T.A.R. Campania (NA) Sez. IV n.754 del 10 febbraio 2016
Urbanistica.Acquisizione del parere della Commissione edilizia sull’istanza di sanatoria per abusi edilizi
E' necessario acquisire il parere della Commissione edilizia sull’istanza di sanatoria per abusi edilizi solo ed esclusivamente nei casi in cui l’esito del procedimento dipende da una verifica di ordine tecnico, il che è da escludere in casi quale quello esaminato, in considerazione del carattere vincolato dell’atto impugnato, fondato unicamente sulla constatazione dell’abuso realizzato sine titulo
N. 00754/2016 REG.PROV.COLL.
N. 01005/2010 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
(Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1005 del 2010, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Rosa Nugnes, rappresentata e difesa dagli avv. Ferdinando Scotto, Felice Laudadio, con domicilio eletto presso Felice Laudadio in Napoli, Via Caracciolo N.15;
contro
Comune di Napoli in Persona del Sindaco p,t., rappresentato e difeso dall'Avvocatura Municipale, presso la cui sede è elettivamente domiciliato in Napoli, piazza Municipio;
Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo (d’ora innanzi anche ‘MIBACT’), in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Distrettuale dello stato di Napoli, domiciliataria ex lege, con sede in Napoli, Via Diaz, 11;
per l'annullamento
quanto al ricorso principale,
della disposizione n. 495 del 13.07.2009 con cui il Comune di Napoli ordinava il ripristino in relazione ad alcune opere di sopraelevazione realizzate sul fabbricato di proprietà della ricorrente sito in Napoli alla via Pietro Valente n. 33;
quanto al ricorso per motivi aggiunti,
della disposizione n. 649 del 02.03.2010, emessa dal servizio edilizia privata del Comune di Napoli, con cui si dichiarava irricevibile l’istanza di accertamento di conformità presentata per le medesime opere nonché della nota n. 8209 del 16.03.2007 della Soprintendenza per i beni architettonici di Napoli e Provincia con la quale l’ente dichiarava che sarebbero state dichiarate irricevibili tutte le istanze “riguardanti interventi che hanno comportato aumenti di superfici utili o volumi aggiuntivi…” effettuati in zona sottoposta a vincolo paesaggistico;
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio delle amministrazioni indicate in epigrafe;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 gennaio 2016 il dott. Luca Cestaro e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
FATTO
1.1. Con ricorso ritualmente notificato e depositato, NUGNES Rosa impugnava la disposizione n. 495 del 13.07.2009 con cui il Comune di Napoli ordinava il ripristino in relazione ad alcune opere di sopraelevazione realizzate sul fabbricato di proprietà della ricorrente sito in Napoli alla via Pietro Valente n. 33, mentre con successivo ricorso per motivi aggiunti impugnava la disposizione n. 649 del 02.03.2010, emessa dal servizio edilizia privata del Comune di Napoli, con cui si dichiarava irricevibile l’istanza di accertamento di conformità presentata per le medesime opere nonché la nota n. 8209 del 16.03.2007 della Soprintendenza per i beni architettonici di Napoli e Provincia (d’ora innanzi, anche ‘Soprintendenza’) con la quale l’ente dichiarava che sarebbero state dichiarate irricevibili tutte le istanze “riguardanti interventi che hanno comportato aumenti di superfici utili o volumi aggiuntivi…” effettuati in zona sottoposta a vincolo paesaggistico.
1.2. In particolare, il ricorrente esponeva in ricorso le censure descritte nella parte in diritto e, all’esito, chiedeva l’annullamento del provvedimento impugnato.
1.3. Si costituivano il Comune di Napoli e il MIBACT che chiedevano il rigetto del ricorso.
1.4. All’esito dell’udienza di trattazione del 27.01.2016, il Collegio tratteneva la causa in decisione
DIRITTO
2.1. Giova precisare che i provvedimenti impugnati riguardano la costruzione, in sopraelevazione al quarto piano fuori terra di un appartamento di tre vani con balcone, di 140 mq di superficie e di 3,5 m di altezza, il tutto realizzato in Via Pietro Valente n. 33 e, pertanto, in zona sottoposta a vincolo paesaggistico poiché ricadente nel Parco metropolitano delle colline di Napoli (del. Giunta regionale Campania n. 855 del 10.06.2004, pubbl. B.U.R.C. n. 36 del 26.07.2004).
