Consiglio
di Stato Sez. IV sent. 2340 del 15 maggio 2003
Lottizzazione convenzionata ed introduzione successiva di pianificazione con la
stessa incompatibile
R
E P
U B B
L I
C A I
T A
L I
A N A
IN
NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha
pronunciato la seguente
D
E C I S I O N E
sui
ricorsi in appello n. 8532 del 1996 e n.
247 del 1997, proposti:
1.
il n. 8532 del 1996, dal Comune di Terracina, in
persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dal prof. avv. Ugo
Petronio, elettivamente domiciliato presso lo studio del medesimo in Roma Via
Ruggero Fauro, n. 43.
CONTRO
D’ANCONA
Antonio, rappresentato e
difeso dagli Avv. ti Fabio Rocco e Giuliana Poletti Pane, elettivamente
domiciliato presso lo studio della seconda in Roma, Via Licinio Calvo, n. 41.
E
NEI CONFRONTI DI
-
Regione Lazio, in persona del
Presidente in carica della Giunta regionale, non costituito.
- Friuli Costruzioni S.r.l.,
in persona del legale rappresentante, rappresentato e difeso dagli avv. ti
Alessandro Fusillo e Francesca Lalli, elettivamente domiciliato presso lo studio
del primo in Roma Via Cicerone, n. 66.
-
MICHELON Anna, ed
altri, tutti rappresentati e difesi dall’avv. Giuliana Poletti Pane,
elettivamente domiciliati presso lo studio della medesima in Roma, Via Licinio
Calvo, n. 41.
2. il n. 247 del 1997, dalla
Regione Lazio, in persona del Presidente in carica della Giunta regionale,
rappresentato e difeso dall’avvocatura generale dello Stato, presso la quale
è domiciliato in Roma Via dei Portoghesi, n. 12.
CONTRO
D’ANCONA
Antonio, non costituito in
giudizio.
NONCHÉ
MURATORI Giuseppa, ed
altri, non costituiti in
giudizio.
NONCHÉ
FRIULI
COSTRUZIONI S.r.l., in
persona del rappresentante legale, non costituito in giudizio.
E
NEI CONFRONTI DEL
Comune
di Terracina, in persona del
Sindaco in carica, non costituito in giudizio.
PER
L’ANNULLAMENTO
della
sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (Sezione I) 23
maggio 1996, n. 819.
Visti i ricorsi con i relativi allegati.
Visto
l’atto di costituzione in giudizio di D’Ancona, Friuli Costruzioni S.r.l. e
dei soggetti indicati nell’intestazione del ricorso del comune di Terracina.
Viste
le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese.
Visti
gli atti tutti della causa.
Relatore
alla pubblica udienza del 4 febbraio 2003, il Consigliere Costantino Salvatore.
Uditi
l’avv. U. Petronio per il Comune, l’avv. F. Rocco in proprio e su delega
dell'avv. G. Pane Poletti per il D’Ancona e gli altri appellati, gli avv.ti A.
Fusillo e F. Lalli per la Friuli costruzioni e l’avv. dello Stato Sabelli per
la regione Lazio.
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.
F
A T T O
Con
ricorso al TAR del Lazio, l'ing. Antonio D'Ancona esponeva di essere
proprietario di un comprensorio di circa 580.000 mq. in località "Colle la
Guardia", del Comune di Terracina, e di avere nel 1966 chiesto ed ottenuto
dal predetto Comune (delibera commissariale del 11/10/1966) l'autorizzazione
alla lottizzazione del citato comprensorio, in forza di una convenzione con la
quale si assumeva l'onere di provvedere all'esecuzione di alcune opere di
urbanizzazione primaria.
Aggiungeva
che, quando gli interventi previsti - comprese le opere di urbanizzazione
primaria erano stati in buona parte già eseguiti (come risulta dalla verifica
effettuata dal tecnico comunale e riportata nella relazione prot. 7446 del
26/7/1972) - ed era stata pagata per intero al Comune di Terracina l'imposta
sull'incremento delle aree fabbricabili, con deliberazione del Consiglio
comunale n. 4 del 19 gennaio 1971, veniva adottato il Piano Regolatore Generale
che destinava l'intero anzidetto comprensorio a zona "agricola",
nella quale è consentita la costruzione soltanto di edifici per la
conduzione agricola, con superficie minima del lotto di mq. 20.000 ed indice
fondiario da 0,01 a 0,03 mc/mq.
