Profili logico-interpretativi del diritto all’ambiente: princìpi e criteri dell’ordinamento tra attualità e teoretica
di Alessandro M. Basso

 

La tutela dell’ambiente, del territorio e delle risorse naturali costituisce, a favore di ciascun individuo, una situazione giuridica di fatto e di diritto che si configura a seconda dei profili:

della fonte ([1]), quale preciso diritto costituzionale, ordinario e speciale;

della titolarità, originario (acquisito) e generale (indeterminabilità dei destinatari), soggettivo, collettivo e diffuso extramoenia, astratto (per serie indefinita di casi);

del tempo, permanente ed imprescrittibile;

del contenuto, oggettivo, di scopo, indisponibile, libero (e non vincolato) e positivo.

È, in altri termini, un diritto autonomo, autoprodotto, stipite e costitutivo (di altri diritti) e si atteggia, sul piano amministrativo, come procedimento finalizzato a concretizzare una situazione meritevole di tutela e di compartecipazione.

L’ordinamento, costituito anche da circostanze che influiscono in fase di determinazione della sanzione, prevede, sul piano normativo ed ermeneutico, l’estensione del diritto anche in un contesto di mutevoli situazioni giuridiche: ciò consente la configurabilità di illeciti di differenti nature giuridiche, anche a carico della Pubblica Amministrazione, con l’effetto intrinseco dell’incidenza sui concetti «pratici» di proprietà e di diritti reali e personali, mutandone la sostanza fattuale in autentica gestione.

La tutela (e la valorizzazione) dell’ambiente impone, sulla base della constatazione della sensibilità dei beni ambientali e dell’inevitabile proiezione degli effetti diretti e riflessi nel futuro, la valutazione di ogni possibile impatto in relazione alla potenzialità, utilità e possibilità d’uso della risorsa, da intendersi quest’ultima bene in senso non meramente economico bensì giuridico-essenziale.

Oltre alla conoscenza dei fenomeni, bisogna comprendere che è la relazione fra le scelte che produce il futuro del pianeta. Rispetto agli effetti prodotti non sono, peraltro, separatamente individuabili l’autore ed il destinatario ([2]).

È imprescindibile, quindi, prestare particolare cura alla tipologia di gestione del suolo, alle tecniche di coltivazione ed agli ordinamenti colturali da praticare, tenendo presente che la varietà e l’alternanza delle coltivazioni producono benefici al terreno ([3]).

La difesa delle proprietà del suolo si rivela, infatti, estremamente rilevante per la conservazione, il miglioramento e l’incremento anche della capacità gestionale e produttiva: l’impoverimento di tali proprietà, invece, produce effetti negativi sullo sviluppo e sulla crescita delle vegetazioni, sulla produttività e sulla qualità del prodotto.

La tutela dell’ambiente e del territorio rappresenta una strategia in grado di conferire vantaggi a tutti e tesi alla realizzazione degli obiettivi sociali ([4]), necessitando primariamente, quindi, il rispetto delle risorse cui solo successivamente poter conseguire, ed invocare, la libertà individuale.

I danni all’ambiente, configurandosi quest’ultimo come uno «scudo giuridico intercontinentale», non sono qualificabili in senso nazionale bensì globale. L’illecito configurabile, quindi, sarebbe sempre di natura strutturale.

Si tratta, pertanto, di un diritto necessario in quanto ha ad oggetto una situazione repentina ed irripetibile dal cui primo danno possono conseguirne ulteriori. In tal senso, il valore dell’ambiente (e della natura) emerge sul piano religioso, immanente ed escatologico. Pertanto, non si potrebbe parlare di mera violazione della sola norma bensì di infrazione ai princìpi etici per i quali bisogna porre in essere una condotta favorevole alla salvaguardia dell’ambiente ed i quali, peraltro, imporrebbero il raggiungimento di un determinato risultato finale.

Ciò è dato dai diritti delle generazioni future (Jacques Yves Cousteau, 1910-1997).

In tal senso, può essere intesa come diritto all’identità (art. 2 Cost.) ovvero della personalità e di massa, in sostanza un mega-diritto.

Va, quindi, tutelato il soggetto e la relazione con il contesto, sia pur proporzionalmente alle necessarie evoluzioni collettive: in caso contrario, significherebbe subordinare la persona alle iniziative economiche ed alle opere (ovvero agli impianti).

La valutazione degli impatti non è riducibile a mero calcolo né a valutazione di quanti danni si possano sopportare, perché il prezzo delle iniziative ricade nel circuito, nella catena generale.

Mediante la valutazione di impatto ambientale, anche quando si tratta di realizzare infrastrutture ed insediamenti produttivi strategici e di interesse nazionale, bisogna individuare gli effetti diretti ed indiretti di un progetto e delle sue principali alternative (compresa l’alternativa zero) sull’uomo, sulla fauna, sulla flora, sul suolo, sulle acque di superficie e sotterranee, sull’aria, sul clima, sul paesaggio e sull’interazione fra detti fattori, nonché sui beni materiali e sul patrimonio culturale, sociale ed ambientale nonché le condizioni per la realizzazione e l’esercizio delle opere e degli impianti (d.lgs. 20 agosto 2002, n. 190; l. 21 dicembre 2001, n. 443).

L’obbligo di sottoposizione del progetto alla procedura di VIA nei casi previsti ed, altresì, ogni volta che si debba procedere al rinnovo dell’autorizzazione ([5]) o anche quando, da un regime di provvisorietà autorizzativa, si passi alla necessaria verifica in funzione del conseguimento di un’autorizzazione definitiva ([6]), così come la preliminare verifica di assoggettabilità alla VIA (ad es. per ogni intervento suscettibile di modifica dell’habitat) ([7]), attiene al valore della tutela ambientale ([8]).

I fenomeni giuridici, nei molteplici profili di diritto, seguono un proprio percorso. Così, la natura giuridica del diritto e della fattispecie e la concreta possibilità di controllo sul bene protetto influiscono anche nell’area delle competenze normative ed amministrative ([9]).

Sul piano processuale, il sindacato sulle condotte, e quindi sulla tutela, è affidato a ciascun magistrato secondo la rispettiva competenza giurisdizionale di settore: ciò significa che è necessaria la preventiva configurabilità del preciso illecito onde stabilire la corretta individuazione dell’autorità giudiziaria.

