 2003 n. 10656, ric. Villani, rv. 224017
Sez. VI del 20 febbraio 2003 n. 285, ric. Massari, rv. 226748
Sez. VI dell\'8 maggio 2003 n. 719, ric. Zardini, rv. 226706
Sez. VI del 27 maggio 2003 n. 828, ric. Surace, rv. 226925
Sez. VI del 22 settembre 2003 n. 1157, ric. Pannullo, rv. 226926
2.2) Violazione dell\'obbligo di astensione
Sez. VI del 19 novembre 1997 n. 1632, ric. Cappabianca, rv. 210843
Sez. VI del 25 marzo 1998 n. 5966, ric. Urso, rv. 211729
Sez. VI del 7 ottobre 1998 n. 11265, ric. Ordine, rv. 211749
Sez. VI del 12 febbraio 2003 n. 17628, ric. Pinto, rv. 224683
Sez. VI del 21 febbraio 2003 n. 11415, ric. Gianazza, rv. 224070
Sez. VI del 14 aprile 2003, n. 26702, ric. Sangiovanni, rv. 225490
Sez. VI del 13 dicembre 2003 n. 1320, ric. Ferrini, rv. 223344
3. Elemento soggettivo: dolo intenzionale
Sez. VI 16 ottobre 1997 n. 9357, ric. Angelo, rv. 209767
Sez. VI 23 febbraio 1998 n. 2328, ric. Branciforte, rv. 209782
Sez. VI 16 novembre 1998 n. 11847, ric. Panariello, rv. 211922
Sez. VI 1 giugno 1999 n. 7581, ric. Graci, rv 213778
Sez. V del 17 novembre 1999 n. 14283, ric. Pinto, rv. 216122
Sez. VI 19 novembre 1999 n. 13331, ric. Selvini, rv. 215277
Sez. VI 27 gennaio 2000 n. 910, ric. Giansante, rv. 215430
Sez. VI dell\' 1 giugno 2000 n. 8745, ric. P.G. in proc. Spitella,
rv. 217558
Sez. IV dell\'11 settembre 2002 n. 38498, ric. PG in proc. Lenoci,
rv. 223410
Sez. VI del 22 novembre 2002 n. 42839, ric. Casuscelli di Tocco,
rv. 222860
Sez. VI del 17 febbraio 2003 n. 11413, ric. PG in proc. Allegra, rv.
224069
Sez. VI del 6 maggio 2003 n. 33068, ric. Cangini, rv. 226566
Sez. VI dell\'8 ottobre 2003 n. 1269, ric. Mannello, rv. 227280
4. Reato di evento, configurabilita\' del tentativo e condotta
omissiva
Sez. VI del 27 aprile 1998 n. 6561, ric. Celico, rv. 210892
Sez. VI del 27 aprile 1998 n. 6561, ric. Celico rv. 210896
Sez. VI del 27 aprile 1998 n. 6561, ric. Celico rv. 210895
Sez. VI del 24 giugno 1998 n. 10136, ric. P.G. in proc. Ottaviano,
rv. 211567
Sez. VI dell\'1 marzo 1999 n. 6839, ric. P.G. in proc. Menditto, rv.
214309
Sez. VI del 30 aprile 1999 n. 10230, ric. Cianetti, rv. 214376
Sez. VI del 22 novembre 1999 n. 14641, ric. Battista, rv. 216325
Sez. VI del 26 febbraio 2002 n. 31895, ric. Marcello, rv. 222571
Sez. VI del 22 ottobre 2002 n. 3381, ric. Fontanella, rv. 224914
Sez. VI del 26 novembre 2002 n. 62, ric. De Lucia, rv. 223194
5. Nozione di ingiusto vantaggio patrimoniale, reato monosoggettivo
e concorso dell\'estraneo
Sez. VI del 22 dicembre 1997 n. 1192, ric. Urso, rv. 209776
Sez. VI dell\'11 febbraio 1999 n. 6024, ric. Morgagni, rv. 213481
Sez. VI del 30 aprile 1999 n. 9575, ric. Lisciotto, rv. 214317
Sez. VI del 30 aprile 1999 n. 12928, ric. Mautone, rv. 215275
Sez. VI del 5 ottobre 1999 n. 12944, ric. Antonini, rv. 216396
Sez. VI del 29 maggio 2000 n. 8121, ric. Margini, rv. 216719
Sez. VI del 25 febbraio 2003 n. 15116, ric. Gueli, rv. 224690
Sez. VI del 14 ottobre 2003 n. 43020, ric. Pandilfelli, rv. 227025
Sez, VI dell\'1 dicembre 2003 n. 1588, ric. Celiano , rv. 227260
6. Nozione di ingiusto danno, reato plurioffensivo e qualifica di
persona offesa
Sez. VI del 13 gennaio 1998 n. 17, ric. Airo\', rv. 210831
Sez. VI del 2 ottobre 1998 n. 11549, ric. Arcidiacono, rv. 213032
Sez. VI dell\'11 novembre 1998 n. 3508, ric. Messineo, rv. 212318
Sez. VI del 31 marzo 1999 n. 1147, ric. Testa, rv. 214749
Sez. V del 6 maggio 1999 n. 2133, ric. Macri\', rv. 213525
Sez. VI del 6 ottobre 1999 n. 13794, ric. Callaci, rv. 216375
Sez. VI del 24 febbraio 2000 n. 4881, ric. Genazzani, rv. 220519
Sez. VI del 14 marzo 2000 n. 6247, ric. Sisti, rv. 216229
Sez. VI del 2 aprile 2001 n. 16241, ric. Ruggeri, rv. 218516
Sez. VI del 26 giugno 2003 n. 1036, ric. Ippolito, rv. 226548
Sez. VI del 23 settembre 2003 n. 1507, ric. Mancini, rv. 226936
Sez. VI 15 gennaio 2004 n. 56, ric. Ottaviano, rv. 227281
7) Fattispecie
7.1) Violazione della normativa in materia edilizia
Sez.VI del 24 giugno 1998 n. 393, ric. de Vita, rv. 212911
Sez.VI del 9 luglio 1998 n.12320, ric. P.G. in proc. Maccan, rv.
212319
Sez. VI del 2 ottobre 1998 n. 11984, ric. Tilesi, rv. 213035
Sez. VI del 16 ottobre 1998 n. 3090, ric. Lo Baido, rv. 213085
Sez. VI del 22 settembre 1999 n. 12221, ric. Carbone, rv. 216026
Sez. VI del 30 ottobre 2001 n. 39932, ric. Redolfi, rv. 220248
7.2) Condotte costituenti abuso di medico di una struttura pubblica
Sez. V del 12 febbraio 1999 n. 3570, ric. Sanna, rv. 213027
Sez. VI del 9 aprile 2001 n. 24066, ric. Caminati, rv. 219578
Sez. VI del 22 gennaio 2003 n. 9949, ric. Mele, rv. 226343
8. Dottrina
C. Grosso, in Foro Ital., 1999, V, 329
M. Scoletta, in Dir. pen. e proc., 2003, 446
T. Padovani, in Legisl. pen., 1997, 741
G. Fiandaca-E. Musco, in Diritto penale, parte speciale, Zanichelli,
vol. I, 245
C. Benussi, I delitti contro la pubblica amministrazione, in
AA.VV., Trattato di diritto penale a cura di G. Marinucci-E.
Dolcini, 2001, 611
F. R. Fantuzzi, in Cass. pen., 2004, 464
I. Ciarnello, in Cass. pen., 2000, 1768
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