Tutto
ciò senza che, però, venisse disconosciuto (cfr. art.8 delle norme tecniche)
dal Comune la validità delle lottizzazioni approvate precedentemente
all'adozione del piano anzidetto.
Rappresentava
ancora il ricorrente di avere proposto - unitamente ai proprietari dei lotti
nelle more ceduti e che si erano anche costituiti nel "Consorzio Quattro
Stagioni"- osservazioni scritte, ai sensi dell’art. 9 della legge n. 1150
del 17 agosto 1942, con le quali, premesso che le nuove previsioni del PRG non
avevano tenuto nel debito conto la legittima aspettativa degli istanti di poter
completare le opere per le quali erano già stati assolti tutti gli impegni
convenzionalmente assunti e gli obblighi anche di natura fiscale connessi alla
lottizzazione, chiedeva il ripristino della destinazione "residenziale" e delle prescrizioni costruttive stabilite
dalla convenzione lottizzatoria non soltanto nell'interesse degli istanti ma
anche del Comune sia per i vantaggi che sarebbero derivati alla comunità
dall'iniziativa edilizia sia per evitare "responsabilità" del Comune,
tenuto conto delle opere pubbliche realizzate e delle imposte pagate dagli
interessati.
Concludeva
il deducente che tali osservazioni – sulle quali il Comune di Terracina si
limitava ad affermare (cfr. punto 17' della delibera n.119 dei 30/9/71), in via
generale, "..che, alla luce
dell'art.8 della legge ponte e dei punti 6/D e 3/E della circolare ministeriale
n. 3210 ... occorreva...tenere
presente l'eventuale validità giuridica delle convenzioni esistenti, adeguando
comunque l'intervento in dette zone agli indici di piano con relativo studio
della zona interessata"- venivano respinte dalla Regione Lazio, in
forza del parere espresso il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici che
suggeriva di stralciare tutte le disposizioni sulle lottizzazioni convenzionate
per “..la indeterminatezza ed il mancato
approfondimento degli effetti che ulteriori insediamenti in zona agricola
possono produrre nell'assetto conferito al territorio dal piano in esame...” e
di rinviare ad una apposita e successiva variante la verificazione globale della
compatibilità di dette lottizzazioni
Ciò
premesso, il ricorrente deduceva quattro censure, delle quali le prime due
lamentavano vizi di ordine procedimentale e le ultime due vizi di merito.
Le
amministrazioni intimate si costituivano in giudizio, eccependo in via
preliminare, il difetto di legittimazione attiva del D’Antona, sia perché non
più proprietario dei lotti per i quali aveva prodotto le osservazioni, sia
perché non aveva indicato di quale parte del comprensorio non ancora lottizzato
era tuttora proprietario. Nel merito, le amministrazioni contestavano la
fondatezza del gravame.
Nel
giudizio intervenivano a sostegno del ricorrente i proprietari di alcuni dei
lotti ceduti dal D’Ancona.
Il
TAR, disattesa l’eccezione di difetto di legittimazione attiva, respingeva le
prime due censure e accoglieva il terzo e quarto motivo di ricorso.
Contro
tale sentenza hanno proposto distinti appelli sia il Comune di Terracina che la
Regione Lazio, chiedendone l’integrale riforma.
Si
sono costituiti in questo grado sia l’originario ricorrente sia i soggetti
intervenuti ad adiuvandum.
Le
parti hanno ulteriormente illustrato le proprie tesi difensive con apposite
memorie.
Gli
appelli sono stati trattenuti in decisione alla pubblica udienza del 4 febbraio
2003.
D
I R I T T O
1.
In via preliminare va disposta la riunione dei due appelli per ragioni di
connessione oggettiva ed oggettiva.
2.
Sempre in via preliminare deve essere esaminata l’eccezione, già disattesa
dal giudice di primo grado, di difetto d’interesse al ricorso, avendo il
ricorrente ceduto i lotti al Consorzio costituito tra i nuovi proprietari, che
sono poi intervenuti ad adiuvandum.