2.2. Il provvedimento impugnato con ricorso per motivi aggiunti si basa, appunto, sulla improcedibilità delle istanze di accertamento di conformità (art. 36 T.U. edilizia, D.P.R. 380/2001) riguardanti abusi che, ricadenti in zona vincolata, comportino l’aumento delle superfici o dei volumi e tanto conformemente a quanto stabilito dalla impugnata nota n. 8209 del 16.03.2007 della Soprintendenza; il provvedimento di demolizione, adottato ai sensi dell’art. 31 T.U. edilizia, è fondato sulle stesse circostanze di fatto alla base del provvedimento di rigetto dell’istanza di accertamento di conformità e sulla qualificazione delle opere come “nuova costruzione” eseguita in assenza di titolo edilizio.
3.1. Appare logicamente prioritario definire la questione sollevata con i motivi aggiunti in quanto l’eventuale illegittimità del rigetto dell’istanza di sanatoria potrebbe comportare il venir meno dell’abusività dell’opera con conseguente invalidità derivata dell’ordine di demolizione.
3.2. Nel ricorso per motivi aggiunti, la parte ricorrente contesta ai due provvedimenti (la generale nota della Soprintendenza e il conforme provvedimento del Comune di Napoli):
I. la violazione degli artt. 146, 149, 167 e 181 del d.lgs. 42/2014 oltre che diversi profili di eccesso di potere in quanto non si è considerato che le opere sarebbero sanabili in quanto comportanti ‘un lieve incremento volumetrico’ di ‘vani pertinenziali’ che, in quanto tali, sarebbero riconducibili a opere di manutenzione straordinaria;
II. il difetto di istruttoria, il travisamento e l’illegittimità di una valutazione che è stata effettuata solo in astratto, senza la puntuale verifica della consistenza delle opere, rientranti tra quelle sanabili ai sensi dell’art. 167 d.lgs. 42/2004, norma da interpretarsi con ragionevolezza evitando di farvi ricadere interventi minimali o tesi al recupero del patrimonio edilizio;
III. la violazione degli artt. 4 e 36 D.P.R. 380/2001 per la mancata acquisizione del parere delle competenti commissioni edilizie;
IV. la carenza istruttoria e motivazionale per l’assenza di considerazione della natura, dell’entità e della tipologia dell’opera;
V. la violazione delle garanzie partecipative e, in particolare, dell’obbligo di rendere il preavviso di rigetto di cui all’art. 10 bis L. 241/1990.
4.1. Le censure n. I, II e IV possono essere trattate congiuntamente perché connesse e poiché l’esito di infondatezza dipende da analoghe considerazioni.
4.2. Innanzitutto, va richiamato l’art. 167 co. 4 del d.lgs. 42/2004 che prevede una limitata possibilità di ‘sanare’ opere costruite abusivamente in zona vincolata con particolare riferimento ai seguenti casi:
«a) lavori, realizzati in assenza o difformità dall'autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati;
b) impiego di materiali in difformità dall'autorizzazione paesaggistica;
c) lavori comunque configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria ai sensi dell'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380».
4.3. Orbene, se è evidente che le opere in questione comportino la creazione di volumi e superfici trattandosi di un appartamento dell’estensione di 140 mq costruito in sopraelevazione a un preesistente edificio, resta da verificare se le opere siano qualificabili come opere di manutenzione straordinaria (lo stesso ricorrente esclude che possano essere qualificate come opere di manutenzione ordinaria).
4.4. Le opere di manutenzione straordinaria sono, secondo la definizione legislativa, quelle che siano «necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre che non alterino la volumetria complessiva degli edifici e non comportino modifiche delle destinazioni di uso» (art. 3 lett. b D.P.R. 380/2001). Appare, quindi, evidente che l’intervento di cui si discute giammai possa essere qualificato come meramente manutentivo, comportando la creazione di nuova volumetria e la modifica della destinazione d’uso del lastrico solare su cui l’appartamento è stato costruito.
4.5. Le brevi considerazioni che precedono dimostrano con chiarezza che la costruzione di un intero piano in sopraelevazione di un edificio non può essere sanato ai sensi dell’art. 167 d.lgs. 42/2004 né altrimenti al di fuori delle procedure condonistiche (L. 47/1985, L. 724/1994 e L. 326/2003; non risulta, peraltro, che tali procedure siano state intraprese nel caso di specie). Del tutto irrilevante è, a tal fine, la considerazione della natura pertinenziale o meno del manufatto (comunque, da escludere come meglio si dirà in seguito).
