Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 4712, del 13 ottobre 2015
Ambiente in genere.Inapplicabilità alla procedura VIA del meccanismo del silenzio assenso

Non può assumersi l’applicabilità del silenzio assenso sulla procedura di VIA in ragione dell’avvenuto svolgimento dello “screening” e, dunque, di una già avvenuta valutazione del progetto in linea tecnica, nonché dell’evidenziazione delle criticità ambientali esistenti. Va osservato che il contrasto tra la previsione normativa del silenzio assenso ed i principi comunitari, che impongono l’esplicitazione delle ragioni della compatibilità ambientale del progetto, costituisce acquisizione ormai costante della giurisprudenza nazionale, non mancandosi di rimarcare che anche la normativa generale nazionale sul procedimento amministrativo (contenente normativa di principio sul punto) afferma che le disposizioni sul silenzio assenso “non si applicano agli atti ed ai procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico, l’ambiente, la difesa nazionale …, ai casi in cui la normativa comunitaria impone l’adozione di provvedimenti amministrativi formali, ai casi in cui la legge qualifica il silenzio dell’amministrazione come rigetto dell’istanza, nonché agli atti e procedimenti individuati con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese).

N. 04712/2015REG.PROV.COLL.

N. 01115/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1115 del 2014, proposto da: 
Igm S.r.l., rappresentata e difesa dall'avv. Antonio Leonardo Deramo, con domicilio eletto presso Alfredo Placidi in Roma, via Cosseria, 2; 

contro

Regione Puglia, rappresentata e difesa dall'avv. Tiziana Teresa Colelli, con domicilio eletto presso Regione Puglia Delegazione in Roma, via Barberini, 6; Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici della Puglia, rappresentata e difesa per legge dall'Avvocatura, domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi, 12; Comune di Castelluccio dei Sauri; Comune di Foggia, rappresentato e difeso dall'avv. Domenico Dragonetti, con domicilio eletto presso Vania Romano in Roma, viale Mazzini, 6; 

per la riforma

della sentenza del T.A.R. PUGLIA - BARI: SEZIONE I n. 00911/2013, resa tra le parti, concernente autorizzazione unica per la realizzazione del parco eolico denominato "Fontana di Maggio" - risarcimento danno.

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Regione Puglia, di Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici della Puglia e di Comune di Foggia;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 29 settembre 2015 il Cons. Francesco Mele e uditi per le parti gli avvocati Antonio Leonardo Deramo, Tiziana Colelli, Domenico Dragonetti e l'Avvocato dello Stato Michele Pizzi;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

Con sentenza n. 911/2013 del 5-6-2013 la Sezione Prima del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia respingeva il primo, secondo e terzo atto di motivi aggiunti proposti dalla IGM s.r.l. avverso atti regionali di richiesta di integrazione documentale e rigetto della istanza di autorizzazione unica per la realizzazione di un parco eolico; dichiarava improcedibile la domanda impugnatoria proposta, con quarto atto di motivi aggiunti, avverso una richiesta di integrazione documentale relativa al procedimento V.I.A. e rigettava la domanda di condanna al risarcimento del danno da ritardo.

La sentenza esponeva in fatto quanto segue.

“Con istanza del 29 marzo 2007 la dante causa dell’odierna ricorrente IGM chiedeva il rilascio dell’autorizzazione unica per la realizzazione del parco eolico denominato “Fontana di Maggio” con potenza pari a 43,810 KW sito nei Comuni di Foggia e Castelluccio del Sauri.

La Regione Puglia decideva di assoggettare a procedura di VIA il progetto per cui è causa.

In particolare, nella determina n. 199/2010 (di assoggettabilità a VIA del progetto in esame) la Regione evidenziava che: “il proponente , laddove interessato, ha la facoltà di presentare istanza di VIA, corredata di tutti gli atti e i documenti prescritti dalla l.reg. n. 11/01 e s.m.i. nonché dal R.R. 16/06, entro il termine di trenta giorni decorrenti dalla data di notifica del presente provvedimento. In tali ipotesi così come disposto dalla DGR n. 2476/08, ai fini della decorrenza dei termini della procedura di VIA, eventualmente predisposto dalla società istante, farà fede la data dell’originaria istanza di verifica di assoggettabilità a VIA. Laddove, invece, l’eventuale presentazione dell’istanza di VIA avvenga dopo che sia già decorso il predetto termine di 30 giorni si considera valida la relativa istanza come avvio di nuovo procedimento, al quale si applicheranno le leggi e le norme vigenti al momento di presentazione sulla base del principio del tempus regit actum”.

In data 30 luglio 2010 (e quindi nei successivi 30 giorni) la ricorrente presentava istanza di valutazione di impatto ambientale.

Il Comune di Castelluccio dei Sauri in data 30 settembre 2010 esprimeva il proprio parere, sul quale IGM formulava controdeduzioni in data 14 ottobre 2010.

Non essendo sopraggiunto alcun ulteriore provvedimento nonostante l’atto di diffida notificato in data 7 giugno 2011, IGM proponeva, ai sensi dell’art. 117 c.p.a, ricorso avverso il silenzio delle amministrazioni intimate, deducendo la violazione dei termini di conclusione del procedimento.

Evidenziava parte ricorrente …che l’iter del procedimento di autorizzazione unica non è ostacolato dall’assoggettamento del progetto a VIA stante il chiaro disposto dell’art. 16 legge regionale n. 11/2011 in virtù del quale l’autorità competente si pronuncia entro 60 giorni dalla data di presentazione della richiesta, decorso il quale, in caso di inerzia dell’autorità competente, il progetto si intende escluso dalla procedura di VIA; che, pertanto, il progetto “Fontana di Maggio” doveva ormai intendersi escluso dalla procedura di VIA; che conseguentemente il procedimento di autorizzazione unica avrebbe dovuto essere già concluso in senso favorevole. La stessa società istante chiedeva, in via subordinata, che il Tribunale adito si pronunziasse incidentalmente sulla disciplina applicabile al sub procedimento di assoggettamento a VIA e che venisse ordinato alla regione Puglia di concludere il procedimento volto al rilascio dell’autorizzazione unica ed, in subordine, condannata l’Amministrazione a concludere il sub procedimento di VIA.

