SANITA\' PUBBLICA - IN GENERE -
Inquinamento atmosferico - Reati di cui al d.p.R. n. 203 del 1988 - Natura permanente o meno - Orientamento di giurisprudenza.
Testo del Documento
Rel. n. 80/2006 Roma, 7 novembre 2006
OGGETTO: SANITA\' PUBBLICA - IN GENERE - Inquinamento atmosferico -
Reati di cui al d.p.R. n. 203 del 1988 - Natura permanente o meno -
Orientamento di giurisprudenza.
RIF. NORM.: D.P.R. 24 maggio 1988, n. 203; D.Lgs. 3 aprile 2006, n.
152.
Premessa
Le principali cause di inquinamento dell\'aria (recte:
dell\'atmosfera) vengono generalmente ricondotte a tre fonti: le
emissioni da autoveicoli, quelle da impianti termici e quelle da
attivita\' produttive. Tripartizione, questa, avvalorata dalla
normazione specifica adottata successivamente alla prima legge
organica nazionale in materia, la legge 13 luglio 1966, n. 615,
Provvedimenti contro l\'inquinamento atmosferico, il cui art. 1 ne
prevedeva l\' applicazione alla "emissione in atmosfera di fumi,
polveri, gas e odori di qualsiasi tipo atti ad alterare le normali
condizioni di salubrita\' dell\'aria ed a costituire, pertanto,
pregiudizio diretto o indiretto alla salute dei cittadini e danno ai
beni pubblici o privati".
L\'attuazione dei principi e delle disposizioni contenuti nella legge
n. 615 veniva fornita dal d.p.R. 22 dicembre 1970 n. 1391, per
quanto riguardava gli impianti termici, dal d.p.R. 15 aprile 1971 n.
322 per il settore industriale, e dal d.p.R. 22 febbraio 1971 n. 323
per i veicoli a motore.
Piu\' in particolare, la parte della legge 615 dedicata ai veicoli a
motore (capo VI) risulta abrogata dall\'art. 231 del D.Lgs. 30 aprile
1992, n. 285, nuovo codice della strada, piu\' volte modificato,
anche di recente1; gli impianti termici venivano disciplinati dai
capi II, III e IV, unitamente al richiamato d.p.R. n. 13912; le
emissioni degli impianti industriali trovavano la loro
regolamentazione nel capo V (artt. 20 e 21), ove si prevedeva che
tutti gli stabilimenti industriali dovessero dotarsi di "impianti,
installazioni o dispositivi tali da contenere, entro i piu\'
ristretti limiti che il progresso della tecnica consenta, la
emissione di fumi o gas o polveri o esalazioni".
Ma soltanto con il d.p.R. 24 maggio 1988, n. 203, "Attuazione delle
direttive CEE 80/779, 82/884, 84/360 e 85/203, concernenti norme in
materia di qualita\' dell\'aria, relativamente a specifici agenti
inquinanti, e di inquinamento prodotto dagli impianti industriali,
ai sensi dell\'art. 15 della legge 16 aprile 1987, n. 183", che
regolamenta ogni tipo di impianto idoneo a causare emissioni
nell\'atmosfera, si e\' giunti ad una sistemazione organica della
materia.
Il quadro normativo previsto dal d.p.R. 203 del 1988
Con il d.p.R. 24 maggio 1988 n. 203, veniva data attuazione a
quattro Direttive CEE (80/779, 82/884, 84/360 e 85/203), concernenti
norme in materia di qualita\' dell\'aria, relativamente a specifici
agenti inquinanti, e di inquinamento prodotto dagli impianti
industriali, ai sensi dell\'art. 15 della legge 16 aprile 1987, n.
183 (relativa al coordinamento delle politiche comunitarie e
adeguamento dell\'ordinamento interno agli atti normativi
comunitari), che al comma primo disponeva che "Il Governo e\'
delegato ad emanare, entro il termine di dodici mesi dall\'entrata in
vigore della presente legge, con decreti aventi forza di legge, le
norme necessarie per dare attuazione alle direttive della Comunita\'
economica europea indicate negli elenchi "B" e "C" allegati alla
presente legge". Nel lungo elenco di disposizioni comunitarie delle
quali veniva disposta l\'attuazione erano ricomprese, nell\'Allegato
3, le quattro Direttive sopra riportate:
- Direttiva 80/779 del Consiglio del 15 luglio 1980, relativa ai
valori limite e ai valori guida di qualita\' dell\'aria per l\'anidride
solforosa e le particelle in sospensione.