4.6. I provvedimenti impugnati sono, quindi, del tutto conformi al quadro normativo delineato nel senso dell’inapplicabilità della sanatoria di cui all’art. 167 d.lgs. 42/2004 al caso di specie.
4.7. La valutazione effettuata, anzi, appare vincolata rispetto all’opera, sulla cui consistenza non vi sono contestazioni, con conseguente infondatezza delle censure relative al difetto di motivazione e di istruttoria.
5. Quanto alla censura relativa al mancato rispetto del parere delle competenti commissioni edilizie, va ribadito che, per orientamento costante, è necessario acquisire il parere della Commissione edilizia solo ed esclusivamente nei casi in cui l’esito del procedimento dipende da una verifica di ordine tecnico, il che è da escludere nel caso di specie in considerazione del carattere vincolato dell’atto impugnato, fondato unicamente sulla constatazione dell’abuso realizzato sine titulo; non è stata, infatti, necessaria la risoluzione di problematiche tecniche sottese all’applicazione della normativa edilizia o l’espressione di un giudizio di carattere tecnico discrezionale sulla compatibilità paesaggistica delle opere (in tal senso, tra le altre: T.A.R. Campania, Napoli, sez. IV n. 851/2015; T.A.R. Lazio, Sez. II, 24 gennaio 1997, n. 238, secondo cui il parere della Commissione non è necessario ove trattasi di dichiarare insanabili le opere edilizie perché avvenute dopo la scadenza del limite temporale previsto dalla legge; T.A.R. Campania Napoli, sez. VI, 14 gennaio 2008, n. 195; T.A.R. Campania Napoli, sez. IV, 09 aprile 2010, n. 1884; T.A.R. Campania Napoli, sez. IV, 25 gennaio 2011 n. 413).
6.1. Parimenti infondata è la censura relativa al mancato rispetto dell’obbligo di rendere il prescritto preavviso di rigetto ma non per le considerazioni espresse dalla difesa comunale secondo cui il provvedimento di ‘improcedibilità’ non costituirebbe un vero e proprio rigetto.
6.2. All’opposto, va ritenuto, infatti, che un provvedimento di improcedibilità, com’è quello adottato nel caso di specie, per quanto basato su valutazioni giuridiche immediate e fondato su incontestate circostanze di fatto, integri un vero e proprio rigetto dell’istanza nel merito allorchè l’improcedibilità, in senso tecnico, è ascrivibile al venir meno dell’interesse o a difetti procedurali dell’istanza (ad es. la violazione del termine perentorio entro cui andava presentata).
6.3. Peraltro, la censura è, comunque, infondata in relazione all’assoluta vincolatezza dei provvedimenti impugnati come descritta ai capi che precedono. Il provvedimento, per le considerazioni espresse poc’anzi, non avrebbe potuto essere diverso con conseguente applicazione dell’art. 21 octies co. 2 L.241/1990 («non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato»).
7.1. L’infondatezza del ricorso per motivi aggiunti ha un’ovvia rilevanza nell’esame del ricorso avverso l’ordinanza di demolizione.
7.2. Le censure proposte con il ricorso principale, infatti, condividono molti degli argomenti alla base delle censure recate nel ricorso per motivi aggiunti. In particolare, si lamenta:
VI-VII) l’illegittimità dell’ordine di demolizione riferito a un’opera assentibile con D.I.A. (trattandosi di opera pertinenziale in quanto volta alla protezione del resto del fabbricato dagli agenti atmosferici);
VIII) il difetto di istruttoria per la mancanza dell’“accertamento tecnico” in ordine alla fattibilità della demolizione senza pregiudizio della parte legittima del fabbricato;
IX) il vizio istruttorio per la errata considerazione dell’opera e il difetto di motivazione in ordine alle norme violate e alla inadeguata precisazione delle opere soggette a demolizione;
X) la mancata considerazione dell’istanza di accertamento di conformità;
XI) il mancato rispetto delle garanzie procedimentali e, in particolare, il mancato invio della comunicazione di avvio del procedimento ai sensi dell’art. 7 L. 241/1990.