Nel corso della camera di consiglio dell’11 gennaio 2012 il difensore della IGM dichiarava di rinunciare alla domanda volta alla illegittimità del silenzio….

Con nota prot. 12200 del 13-10-2011 la Regione richiedeva documentazione integrativa (documentazione bancaria) alla odierna ricorrente al fine di poter convocare la conferenza di servizi ai sensi degli artt. 14 l. n. 241/1990 e 4 legge regione Puglia n. 31/2008.

Con il primo ricorso per motivi aggiunti la IGM impugnava la citata nota regionale prot. 12200 del 13.10.2011, evidenziando la tardività della stessa adottata allorquando il potere istruttorio si era ormai consumato; che con detta nota si pretendeva di applicare illegittimamente (in violazione del principio tempus regit actum) ad un’istanza presentata nel 2007 la successiva legge regionale n. 31/2008 quando l’amministrazione regionale con determina n. 119/2010 aveva espressamente escluso ciò; che si sarebbe formata per silentium la VIA positiva (da portare in conferenza di servizi) in forza del meccanismo previsto dall’art. 16 legge Regione Puglia n. 11/2001.

Con il secondo ricorso per motivi aggiunti la società istante contestava il provvedimento regionale del 28-12-2011, contenente il preavviso di rigetto ex art. 10 bis legge n. 241/1990 dell’istanza di autorizzazione unica (preavviso di rigetto fondato sul mancato riscontro, da parte della IGM., della richiesta di documentazione di cui alla nota regionale n. 12200 del 13-10-2011), adducendo censure di illegittimità derivata rispetto al primo ricorso per motivi aggiunti.

Successivamente, con il terzo atto di motivi aggiunti, la IGM s.r.l. impugnava il provvedimento regionale n. 3213 del 4-4-2012 recante il diniego di autorizzazione unica (diniego fondato sulla mancanza di osservazioni/controdeduzioni inoltrate dalla IGM ai sensi dell’art. 10 bis della legge n. 241/1990), adducendo – anche in questo caso – censure di illegittimità derivata rispetto al primo ricorso per motivi aggiunti.

Con il quarto ricorso per motivi aggiunti la deducente censurava il provvedimento regionale del 28-9-2012 con il quale veniva richiesta integrazione documentale in ordine alla istanza di VIA presentata in data 30-7-2010 per il progetto “Fontana di Maggio”.

Formulava, inoltre, domanda risarcitoria per danno da ritardo, producendo consulenza di parte in ordine alla quantificazione del pregiudizio asseritamente patito.

Deduceva un unico motivo di ricorso così sinteticamente riassumibile:

violazione e falsa applicazione di legge (art. 2 legge 241/1990; art. 97 Cost.; art. 12 d.lgs. n. 387/2003; legge Regione Puglia n. 11/2001; regolamento regionale n. 16/2006; art. 31, 19 e ss. d.lgs. n. 152/2006); contraddittorietà; travisamento; falsa rappresentazione; erroneità ed insussistenza dei presupposti; motivazione perplessa ed apparente…..”.

Il Tribunale Amministrativo, con la citata sentenza n. 911/2013, respingeva i primi, secondi e terzi motivi aggiunti; dichiarava improcedibili i quarti motivi aggiunti e rigettava la proposta domanda di risarcimento del danno da ritardo.

Avverso detta pronuncia la società IGM s.r.l ha proposto appello dinanzi a questo Consiglio di Stato, chiedendone l’annullamento e la riforma, con vittoria di spese ed onorari di causa.

Essa ha analiticamente contestato le statuizioni del giudice di primo grado sia con riferimento all’avvenuto rigetto e declaratoria di improcedibilità delle domande demolitorie proposte, sia con riferimento alla reiezione della domanda di risarcimento del danno da ritardo, ritenendo che i provvedimenti regionali impugnati – contrariamente a quanto affermato dal Tribunale - fossero illegittimi e che in concreto sussistessero tutti i presupposti normativi per affermare la responsabilità dell’amministrazione per il pregiudizio arrecato.

Si sono costituiti in giudizio il Ministero per i Beni e le Attività Culturali e la locale Soprintendenza, la Regione Puglia ed il Comune di Foggia.

La ricorrente ha prodotto pure memoria conclusiva di replica.

La causa è stata discussa e trattenuta per la decisione all’udienza pubblica del 29-9-2015.

DIRITTO

La Sezione ritiene preliminarmente di evidenziare come la ricostruzione in fatto, come sopra riportata e ripetitiva di quella operata dal giudice di prime cure, non sia stata contestata dalle parti costituite, per cui, vigendo la preclusione di cui all’art. 64 comma 2 del codice del processo amministrativo, deve considerarsi idonea alla prova dei fatti oggetto di giudizio.

Con il primo, articolato motivo di appello, la società I.G.M. s.r.l. censura la sentenza del Tribunale Amministrativo nella parte in cui ha respinto il primo, secondo e terzo atto di motivi aggiunti ed ha dichiarato improcedibile la domanda impugnatoria contenuta nel quarto ricorso per motivi aggiunti.

In sostanza viene contestata la legittimità dei provvedimenti ritenuti validi dal giudice di prime cure, consistenti in richieste di documentazione integrative e successivo diniego della istanza di autorizzazione unica, adottati dalla Regione Puglia in relazione ad un procedimento avviato fin dal 2007 e per il quale era stato avviato pure il procedimento VIA fin dal 2010.

La gravata sentenza ha ritenuto la legittimità della nota della Regione Puglia del 13-10-2011, n. 0012200, con la quale, in applicazione dell’articolo 4, comma 1, della legge regionale n. 31/2008, sono state richieste, ai fini della prosecuzione dell’iter amministrativo e della convocazione della Conferenza di Servizi, la presentazione di un piano economico-finanziario asseverato da un istituto bancario o da un intermediario finanziario e la produzione di una dichiarazione resa da un istituto bancario attestante che il soggetto medesimo dispone di risorse finanziarie ovvero di linee di credito proporzionate all’investimento per la realizzazione dell’impianto.

Il Tribunale, nel respingere la domanda demolitoria del privato, ha sul punto così motivato.

“Va rilevato che la legge regionale Puglia 21 ottobre 2008, n. 31, diversamente da quanto sostenuto da parte ricorrente, è applicabile – nei limiti di seguito esposti – anche ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della suddetta legge regionale (cfr. art.4, comma 7 e art. 7 della legge regionale citata), come il procedimento avviato dalla IGM con istanza di autorizzazione unica del 29-3-2007”.