Pacifica la giurisdizione ordinaria in materia, qualificando la violazione alla legge, sotto il profilo del danno e/o del vantaggio, come illecito ordinario ovvero civile e/o penale, secondo il rito corrispondente.

In linea generale, il diritto soggettivo consiste nella posizione di vantaggio riconosciuta ad un soggetto in ordine ad un certo bene, garantita e protetta dall’ordinamento in modo pieno ed immediato: la posizione di vantaggio costituisce esercizio di libertà mentre le posizioni di svantaggio limitano la libertà e restringono la sfera giuridica dell’individuo.

Il diritto all’ambiente non è un diritto in attesa di espansione poiché il suo esercizio non è inizialmente limitato da ostacoli giuridici: tutt’al più può essere un diritto risolutivamente condizionato ovvero amministrativamente affievolito.

La tutela dell’ambiente può, cioè, realizzarsi attraverso un approccio graduale che consenta di predisporre una sorta di iter progressivo, attraverso la previsione di fasi, tempi ed obiettivi che vengono determinati grazie alla corretta ponderazione dell’insieme di tutti gli interessi e di tutti i dati conoscitivi disponibili, contribuendo in modo diretto e in misura notevole alla realizzazione in concreto dell’auspicato contemperamento di tutti gli interessi coinvolti ([10]). Una sorta di «gestazione» per valutare e determinare l’interesse prevalente e le relative misure che non costituisce un’anomalia giuridica se non nella constatazione che tutti i diritti andrebbero attuati.

Né sarebbe meramente interesse legittimo in quanto quest’ultimo consiste in una situazione giuridica diversa dal diritto e differenziata da quella di altri soggetti.

Né può essere interesse collegato allo specifico vantaggio che l’individuo riceve dall’esercizio del potere amministrativo rispetto agli altri membri della collettività ([11]).

In sostanza, il diritto soggettivo è la garanzia di un’utilità sostanziale e diretta, idonea a realizzare immediatamente un interesse sostanziale: l’interesse legittimo è, invece, la garanzia di un’utilità indiretta atta a realizzare un interesse strumentale alla legalità dell’azione amministrativa ed è individuato e qualificato dalla norma attributiva del potere, della P.A., che determina, oltre all’interesse pubblico generale, anche quello individuale ([12]).

Quand’anche si volesse configurare il diritto all’ambiente come diritto privato, peraltro, va ricordato che la P.A. può utilizzare anche mezzi di diritto privato, ponendosi sullo stesso piano del privato e non agendo in veste di organo pubblico. In tal senso, verrebbero meno la considerazione a priori della configurabilità permanente dell’interesse legittimo.

Non si perverrebbe a conclusioni differenti configurando anche l’ambiente come bene privato, in quanto da intendersi come appartenente a ciascun individuo singolarmente e quindi a chiunque e, pertanto, necessario, poiché la sua tutela è presupposto per la tutela di altri beni che, in tale ottica, avrebbe una natura consequenziale.

Così, può affermarsi che il diritto all’ambiente sia interesse pubblico generale (e non privatizzato) formale e sostanziale e, pertanto, vada elevato e condotto tra i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali.

La tutela dell’ambiente assurge, cioè, al rango di «interesse comune» di garanzia generale, derivante da un «patto sociale su base fiduciaria» e, pertanto, prioritario nell’emisfero giuridico che, comunque, in assenza di una norma sarebbe concettualmente equiparabile, sotto il profilo della necessità della tutela, a diritto.

Silenzio, contraddizione, equivocità, confusione dilatano la norma, svuotandola, rendendola incerta ed inapplicabile e negandone in re ipsa e con disprezzo l’esistenza. Ecco, quindi, che deve sussistere un rapporto organico (o interno) tra la singola norma e le fonti di diritto ed un rapporto di servizio (o esterno) tra la legge e la singola condotta ovvero l’azione amministrativa ([13]).

L’ambiente (ed il territorio), identificandosi in una realtà immateriale dotata di un valore collettivo autonomo ovvero appartenente alla categoria dei beni liberi, genera veri e propri diritti, attestandosi basilari, assoluti e non limitabili: l’unità e la continuità tra diritti implicano, però, nel caso concreto la ponderazione tra gli stessi.

Anche se è diritto pieno (non necessita di ulteriori norme applicative) ed indivisibile (unitario), non operando in zona franca, risulta il diritto più discusso, controverso ed intercludibile in quanto soggetto ad affievolimento, piuttosto che retrocessione, nei rapporti pubblicistici con le Pubbliche Amministrazioni: si tratterebbe, quindi, di diritto «violabile», pur senza precludere azioni a tutela nel caso l’atto finisca per ledere la sfera giuridica del soggetto con possibilità di risarcimento ([14]).

In qualsiasi procedimento amministrativo, infatti, l’Amministrazione procedente è tenuta a coinvolgere nel procedimento i soggetti portatori di interessi sostanziali relativi all’oggetto del procedimento medesimo. La P.A. individua i soggetti interessati e controinteressati sulla base di un criterio di utilità ossia sulla base del vantaggio o dello svantaggio in relazione ai concreti beni della vita oggetto di tutela.

I Comuni interessati alle procedure amministrative (es. VIA) sono, oltre quelli nel cui territorio viene localizzata l’iniziativa o l’impianto, quelli destinatari di impatti ambientali, non essendo di per sé decisivo il criterio di prossimità dell’opera ([15]): la legittimazione spetta, cioè, agli enti che subiscono o possono subire gli effetti delle procedure decisionali in materia ambientale ovvero che si trovino nella titolarità, giuridica o di fatto, di qualsiasi altro tipo di interesse sostanziale, consistente in una relazione effettiva e comprovata di utilità con una o più matrici ambientali correlate al progetto.

Un atto che incide sulle posizioni giuridiche di un Comune (es. l’individuazione di perforazioni) deve essere, quindi, comunicato al medesimo Comune in maniera diretta, in forza del principio di leale collaborazione tra Enti. Così ugualmente, sempre per effetto della governance, vanno interessate tutte quelle P.A., ivi compresi gli enti strumentali (es. ARPA) ([16]) che possiedono poteri e competenze autonome e proprie in relazione alla tutela della salute pubblica (es. Genio civile e Autorità sanitaria), quando questa risulti connessa al determinato progetto ([17]).