8.1. Le censure numero VI e VII trovano una parziale risposta in quanto già si è detto al precedente capo 4. Peraltro, in questa sede, occorre altresì precisare che, come da costante orientamento della giurisprudenza anche di questa sezione, la nozione di "pertinenza urbanistica" è meno ampia di quella definita dall'art. 817 c.c. e dunque non può consentire la realizzazione di opere di grande consistenza soltanto perché destinate al servizio di un bene qualificato principale. Infatti, il carattere pertinenziale in senso urbanistico va riconosciuto alle opere che, per loro natura, risultino funzionalmente ed esclusivamente inserite al servizio di un manufatto principale, siano prive di autonomo valore di mercato e non valutabili in termini di cubatura (o comunque dotate di volume minimo e trascurabile), in modo da non poter essere utilizzate autonomamente e separatamente dal manufatto cui accedono (Consiglio Stato, sez. IV, 17 maggio 2010 , n. 3127).
8.2. In tal senso, si è chiarito, con condivisibile orientamento, che finanche gli interventi consistenti nella installazione di tettoie o di altre strutture analoghe che siano comunque apposte a parti di preesistenti edifici come strutture accessorie di protezione o di riparo di spazi liberi, cioè non compresi entro coperture volumetriche previste in un progetto assentito, possono ritenersi sottratti al regime della concessione edilizia (oggi permesso di costruire) soltanto ove la loro conformazione e le loro ridotte dimensioni rendono evidente e riconoscibile la loro finalità di arredo o di riparo e protezione (anche da agenti atmosferici) dell'immobile cui accedono; tali strutture non possono viceversa ritenersi installabili senza permesso di costruire allorquando le loro dimensioni sono di entità tale da arrecare una visibile alterazione all'edificio o alle parti dello stesso su cui vengono inserite.
8.3. Ebbene, nel caso di specie, le opere consistono in un manufatto autonomo, di rilevante estensione, realizzato in sopraelevazione a un edificio esistente; tanto comporta, con tutta evidenza, degli aumenti di volumetria non irrilevanti e comunque non tali da consentire che le opere possano essere ritenute ‘assorbite’ o accessorie al manufatto principale –di cui modificano la sagoma e i prospetti- in senso urbanistico (T.A.R. Campania Napoli, sez. II, 29 gennaio 2009, n. 492; T.A.R. Campania Napoli, sez. VII, 08 aprile 2011, n. 1999; v. pure T.A.R. Napoli, questa IV sez., sentenze nn. 831/2015 e 1927/2015). Peraltro, la stessa descrizione del manufatto quale autonomo appartamento sembra, comunque, escludere lo stesso presupposto della pertinenzialità ossia dell’accessorietà intesa come destinazione al servizio di un bene principale.
8.4. Va, quindi, ribadito che, come correttamente rilevato nel provvedimento impugnato, si tratta di una nuova costruzione senz’altro sanzionabile con la sanzione demolitoria di cui all’art. 31 D.P.R. 380/2001 (anzi, trattandosi di immobile sito in zona vincolata, avrebbe potuto essere sanzionato anche ai sensi dell’art. 27 D.P.R. 380/2001).
9.1. Con la censura n. VIII si invoca, in sostanza, la medesima norma ossia l’art. 33 co 2 del T.U. edilizia («qualora, sulla base di motivato accertamento dell'ufficio tecnico comunale, il ripristino dello stato dei luoghi non sia possibile, il dirigente o il responsabile dell'ufficio irroga una sanzione pecuniaria»).
9.2. Ebbene, il motivo è infondato per le ragioni più volte richiamate nella giurisprudenza della Sezione (v., ex multis, Sent. n. 03120/2015). La possibilità di sostituire la demolizione con la sanzione pecuniaria, infatti, attiene alla fase dell'esecuzione dell'ordine di ripristino e presuppone, da parte del destinatario, la prova dell’impossibilità di demolire senza nocumento per la restante parte (legittima) dell’immobile.
9.3. Sul punto va ribadito che, mentre l’ingiunzione di demolizione costituisce la prima ed obbligatoria fase del procedimento repressivo, in quanto ha natura di diffida e presuppone solo un giudizio di tipo analitico- ricognitivo dell’abuso commesso, il giudizio sintetico-valutativo, di natura discrezionale, circa la rilevanza dell’abuso e la possibilità di sostituire la demolizione con la sanzione pecuniaria (art. 33 co. 2 d.P.R. 380/01) può essere effettuato soltanto in un secondo momento, cioè quando il soggetto privato non ha ottemperato spontaneamente alla demolizione e l'organo competente emana l'ordine (indirizzato ai competenti uffici dell’Amministrazione) di esecuzione in danno delle ristrutturazioni realizzate in assenza o in totale difformità dal permesso di costruire o delle opere edili costruite in parziale difformità dallo stesso; soltanto nella predetta seconda fase non può ritenersi legittima l’ingiunzione a demolire sprovvista di qualsiasi valutazione intorno all'entità degli abusi commessi e alla possibile sostituzione della demolizione con la sanzione pecuniaria, sempre se vi sia stata la richiesta dell'interessato in tal senso (ex multis, v. Sent. T.A.R. Napoli, sez. IV, n. 03120/2015, cit., nonché T.A.R. Napoli, sez. VII, 14 giugno 2010 n. 14156).