Dopo aver richiamato i contenuti delle predette disposizioni, ha affermato: “Dalla complessiva disamina dell’art. 4, commi 1 e 7 legge Regione Puglia n. 31/2008 emerge che la disposizione di cui al comma 1 (relativa alla necessità della produzione, da parte dell’istante, della documentazione bancaria ivi contemplata) si applica a tutte le procedure in corso, con esclusione di quelle relative alle istanze per la realizzazione di impianti eolici presentate prima della data di entrata in vigore del regolamento regionale 4 ottobre 2006 n. 16. Ne consegue che la previsione di cui al comma 1 dell’articolo 4 legge Regione Puglia n. 31/2008 non è operativa con riferimento alle procedure relative alle istanze per la realizzazione di impianti eolici presentate prima della data (21 ottobre 2006) di entrata in vigore del regolamento regionale 4 ottobre 2006 n. 16. All’opposto, la menzionata disposizione si applica alle procedure (come quella oggetto del presente giudizio: istanza di autorizzazione unica del 29 marzo 2007) relative alle istanze per la realizzazione di impianti eolici presentate dopo tale data (21 ottobre 2006). Pertanto, legittimamente la Regione Puglia richiedeva alla società interessata con la citata nota regionale prot. n. 12200 del 13-10-2011 la documentazione bancaria prescritta dall’art. 4, comma 1, legge regione Puglia n. 31/2008”.

Ciò posto, l’appellante, a fondamento del proposto gravame, deduce che, ai sensi dell’articolo 12 del D.Lgs. n. 387/2003, “il termine massimo per la conclusione del procedimento di cui al presente comma non può comunque essere superiore a 180 giorni”, con la conseguenza che gli atti adottati dalla Regione risultano illegittimi “sia perché gravemente tardivi sia perché il potere istruttorio si era già consumato”.

Rileva, poi, che nella specie non poteva trovare applicazione la sopravvenuta legge n. 31/2008, in quanto:

-in base al principio del tempus regit actum, la procedura di A.U. avrebbe dovuto essere regolata dalla normativa vigente al tempo di presentazione dell’istanza (marzo 2007) o al tempo della sua obbligatoria conclusione (settembre 2007);

- l’Amministrazione, con la sottoposizione del progetto a VIA, si era posto un limite, atteso che ad esso poteva ricorrersi solo in presenza di una pratica completa;

- l’art. 2 della legge n. 241/1990 prevede la possibilità di richiedere documentazione integrativa solamente una volta.

Sottolinea ancora che la richiesta integrazione, in applicazione della sopravvenuta legge n. 31/2008, era intervenuta tardivamente, a distanza di tre anni dalla sua entrata in vigore, e che l’unica interpretazione costituzionalmente legittima dell’art. 4 di tale legge era nel senso che la stessa avrebbe potuto trovare applicazione per i procedimenti in corso solo se per gli stessi non fosse scaduto, alla data della sua entrata in vigore, il termine di conclusione del procedimento di 180 giorni. Diversamente opinando la disposizione sarebbe stata incostituzionale e, dunque, ove ritenuta applicabile, avrebbe dovuto essere sollevata questione di legittimità costituzionale.

I motivi di doglianza proposti dalla IGM sul punto non sono meritevoli di favorevole considerazione.

Osserva in primo luogo la Sezione che è ben vero che l’articolo 12 del D.Lgs. prevede che “il termine massimo per la conclusione del procedimento di cui al presente comma non può comunque essere superiore a 180 giorni”.

Va, peraltro, rilevato, in assenza di una espressa affermazione contenuta nella citata norma, che il superamento del termine non priva l’amministrazione del potere di provvedere, né tampoco produce un automatico effetto abilitativo in favore del privato, mancando al riguardo una espressa previsione di formazione di silenzio-assenso.

Dunque, il superamento del termine non impedisce al procedimento di proseguire ed all’Amministrazione di svolgere gli adempimenti istruttori richiesti per legge, non autorizzando la norma, una volta decorso il suddetto termine, una conclusione favorevole del procedimento né attraverso un provvedimento abilitativo silentemente formatosi, né attraverso un’autorizzazione espressa adottata allo stato degli atti.

Tali considerazioni rendono priva di pregio la doglianza in base alla quale i provvedimenti assunti sarebbero illegittimi in quanto tardivi e perché adottati quando il potere istruttorio si era ormai consumato.

Ciò posto, ritiene il Collegio che, essendo il procedimento in corso alla data di entrata in vigore della legge regionale n. 31/2008 (giustificativa della richiesta di documentazione integrativa e, a seguito del relativo inadempimento del privato, del rigetto della domanda di autorizzazione unica), ad esso si applicasse la disposizione dell’articolo 4.

Invero, a mente del comma 1 del citato articolo, la convocazione della conferenza di servizi di cui all’articolo 12 del d.lgs. n. 387/2003 è subordinata alla produzione del piano economico finanziario asseverato e di una dichiarazione resa da un istituto di credito comprovante la disponibilità di risorse finanziarie ovvero di linee di credito sufficienti.

Il comma 7, poi, dispone espressamente che “le disposizioni di cui al comma 1 si applicano a tutte le procedure in corso, con esclusione di quelle relative alle istanze per la realizzazione di impianti eolici presentate prima della entrata in vigore del regolamento regionale 4 ottobre 2006, n. 16 (Regolamento per la realizzazione di impianti eolici nella regione Puglia)….per le quali, alla data di entrata in vigore della presente legge, non risultino formalmente concluse le conferenze di servizi di cui all’articolo 12 del d.lgs. 387/2003”.

Giacché la originaria istanza, relativa all’impianto per cui è causa, risale al marzo 2007, essa rientra temporalmente nell’ambito di applicazione della disposizione, considerandosi che è successiva all’entrata in vigore del regolamento 4-10-2006 e che per essa non risultava formalmente conclusa la conferenza di servizi.

Né è possibile accedere alla tesi interpretativa prospettata da parte appellante, secondo cui la norma non dovrebbe trovare applicazione per i procedimenti in corso per i quali fosse decorso il termine di conclusione di 180 giorni.

