Cass. Sez. III n. 4345 del 30 gennaio 2014 (Ud 17 dic 2013)
Pres.Mannino Est.Ramacci Ric.Sorbini
Ambiente in genere. Prevenzione e riduzione integrate dell'inquinamento -

In tema di reati concernenti l'inquinamento, è ravvisabile una sostanziale continuità normativa tra le disposizioni dell'abrogato D.Lgs. n. 59 del 2005 e le norme attualmente contemplate nella Parte Seconda del D.Lgs. n. 152 del 2006, nella parte relativa alla previsione di misure atte ad evitare o ridurre le emissioni di determinate sostanze nell'aria, nell'acqua e nel suolo in quanto entrambe le discipline contemplano la possibilità, per l'autorità procedente, di imporre specifiche prescrizioni, stante la necessità di adeguare i contenuti dell'atto autorizzatorio alle peculiari caratteristiche dell'attività svolta in modo da assicurare una prevenzione dell'inquinamento calibrata sulle singole realtà locali. (In applicazione di tale principio la Corte ha ritenuto configurabile continuità normativa tra l'art. 16 del D.Lgs. n. 59 del 2005 e l'art. 29-quaterdecies del D.Lgs. n. 152 del 2006).

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. MANNINO Saverio - Presidente - del 17/12/2013
Dott. SAVINO Mariapia - Consigliere - SENTENZA
Dott. RAMACCI Luca - rel. Consigliere - N. 3671
Dott. ANDREAZZA Gastone - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. ANDRONIO Alessandro Maria - Consigliere - N. 22368/2013
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
SORBINI MARIO N. IL 28/10/1932;
avverso la sentenza n. 3894/2012 TRIBUNALE di MILANO, del 12/02/2013;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 17/12/2013 la relazione fatta dal Consigliere Dott. RAMACCI LUCA;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. FRATICELLI Mario, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso;
Udito il difensore Avv. LUCIA L..
RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di Milano, con sentenza del 12.2.2013 ha affermato la responsabilità penale di SORBINI Mario, che condannava alla pena dell'ammenda, perii reato di cui al D.Lgs. n. 59 del 2005, art. 16, comma 2, perché, nella sua qualità di legale rappresentante della "COFERMETAL s.p.a.", non osservava le prescrizioni indicate nell'AIA (autorizzazione integrata ambientale) in materia di convogliamento delle emissioni, campionamento delle acque di scarico, riciclo e recupero delle acque industriali, esatta catalogazione CER dei rifiuti, corretto deposito temporaneo dei rifiuti, sistema di misurazione del consumo di combustibile (fatti accertati in Milano, fino al 22.1.2010).
Avverso tale pronuncia il predetto propone ricorso per cassazione. 2. Con un primo motivo di ricorso deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione, rilevando come il Tribunale avrebbe pronunciato la condanna in relazione ad una disposizione ormai abrogata perché ora inserita, prevedendo una diversa disciplina sostanziale e procedimentale, nel D.Lgs. 152 del 2006, senza peraltro formulare alcuna considerazione sulla sussistenza del fatto contestato anche alla luce della nuova disciplina.
3. Con un secondo motivo di ricorso deduce il travisamento della prova in relazione alle dichiarazioni testimoniali rese al dibattimento in relazione ad alcune violazioni contestate e, segnatamente, quelle relativa al convogliamento delle emissioni, al campionamento degli scarichi idrici, al recupero delle acque di raffreddamento ed al deposito temporaneo dei rifiuti. Insiste, pertanto, per l'accoglimento del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO
4. Il ricorso è inammissibile.
Con il D.Lgs.18 febbraio 2005, n. 59 è stata data completa attuazione alla direttiva 96/61/CE sulla prevenzione e riduzione integrate dell'inquinamento (IPPC), inizialmente recepita solo in parte con il D.Lgs. 4 agosto 1999, n. 372, che riguardava esclusivamente gli impianti esistenti (secondo la definizione datane nel decreto medesimo), rinviando ad altro momento il completo recepimento della direttiva comunitaria e che, con l'entrata in vigore del D.Lgs. n. 59 del 2005, veniva abrogato, fatto salvo quanto previsto all'art. 4, comma 2.
Il D.Lgs. n. 59 del 2005, vigente all'epoca dei fatti, prevedeva misure atte ad evitare o, qualora non sia possibile, ridurre le emissioni di determinate attività (descritte nell'allegato 1) nell'aria, nell'acqua e nel suolo, comprese le misure relative ai rifiuti ed a conseguire un livello elevato di protezione dell'ambiente, nel suo complesso, adottando le migliori tecnologie disponibili.
