Economia e salute, Corte Costituzionale, Corte Europea: quale bilanciamento per ILVA e Priolo?

di Gianfranco AMENDOLA

pubblicato su unaltroambiente.it. Si ringraziano Autore ed Editore

  1. Premessa. La sentenza n. 105/24 della Corte costituzionale

Come è noto, dal 2022 l’art. 41 della Costituzione sancisce che l’iniziativa economica privata è libera ma non può svolgersi in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana, alla salute e all’ambiente, aggiungendo che “la legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali e ambientali”.

La formulazione è chiarissima ma non c’è peggior sordo di chi non vuole sentire come dimostrano i tanti tentativi governativi di sottrarsi a questi principi sacrosanti specie quando si tratta di grandi industrie inquinanti quali l’Ilva di Taranto e gli stabilimenti di Priolo a Siracusa.

L’ultima prova è costituita dalla sentenza n. 105 del 7 maggio-13 giugno 2024 con cui la Corte costituzionale ha esaminato una questione sollevata dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Siracusa nell’ambito di un procedimento relativo al sequestro degli impianti di depurazione di Priolo Gargallo, che a sua volta si iscrive in una più ampia indagine per disastro ambientale, ipotizzato a carico di varie aziende petrolchimiche operanti nella zona; concludendo che le misure governative che, nonostante il sequestro degli impianti ordinato dall’autorità giudiziaria, impongono la prosecuzione di attività produttive di rilievo strategico per l’economia nazionale o la salvaguardia dei livelli occupazionali sono costituzionalmente legittime solo se limitate al tempo strettamente necessario per portare a compimento gli indispensabili interventi di risanamento ambientale.

Più in particolare, il Gip di Siracusa dubitava della legittimità costituzionale dell’art. 104-bis norme att. cod. proc. pen. il quale, così come stabilito dall’art. 6 D. L. n. 2 del 2023 (Misure urgenti per impianti di interesse strategico nazionale), attualmente prevede che quando il sequestro ha ad oggetto stabilimenti industriali o parti di essi dichiarati di interesse strategico nazionale ovvero impianti o infrastrutture necessari ad assicurarne la continuità produttiva, “il giudice autorizza la prosecuzione dell’attività se, nell’ambito della procedura di riconoscimento dell’interesse strategico nazionale, sono state adottate misure con le quali si è ritenuto realizzabile il bilanciamento tra le esigenze di continuità dell’attività produttiva e di salvaguardia dell’occupazione e la tutela della sicurezza sul luogo di lavoro, della salute e dell’ambiente e degli altri eventuali beni giuridici lesi dagli illeciti commessi….”, dettando le prescrizioni necessarie e tenendo conto “del contenuto dei provvedimenti amministrativi a tal fine adottati dalle competenti autorità”. Disposizioni che, tuttavia, “non si applicano quando dalla prosecuzione può derivare un concreto pericolo per la salute o l’incolumità pubblica ovvero per la salute o la sicurezza dei lavoratori non evitabile con alcuna prescrizione”.

In estrema sintesi, si tratta, secondo il Gip di Siracusa, di uno schema normativo che non garantirebbe adeguata tutela alla vita, alla salute umana e all’ambiente, vincolandolo ad autorizzare la prosecuzione dell’attività anche quando, a suo giudizio, le misure adottate risultino insufficienti rispetto alle esigenze di tutela di questi interessi; in contrasto, peraltro, con le condizioni alle quali la stessa Corte, nella sentenza sull’Ilva n. 85 del 2013, aveva ritenuto compatibile con la Costituzione la prosecuzione dell’esercizio dell’attività di stabilimenti di interesse strategico nazionale, pur in presenza di provvedimenti di sequestro dell’autorità giudiziaria (segnatamente, l’osservanza di puntuali prescrizioni stabilite dall’autorità amministrativa all’esito di un procedimento con caratteristiche di pubblicità e partecipazione, finalizzato a individuare un punto di equilibrio in ordine all’accettabilità e alla gestione dei rischi dell’attività; l’effettività del controllo e monitoraggio sulla prosecuzione dell’attività; la durata limitata nel tempo della prosecuzione stessa).

Nel vagliare la legittimità costituzionale di questo meccanismo, la Corte, ricalcando lo schema dell’ordinanza di rimessione, ha opportunamente ricordato, in via generale, che, come già rilevato, la recente riforma costituzionale del 2022 ha attribuito espresso e autonomo rilievo alla tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni; chiarendo, altresì, esplicitamente che la tutela della salute e dell’ambiente costituisce un limite alla stessa libertà di iniziativa economica. Ed ha, quindi, articolato la sua risposta in due direzioni.