- Direttiva 82/884 del Consiglio del 3 dicembre 1982, concernente un
valore limite per il piombo contenuto nell\'atmosfera.
- Direttiva 84/360 del Consiglio del 28 giugno 1984, concernente la
lotta contro l\'inquinamento atmosferico provocato dagli impianti
industriali.
- Direttiva 85/203 del Consiglio del 7 marzo 1985, concernente le
norme di qualita\' atmosferica per il biossido di azoto.
La delega veniva esercitata con la elaborazione del d.p.R. n. 203,
che adottava un concetto di inquinamento atmosferico riferito ad
"ogni modificazione della normale composizione o stato fisico
dell\'aria atmosferica, dovuta alla presenza nella stessa di una o
piu\' sostanze in quantita\' e con caratteristiche tali da alterare le
normali condizioni ambientali e di salubrita\' dell\'aria; da
costituire pericolo ovvero pregiudizio diretto o indiretto per la
salute dell\'uomo; da compromettere le attivita\' ricreative e gli
altri usi legittimi dell\'ambiente; alterare le risorse biologiche e
gli ecosistemi ed i beni materiali pubblici e privati", con una
concezione integrata, ispirata non solo alla protezione della
risorsa naturale in se\', nella propria specificita\' naturale, ma
anche alla semplice modificazione o alterazione del normale stato
fisico naturale, stante il pericolo di effetti negativi sull\'uomo o
sulla natura.
Lo stesso d.p.R. stabiliva, con l\'art. 1, che fossero sottoposti
alla disciplina del decreto stesso "a) tutti gli impianti che
possono dar luogo ad emissione nell\'atmosfera", ma, con una
formulazione di derivazione comunitaria oggi comune ai singoli
interventi legislativi in materia ambientale, forniva le nozioni dei
termini utilizzati nella stessa fonte normativa e, per quello che
interessa in questa sede, precisava, con il successivo articolo 2
punto 9, che <
lo stabilimento o altro impianto fisso che serva per usi industriali
o di pubblica utilita\' e possa provocare inquinamento atmosferico,
ad esclusione di quelli destinati alla difesa nazionale>>.
Successivamente, con D.P.C.M. 21 luglio 1989 (emanato ai sensi
dell\'art. 9 della legge 8 luglio 1986 n. 349, istitutiva del
Ministero dell\'Ambiente), veniva approvato un "Atto di indirizzo e
coordinamento alle regioni per l\'attuazione e l\'interpretazione del
d.p.R. n. 203"; si tratta dell\'esercizio della generale funzione di
indirizzo, a livello statale, prevista nelle materie ambientali
dallo stesso art. 9 per "esigenze di carattere unitario anche in
riferimento agli obiettivi della programmazione economica nazionale
e dagli impegni derivanti dagli obblighi internazionali e
comunitari".
In questa occasione veniva affermato, nel punto relativo all\'ambito
di sua applicazione, che "il d.p.R. 203 del 1988 si applica agli
impianti industriali di produzione di beni o servizi, ivi compresi
gli impianti di imprese artigiane di cui alla L. 8 agosto 1985 n.
443, nonche\' agli impianti di pubblica utilita\'".
Questa ricostruzione normativa ha indotto un Autore3 ad osservare
che il d.p.R. n. 203, dovendo dare attuazione alle citate quattro
direttive sulla base della legge delega n. 183 del 1987, non avrebbe
potuto valicarne i limiti ricavabili dall\'ambito stesso delle
Direttive, riferentesi all\'inquinamento atmosferico provocato dagli
impianti industriali, cosi\' che, correttamente, l\'art. 2 del d.p.R.
203 definisce "impianto" lo stabilimento o altro impianto fisso che
serva per usi industriali o di pubblica utilita\', mentre
l\'operazione di estensione dell\'ambito operativo delle disposizioni
introdotte con il decreto in questione, per ragioni intuibili e
certamente condivisibili in linea generale, risulta effettuata con
un D.P.C.M. che secondo i principi generali sulla gerarchia delle
fonti non potrebbe ampliare il contenuto del provvedimento che e\'
chiamato a chiarire.
Pur tuttavia, la Corte di cassazione ha adottato e sostenuto una
linea interpretativa particolarmente ampia, precisando piu\' volte
che il legislatore non avesse inteso limitare la tutela della
salubrita\' dell\'aria ed il controllo delle emissioni atmosferiche
solo agli impianti definibili come industriali ai sensi dell\'art.