La fase d’iniziativa del procedimento amministrativo è diretta ad introdurre l’interesse pubblico primario nonché gli interessi secondari di cui sono titolari i privati interessati all’oggetto del provvedimento da emanare: l’esclusione del diritto deve rappresentare sempre un’eccezione.

Il diritto si identifica, esso stesso, come bene destinato a soddisfare un interesse pubblico primario: pertanto, solo eccezionalmente e motivatamente può essere limitato ed esclusivamente per conseguire un’utilità di pari valore. Non è, quindi, consentito invocare diritti privati, diversi da interessi generali, su beni pubblici o su cui grava un’ipoteca morale sociale (come territorio, ambiente e salute).

In un regime politico, le istituzioni traggono la propria forza non solo e non tanto da ciò che sta scritto negli statuti quanto dalle radici che affondano nel corpo della collettività ([18]).

La violazione del diritto all’ambiente si attesta, così, come atto di prevaricazione verso altri diritti e/o aree giuridiche contigue, imprime sulla domanda complessiva di legalità ovvero può causare il blocco di un principio costituzionale: ciò genera una gerarchia, di fatto, delle disposizioni ed immotivata in quanto non vi può essere disparità di trattamento tra regole derivanti da fonti paritarie.

È da ricordare che la P.A. persegue fini pubblici che non possono escludere la tutela dell’ambiente e ciò anche perché quest’ultima non si configura meramente come diritto privato o dell’individuo, coincidendo invece come interesse di tutti.

Pertanto, il conseguimento di un provvedimento favorevole da parte del singolo privato, formatosi a seguito di inerzia, non esclude che l’Amministrazione possa disporre, in via di autotutela (e in presenza dei necessari presupposti) anche l’annullamento postumo di quanto tacitamente assentito, esplicitando sia il profilo di illegittimità da cui sarebbe affetto l’atto tacitamente assentito, sia le ragioni di pubblico interesse che ne impongono la rimozione: è illegittimo, invece, il provvedimento che non abbia la forma e la sostanza di un atto di autotutela, atteggiandosi a mero diniego tardivo.

Le situazioni che si radicano in capo al privato per effetto dell’avvio del procedimento amministrativo individuano, comunque, un rapporto sufficientemente personalizzato atto ad ingenerare un ragionevole affidamento ([19]) ovvero a dar luogo ad un giudizio di colpevolezza riconducibile al genus della responsabilità ([20]).

Il rapporto amministrativo costituisce, cioè, un’ipotesi qualificata di contatto sociale ([21]): l’unilateralità dell’azione amministrativa può essere, quindi, inquadrata come potenzialmente illecita e comunque oggettivamente dannosa per il privato.

Non vi può, quindi, essere distinzione tra norme di azione (condotta) e nome di relazione ovvero separazione-preliminarità tra giudizio di illegittimità e giudizio di dannosità ([22]).

Peraltro, anche l’atto lecito e legittimo, quando provochi il sacrificio di un diritto, può generare responsabilità.

Quindi, si manifesta, normativamente, un concorso tra diritti che genera concorrenza ma che giuridicamente non può giungere a derubricare il diritto essenziale: in tal caso, si parlerebbe di sottrazione di princìpi ovvero di ablazione di un bene della vita ([23]).

Il diritto non può, altresì, essere condizionato da una sorta di valutazione dell’utilità concreta e temporale onde legittimarne l’applicazione o meno, poiché esso è slegato da profili di discrezionalità pratica e temporale: non è diritto «modale» e non è soggetto a «conversione» nel senso che non viene condotto nell’ambito di un diverso schema legale.

L’ordinamento è formato da numerose norme che considerate singolarmente rischiano, tuttavia, di smarrire quel significano e valore che, invece, promanano se ritenute in senso unitario: gli effetti dei princìpi della normativa comunitaria, così, ricadono inevitabilmente anche sul diritto interno.

Le ragioni di un provvedimento di una P.A. devono essere, pertanto, conformi alla legge e compatibili al valore naturale della risorsa. Nessun diritto può prevalere sull’importanza della difesa dell’ambiente e quest’ultimo è insuscettibile di subordinazione (in astratto) ad ogni altro valore o interesse ([24]). Nessuna prova può essere richiesta per dimostrare la significatività della tutela dell’ambiente, anche deducibilmente necessaria per garantire la salute e la vivibilità.

Gli atti amministrativi, infatti, sono espressione di una semplice potestà amministrativa e sono rivolti alla cura concreta di interessi pubblici. La potestà normativa della P.A., poi, resta secondaria alla potestà legislativa: viene espletata a livello amministrativo e non a livello politico, non può derogare a norme costituzionali o princìpi generali dell’ordinamento ed è la legge a fissarne i presupposti di legittimità. Va precisato, peraltro, che la prassi non è fonte di diritto.

Sarebbe legittimo un provvedimento della P.A. in assenza di valutazione negativa dell’impatto. La valutazione, giuridicamente d’anticipo ma concettualmente come se l’azione fosse stata già compiuta, deve, però, consistere in un’ipotesi di rischio ed in una verifica delle interazioni e dei conflitti.

Altra distinzione è tra discrezionalità amministrativa e discrezionalità tecnica.

Nell’ambito della discrezionalità amministrativa (o facoltà di scelta tra più comportamenti leciti) si devono considerare tutti gli interessi coinvolti dall’azione amministrativa in modo tale che il conseguimento del fine primario si realizzi col minore sacrificio possibile di tali interessi.

La discrezionalità tecnica, quale potere di valutazione di carattere tecnico, poi, va posta in essere in base alle regole, alle cognizioni ed ai mezzi forniti da scienze ed arti ma non può essere così ampia da incidere su diritti costituzionali o tutelati dall’ordinamento.

L’atto è illegittimo se emanato per incompetenza relativa, eccesso di potere (es. sviamento di potere, travisamento ed erronea valutazione dei fatti, illogicità o contraddittorietà dell’atto o tra più atti) e violazione di legge: in tal caso è annullabile e, tuttavia, fino a relativa sentenza è giuridicamente esistente, efficace ed esecutorio. L’incompetenza assoluta costituisce, invece, causa di inesistenza dell’atto.

L’atto è, invece, affetto da vizi di merito quando è inopportuno, non conveniente, inadeguato.

Si può pacificamente affermare l’illegalità dell’aggressione di un diritto universale.

Una condotta posta, invece, con talento e con virtù, e non a motivazione residuale, favorisce sempre il raggiungimento di un obiettivo erga omnes.