Da un lato, infatti, la Corte ha ritenuto non incompatibile con la Costituzione la previsione della possibilità per il Governo di dettare direttamente, in una situazione di crisi e in via provvisoria, misure conformi alla legislazione vigente, che consentano di assicurare continuità produttiva a uno stabilimento di interesse strategico nazionale, contenendo il più possibile i rischi per l’ambiente, la salute e la sicurezza dei lavoratori, precisando che, una volta che siano state adottate le misure in questione, il giudice che ha disposto il sequestro è tenuto ad autorizzare la prosecuzione dell’attività degli impianti, senza poter rimettere in discussione le scelte del Governo. In sostanza, cioè, in tal caso “il giudice «autorizza la prosecuzione dell’attività», senza poter più svolgere un autonomo bilanciamento tra gli interessi in gioco, evidentemente alle condizioni stabilite dal provvedimento governativo che stabilisce le «misure» di bilanciamento in questione. E senza potere, nemmeno, disporre l’interruzione dell’attività nel caso in cui apprezzi un «concreto pericolo» per la salute o l’incolumità pubblica, ovvero la salute o la sicurezza dei lavoratori”.

Ma, nel contempo, la Corte ha ritenuto illegittima la mancata previsione, nel citato art. 104-bis, di un termine massimo di 36 mesi per l’operatività delle “misure di bilanciamento” che il Governo, in caso di sequestro di impianti necessari ad assicurare la continuità produttiva di stabilimenti di interesse strategico nazionale, può adottare al fine di tutelare gli interessi economici nazionali e la salvaguardia dell’occupazione; aggiungendo che queste misure – la cui effettiva osservanza dovrà essere costantemente monitorata dalle autorità competenti – dovranno comunque “tendere a realizzare un rapido risanamento della situazione di compromissione ambientale o di potenziale pregiudizio alla salute determinato dall’attività delle aziende sequestrate”, e non invece “a consentirne indefinitamente la prosecuzione attraverso un semplice abbassamento del livello di tutela di tali beni”. E pertanto, la Corte ha ritenuto costituzionalmente illegittima la mancata previsione, nella norma esaminata, di un termine massimo di 36 mesi di operatività delle misure in questione. Entro questo termine, conclude la Corte, occorrerà in ogni caso assicurare il completo superamento delle criticità riscontrate in sede di sequestro e ripristinare gli ordinari meccanismi autorizzatori previsti dalla legislazione vigente.

  1. Il problema sostanziale

In realtà, tuttavia, il vero problema posto dal Gip di Siracusa non era di natura formale ma sostanziale e riguardava il merito delle misure di bilanciamento tra occupazione-salute ed ambiente prescritte dal decreto interministeriale 12 settembre 2023, le quali, secondo l’ordinanza di rimessione, non attuano alcun bilanciamento e consistono, in sostanza, solo nell’innalzamento dei valori limite di emissione derogando “del tutto discrezionalmente” a quelli previsti dal D. Lgs. n. 152 del 2006; di modo che non vi sarebbero “concrete misure gestionali adottabili al fine di mitigare il rischio per la salute e per l’ambiente derivante dall’immissione di reflui industriali in un depuratore privo di un sistema di pretrattamento e di un sistema di convogliamento delle emissioni diffuse1.

Tuttavia, di questo non si occupa la Corte, la quale precisa che “se è pur vero che il rimettente si sofferma diffusamente sul contenuto delle misure di bilanciamento recate dal d. interm. 12 settembre 2023 …. tuttavia, la doglianza fondamentale articolata dal giudice a quo si indirizza contro l’art. 104-bis, comma 1.bis.1, norme att. cod. proc. pen…. ossia una disposizione di rango primario. “