2195 del cod. civ., ma includendovi anche gli altri impianti non
industriali con potenziale inquinante uguale o maggiore, ed
attribuendo una portata generale all\'art. 1 del decreto che,
prevedendo la sottoposizione alla disciplina in lui contenuta di
tutti gli impianti che possono dar luogo ad emissione
nell\'atmosfera, non poteva essere limitato ai soli impianti
industriali (Sez. III, 23/5/2001 - 6/7/2001 n. 27366, Feletto e
altro, rv. 219986); cosi\' applicando la disciplina normativa a
tutti gli impianti destinati alla produzione, al commercio,
all\'artigianato ed ai servizi da cui derivasse anche soltanto
uno degli effetti contemplati dal decreto in esame (Sez. III,
11/12/1991-3/3/1992 n. 2321, Forte, rv. 189886).
In base a tale orientamento la disciplina del decreto n. 203 risulta
applicata in una serie di fattispecie esemplificative, e fra queste:
- agli impianti di frantumazione dei materiali di cava (Sez.
III, 7/10/1999 - 26/11/1999 n. 13534, Cipriani, rv. 214987) e/o
impianti di selezione e lavaggio dei materiali di cava, in quanto
suscettibili di emanare polveri e fumi (Sez. III, 13/10/1995 -
22/11/1995 n. 11334, Morelli e altro, rv. 203266), anche se piu\' di
recente la Corte ha escluso la applicabilita\' della normativa de
qua alle immissioni provocate da un fronte di cava in quanto
non tecnicamente convogliabili (Sez. III, 23/01/2004 - 3/3/2004 n.
9757, P.M. in proc. Pannone, rv. 228009);
- alle officine di autoverniciatura (Sez. III, 27/06/2001 -
21/09/2001 n. 34378, Trovato, rv. 220195), considerate in una
occasione (Sez. III, 11/01/1999 - 19/02/1999 n. 3, Alfonso, rv.
213002) non rientranti ne\' tra le attivita\' a ridotto inquinamento
atmosferico previste dal punto 19 del D.P.C.M. 21 luglio 1989, ne\'
tra le attivita\' i cui impianti provocano inquinamento atmosferico
poco significativo, previste dal punto 25 dello stesso D.P.C.M.,
come modificato dal d.p.R. 25 luglio 1991 (Sez. III, 27/11/2003 -
20/01/2004 n. 978, Marino, rv. 227181), e diversamente considerate
in altra occasione rientranti tra le attivita\' a ridotto
inquinamento (Sez. III, 20/12/2002 - 27/01/2003 n. 3880, Cardillo,
rv. 224180). Peraltro, nelle prime due citate decisioni si afferma
esplicitamente l\'estensione dell\'ambito di applicabilita\' del d.p.R.
n. 203 agli impianti di imprese artigiane e di servizi ad opera del
d.p.c.m. del 1989, e per le quali risultano introdotte in alcuni
casi procedure diversificate rispetto al disposto generale del
d.p.R. n. 203;
- ad un impianto di torrefazione di caffe\' grezzo qualificato, in
caso di produzione non superiore a 450 kg giornalieri, come
"attivita\' a ridotto inquinamento atmosferico" (Sez. III, 18/10/1996
- 19/11/1996 n. 9855, Carini, rv. 206477);
- alle emissioni tramite ventilatori dell\'aria interna di un
capannone destinato all\'allevamento di conigli, considerato
idoneo ad alterare la temperatura e lo stato fisico
dell\'atmosfera circostante, oltre che potenziale veicolo di
diffusione all\'esterno di residui organici, pelo e simili, con
proprieta\' irritanti ed allergizzanti (Sez. III, 12/04/1996 -
7/06/1996 n. 5702, P.M. in proc. Mazzi, rv. 205270).
A fronte di tale quadro, che va a costituire il "diritto vivente",
non si rinvengono in giurisprudenza e in dottrina particolari
approfondimenti sul tema, se non, come ricordato in precedenza, in
Sez. III, n. 9757/2004, ric. P.M. in proc. Pannone, che peraltro
contesta l\'applicazione generalizzata della disciplina del d.p.R. n.
203, basandosi nel caso di specie sulla impossibilita\' di
considerare convogliabili le polveri prodotte da un fronte di cava.