Le finalità della menzionata direttiva comunitaria, fatte proprie dal legislatore nazionale, erano evidentemente orientate dalla necessità di prevedere una visione globale dei problemi connessi alla prevenzione e riduzione dell'inquinamento, adottando procedure che, oltre ad essere semplificate, consentissero una verifica complessiva della situazione relativa ad un determinato impianto. Successivamente, attraverso il "terzo correttivo" al D.Lgs. n. 152 del 2006 (D.Lgs. 29 giugno 2010, n. 128), si è proceduto alla formale abrogazione del D.Lgs. n. 59 del 2005 ed alla trasposizione, con sostanziali modifiche, della relativa disciplina nella Parte Seconda del d.lgs. 152/06, effettuando anche il coordinamento, prima mancante, delle procedure di VIA ed AIA.
5. Le finalità dell'AIA sono ora indicate dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 4, comma 4, lett. c) e riguardano la prevenzione e la riduzione integrate dell'inquinamento proveniente dalle attività indicate all'allegato 8^. Si prevedono misure intese a evitare, ove possibile, o a ridurre le emissioni nell'aria, nell'acqua e nel suolo, comprese le misure relative ai rifiuti, per conseguire un livello elevato di protezione dell'ambiente, salve le disposizioni sulla valutazione di impatto ambientale, mentre le definizioni relative alla materia sono integrate nell'art. 5.
La specifica disciplina è invece contenuta nel Titolo 3^ bis appositamente inserito nel D.Lgs. n. 152 del 2006.
I requisiti della domanda di autorizzazione e la relativa procedura sono indicati negli artt. 29 ter e 29 quater introducendo, rispetto al passato, sostanziali modifiche.
In base al disposto dell'ormai abrogato D.Lgs. n. 59 del 2005, art. 5, comma 14, l'autorizzazione sostituiva, ad ogni effetto, ogni altro visto, nulla osta, parere o autorizzazione in materia ambientale, previsti dalle disposizioni di legge e dalle relative norme di attuazione, fatte salve la normativa contenuta nel D.Lgs. n. 334 del 1999, in tema di rischi da incidente rilevante e le autorizzazioni ambientali previste dalla normativa di recepimento della direttiva 2003/87/CE.
L'articolo citato stabiliva, inoltre, che l'autorizzazione integrata ambientale sostituisse, in ogni caso, le autorizzazioni indicate nell'elenco riportato nell'allegato 2^. Tale elenco, ove necessario, poteva essere modificato.
Analoga previsione è ora contenuta del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 29 quater, comma 11, laddove si afferma che le autorizzazioni integrate ambientali sostituiscono, ad ogni effetto, le autorizzazioni riportate nell'elenco dell'allegato 9^, secondo le modalità e gli effetti previsti dalle relative norme settoriali. In particolare, le autorizzazioni integrate ambientali sostituiscono la comunicazione di cui all'articolo 216, ferma restando la possibilità di utilizzare successivamente le procedure semplificate previste dal capo 5^.
L'elenco riportato nell'allegato è tuttavia diverso e più restrittivo rispetto a quello del D.Lgs. n. 59 del 2005, cosicché l'ambito di operatività della disposizione risulta più contenuto rispetto al passato.
Per il resto, la previgente disciplina è stata riprodotta, con modifiche di carattere formale, negli artt. da 29 quinquies a 29 quattordecies, senza peraltro apportare alcuna variazione all'impianto sanzionatorio già previsto dal D.Lgs. n. 59 del 2005, art. 16, ed ora contemplato dall'art. 29 quattordecies. 6. Le sanzioni penali sono previste nei primi tre commi, mentre i successivi riguardano le sanzioni amministrative. In particolare, per quel che qui rileva, è prevista l'applicazione della sola ammenda in caso di inosservanza delle prescrizioni dell'autorizzazione o di quelle emanate dall'autorità competente, salvo che il fatto costituisca più grave reato.
Come è stato osservato in altra occasione (Sez. 3^ n. 44280, 31 ottobre 2013, non massimata) la previsione, da parte del legislatore, della possibilità, per l'autorità procedente, di imporre specifiche prescrizioni trova evidentemente giustificazione nella necessità di adeguare i contenuti dell'atto autorizzatorio alle specifiche caratteristiche dell'insediamento ed assicurare una prevenzione dell'inquinamento calibrata sulle singole realtà locali, come emerge chiaramente dal tenore del D.Lgs. n. 59 del 2005, art. 3. Altrettanto può dirsi per ciò che concerne la disciplina attualmente vigente.