Proprio per fini di tutela ambientale, la P.A. è legittimata ad emanare ordinanze di necessità e urgenza: queste, non considerabili propriamente fonti del diritto bensì atti amministrativi necessitati atipici, possono essere deliberate in situazioni contingenti (quando sia impossibile provvedere adeguatamente in via ordinaria alla tutela di interessi costituzionalmente protetti e nel sostanziale rispetto della ripartizione territoriale delle competenze) con efficacia limitata nel tempo in relazione ai dettami della necessità e dell’urgenza ed operare deroghe particolari alle previsioni delle fonti di rango primario ([25]) e proporzionali alla gravità della situazione straordinaria da fronteggiare, pur sempre conformi alla Costituzione e ai princìpi generali dell’ordinamento e non devono incidere su riserve di legge assolute.

Le questioni ambientali sono quelle che possono destare maggiori preoccupazioni sociali per la dimensione ultra-attiva e la sfera ultra-patrimoniale. Eppure, il diritto all’ambiente è tra i diritti maggiormente e frequentemente posti in secondo piano ed in recessione.

Per realizzare l’effettiva tutela dell’ambiente, potendo quest’ultima godere di un significativo favor normativo (artt. 9, 42, 117 Cost.), è necessario far precedere ogni azione od iniziativa dall’interesse generale, dalle destinazioni e vocazioni del territorio, valutabili (nel caso concreto) nel valore astratto e puro, e che apportino un significativo vantaggio oggettivo senza compromissioni fenomeniche, sulla base innanzitutto del senso del limite di ciascuna condotta e sulla coscienza civica. La condotta deve, cioè, essere fortemente e stabilmente proporzionata alle possibilità previste ed imposte dalla norma ed alle situazioni di fatto.

Gli enti locali sono legittimati ad agire (in via successiva) per il risarcimento del danno ambientale e (in via preventiva) per impedire la produzione del medesimo ([26]): l’opposizione si configura come atto dovuto ed anche quando il parere dell’ente locale non è vincolante. È, comunque, fatto salvo il mezzo processuale (ricorso) facendo valere le più svariate motivazioni.

La legittimazione ad intervenire nei giudizi per danno ambientale e ricorrere in sede di giurisdizione amministrativa per l’ annullamento di atti illegittimi ([27]), sussiste quindi ex lege, senza necessità di dimostrare ulteriormente alcun danno specifico subito dal concreto intervento contestato ([28]).

Deve essere fatto valere un interesse comunque connesso alle finalità di tutela del bene ambientale: occorre, quindi, che il provvedimento impugnato sia in grado di ledere l’interesse ambientale azionato ed, altresì, che il vizio dedotto, se accolto, consenta un’utilità, alla parte ricorrente, direttamente rapportata alla sua posizione legittimante ossia un’utilità che sia in correlazione con l’interesse all’ambiente ([29]).

Sono legittimate le associazioni riconosciute e quelle che, in base al titolo di rappresentatività, siano caratterizzate dalla continuità dell’attività di tutela ambientale  ([30]) ad impugnare anche atti a contenuto urbanistico purché idonei a pregiudicare il bene dell’ambiente come definito in termini normativi ([31]), anche se lo specifico bene oggetto del provvedimento impugnato non sia stato sottoposto ad uno specifico vincolo ([32]) ovvero provvedimenti che abbiano riflessi ambientali.

Il fondamento politico del diritto, infatti, va ravvisato nell’esigenza di riconoscere, a tutti, unicità, unità e giustizia negli obblighi: è, quindi, un istituto giuridico fondato su concetti sociali e di solidarietà legittimanti vincoli e riserve.

La tutela dell’ambiente è valore fondamentale della collettività ([33]) che si configura, secondo lettura costituzionalmente orientata ed austera in cui i doveri prevalgono sugli interessi, come sintesi, in una visione globale ed integrata, di una pluralità di aspetti e di una serie di altri valori che attengono non soltanto ad interessi meramente naturalistici o sanitari ma anche ad interessi culturali, educativi, ricreativi e di partecipazione, tutti caratterizzati dall’importanza essenziale che rivestono per la vita della comunità.

A favore delle Regioni è posta riserva di potestà legislativa e regolamentare in tutte le materie non di competenza legislativa esclusiva dello Stato ([34]).

Solo la diretta incompatibilità (offensività) delle norme regionali con sopravvenuti princìpi o norme fondamentali della legge statale può determinare l’abrogazione delle prime: sembra che la legge n. 3/2001, più che avere circoscritto un «quartiere» giuridico, abbia delineato un laboratorio normativo entro cui le iniziative localizzate siano «morbide» ovvero conformi. Ed una riforma è valida sul piano logico se tende a rinforzare l’ordinamento generale, senza determinarne l’erosione.

L’operato legislativo delle Regioni deve improntarsi ad una sorta di principio di fedeltà allo Stato, non casualità, altrimenti si ravviserebbe una specie di «occupazione» dello Stato e quest’ultimo ad una specie di principio di democrazia istituzionale ed istruttoria.

Lo Stato, nelle proprie materie, può delegare la potestà regolamentare alle Regioni ([35]) ma non può, mediante regolamenti, vincolare l’esercizio della potestà legislativa regionale o incidere su disposizioni regionali primarie preesistenti ([36]).

Lo strumento della delegificazione (regolamenti) statale non può operare in presenza di fonti tra le quali non vi siano rapporti di gerarchia ma di separazione di competenze ([37]).

Limitare l’attività unificante dello Stato alle sole materie espressamente previste significherebbe attribuire garanzie ferree alle competenze legislative delle Regioni e svalutare, oltre misura, istanze unitarie che giustificano, a determinate condizioni (intese Stato-Regioni e/o situazioni ad acta), una deroga alla normale ripartizione di competenze.

Anche la mancata inclusione di alcune materie nell’elencazione ex art. 117 Cost. non implica che esse siano oggetto di potestà legislativa residuale delle Regioni: si tratta di ambiti di legislazione che non costituiscono una vera e propria materia ma si qualificano a seconda dell’oggetto al quale afferiscono e, quindi, sono ascrivibili, di volta in volta (es. in sede di intesa può essere riconosciuto, o meno, un concorrente interesse regionale), a potestà legislative esclusive o concorrenti.

L’elencazione costituzionale rappresenta una pianificazione delle competenze legislative, da ritenersi tuttavia non valida in fase di pre-competenze generali.