Tale lettura è, infatti, esclusa dalla lettera della norma, la quale pone l’esonero dell’adempimento con esclusivo riferimento alla data di presentazione della istanza (prima della data di entrata in vigore del regolamento regionale 4 ottobre 2006 n. 16) e prevede la presentazione della documentazione “a tutte le procedure in corso….per le quali alla data di entrata in vigore della presente legge non risultino formalmente concluse le conferenze di servizi”). In particolare, il riferimento a “tutte le procedure in corso” esclude la possibilità di operare un differente trattamento tra procedimenti per i quali non sia ancora decorso il termine di conclusione del procedimento e quelli per i quali esso sia, invece, spirato.

Né – a giudizio della Sezione – risulta condivisibile la censura di incostituzionalità (genericamente) formulata dalla società, considerandosi:

- che, come detto, il decorso del termine non produce conclusione (né in termini positivi, né in termini negativi) del procedimento, né priva l’amministrazione del potere di provvedere;

-che gli adempimenti imposti dalla norma appaiono ragionevoli e giustificati, risultando preordinati alla valutazione della serietà della richiesta, della affidabilità del soggetto realizzatore e del buon esito dell’intervento, avuto riguardo alla incidenza dello stesso sul territorio;

-che, conformemente al carattere generale ed astratto della norma, essa pone un limite di applicazione di tipo oggettivo (collegato alla entrata in vigore del regolamento) ed all’avvenuto espletamento o meno della conferenza di servizi;

-che, al contrario, in relazione alla finalità della disposizione, il riferimento al termine di conclusione del procedimento (che, ripetesi, alcuna incidenza ha sulla sua conclusione e sull’esistenza del potere dell’amministrazione) avrebbe introdotto una ingiustificata differenziazione nell’ambito dei procedimenti ancora in corso, escludendo per alcuni di essi l’acquisizione di elementi necessari ed utili a valutare la serietà e la concreta realizzabilità dell’intervento proposto.

Non sono, inoltre, configurabili, nell’applicazione al procedimento in esame delle disposizioni della legge n. 31/2008, le ulteriori violazioni evidenziate nell’atto di appello.

Non vi è violazione del principio tempus regit actum, in quanto le disposizioni del citato comma 4 introducono elementi costituenti presupposti per il rilascio del provvedimento conclusivo, onde l’applicazione della sopravvenienza normativa non può fare riferimento alla data di presentazione dell’istanza o al termine normativamente previsto per la conclusione del procedimento, risultando lo stesso ancora in corso. Sotto il profilo squisitamente procedimentale, poi, trattandosi di adempimenti propedeutici allo svolgimento della conferenza di servizi, correttamente la disposizione deve trovare applicazione per i procedimenti ancora in corso per i quali la stessa non si sia ancora formalmente conclusa.

Non rileva, poi, la circostanza che nel 2010 era stata decisa la sottoposizione del progetto a VIA, considerato che comunque, non essendosi ancora svolta la conferenza di servizi finalizzata all’adozione del provvedimento di autorizzazione unica, il procedimento non aveva raggiunto uno stadio di svolgimento tale da ritenere la “pratica completa e già compiutamente istruita”.

Neppure rileva, ai fini della ritenuta illegittimità dei provvedimenti adottati, il richiamo all’articolo 2 della legge 241/1990, atteso che nella specie la richiesta integrativa risulta giustificata da una sopravvenienza normativa, la quale, con disposizione innovativa, ritiene necessaria l’acquisizione di specifica documentazione per lo svolgimento della conferenza di servizi.

Ritiene, infine, la Sezione che non siano meritevoli di favorevole considerazione i rilievi relativi al contenuto della documentazione integrativa richiesta (realizzabilità diretta con finanza propria IGM, costi del piano di asseverazione, necessità di tempi più lunghi dei trenta giorni concessi, non realizzabilità del piano economico richiesto).

Si osserva al riguardo, con valenza assorbente, che la Regione non ha fatto altro che richiedere documentazione espressamente prevista da una norma di legge ai fini della indizione della conferenza di servizi e, dunque, si è scrupolosamente attenuta al dettato normativo. Non è inoltre rilevante il riferimento alla possibilità di realizzazione del progetto con finanza propria, dato che il dossier da presentare aveva ad oggetto anche documentazione prescindente dall’utilizzo del credito bancario (dichiarazione resa da un istituto di credito attestante che il soggetto dispone di risorse finanziarie proporzionate all’intervento per la realizzazione dell’impianto). Quanto alla insufficienza del termine dato dalla Regione, ben avrebbe potuto il privato rappresentarne l’insufficienza e richiederne una proroga; tuttavia, per come emerge dal provvedimento di diniego definitivo dell’autorizzazione unica ( prot. 0003213 del 4-4-2012), pur preavvisata, ai sensi dell’articolo 10 bis, dell’adottando diniego, la società istante non ha inteso formulare osservazioni o controdedurre.

Proseguendo nella disamina del proposto appello, la società IGM censura la sentenza impugnata (motivo A.2) nella parte in cui ha affermato l’inapplicabilità alla procedura VIA del meccanismo del silenzio assenso previsto dalla originaria formulazione dell’art. 16, comma 7, legge regionale Puglia n. 11/2001.

La gravata sentenza si è sul punto così espressa: “ …non può trovare applicazione nel caso di specie il meccanismo del silenzio assenso di cui alla originaria formulazione dell’art. 16, comma 7, legge regionale Puglia 2 aprile 2001, n. 11 (invocata da parte ricorrente relativamente al procedimento di valutazione di impatto ambientale) in considerazione del suo carattere anticomunitario, dal ché ne deriva la necessità di disapplicazione ( cfr. TAR Puglia Bari, sez. I, 22 maggio 2012, n. 987 e TAR Puglia, Bari, sez. I, 3 agosto 2011, n. 1205)”.

Parte appellante deduce in proposito che i magistrati pugliesi avrebbero utilizzato una formula generica, riferendosi ad una non meglio precisata violazione di norme comunitarie senza neppure indicarle.

Rileva, inoltre, che i competenti uffici avevano già vagliato il progetto in sede di screening, con la conseguenza che, a fronte di un’istruttoria tecnica già effettuata sulla VIA, l’applicazione del silenzio assenso non avrebbe determinato alcuna violazione della normativa comunitaria, essendo già state valutate nella suddetta sede di screening le criticità ambientali, che avevano condotto alla rinuncia a ben diciotto aerogeneratori.