10.1. Quanto al preteso difetto di motivazione, va ribadito che, in presenza di un intervento di nuova costruzione effettuato senza titolo, non è dovuta una puntuale motivazione sull’interesse pubblico alla demolizione (o alla sospensione dei lavori), sull’effettivo danno all’ambiente o al paesaggio o, ancora, sulla proporzionalità in relazione al sacrificio imposto al privato: è sufficiente evidenziare la violazione della normativa edilizia e l’avvenuta costruzione in assenza del titolo abilitativo, ciò che nel caso di specie è avvenuto (cfr., ex multis, T.A.R. Campania Napoli, sez. VI, n. 9718/2008 e 04037/2013). L’interesse pubblico alla demolizione è, infatti, ‘in re ipsa’, consistendo nel ripristino dell’assetto urbanistico violato (fra le tante: cfr. C.d.S. sez. V, 9 settembre 2013, n. 4470, C.d.S., sez. IV, 12 aprile 2011, n. 2266, T.A.R. Campania Napoli, sez. II, 14 febbraio 2011, n. 922; T.A.R. Campania, sez. IV, n. 5236/2015).
10.2. Per altro verso, la porzione di immobile abusiva e, quindi, da demolire è correttamente e chiaramente individuata per cui non sussiste l’ambiguità che denuncia la parte ricorrente.
11. Quanto alla mancata considerazione dell’avvenuta presentazione dell’istanza di accertamento di conformità, come si è visto, essa è stata legittimamente respinta e tanto assorbe ogni altra considerazione in merito.
12.1. Parimenti infondata è, poi, la censura relativa alla mancata comunicazione di avvio del procedimento.
12.2. Come si è a più riprese affermato nella giurisprudenza di questo Tribunale amministrativo, infatti, l'ordine di demolizione conseguente all'accertamento della natura abusiva delle opere realizzate, come tutti i provvedimenti sanzionatori edilizi, è un atto dovuto. Da ciò consegue che l'ordinanza in questione «va emanata senza indugio e, in quanto tale, non deve essere preceduta da comunicazione di avvio del procedimento, trattandosi di una misura sanzionatoria per l'accertamento dell'inosservanza di disposizioni urbanistiche, secondo un procedimento di natura vincolata tipizzato dal legislatore e rigidamente disciplinato, che si ricollega ad un preciso presupposto di fatto, cioè l'abuso, di cui peraltro l'interessato non può non essere a conoscenza, rientrando direttamente nella sua sfera di controllo» (T.A.R. Napoli, sez. III,07/09/2015, n. 4392).
12.3. Peraltro, non può dubitarsi dell’operatività dell’art. 21 octies co. 2, secondo periodo, della legge 241 del 1990 per le medesime ragioni già esposte al superiore capo 6 (sul punto, la giurisprudenza, anche della sezione è costante; v., ex plurimis, Cons. St., sez. IV, 26 agosto 2014 n. 4279; id., 07 luglio 2014 n. 3438; id., 20 maggio 2014 n. 2568; id., 09 maggio 2014 n. 2380; T.A.R. Milano, sez. IV, 22 maggio 2014 n. 1324; T.A.R. Napoli sez. IV, 16 maggio 2014 n. 2718; id., sez. II 15 maggio 2014 n. 2713; id., l8 dicembre 20l3, n. 5853 e n. 5811).
13. Tutto quanto precede dimostra la infondatezza del ricorso principale e di quello per motivi aggiunti; essi vanno, pertanto, respinti. Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza come per legge
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:
-) respinge il ricorso principale e quello per motivi aggiunti ;
-) condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore degli enti resistenti , che si liquidano in euro 1.500,00, oltre agli accessori di legge, a favore del Comune di Napoli ed euro 1.500,00, oltre agli accessori di legge a favore del Ministero;
-) ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 27 gennaio 2016 con l'intervento dei magistrati:
Anna Pappalardo, Presidente FF
Michele Buonauro, Consigliere
Luca Cestaro, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 10/02/2016
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)