Lo Stato può dettare standards di tutela uniformi sull’intero territorio nazionale, anche incidenti sulle competenze legislative che, secondo il rinnovellato art. 117 Cost., spettino alle Regioni e alle Province autonome su materie (governo del territorio, tutela della salute) per le quali quel valore costituzionale assume rilievo ([38]).

Sussiste sussidiarietà dello Stato, per esigenze di uniformità, nell’ambito di funzioni amministrative relative a problemi di livello nazionale ([39]) ed anche riguardo alla valutazione dell’entità delle trasformazioni che l’installazione dell’impianto determina, ai fini dell’eventuale adozione di procedure semplificate ([40]).

Nella molteplicità delle fonti di diritto, quella gerarchicamente inferiore potrebbe teoricamente derogare a quella superiore soltanto in senso più favorevole alla tutela, purché nel rispetto dei princìpi generali statali: sarebbe da ritenersi vietata, quindi, soltanto la scomposizione, della norma e del diritto, incompatibile con la legge.

Il punto di legittimazione legislativa ed amministrativa risiede, in sostanza, nell’utilità dell’intervento, o meno, sulla determinata situazione: trattasi, cioè, di «eziologia istituzionale dinamica».

L’ordinamento attuale è quindi caratterizzato da un federalismo normativo e burocratico, dove nessun ente è controparte, che spesso chiede «supplenze» ed è competitivo al punto da condurre a «dimissione di funzioni» da parte di uno dei soggetti cointeressati.

Sul piano logico-giuridico, non si riscontrano, però, distinzioni, tra enti e tra diritti, all’origine né potrebbe esservi un mero rapporto di servizio tra i medesimi.

Tutt’al più, si verifica una sorta di sdoppiamento del diritto in più istituzioni e ciò tende a ristrutturare idealmente il diritto stesso ponendolo in un binomio a fini di una migliore supervisione ambientale e di equilibrio giuridico.

Il favor allo Stato, che non significa automaticamente vantaggio, risulta, comunque, dirimente sulla possibile congiuntura normativa.

La dialettica tra le norme, caratterizzata da plurilateralità con comunione di scopo, instaura un contraddittorio che determina un fenomeno (non istituto) di «successione a titolo particolare e ad esito variabile» nel rapporto giuridico, più che cessione perfetta, senza estensione futura dell’efficacia in formale ossequio al sottinteso principio di conservazione della legalità. Si potrebbe individuare, inoltre, un tertium genus consistente nella «cedibilità mediata ed intuitu rei» o «trasformabilità» della singola situazione giuridica o, infine, di necessaria ricerca di condivisione ([41]).

Ciò pare far scaturire competenze equivalenti in contrapposizione o un concorso di competenze sullo stesso bene, da un lato ad es., per quanto attiene alle Regioni, l’utilizzazione del bene e, per quanto attiene allo Stato, la tutela o conservazione del bene stesso  ([42]), imponendo una concertazione costante ed un’incertezza permanente unificate dalla presunta esistenza di un diritto ritenuto superiore (es. iniziativa economica e diritto di inquinare) per conseguire un ulteriore diritto (es. di guadagnare), sia pur mediante l’adozione di misure di compensazione.

Sussiste, quindi, un’alta possibilità di oscillazioni, ovvero, da un lato, eleggibilità del diritto e, dall’altro, riducibilità in una graduatoria che può minimizzare, neutralizzare e rendere invisibile il diritto stesso: tale situazione non va, però, bloccata con un c.d. compromesso istituzionale.

La civiltà giuridica è data dal valore reale e dalle possibilità di tutela degli interessi naturali (connessi all’essere vivente) a struttura tematica unitaria.

Oltre il dogma delle competenze, vi è un «corridoio giuridico» in cui si colloca il dialogo tra istituzioni il quale  deve avere, come unico fine, quello di ricordare che, su di esse tutte, grava il compito di custodire, curare, salvaguardare: non sussiste, cioè, il diritto di un solo soggetto o di una sola istituzione prima di qualcun altro. Il limite costituzionale, valido se conduce ad un risultato in termini di beneficio, non attribuisce, infatti, alcuna autosufficienza alle P.A. ed è, peraltro, superato dal limite legale fattuale.

È sempre inammissibile una condotta adottata senza pensiero: siffatti comportamenti tendono, infatti, ad influenzare e condizionare la qualità del diritto. Pertanto, è fondamentale porre in essere una condotta di alto livello, organica ed omogenea. Il ritardo nell’attuazione del diritto è fonte di pregiudizio per tutti.

Princìpi diversi sostenuti ad oltranza si tradurrebbero in abuso.

È da considerare, peraltro, che mai vi saranno prove sufficienti (o ritenute tali) per dimostrare la pericolosità di una determinata iniziativa, se non meramente convenzionali o comunemente accettate, e questo è un tipico limite umano ([43]).

Anche se il diritto all’ambiente fosse configurabile come interesse semplice, andrebbero ravvisati, nelle scelte, i criteri di opportunità e convenienza. Non è, invece, mero interesse di fatto.

L’operato delle P.A. quindi deve, concretamente, caratterizzarsi per l’adempimento di numerosi princìpi e criteri ovvero: competenza, autonomia, funzionalità, efficacia, efficienza ed economicità di gestione, professionalità e responsabilità, indirizzo e controllo preventivo, obiettivi e programmi, limiti, modalità, equilibrio, strumenti e metodologie (globali e specifiche), correttezza, buona fede, diligenza, unità, universalità, integrità, consistenza, buona amministrazione, coerenza.

Le autorizzazioni (ed, in generale, gli atti di assenso dei pubblici poteri) in materia di tutela dell’ambiente devono, quindi, avere alcune caratteristiche specifiche ed, in particolare, devono essere sempre espresse e temporanee ([44]).

In tal modo, va effettuata l’illustrazione delle principali soluzioni alternative prese in esame con indicazione dei motivi principali della scelta compiuta dal proponente tenendo conto dell’impatto sull’ambiente, nonché del rapporto costi benefici (d.lgs n. 152/2006).

Il soggetto che è direttamente leso specificamente in una sua posizione differenziata da un provvedimento amministrativo ed è identificabile deve essere avvertito, anche se l’atto è generale questo vale come un qualsiasi provvedimento ([45]) ovvero quando l’atto si atteggia nei confronti dei soggetti proprietari dell’area su cui ha inciso in maniera diretta alla stessa stregua di un qualunque atto provvedimentale ([46]).