La censura non è condivisa dalla Sezione.

Non può, invero, essere utilmente dedotta la genericità della gravata sentenza sul punto, considerandosi che la stessa, pur in forma sintetica, ha affermato principi già oggetto di consolidato orientamento giurisprudenziale del Tribunale. La motivazione è, invero, integrata dal richiamo ai precedenti citati ed ai suoi contenuti.

Va, poi, osservato che il contrasto tra la previsione normativa del silenzio assenso ed i principi comunitari, che impongono l’esplicitazione delle ragioni della compatibilità ambientale del progetto, costituisce acquisizione ormai costante della giurisprudenza nazionale (cfr. Cons. Stato, V, 25-8-2008, n. 4058), non mancandosi di rimarcare che anche la normativa generale nazionale sul procedimento amministrativo (contenente normativa di principio sul punto) afferma che le disposizioni sul silenzio assenso “non si applicano agli atti ed ai procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico, l’ambiente, la difesa nazionale …, ai casi in cui la normativa comunitaria impone l’adozione di provvedimenti amministrativi formali, ai casi in cui la legge qualifica il silenzio dell’amministrazione come rigetto dell’istanza, nonché agli atti e procedimenti individuati con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri ….”( art. 20, comma 4, della legge n. 241/1990).

Né può assumersi l’applicabilità del silenzio assenso sulla procedura di VIA in ragione dell’avvenuto svolgimento dello “screening” e, dunque, di una già avvenuta valutazione del progetto in linea tecnica, nonché dell’evidenziazione delle criticità ambientali esistenti.

Sul punto va, invero, rilevato che l’autorità regionale si è pronunziata espressamente con determina n. 199 del 28-10-2010, con la quale, all’esito del procedimento di screening, è stata disposta l’assoggettabilità del progetto alla valutazione di impatto ambientale. La suddetta determinazione non risulta essere stata impugnata dalla società appellante, la quale vi ha prestato acquiescenza anche attraverso l’ottemperanza al provvedimento mediante presentazione di espressa istanza di valutazione di impatto ambientale in data 30-7-2010.

Anche per tale profilo, dunque, essa non può invocare l’avvenuta formazione di un silenzio assenso che avrebbe escluso il progetto dalla procedura di V.i.a.

E’, infine, infondata la doglianza prospettata con il motivo sub A.3 dell’atto di appello, con la quale la sentenza di primo grado viene censurata nella parte in cui, in relazione all’avvenuto decorso del termine di conclusione del procedimento, non avrebbe ritenuto esaurita la potestà provvedimentale dell’amministrazione.

La società IGM deduce in proposito che la censura era stata malamente intesa dal Tribunale, avendo essa dedotto che la Regione aveva già esaurito il proprio potere istruttorio, per averlo già utilizzato con precedenti richieste, e che, in realtà, il problema non era quello di una richiesta strettamente istruttoria, ma della possibilità di applicare al procedimento in esame una normativa sopravvenuta.

Ritiene in proposito il Collegio che i rilievi dell’appellante non meritino favorevole considerazione, sulla base delle argomentazioni già sopra svolte, relative:

-. alla mancata consumazione del potere dell’amministrazione per effetto del decorso del termine di durata del procedimento;

-. alla circostanza che la censurata richiesta documentale aveva legittima giustificazione in una normativa sopravvenuta richiedente peculiare documentazione per lo svolgimento della conferenza di servizi;

-. ed al fatto che le disposizioni contenute nella legge regionale n. 31/2008 trovavano applicazione al procedimento in esame.

Con il motivo sub A.4 la società IGM assume che “dalla fondatezza delle pregresse doglianze, deriva la necessità di riformare la pronuncia n. 911/2013 anche relativamente alla declaratoria di imprecedibilità dei IV motivi aggiunti, che viceversa vanno esaminati”.

Si rileva in proposito che la sentenza gravata ha così statuito: “ In considerazione dell’esito del giudizio (reiezione del primo, secondo e terzo ricorso per motivi aggiunti) deve dichiararsi l’improcedibilità, per sopravvenuto difetto di interesse , della domanda impugnatoria contenuta nel quarto ricorso per motivi aggiunti con cui IGM contestava il provvedimento regionale del 28-9-2012. Con detta nota l’amministrazione regionale le chiedeva integrazione documentale in ordine all’istanza di valutazione di impatto ambientale per il progetto “Fontana di Maggio”. Il procedimento amministrativo relativo alla definizione della istanza di VIA presentata dalla società IGM in data 30-7-2010 (con riferimento allo stesso progetto la cui domanda di autorizzazione unica risale al 29-3-2007) è, infatti, inevitabilmente destinato a concludersi in senso negativo, essendo stato adottato in relazione allo stesso progetto il diniego di autorizzazione unica (legittimo per quanto evidenziato in precedenza)”.

Ciò posto, la gravata sentenza va confermata anche in relazione alla declaratoria di improcedibilità dei quarti motivi aggiunti per sopravvenuta carenza di interesse.

Invero, la ritenuta legittimità dei provvedimenti assunti in ordine al procedimento di autorizzazione unica (ivi compreso, l’atto di diniego definitivo) e, dunque, il rigetto dei motivi di appello al riguardo proposti dal privato evidenziano che il procedimento di valutazione di impatto ambientale non aveva più ragione di essere, concernendo lo stesso progetto per il quale legittimamente era stata negata l’autorizzazione unica ed essendo la nota impugnata relativa al procedimento di v.i.a, costituente un subprocedimento inscindibilmente collegato (in quanto funzionale alla sua definizione) con quello di autorizzazione unica.

Il motivo di appello sub A, nei suoi articolati profili in precedenza esaminati, va, dunque, totalmente respinto, con conferma, sotto i profili esaminati, della sentenza resa dal Tribunale Amministrativo ed in questa sede impugnata.

Può a questo punto passarsi all’esame del motivo di appello proposto sub B, con il quale la sentenza di primo grado è censurata nella parte in cui ha respinto la domanda diretta ad ottenere il risarcimento del danno da ritardo.