Sul punto la Corte, chiamata a valutare la posizione processuale dei
dirigenti del reparto parchi minerali di un grosso insediamento
industriale, con decisione assunta nella pubblica udienza del 28
settembre 2005, e depositata il 24 ottobre 2005, n. 38936, Riva ed
altro, rv. 232360, ha affermato che "l\'inquinamento atmosferico
disciplinato dal d.p.R. n. 203 del 1988 ricomprende quello
ingenerato da tutti gli impianti destinati alla produzione, al
commercio, all\'artigianato ed ai servizi dai quali derivi anche uno
solo degli effetti contemplati dal citato d.p.R., ovvero una
alterazione delle normali condizioni ambientali o delle risorse
biologiche e della salubrita\' dell\'aria".
Quasi contestualmente, con altra decisione, questa volta relativa ad
una imputazione elevata al responsabile di un frantoio oleario per
le emissioni conseguenti all\'uso di una caldaia alimentata a sansa,
esausta ed utilizzata per il riscaldamento dell\'acqua impiegata nel
ciclo produttivo, redatta da un diverso estensore, la Corte e\' stata
ancora piu\' esplicita affermando che "l\'inquinamento atmosferico
disciplinato dal D.P.R. n. 203 del 1988 non e\' limitato alla
salubrita\' dell\'aria ed al controllo delle emissioni atmosferiche
originate dai soli impianti qualificabili quali industriali ai sensi
dell\'art. 2195 c.c., ma si estende a qualsiasi impianto che puo\'
dare luogo ad emissioni nell\'atmosfera, ai sensi dell\'art. 1 del
citato decreto n. 203" (Sez. III, 30 settembre 2005, dep. 11
novembre 2005, n. 40944, Belcastro, rv. 232361).
Anche la dottrina sembra avere preso atto4 dell\'opera di
integrazione effettuata con il D.P.C.M. 21/07/1989, pur nella
consapevolezza della originaria riferibilita\' agli impianti
industriali del d.p.R. n. 2035, con la introduzione delle sopra
ricordate categorie delle attivita\' i cui impianti provocano un
ridotto inquinamento atmosferico (punto 19 del D.P.C.M.) o un
inquinamento atmosferico poco significativo (punto 25 del D.P.C.M.)6
e la successiva introduzione di procedure semplificate (ex D.P.R. 25
luglio 1991 per l\'indirizzo ed il coordinamento dell\'attivita\'
amministrativa delle Regioni) per queste ultime.
Il sistema autorizzatorio e sanzionatorio nel d.p.R. n. 203 del 1988
Il sistema autorizzatorio e sanzionatorio era contenuto negli artt.
6, 24, 25 e 26, e, in particolare, le ipotesi riportate negli artt.
24 e 25 si riferivano agli impianti nuovi e a quelli esistenti, la
cui differenziazione e\' venuta meno per la scadenza dei termini
"transitori", residuando la disciplina del solo comma sesto
dell\'art. 25, riferibile anche agli impianti nuovi.
Ai sensi dell\'art. 6, "per la costruzione di un nuovo impianto deve
essere presentata domanda di autorizzazione alla Regione o alla
Provincia autonoma competente, corredata dal progetto nel quale sono
comunque indicati il ciclo produttivo, le tecnologie adottate per
prevenire l\'inquinamento, la quantita\' e la qualita\' delle emissioni
nonche\' il termine per la messa a regime degli impianti".
Le fattispecie vengono delineate nel successivo art. 24, per il
quale:
1. Chi inizia la costruzione di un nuovo impianto senza
l\'autorizzazione, ovvero ne continua l\'esercizio con autorizzazione
sospesa, rifiutata, revocata, ovvero dopo l\'ordine di chiusura
dell\'impianto, e\' punito con la pena dell\'arresto da due mesi a due
anni e dell\'ammenda da euro 258 a euro 1032. 7
2. Chi attiva l\'esercizio di un nuovo impianto senza averne dato,
nel termine prescritto, comunicazione preventiva alle autorita\'
competenti e\' punito con l\'arresto sino ad un anno o con l\'ammenda
sino a euro 1032.
3. Chi omette di comunicare alla regione, nel termine con
riferimento al periodo prescritto, i dati relativi alle emissioni,
effettuate a partire dalla data di messa a regime degli impianti, e\'
punito con l\'arresto sino a sei mesi o con l\'ammenda sino a euro
1032.
4. Chi, nell\'esercizio di un nuovo impianto, non osserva le
prescrizioni dell\'autorizzazione o quelle imposte dall\'autorita\'
competente nell\'ambito dei poteri ad essa spettanti, e\' punito con
l\'arresto sino ad un anno o con l\'ammenda sino a euro 1032.