7. In particolare, tanto nella vecchia che nella nuova disciplina è prevista la possibilità, per la competente autorità, di imporre condizioni specifiche giudicate opportune, indicando specificamente i requisiti dell'autorizzazione, come emerge dal confronto tra il D.Lgs. n. 59 del 2005 il previgente art. 7 e il D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 29 sexies, attualmente in vigore.
L'inosservanza delle prescrizioni dell'autorizzazione è attualmente sanzionata dall'art. 29 quattordecies, che, come si è già detto, è perfettamente sovrapponibile del D.Lgs. n. 59 del 2005, previgente art. 16.
Può pertanto rilevarsi, come già osservato in altra occasione (Sez. 3^ n. 18741, 16 maggio 2012, non massimata) che vi è sostanziale continuità normativa tra le diverse disposizioni e che, in ogni caso, riguardo ai fatti contestati nella fattispecie, la abrogazione del D.Lgs. n. 59 del 2005 non ha apportato alcuna innovazione più favorevole all'imputato ne' altre modificazioni di rilievo per il caso in esame che meritassero una specifica valutazione da parte del giudice del merito, il quale, pertanto, non è incorso nel vizio di motivazione denunciato ne', tanto meno, ha assunto una decisione giuridicamente errata.
Il primo motivo di ricorso è, dunque manifestamente infondato. 8. A conclusioni non dissimili deve pervenirsi con riferimento al secondo motivo di ricorso concernente il dedotto travisamento della prova.
Va a tale proposito ricordato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, tale deduzione presuppone che la motivazione si fondi, in modo decisivo, su una prova non esistente in atti, su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale oppure sia evidentemente smentita da una prova presente in atti ma non presa in considerazione (Sez. 3^ n. 37756, 19 ottobre 2011; Sez. 4^ n. 14732, 12 aprile 2011; Sez. 5^ n. 18842, 11 maggio 2011; Sez. 6^ n. 18491, 14 maggio 2010; Sez. 3^, n. 39729, 12 ottobre 2009; Sez. 5^ n. 39048, 23 ottobre 2007).
È inoltre onere del ricorrente assicurare il requisito dell'autosufficienza dell'atto probatorio provvedendo alla allegazione al ricorso dell'atto integrale o della sua trascrizione, essendone precluso l'esame diretto in sede di legittimità, salvo nel caso in cui il vizio non emerga dalla stessa articolazione del ricorso (Sez. 1^ n. 6112, 12 febbraio 2009; Sez. 6^ n. 20059, 20 maggio 2008 ed altre prec. conf. V. anche Sez. 2^ n. 25315, 27 giugno 2012).
Con specifico riferimento alla prova dichiarativa, si è inoltre affermato che "il giudice di legittimità deve limitarsi a verificare se il senso probatorio, attribuito dal ricorrente in contrasto con quello eletto nel provvedimento impugnato, presenti una verosimiglianza non immediatamente smentibile e non imponga, per il suo apprezzamento, ulteriori valutazioni in relazione al contenuto complessivo dell'esame del dichiarante" (Sez. 6^ n. 18491U0 cit.). 9. Ciò posto, deve rilevarsi in primo luogo che, nella fattispecie, la censura dedotta è supportata dalla produzione soltanto parziale dei verbali delle richiamate dichiarazioni testimoniali, il che non consente comunque di apprezzarne il contenuto complessivo. Il ricorrente estrapola infatti brani della sentenza impugnata per poi confrontarli con una o più parti di una singola deposizione testimoniale al fine di dimostrare l'insussistenza del reato contestato.
In ogni caso, la deduzione si risolve nella prospettazione di una valutazione alternativa della dichiarazione testimoniale e nella confutazione delle argomentazioni sviluppate dal giudice del merito per fornire risposta a specifiche obiezioni difensive. Viene dunque sostanzialmente rilevato dal ricorrente un travisamento del fatto e non della prova, chiedendo una inammissibile reinterpretazione degli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione, poiché la sentenza impugnata evidenzia, con coerenti argomentazioni in fatto, in cosa siano materialmente consistite le inosservanze alle prescrizione dell'autorizzazione oggetto di contestazione senza che sia percepibile alcuna palese difformità tra i risultati obiettivamente derivanti dall'assunzione della prova e quelli che il giudice di merito ne abbia tratto.
10. Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile e alla declaratoria di inammissibilità - non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente (Corte Cost. 7-13 giugno 2000, n. 186) - consegue l'onere delle spese del procedimento, nonché quello del versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma, equitativamente fissata, di Euro 1.000,00.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 17 dicembre 2013.
Depositato in Cancelleria il 30 gennaio 2014