Il Tribunale Amministrativo ha in primo luogo affermato l’inapplicabilità al procedimento in questione dell’articolo 2 bis della legge n. 241/1990, introdotto dalla legge n. 69/2009, in ragione della sua collocazione temporale, affermando che “la fattispecie concreta oggetto del presente giudizio (istanza di autorizzazione unica risalente al 29 marzo 2007; termine entro cui si sarebbe dovuto concludere il procedimento:settembre 2007) si colloca temporalmente in fase antecedente rispetto alla introduzione dell’articolo 2 bis legge n. 241/1990 e quindi ratione temporis soggiace alle coordinate tracciate, in materia di illecito aquiliano omissivo della amministrazione, dall’interpretazione della giurisprudenza dominante (Adunanza Plenaria 15 settembre 2005, n. 7)”.

Ha, dunque, ritenuto che nella specie non era stato accertato l’indefettibile presupposto della spettanza del bene della vita in capo alla IGM, “essendosi il procedimento amministrativo di cui lamenta il ritardo concluso con provvedimento sfavorevole (diniego di autorizzazione unica, riconosciuto legittimo da questo Giudice), peraltro anche a causa di un comportamento alla stessa istante imputabile (e valutabile negativamente ai sensi dell’art. 30, comma 3, ultima parte cod.proc.amm. e 1227, comma 2, cod. civ., in quanto se la società avesse diligentemente prodotto la documentazione bancaria richiesta dalla Regione con nota del 13-10-2011, verosimilmente avrebbe ottenuto detta autorizzazione)”.

La pronuncia, di poi, ha escluso l’esistenza di un illecito colposo dell’amministrazione, evidenziando comunque che l’elemento della colpa è presupposto per la risarcibilità del danno da ritardo sia nella originaria configurazione affermata dalla richiamata sentenza dell’Adunanza Plenaria, sia nella successiva disciplina contenuta nell’articolo 2 bis della legge n. 241/1990.

Ha in proposito affermato che “dalla esposta ricostruzione dello svilupparsi degli avvenimenti inerenti la pratica in questione, emerge con evidenza come, se la società avesse diligentemente prodotto la documentazione bancaria necessaria, verosimilmente avrebbe ottenuto l’autorizzazione. Pertanto, per quanto qui interessa, deve escludersi la sussistenza di una colpa dell’amministrazione regionale nel ritardo, a fronte di una istanza ab origine carente”.

Richiamando la giurisprudenza amministrativa formatasi sul punto (in particolare, Cons. Stato, IV, 7-3-2013, n. 1406), ha ricordato che il mero superamento del termine fissato ex lege o per via regolamentare alla conclusione del procedimento costituisce indice oggettivo, ma non integra piena prova del danno, dovendo la valutazione del giudice essere di natura relativistica, tenere conto della specifica complessità procedimentale ed anche di eventuali condotte dilatorie e potendo la domanda di risarcimento del danno da ritardo, azionata ex art. 2043 c.c., essere accolta dal giudice solo se l’istante dimostra che il provvedimento favorevole avrebbe potuto o dovuto essergli rilasciato già ab origine.

Ha, infine concluso, affermando che “nel caso di specie parte ricorrente non ha dimostrato la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi della relativa domanda risarcitoria, ed in particolare dell’elemento soggettivo (colpa dell’amministrazione), tenuto altresì conto del comportamento negligente della società IGM (che non ha prodotto la documentazione bancaria prescritta dalla normativa) e della specifica complessità del procedimento amministrativo in questione che, peraltro, si colloca temporalmente nell’ambito della disciplina transitoria dettata dalla legge Regione Puglia n. 31/2008 (artt. 4 e 7) con le connesse difficoltà di carattere interpretativo ed applicativo da cui derivano spinose problematiche di diritto intertemporale”.

La società IGM censura la determinazione reiettiva del Tribunale, deducendone l’erroneità.

In primo luogo evidenzia l’applicabilità nella vicenda in esame dell’articolo 2 bis della legge n. 241/1990, rilevando che i ritardi lamentati (nella evasione sia del procedimento VIA, che di quello per il rilascio dell’autorizzazione unica) sono successivi all’entrata in vigore della richiamata norma (anno 2009); l’amministrazione, infatti, ha attivato il procedimento VIA nel 2010 e lo ha istruito con gravissimo ritardo, mentre la richiesta di integrazione documentale relativa alla A.U. è del 2011.

Deduce, inoltre, la contraddittorietà della sentenza in ordine al requisito della “spettanza del bene della vita”, avendo la sentenza affermato, a pagina 16, che “se la società avesse diligentemente prodotto la documentazione bancaria necessaria, verosimilmente avrebbe ottenuto detta autorizzazione”, in tal modo esprimendo un giudizio prognostico favorevole su tale presupposto.

Evidenzia, poi, l’erroneità della sentenza nella parte in cui esclude la sussistenza di una colpa dell’amministrazione a fronte di una “istanza ab origine carente”, rilevando che tale originaria carenza era insussistente, atteso che, al momento di presentazione della pratica, questa era corretta e completa, non essendo ancora entrata in vigore la legge regionale n. 31/2008, e che comunque la Regione avrebbe dovuto immediatamente richiedere gli adempimenti da essa previsti e non attendere tre anni.

Sottolinea, infine, ulteriori elementi dai quali emergerebbe la colpa dell’amministrazione:

- la circostanza che la nota del 13-10-2011 non conteneva l’indizione della Conferenza di servizi;

- il fatto che la stessa era stata adottata a distanza di cinquantaquattro mesi dalla presentazione della domanda di A.U., di tre anni dalla entrata in vigore della legge n. 31/2008 e di cinque mesi dalla notifica dell’atto di diffida a concludere il procedimento;

- il fatto che la richiesta istruttoria non poteva essere espletata nei trenta giorni assegnati, richiedendo anche la definitività del progetto;

- la celerità con la quale l’ente aveva concluso negativamente il procedimento, pur in presenza di una impugnativa avverso il predetto atto;

- la circostanza che la Regione, nonostante il diniego della A.U., aveva continuato ad istruire il procedimento di VIA.

Ritiene preliminarmente la Sezione di non condividere l’orientamento espresso dal giudice di prime cure in ordine alla inapplicabilità al procedimento di cui è causa della norma contenuta nell’articolo 2 bis della legge n. 241/1990.