A favore del privato, è posto un ulteriore e particolare istituto giuridico, l’accesso alle informazioni ambientali (d.lgs. 24 febbraio 1997, n. 39; direttiva n. 90/313/CEE; direttiva n. 2003/4/CE; d.lgs. 19 agosto 2005, n. 195, art. 3 sexies; d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 e d.lgs. 16 gennaio 2008, n. 4), similare a quello relativo all’accesso ai documenti amministrativi (legge n. 241/1990; legge n. 15/2005). Tuttavia, a differenza di quest’ultimo, il primo può essere esercitato da chiunque senza dovere dimostrare la sussistenza di un interesse giuridicamente rilevante e può riguardare anche informazioni da elaborare appositamente, non soltanto documenti già formati ed esistenti presso l’amministrazione. Deve, comunque, trattarsi di informazioni ambientali detenute dalle autorità pubbliche e concernenti lo stato degli elementi dell’ambiente, i fattori che incidono o possono incidere sui suoi elementi, le misure, anche amministrative che incidono o possono incidere su elementi e fattori ambientali ([47]). Ciascun Comune, peraltro, può dotarsi di un apposito regolamento.

Non è possibile derubricare la volontà e le conoscenze collettive da valore a mera eventualità discrezionale poiché sono queste a generare la «fotosintesi» dell’ordinamento giuridico all’insegna della piattaforma ambientale.

Ogni altra politica è mero indottrinamento patologico, irresponsabile ed eversiva anche dell’immagine del diritto.

È necessaria, quindi, una posizione comune di base su ogni aspetto connesso sul tema, anche fondata sul minimo uso e sul massimo risparmio.

Nel settore, la norma non è qualificabile come mera clausola bensì come contratto sociale, sovrastruttura necessaria.

È, quindi, un diritto plurisoggettivo, plurigiuridico, paritetico, contestuale, cumulabile, non alternativo, ultra-attivo, ultraterritoriale, non corrispettivo, di merito e di legittimità.

Non vi può essere adempimento parziale, supplementare o incidentale ed, altresì, puntuale ma scoordinato. Necessitano atti a conferma continuata.

L’ambiente, essendo più di un diritto e di un principio giuridico, non potrebbe, peraltro, essere ridotto a tentativi di svalutazione: esplica funzioni di giustizia in un sistema per garantire l’attuazione delle condizioni migliori e la libertà tra gli uomini.

Non possiede limiti essenziali e, quindi, non sarebbe possibile attribuirne limitazioni ed è presupposto per la validità di ogni altra norma ovvero ciascuna norma sarebbe tenuta a confrontarsi con essa.

Postulando la costituzionalizzazione del pericolo, e non di un principio amichevole, il punto di riferimento risiede nella centralità ed aderenza all’uomo.

La matrice sociale del diritto è di essere cardine-guida naturale anche tra diritti, oltre che tra soggetti, indispensabile, ineliminabile, incontestabile, valido universalmente. Il principio del diritto è puro e racchiude ogni possibile concezione di condotta sociale: null’altro può esservi al suo interno se non la ratio della giustizia tra le genti.

Non vi possono essere surrogati a tale principio: è questo il criterio per testimoniare il valore di una determinata norma. Si tratta, quindi, di un diritto irrinunciabile, sovrano e superiore.

Pertanto, l’uomo deve vivere il territorio secondo i princìpi del territorio, adottando condotte oltre i normali doveri e, cioè, doveri di intervento e divieti di omissione.

Se garantire la vita può legittimare l’uso delle risorse ambientali, tale uso deve pur sempre garantire, a sua volta, la vita (es. lo sviluppo rurale è strumento di tutela e di salvezza), determinando le condotte ed estendendo l’attenzione su ogni possibile iniziativa privata e pubblica.

Trattasi, quindi, di norma di natura morale.

In uno Stato impostato su concezioni di natura imprenditoriale, la tutela dell’ambiente è, però, intesa nell’ottica economica secondo cui il diritto diventa intoccabile ed irraggiungibile solo se l’atto, pur dannoso, è anche non necessario.

La ripartizione delle competenze non va, quindi, intesa come divisione tra i poteri dello Stato né come lottizzazione legislativa bensì come accorpamento per fini di armonizzazione nelle strategie di miglior tutela del territorio, del paesaggio, degli ecosistemi, della salute e delle risorse: trattasi, infatti, pur sempre di trasferimento attuato per Costituzione ovvero «legittimazione» concessa dallo Stato il quale, quindi, resta il titolare originario.

Per Costituzione, infatti, può ravvisarsi una sorta di «manutenzione» Statale, in solenne rilievo, come funzione di responsabilizzazione istituzionale e sociale, non superabile, imprescindibile per amplificare il valore, statale-costituzionale, dell’ambiente.

Sull’ «altare» dell’ordinamento nazionale, perciò, bisognerebbe parlare di concorrenza, non di competizione, tra norme onde poter garantire la «sublimazione impermeabile» del diritto all’ambiente.

La ponderazione, come soluzione praticabile, deve condurre, quindi, alla concretizzazione ed integrazione, a tempo indeterminato, dei diritti: in caso contrario, incidendo sulle funzioni territoriali, si sgretolerebbe la struttura dello Stato medesimo.

È facilmente prevedibile l’espansione contro tutela se non sussistono o non vengono apposti vincoli legali o amministrativi al territorio.

In sintesi, non si può parlare di rispetto dell’ambiente (e dell’uomo) se la natura viene danneggiata e se ogni principio posto a sua tutela non viene applicato: la validità attuale del patrimonio ambientale è maggiore proprio a causa dei recenti e frequenti disastri e delle sempre più numerose grandi opere realizzate.

Pertanto, anche in mancanza di colpa, il nesso è di per sé fonte di responsabilità ed intrinsecamente punibile.

L’evoluzione degli ordinamenti, anche in termini di politiche sociali, deve, quindi, tendere al raggiungimento di una maggiore resistenza all’illegalità ed alla forte prevenzione delle chance di trasgressioni, anche mediante strumenti processuali idonei a rendere sostanziale il diritto ([48]).