Come esattamente rilevato dal TAR, non è contestato che il ricorrente sia tuttora proprietario di lotti edificabili, ricadenti nel comprensorio oggetto della lottizzazione, con la conseguenza che egli è titolare non solo dell’interesse ad agire ma anche della legittimazione attiva.
E
comunque, in quanto cedente di lotti edificabili, ha un evidente interesse alla
conservazione della edificabilità dei suoli, chiamato a risarcire i danni.
Quanto
alla questione della cessione di alcuni lotti al Consorzio, è appena il caso di
osservare che l’obbligo di costituzione del medesimo è previsto dalla
convenzione di lottizzazione.
Pure
da disattendere è l’ulteriore eccezione di improcedibilità per sopravvenuta
carenza d’interesse, sollevata per la prima volta in questo grado sul rilievo
che il lungo tempo trascorso tra la proposizione del ricorso e la decisione
(intervenuta dopo 22 anni) e il comportamento concludente del ricorrente, che ha
per ben nove volte chiesto la cancellazione dal ruolo, avrebbero dovuto portare
ad una dichiarazione di improcedibilità del gravame per sopravvenuto difetto di
interesse.
E’
sufficiente rilevare, in contrario, che il tempo trascorso tra la proposizione
del ricorso e la decisione non costituisce, di per sé, motivo per la
declaratoria di improcedibilità, essendo a questo fine necessaria la
sussistenza di sopravvenienze di fatto e/o di diritto che dimostrino, senza
ombra di dubbio, l’inutilità della sentenza: ciò che nella specie non è
stato dimostrato.
3.
Superate le questioni pregiudiziali e passando a quelle di merito, considera la
Sezione che gli appelli sono infondati.
Il
TAR ha osservato, facendo peraltro applicazione di un pacifico principio
giurisprudenziale, l’amministrazione, in presenza di una lottizzazione
regolarmente approvata, ben può introdurre una disciplina urbanistica che sia
incompatibile con quella contenuta nella lottizzazione, ma è tenuta ad
effettuare una adeguata valutazione comparativa tra l’interesse pubblico che
intende soddisfare con la nuova previsione e la situazione di diritto e di fatto
sulla quale la nuova destinazione urbanistica è destinata ad
incidere.
Nei
casi, come quello in esame, nei quali la nuova disciplina urbanistica si
riflette negativamente sulle legittime aspettative create da una lottizzazione
convenzionata - peraltro, già in larga parte, realizzata – è necessario che
l’autorità procedente dia conto non solo del fatto che la diversa disciplina
è oggettivamente giustificata, ma anche che vi è stata la necessaria
comparazione tra le legittime aspettative dei privati e l’interesse pubblico
sotteso alla nuova pianificazione per verificare se ed in quale misura la
situazione giuridica già regolata dalla convenzione di lottizzazione possa
essere fatta salva.
Nel
caso di specie, sarebbe del tutto mancato, sia il necessario, oggettivo
raffronto tra le nuove esigenze pianificatore e la preesistente lottizzazione,
sia la necessaria e puntuale motivazione sulle ragioni che inducevano a
modificare la disciplina prescritta con la lottizzazione.
Ed
infatti, né nelle controdeduzioni comunali alle osservazioni proposte dagli
interessati, né nella delibera regionale di reiezione delle osservazioni, vi
sarebbe traccia di tale necessaria fase valutativa, come dimostrerebbe la
decisione di stralciare ogni prescrizione in merito alle aree oggetto di
lottizzazione, rinviando ad apposita variante la verifica della compatibilità
degli insediamenti già realizzati con il nuovo assetto dato al territorio
comunale con il piano approvato.
3. Le conclusioni del primo giudice sono pienamente condivisibili e
vanno, perciò, confermate.
E’
principio pacifico quello, secondo il quale, una volta debitamente approvato un
piano di lottizzazione, l'autorità urbanistica può disattenderlo con
successivi atti di pianificazione territoriale (e sacrificare così le
aspettative legittimamente acquisite dai privati) solo a condizione che ne dia
una puntuale e adeguata motivazione, nella quale dimostri di aver valutato
comparativamente l'interesse pubblico e gli interessi privati fondati sulla
convenzione.