Come si è sopra evidenziato, il Tribunale ne ha escluso l’operatività in relazione alla circostanza che l’avvio del procedimento ed il termine di conclusione dello stesso (normativamente previsto) risalivano a data antecedente l’entrata in vigore del citato articolo 2 bis.

A giudizio del Collegio, tale affermazione non è corretta.

La norma, rubricata “Conseguenze per il ritardo dell’amministrazione nella conclusione del procedimento”, dispone, al comma 1, che “Le pubbliche amministrazioni ed i soggetti di cui all’articolo 1, comma 1 ter sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento”.

Disciplinando la stessa le conseguenze risarcitorie della inosservanza del termine di conclusione del procedimento, ritiene questo Consiglio che la stessa sia applicabile a tutti i procedimenti in corso al momento della sua entrata in vigore per i quali si verifichi il superamento del termine di durata del procedimento.

La portata innovativa della disposizione e la sua valenza per il futuro comportano, peraltro, che la disposizione sia operativa con riferimento alle conseguenze dei ritardi maturati successivamente alla sua entrata in vigore e non anche a quelli pregressi.

Operata tale doverosa precisazione, ritiene preliminarmente il Collegio di richiamare i principi già espressi dalla Sezione in tema di danno da ritardo(cfr. sez. IV, 18-11-2014, n. 5663).

E’ stato affermato che il danno ingiusto, cagionato dalla pubblica amministrazione in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa dei tempi di definizione del procedimento amministrativo, ha come presupposto la considerazione per cui, per il cittadino, il tempo è un bene della vita, la cui perdita ha un costo che è suscettibile di ristoro patrimoniale in presenza dei dovuti presupposti.

E’ stato, dunque, chiarito che la pretesa al danno da ritardo può essere formulata in termini di indennizzo da “mero ritardo” di cui all’art. 2 bis, comma 2, della legge n. 241/1990, ovvero nella richiesta di un risarcimento vero e proprio previsto dal comma 1 della prefata disposizione.

Nella prima ipotesi il ristoro è configurabile per il solo decorso del termine, anche in casi di situazioni fortuite, di forza maggiore, errore scusabile e prescinde anche dall’elemento della colpa.

Il risarcimento vero e proprio, disciplinato dal comma 1 della norma, deve, invece, essere ricondotto, relativamente alla identificazione degli elementi costitutivi della responsabilità, all’alveo proprio dell’articolo 2043 c.c.. Di conseguenza, il danno da ritardo risarcibile non può essere presunto iuris et de iure in collegamento al mero passaggio del tempo, ma è necessaria una verifica della sussistenza dei presupposti di carattere oggettivo ( ingiustizia del danno, nesso causale, prova del pregiudizio subito) e di carattere soggettivo (dolo o colpa del danneggiante). La valutazione dell’elemento della colpa non può, dunque, essere limitata al meccanico procrastinarsi dell’adozione del provvedimento finale, bensì alla dimostrazione che l’amministrazione abbia agito con dolo o colpa.

E’ stato, inoltre, affermato (sent. n.5663/2014 cit.) che la domanda del danno da ritardo, azionata ex art. 2043 c.c., può essere accolta dal giudice solo se l’istante dimostri che il provvedimento favorevole avrebbe potuto o dovuto essergli rilasciato già ab origine e che sussistano tutti i presupposti costitutivi dell’illecito aquiliano, tra i quali elementi univoci indicativi della sussistenza della colpa in capo all’amministrazione.

Ritiene la Sezione, facendo applicazione dei principi sopra richiamati, che nella vicenda in esame non sussistono i presupposti per la risarcibilità dell’invocato danno da ritardo e che, pertanto, l’appello non possa essere accolto, con conseguente conferma della statuizione reiettiva resa sul punto dal giudice di primo grado, sebbene con una motivazione in parte differente.

Ritiene in primo luogo il Collegio che nella specie non sia ravvisabile l’elemento soggettivo della colpa della pubblica amministrazione.

E tanto per le considerazioni che di seguito si svolgono.

Se è vero, infatti, che l’istanza di autorizzazione unica è stata presentata nel 2007, risulta peraltro dagli atti lo svolgimento di adempimenti procedimentali necessari, relativi anche al connesso procedimento di valutazione ambientale, condizionante quello di autorizzazione unica, in uno a modifiche progettuali e mutamenti soggettivi del soggetto richiedente, che escludono la configurabilità di una inerzia colposa dell’amministrazione.

La complessità del procedimento e del suo svolgersi emerge dai contenuti della determina dirigenziale n. 199/2010, nella quale sono compiutamente ricostruiti l’iter procedimentale seguito, gli adempimenti svolti, nonché i mutamenti soggettivi del soggetto proponente e le modifiche progettuali proposte.

Le richiamate vicende coprono un arco temporale che va fino al 2010, epoca in cui viene decisa la sottoposizione a VIA del progetto e prodotta dal privato, con nota del 30 luglio 2010, istanza di valutazione di impatto ambientale.

In tale situazione, in attesa della definizione dei profili di compatibilità ambientale della proposta progettuale, non è affetta da colpa la condotta dell’amministrazione che non ha concluso il procedimento di autorizzazione unica, difettandone un necessario elemento di decisione (e di definizione).

Parimenti giustificata è la mancata immediata richiesta di integrazione istruttoria prevista dalla sopravvenuta legge n. 31/2008, atteso che, comunque, in attesa di una positiva determinazione sulla compatibilità ambientale del progetto, il procedimento di autorizzazione unica non avrebbe potuto essere concluso.

La circostanza, pertanto, che la richiesta istruttoria sia stata formulata solo nel 2011, tre anni dopo l’entrata in vigore della normativa in questione, non assume rilevanza ai fini del preteso risarcimento del danno da ritardo, considerandosi che, in ogni caso, anche ove fosse stata formulata nell’immediatezza della entrata in vigore della legge n. 31/2008, essa non avrebbe potuto condurre, si ripete, alla definizione del procedimento, risultando ancora in corso gli adempimenti necessari alla verifica di compatibilità ambientale.

Neppure può assumere rilievo dirimente – a giudizio della Sezione – la circostanza che la domanda di valutazione di impatto ambientale (ripetesi, prodotta il 30-7-2010) non fosse stata esitata e che solo nel 2012 fossero intervenute richieste istruttorie, considerandosi che nelle more era intervenuto, dapprima con il preavviso di rigetto del 28-12-2011 e successivamente con l’atto definitivo del 4-4-2012, il diniego dell’autorizzazione unica.