Ciascuno deve “vivere frontalmente il valore dell’ambiente”, preservando le proprie condotte dalle conseguenze ed esaltando il medesimo diritto in modo autentico ovvero come dovere e senza dar luogo ad interpretazioni occulte e che conducano alla disapplicazione della norma (mai può parlarsi di “uso del diritto per fini illeciti”): soltanto così vi potrà essere un significativo ed utile margine di miglioramento generale e la stabilizzazione dei diritti.

Alessandro M. Basso*

*avvocato, dottore di ricerca in “uomo-ambiente” Facoltà di Giurisprudenza ed Agraria/Università di Foggia, conciliatore professionista, giornalista pubblicista, geometra abilitato, guida ufficiale del Parco nazionale del Gargano

 


([1]) A livello europeo, la difesa dell'ambiente impone, ai sensi dell'art. 174, l. 14 ottobre 1957, n. 1203, del Progetto di Trattato del 13 giugno e 10 luglio 2003 e dell'art. II-95 del Trattato 29 ottobre 2004, il compito istituzionale di promuovere un elevato livello di protezione dell'ambiente, il suo miglioramento, un'utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali ed un livello elevato di protezione della salute umana. L'Atto Unico europeo, adottato il 16-17 dicembre 1985 e ratificato in Italia con l. 23 dicembre 1986, n. 909, ha introdotto nel Trattato istitutivo della CEE un titolo dedicato all'ambiente. La legislazione sovranazionale è caratterizzata dai princìpi «chi inquina paga», di prevenzione, precauzione e correzione che consentono di stabilire limitazioni generali all’uso della risorsa e restrizioni, in quanto la tutela dell’ambiente costituisce uno degli scopi essenziali della Comunità ed esigenza imperativa, sempre però rispettando i princìpi di proporzionalità (non potendo assumere aspetti discriminatori, vessatori od emulativi e non potendo eccedere rispetto al perseguimento dello scopo) e sostituibilità (scegliendo cioè tra i diversi provvedimenti possibili quello che comporta meno ostacoli e limitazioni alle libertà comunitarie).

([2])Realacci E., intervista su Magazine Ambiente.tv, 2007, 4, 12.

([3]) Per approfondimenti, Bonciarelli F. - Bonciarelli U., Agronomia, Bologna, 2001; Basso A.M. - Basso G., L’uomo e l’ambiente - effetti e normative, in Riv. bonifica, 2004, 4, 49; Basso A.M., convegno 29 aprile 2010, 61ª fiera internazionale dell’agricoltura e della zootecnia di Foggia, Difesa dell’ambiente e del territorio - energie da fonti rinnovabili, in L’attacco, 7 maggio 2010, Foggia.

 

([4]) Per approfondimenti, Caporali  F., Ecologia per l’agricoltura, Torino, 1996; Bonari E. - Ceccon P., Verso un approccio integrato allo studio dei sistemi colturali, Milano , 2002.

([5]) Corte cost. 14 gennaio 2010, n. 1,  reperibile su www.cortecostituzionale.it.

([6]) Corte cost. 26 marzo 2010, n. 120,  reperibile su www.cortecostituzionale.it.

([7]) Corte di giustizia CE, Sez. II 28 febbraio 2008, in causa C-2/07, in Foro amm. C.D.S., 2008, 2, 328.

([8]) Corte cost. 22 luglio 2009, n. 225, in Riv. giur. amb., 2009, 6, 936, con nota di Di Dio F. e Cioffi; Corte cost. 23 luglio 2009, n. 234, in Giur. cost., 2009, 4, 2843.

([9]) Per approfondimenti, Spantigati F., Le categorie giuridiche necessarie per lo studio del diritto dell’ambiente, in Riv. giur. ambiente, 1999, 221 e ss.

([10]) Per approfondimenti, Caravita B., La razionalizzazione della normativa ambientale in Italia, in Rapporto mondiale sul diritto dell’ambiente, Nespor S. (a cura di) ed a., Milano, 1996; Cassese S., Diritto ambientale comunitario, Milano, 1995; Gola M., L’amministrazione degli interessi ambientali, Milano, 1995.

([11]) Per approfondimenti, Zanboni G., Corso di diritto amministrativo, Milano, 1949; Sandulli A., 1968, in www.cortecostituzionale.it/documenti/download/pdf/19681203_pres_Sandulli_sito.pdf.

([12]) Nigro M., Giustizia amministrativa, Bologna, 1976; Id., Costituzione ed effettività costituzionale, in Riv. trim. dir. e proc. civ., XXIII, 1969, 1697 e ss.

([13]) Il principio di unitarietà impone l’aggregazione ed il coordinamento di una pluralità di strumenti nel quadro di una visione complessiva in grado di consentire il perseguimento di obiettivi globali.

([14]) Per approfondimenti, Cirillo G.P., Il danno da illegittimità dell’azione amministrativa e il giudizio risarcitorio, Padova, 2003; Castronovo C., La nuova responsabilità civile, Milano, 1997.

([15]) Cons. Stato, Sez. V 17 maggio 2005, n. 2460, in Foro amm. C.D.S. 2005, 5, 1474.

([16]) T.A.R. Sicilia - Catania, Sez. I 24 novembre 2008, n. 2241, Foro amm. T.A.R. 2008, 11, 3155.

([17]) T.A.R. Puglia - Bari, Sez. I 10 aprile 2008, n. 894, in Foro amm. T.A.R., 2008, 4, 1107.

([18]) Per approfondimenti, Sandulli A.M., Manuale di diritto amministrativo, Napoli, 1989.

([19]) Cass. Sez. Un. Civ. 11 gennaio 1977, n. 83; Cass. Sez. Un. Civ. 5 ottobre 1979, n. 5145, in Giur. it., 1980, I, 1215; Cass. Sez. Un. Civ. 6 ottobre 1993, n. 9892, in Giust. civ., 1994, 1, 52. Per approfondimenti, Napolitano G., Manuale di diritto amministrativo, Matelica, 2008; Rodotà  S., Il problema della responsabilità civile, Milano, 1964; Merusi F., L’affidamento del cittadino, Milano, 1970; Corsaro l., L’imputazione del fatto illecito, Milano, 1969.

([20]) Cass. Sez. I Civ. 10 gennaio 2003, n. 157, in Dir. e giust., 2003, 6, 38. Per approfondimenti, Napolitano G., op. ult. cit.

([21]) Cons. Stato, Sez. V 6 agosto 2001, n. 4239, in Giur. it., 2001, 2163.

([22]) Corte cost. 17 luglio 2000, n. 292, Giur. it.,2000, 135, con nota di Cavino.