Ora, che nella specie, sia stato omessa qualsiasi comparazione e
motivazione si ricava agevolmente dallo stesso contenuto delle deliberazioni
impugnate, con le quali le questioni connesse alle lottizzazioni esistenti
vengono rinviate ad una successiva variante, al dichiarato scopo di inquadrarle “in una visione globale che possa dar luogo ad una variante del P.RG.,
nella quale siano contenute tutte le nuove previsioni insediative, in modo che
sia possibile valutarne la compatibilità rispetto alla struttura che il
territorio verrà ad assumere con l'attuazione del piano, anche in relazione
all'assetto dei Comuni contigui... ".
Sia il Comune sia la
Regione, nell’ambito dei rispettivi poteri di pertinenza, hanno
sostanzialmente abdicato ad un loro preciso obbligo, quale è quello di
stabilire la compatibilità della lottizzazione con la nuova disciplina
urbanistica e decidere se consentire l’ultimazione degli insediamenti, tenuto
conto che quella del ricorrente era in uno stato avanzato di realizzazione come
testimonia la stessa relazione del tecnico comunale in data 26 luglio 1972.
Del
resto, che tale decisione avesse un intento solamente dilatorio è dimostrato
dal fatto che, nelle more del lungo giudizio di primo grado, non risulta che il
Comune abbia adottato la preannunciata variante relative alle lottizzazioni.
La
difesa del Comune assume che il principio fatto proprio dal primo giudice non
sarebbe pertinente, posto che la giurisprudenza richiamata si riferisce a
varianti generali al PRG a mai all’adozione di un nuovo PRG.
L’assunto
è chiaramente infondato, essendo evidente che la situazione del titolare di una
lottizzazione regolarmente approvata, con i connessi diritti ed aspettative
generati dalla convenzione di lottizzazione, non muta rispetto al potere di
pianificazione sia che questo si manifesti come variante generale ad un
precedente PRG ovvero come adozione di un nuovo piano regolatore generale.
Solo
sul punto dei limiti dell’annullamento si può concordare con la difesa del
Comune.
Difatti,
le prescrizioni contenute in una variante al piano regolatore generale vanno
considerate scindibili, ai fini del loro eventuale annullamento in sede
giurisdizionale; pertanto, nel caso in cui il ricorso prospetti vizi relativi
solo ad alcune determinazioni, l'annullamento del provvedimento non può essere
che parziale, stante il principio generale della specificità dei motivi
proponibili nei ricorsi davanti al giudice amministrativo (cfr., da ultimo, Sez.
IV, 8 maggio 2000, n. 2639).
In
applicazione di tale principio, l’annullamento sancito con la sentenza
appellata, deve intendersi limitato alla determinazione di rinviare ogni
questione sulla compatibilità della lottizzazione, di cui è titolare il
ricorrente, e non investe tutte le altre determinazioni, generali o particolari,
che non hanno nessuna attinenza con la posizione fatta valere dal ricorrente
medesimo.
Con
queste precisazioni, gli appelli vanno respinti e va confermata la sentenza di
primo grado.
Quanto
alle spese e agli onorari di questo grado del giudizio, esse vanno poste a
carico del Comune di Terracina ed a favore del D’Ancona mentre possono essere
compensate nei confronti degli intervenuti.
Nulla
sulle spese in merito all’appello della Regione, posto che nessuno degli
appellati si è costituito in questo grado.
P.Q.M.
Il
Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sez. IV), definitivamente
pronunciando sugli appelli in epigrafe specificati, riunisce gli appelli e li
respinge.
Condanna il Comune di Terracina al pagamento in favore del ricorrente
D’Ancona delle spese di questo grado, che liquida in complessive euro 3.000
(tremila) e le compensa nei confronti degli intervenuti. Nulla sulle
spese in ordine all’appello della Regione Lazio.
Ordina
che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così
deciso in Roma addì 4 febbraio 2003 dal Consiglio di Stato in sede
giurisdizionale (Sez. IV), riunito in Camera di consiglio con l’intervento dei
signori:
Stenio Riccio
Presidente
Costantino Salvatore
Consigliere est.
Dedi Rulli
Consigliere
Giuseppe Carinci
Consigliere
Vito Poli
Consigliere