Il ritardo, infatti, risulta ininfluente ai fini della proposta richiesta risarcitoria, considerandosi che la mancata positiva definizione del procedimento di autorizzazione unica rendeva inutile l’ottenimento della VIA e che in ogni caso tale diniego era stato determinato da un inadempimento del privato, il quale non aveva ottemperato alla produzione documentale richiesta dalla sopravvenuta normativa.

Il comportamento del privato, che, ripetesi, non ha adempiuto alla richiesta istruttoria legittimamente avanzata dalla Regione, costituisce elemento rilevante, in base all’articolo 1227 c.c., per escludere la risarcibilità del preteso danno, atteso che, con valenza assorbente, esso ha determinato il non ottenimento del bene della vita sperato.

Né può ritenersi utile, ai fini dell’accoglimento della domanda risarcitoria, la considerazione che il procedimento avrebbe potuto concludersi prima dell’entrata in vigore della richiamata legge n. 31/2008, considerato che in tale arco temporale erano in corso adempimenti ed attività relativi alla verifica di compatibilità ambientale, i quali, per come sopra evidenziato, escludevano ogni colpa dell’amministrazione nella definizione del procedimento e ne impedivano una conclusione in senso positivo prima della entrata in vigore della sopravvenuta normativa.

Dunque, anche sotto tale profilo, la valutazione prognostica della spettanza del bene della vita ab origine assume contenuto negativo.

Sulla base delle argomentazioni sopra svolte la Sezione condivide, pertanto, le ragioni espresse dal giudice di prime cure, a giustificazione della reiezione della domanda risarcitoria, relative alla “non ravvisabilità di un comportamento illecito colpevole della stessa amministrazione (“fatto colposo ex art. 2043 c.c.; ovvero “inosservanza colposa” secondo la dizione dell’art. 2 bis legge n. 241/1990)”, mancando la prova della “sussistenza di tutti gli elementi costitutivi della relativa domanda risarcitoria, ed in particolare dell’elemento soggettivo (colpa dell’amministrazione), tenuto altresì conto del comportamento negligente della società IGM (che non ha prodotto la documentazione bancaria prevista dalla normativa) e della specifica complessità del procedimento amministrativo in questione che, peraltro, si colloca temporalmente nell’ambito della disciplina transitoria dettata dalla legge Regione Puglia n. 31/2008 con le connesse difficoltà di carattere interpretativo ed applicativo”.

In aggiunta alle considerazioni sopra svolte, la Sezione ritiene che non assumano rilievo, ai fini di una diversa conclusione, gli specifici rilievi formulati dall’appellante.

E valga il vero.

L’argomento speso in ordine alla “spettanza del bene della vita” non è rilevante, considerandosi che l’affermazione di verosimile ottenimento dell’autorizzazione da parte della sentenza è operato per sottolineare non la originaria spettanza del bene della vita (già in epoca precedente all’entrata in vigore della legge n. 31/2008, quando, come sopra visto, lo stato del procedimento anche con riferimento agli adempimenti in corso per la verifica ambientale, non ne consentiva una immediata conclusione), quanto piuttosto la preminente ed assorbente valenza del comportamento inadempiente del privato (verso la richiesta integrazione documentale) nell’esito negativo del procedimento di autorizzazione unica.

Quanto sopra esposto dimostra , altresì, che non si può utilmente spendere l’affermazione che l’istanza della società non era “ab origine carente” (prima dell’entrata in vigore della legge n. 31/2008), atteso che il procedimento, per le ragioni sopra evidenziate, non poteva essere completato a tale data e che comunque nella mancata definizione non era ravvisabile una colpa dell’amministrazione.

Va, ancora, osservato che:

- la circostanza che la nota del 13-10-2011 non contenesse la data di svolgimento della conferenza di servizi trova ragionevole giustificazione nel fatto che la sua fissazione richiedeva il previo espletamento degli adempimenti richiesti;

- il ritardo nella formulazione della richiesta integrativa del 13-10-2011, come si è sopra visto, non risulta rilevante, atteso che comunque il procedimento non avrebbe potuto essere concluso (integrandosi un ritardo colpevole dell’amministrazione), in presenza delle vicende procedimentali rappresentate nella determina di sottoposizione a v.i.a. e innanzi richiamate;

- il breve lasso di tempo concesso per gli adempimenti istruttori ben avrebbe potuto essere superato, in luogo dell’inadempimento (giustificato dalla – come si è visto, infondata – ritenuta inapplicabilità della legge n. 31/2008), da una richiesta di proroga dello stesso;

- la rapida conclusione del procedimento di A.U. trova ragionevole giustificazione nella mancata ottemperanza alla richiesta istruttoria e, dunque, nel difetto di un elemento essenziale per poter convocare la conferenza di servizi e rilasciare l’autorizzazione richiesta;

- la prosecuzione dell’istruttoria sulla domanda di v.i.a., nonostante l’avvenuta definizione negativa del procedimento di a.u., risulta – per come sopra già evidenziato – irrilevante ai fini del preteso risarcimento del danno da ritardo, considerato che ormai la v.i.a., in considerazione dell’intervenuto rigetto dell’istanza di autorizzazione unica (cui la stessa era funzionale), era procedimento il cui esito positivo alcuna utilità avrebbe potuto arrecare al privato.

Sulla base delle considerazione tutte sopra svolte, in definitiva l’appello deve essere rigettato anche relativamente alla domanda di risarcimento del danno da ritardo, con conseguente sostanziale conferma della sentenza gravata, pur con le precisazioni sopra rese in ordine alla operatività temporale della norma di cui all’art. 2 bis, comma 1, della legge n. 241/1990.

Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cassazione civile, sez. II, 22 marzo 1995 n. 3260 e, per quelle più recenti, Cassazione civile, sez. V, 16 maggio 2012 n. 7663). Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

La peculiarità della controversia e delle questioni giuridiche in essa trattate giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese del giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 29 settembre 2015 con l'intervento dei magistrati:

Paolo Numerico, Presidente

Sandro Aureli, Consigliere

Raffaele Potenza, Consigliere

Giulio Veltri, Consigliere

Francesco Mele, Consigliere, Estensore

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 13/10/2015

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)