In altri termini, “le doglianze del GIP del Tribunale di Siracusa sono, invece, assai più circoscritte: esse assumono, in sostanza, che la disciplina in concreto dettata dal legislatore con il nuovo comma 1-bis.1 dell’art. 104-bis norme att. cod. proc. pen. non offra adeguata tutela alla vita e alla salute umana, nonché all’ambiente, alla biodiversità e agli ecosistemi, privilegiando in modo eccessivo l’interesse alla continuità produttiva di impianti, per quanto considerati di interesse strategico nazionale”, concludendo che “è dunque sulla sostenibilità costituzionale di questa disciplina generale e astratta alla luce dei parametri evocati dall’ordinanza di rimessione – e non già sulla correttezza del bilanciamento effettuato dal Governo, attraverso le misure prescritte dal d.interm. 12 settembre 2023, nello specifico caso oggetto del procedimento a quo – che questa Corte è, oggi, chiamata a pronunciarsi”. Tuttavia, proprio con riferimento alle suddette misure di bilanciamento, aggiunge significativamente che si tratta di misure individuate da un provvedimento che resta di natura amministrativa, e come tale soggetto agli ordinari controlli giurisdizionali sotto il profilo della sua legittimità, per cui, tra l’altro, la loro adozione deve essere preceduta … da adeguata attività istruttoria, e dovrà essere sorretta da una congrua motivazione, che dia conto tra l’altro delle risultanze dell’istruttoria, ai sensi di quanto previsto in via generale dall’art. 3, comma 1, della legge 7 agosto 1990, n. 241, concludendo, infine, che “l’effettiva osservanza delle misure medesime dovrà essere adeguatamente verificata, con le modalità indicate nello stesso provvedimento governativo, attraverso il costante monitoraggio da parte delle autorità competenti ai sensi della legislazione ambientale in vigore”.

Insomma, sembra di capire che, se da un lato il giudice deve dare attuazione a queste misure governative, dall’altro, trattandosi di provvedimento amministrativo, deve anche verificare la loro legittimità alla luce della legge n. 241 sul procedimento amministrativo (in particolare, adeguata attività istruttoria, congrua motivazione sui presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione in relazione alle risultanze dell’istruttoria, partecipazione delle autorità locali ecc.). Con la conseguenza -aggiungiamo noi- che, ai sensi dell’art. 5, legge. n. 2248/1865, all. E, potrà disapplicare tale provvedimento qualora lo ritenesse non conforme alla legge. Tanto più che proprio la Corte, come si è detto, sottolinea che il nuovo testo dell’art. 41 della Costituzione vieta che l’iniziativa economica privata si svolga in modo da recare danno alla salute o all’ambiente: e nessuna misura potrebbe legittimamente autorizzare un’azienda a continuare a svolgere stabilmente la propria attività in contrasto con tale divieto.

I difficili equilibrismi della Corte costituzionale

Francamente, a questo punto, l’unica cosa chiara, a nostro sommesso avviso, è che, purtroppo, questa sentenza non risolve ma accresce i dubbi e le perplessità bene esplicitate nell’ordinanza di rimessione. Proprio come era avvenuto per l’analoga vicenda dell’Ilva di Taranto quando la Corte costituzionale fu chiamata in causa sempre in relazione al contrasto tra esigenze dell’economia e diritto alla salute, emettendo due sentenze che dicono e non dicono. In estrema sintesi, in quell’occasione, con la sentenza n. 85 del 2013 la Corte aveva risolto il conflitto tra questi diritti parlando di “un ragionevole bilanciamento tra diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione, in particolare alla salute (art. 32 Cost.), da cui deriva il diritto all’ambiente salubre, e al lavoro (art. 4 Cost.), da cui deriva l’interesse costituzionalmente rilevante al mantenimento dei livelli occupazionali ed il dovere delle istituzioni pubbliche di spiegare ogni sforzo in tal senso”, precisando che “la qualificazione come “primari” dei valori dell’ambiente e della salute significa pertanto che gli stessi non possono essere sacrificati ad altri interessi, ancorché costituzionalmente tutelati, non già che gli stessi siano posti alla sommità di un ordine gerarchico assoluto2. Salvo poi, con la sentenza n. 58 del 2018 affermare che “il sacrificio di tali fondamentali valori tutelati dalla Costituzione porta a ritenere che la normativa impugnata non rispetti i limiti che la Costituzione impone all’attività d’impresa la quale, ai sensi dell’art. 41 Cost., si deve esplicare sempre in modo da non recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. Rimuovere prontamente i fattori di pericolo per la salute, l’incolumità e la vita dei lavoratori costituisce infatti condizione minima e indispensabile perché l’attività produttiva si svolga in armonia con i principi costituzionali, sempre attenti anzitutto alle esigenze basilari della persona”.