([23]) Betti E., Teoria generale del negozio giuridico, Torino, 1960.

([24]) Corte cost. 27 giugno 1986, n. 151, in Foro it.,1986, I,2690.

([25]) Corte cost. 2 luglio 1956, n. 8 e 27 maggio 1961, n. 26; reperibili su www.ambientediritto.it; Corte cost. 21 aprile 1977,  n. 4, in Riv. amm. R. it., 1979, 188.

([26]) T.A.R. Lazio - Latina, 11 dicembre 1990, n. 1064, in Riv. giur. amb., 1992, 164.; Cons. Stato, Sez. IV 6 ottobre 2001, n. 5296, in questa Riv., 2002, 268, con nota di Cardillo; T.A.R. Lombardia - Brescia, Sez. I 2 febbraio 2010, n. 521, 26, reperibile su www.ambientedirtto.it.

([27]) Cons. Stato, Sez. VI 19 ottobre 2007, n. 5453, in Riv. giur. ed., 2008, 1, 371; Cons. Stato, Sez. VI 3 ottobre 2007, n. 5111, in Foro amm. C.D.S., 2007, 10, 2847;  Cons. Stato, Sez. IV 14 aprile 2006, n. 2151, in Giur. it., 2006, 8-9, 1743; Cons. Stato, Sez. IV 11 luglio 2001, n. 3878, Riv. giur. amb., 2002, 750 , con nota di Maestroni; T.A.R. Liguria - Genova, Sez. II 17 marzo 2009, n. 323, in Foro amm. T.A.R., 2009, 3, 677; Cons. Stato, Sez. VI 9 marzo 2010, n. 1403, Diritto&giustizia, 2010.

([28]) T.A.R. Piemonte, Sez. I 25 settembre 2009, n. 2292, in Foro amm. T.A.R., 2009, 9, 2348; T.A.R. Toscana, Sez. II 5 febbraio 2010,  n. 195, reperibile su www.ambientediritto.it.

([29]) T.A.R. Liguria - Genova, Sez. I 1° agosto 2007, n. 1426, Foro amm. T.A.R., 2007, 7-8, 2323.

([30]) T.A.R. Liguria, Sez. I 19 marzo 2003, n. 354, Foro amm. T.A.R., 2003, 873.

([31]) Cons. Stato, Sez. IV 9 novembre 2004, n. 7246, in Foro amm. C.D.S., 2004, 3157.

([32]) Cons. Stato, Sez. V 1° dicembre 1999, n. 2030, Giur. it., 2000, 1070.

([33]) Corte cost.,  28 maggio 1987, n. 210, in Foro it., 1988, I,329.

([34]) Corte cost., 29 settembre 2003, n. 300, in Giur. cost., 2003, 5.

([35]) Corte cost. 1° ottobre 2003, n. 303, in Giur. cost., 2003, 5.

([36]) Corte di giustizia CE, Sez. II 11 settembre  2003, n. 22, Giur. it., 2003, 2389.

 

([37]) Corte cost. 20 luglio 1995, n. 333, in questa Riv., 1996, 157, con nota di La Medica; Corte cost. 7 novembre 1995, n. 482, in Riv. it. dir. pubbl. comunit., 1996, 749; Corte cost. 1° ottobre 2003, n. 302, in Foro amm. C.D.S., 2003, 2774.

([38]) Corte cost. 4 luglio 2003, n. 227, in Foro it., 2003, I,2882.

([39]) Corte cost. 14 ottobre 2005, n. 383, in Giur. cost., 2005, 5.

([40]) Corte cost. 14 marzo 2008, n. 62, in Foro it., 2008, 5, 1383.

 

([41]) Per approfondimenti, Bianca C.M., Diritto civile, Milano, 1994.

([42]) Corte cost. 18 aprile 2008, n. 105, in Giur. cost., 2008, 2, 1337.

([43]) La valutazione dei limiti dell’uomo deve far avvicinare istintivamente alla dimensione del sovrannaturale. Per approfondimenti, Zecchi S., Fenomenologia dell’esperienza, Firenze, 1972.

([44]) Corte cost. 24 marzo 1994, n. 96, in Dir. trasporti,1995, 121, con nota di Bocchese; Corte di giustizia CE 28 febbraio 1991, in causa C-360/198, in Riv. it. dir. pubbl. comunit., 1992, 241.

([45]) T.A.R. Liguria, Sez. I 28 giugno 2005, n. 985, in Foro amm. T.A.R., 2005, 6, 1966.

([46]) T.A.R. Lombardia - Brescia, 3 giugno 2003, n. 826, in Foro amm. T.A.R., 2003, 1871; Cons. Stato, Sez. VI 20 giugno 2003 n. 3684, in Foro amm. C.D.S., 2003, 1973; Cons. Stato, Sez. IV 28 gennaio 2002, n. 452,  in Foro amm. C.D.S., 2002, 72; Cons. Stato, Sez. IV10 agosto 2004, n. 5498, Foro amm. C.D.S., 2004, 2151;  T.A.R. Lazio, Sez. II 8 ottobre 2001, n. 8271, Riv. giur. edilizia, 2002, I, 254; T.A.R. Campania - Napoli, Sez. V 12 luglio 2006, n. 7442;  T.A.R. Puglia - Lecce, Sez. I 21 giugno 2008, n. 1847; T.A.R. Abruzzo - L’Aquila, Sez. I 3 aprile 2006, n. 205, in Foro amm. T.A.R., 2006, 4, 1397; T.A.R. Lazio - Roma, Sez. II 8 ottobre 2001 n. 8271, Foro amm., 2001.

([47]) T.A.R. Campania - Napoli, Sez. VI 31 marzo 2010, n. 1752, reperibile su www.rivistadga.it.

([48]) Per approfondimenti, Caia G., La gestione dell’ambiente: princìpi di semplificazione e di coordinamento, in Grassi S. - Cecchetti M. - Andronio A. (a cura di), Ambiente e diritto, Firenze, 1999, I; Cecchetti M., Princìpi costituzionali per la tutela dell’ambiente, Milano, 2000; Tallacchini M., Diritto per la natura. Ecologia e filosofia del diritto, Torino, 1996; Angela P., Viaggio nella scienza. Dal big bang alle biotecnologie, Milano, 2008; Zichichi A., Scienza ed emergenze planetarie, Rizzoli, 1994.