Rinviando ad altri scritti per approfondimenti3, appare sufficiente, in questa sede, evidenziare che, a nostro sommesso avviso, le argomentazioni della Corte circa “bilanciamenti”, “equilibrio”, “diritti tiranni” sono certamente accettabili se si vuole significare che, in caso di contrasto, la prevalenza del diritto alla salute comporta sempre, comunque, che l’eventuale sacrificio di altri diritti venga attentamente vagliato attraverso tutte le opzioni ipotizzabili nel caso concreto e, se non c’è altra scelta (cioè nessun bilanciamento è possibile), venga ridotto al minimo. Ma altrettanto certamente non sembra accettabile una conclusione che legittimi, come fece la sentenza del 2013, la prosecuzione da subito di una attività già accertata essere micidiale per la salute di lavoratori e cittadini, a fronte di prescrizioni rivolte per il futuro (entro 36 mesi) ad una azienda che già in passato le aveva eluse, così come non ci sembra possa essere accolta la sostanza del ragionamento della Corte del 2018 secondo la quale l’interesse alla prosecuzione dell’attività produttiva può essere privilegiato sul diritto alla salute purché tale privilegio non sia “eccessivo” e il diritto alla salute non venga “trascurato del tutto”.

In sostanza, quindi, appare del tutto evidente -e ancor più alla luce delle recenti modifiche costituzionali- che l’art. 41 della Costituzione non contiene e non autorizza alcun compromesso più o meno eccessivo né che il diritto alla salute possa essere trascurato moderatamente o per un periodo di tempo circoscritto.

  1. La conferma della Corte europea del 25 giugno 2024

Infine, proprio in questi giorni è stata pubblicata -sempre a proposito dell’Ilva- la sentenza della Corte europea di Giustizia, Grande Sezione, del 25 giugno 2024, la quale sconfessa decisamente gli equilibrismi del nostro legislatore e della Corte costituzionale, ricordando, tra l’altro, opportunamente che la normativa europea dispone che, laddove la violazione delle condizioni di autorizzazione presenti un pericolo immediato per la salute umana» o minacci di provocare ripercussioni serie ed immediate sull’ambiente e sino a che la conformità non venga ripristinata, è sospeso l’esercizio dell’installazione interessata; che, in ogni caso è necessaria una valutazione preventiva del rischio sanitario e che, qualora tale valutazione dia risultati in termini di inaccettabilità del rischio sanitario per una popolazione significativa interessata da emissioni inquinanti, l’autorizzazione di cui trattasi deve essere rivista in tempi brevi; che spetta al giudice del rinvio valutare se le norme speciali adottate nei confronti dello stabilimento Ilva abbiano avuto l’effetto di differire eccessivamente, al di là di tale periodo transitorio nonché del termine di cui all’articolo 21, paragrafo 3, della direttiva 2010/75, l’attuazione delle misure necessarie per conformarsi all’autorizzazione integrata ambientale del 2011, tenuto conto del grado di gravità dei danni causati all’ambiente e alla salute umana che sono stati individuati, ma, in ogni caso, la direttiva 2010/75 deve essere interpretata nel senso che essa osta a una normativa nazionale ai sensi della quale il termine concesso al gestore di un’installazione per conformarsi alle misure di protezione dell’ambiente e della salute umana previste dall’autorizzazione all’esercizio di tale installazione è stato oggetto di ripetute proroghe, sebbene siano stati individuati pericoli gravi e rilevanti per l’integrità dell’ambiente e della salute umana.

Molti anni fa la Cassazione a sezioni unite scrisse che “il bene della salute… è assicurato all’uomo come uno ed anzi il primo dei diritti fondamentali anche nei confronti dell’Autorità pubblica, cui è negato in tal modo il potere di disporre di esso… Nessun organo di collettività neppure di quella generale e del resto neppure l’intera collettività generale con unanimità di voti potrebbe validamente disporre per qualsiasi motivo di pubblico interesse della vita o della salute di un uomo o di un gruppo minore…”. (sentenza cd. “Corasaniti” n. 5172 del 6 ottobre 1979).

Vogliamo ancora parlare di “bilanciamenti”?


  1. <<Nel merito delle misure adottate, è evidente che il decreto consente l’immissione di reflui, sottolinea la Procura, “connotati da percentuali di inquinanti di gran lunga superiori ai limiti di legge”. Mentre nel caso degli scarichi di Priolo Servizi, addirittura il decreto omette di determinare i limiti per parametri come idrocarburi totali, fenoli e solventi organici aromatici. Aggiungendo che “manca infine l’indicazione delle modalità di monitoraggio ambientale (nonostante l’allarme di ISPRA sulle difficoltà di effettuare i controlli previsti) e di sanzioni in caso di violazione delle misure di supposto bilanciamento.”>>↩︎
  2. E’ appena il caso di notare che, ovviamente, nel 2013 la Corte si riferiva all’art. 41 Cost. prima delle modifiche del 2022.↩︎
  3. Ci permettiamo rinviare, anche per richiami e citazioni, al nostro Ilva e il diritto alla salute. La Corte costituzionale ci ripensa? in Questione Giustizia, 10 aprile 2018↩︎