5. Alla pena prevista dal comma 4 soggiace chi nell\'esercizio di un
nuovo impianto non rispetta i valori limite di emissione stabiliti
direttamente dalla normativa statale e regionale.
6. Nei casi previsti dai commi 4 e 5 si applica sempre la pena
dell\'arresto sino ad un anno se il superamento dei valori limite di
emissione determina il superamento dei valori limite di qualita\'
dell\'aria.
Nel successivo art. 25, comma 6, si prevede che "Chi esegue la
modifica o il trasferimento dell\'impianto senza l\'autorizzazione
prescritta dall\'art. 13 (recte 15) e\' punito, nel primo caso, con
l\'arresto sino a sei mesi o con l\'ammenda sino a euro 1.032, e, nel
secondo, con l\'arresto sino a due anni o con l\'ammenda da euro 258 a
euro 1.032" (che si riferisce sia gli impianti esistenti che a
quelli nuovi).
Il reato di cui all\'art. 24, comma 1, "costruzione di nuovo impianto
senza autorizzazione", e\' pacificamente ritenuto in giurisprudenza
quale reato permanente, la cui permanenza dura fino al rilascio
della prescritta autorizzazione, in quanto finalizzato alla tutela
della qualita\' dell\'aria e l\'autorizzazione costituisce mezzo di
controllo preventivo sugli impianti inquinanti onde verificare la
tollerabilita\' delle emissioni e l\'adozione di appropriate misure di
prevenzione dell\'inquinamento atmosferico, cosi\' che il reato
permane finche\' il competente ente territoriale non abbia effettuato
tale controllo.
Sulla natura del reato di cui all\'art. 24, comma 2, "attivazione
dell\'esercizio di nuovo impianto senza la preventiva comunicazione",
sussistono valutazioni differenti sulla possibilita\' di ritenerlo o
meno permanente, e sul punto si rinvia allo specifico paragrafo.
Sulla natura del reato di cui all\'art. 24, comma 3, "omessa
comunicazione dei dati relativi alle emissioni", sussistono
valutazioni differenti sulla possibilita\' di ritenerlo o meno
permanente, e sul punto si rinvia allo specifico paragrafo.
Per quanto attiene al reato di cui all\'art. 24, comma 4,
inosservanza delle prescrizioni dell\'autorizzazione, fra le
"prescrizioni" la cui inosservanza da\' luogo a sanzione penale,
possono ricomprendersi anche quelle che impongano adempimenti
prodromici alla messa in esercizio del nuovo impianto, in funzione
di una preventiva verifica delle condizioni ambientali esistenti nel
luogo in cui l\'impianto stesso dovra\' essere attivato. In tal caso,
pero\', il reato si perfeziona e si esaurisce all\'atto in cui
l\'attivazione ha effettivamente luogo (Sez. III, 20 gennaio 2006 n.
4514, Rapotan, rv. 233107).
Come precisato dalla giurisprudenza, il concetto di costruzione di
un nuovo impianto va distinto da quello di attivazione
dell\'esercizio dell\'impianto stesso, con la conseguente possibilita\'
di concorso della due diverse figure di reato di cui ai commi 1 e 2
dell\'art. 24, come affermato da Sez. III, 30 luglio 1994, n. 8703,
Botta, rv. 199415, per la quale <
sottopone a preventivo controllo nella forma di una autorizzazione
regionale espressa e specifica l\'inizio della "costruzione" di un
nuovo impianto e distingue tale momento da quello dell\'attivazione
dell\'"esercizio" egualmente soggetto a controllo regionale>>.
Il contrasto maggiore appare sussistere con riferimento all\'ipotesi
di cui all\'art. 25, comma 6, di cui in prosieguo.
Modifica e trasferimento di impianto senza autorizzazione: natura
istantanea o permanente del reato di cui all\'art. 25, comma 6,
d.p.R. n. 203 del 1988.
L\'esame di una decisione della Corte, assunta nella pubblica udienza
del 28 dicembre 2005, e depositata il 9 febbraio 2006, n. 4326,
Fabris, rv. 233301, nella quale si afferma che "il reato di cui agli
artt. 15 e 25, comma 6, D.P.R. n. 203 del 1988 ha natura di reato
permanente, per il quale la consumazione si protrae sino alla
conclusione del procedimento di controllo ed al rilascio della
autorizzazione"8 ha determinato l\'Ufficio del Massimario a redigere
la segnalazione n. 37 del 4 maggio 2006 sulla natura del reato di
esecuzione senza autorizzazione di modifiche sostanziali di un
impianto con emissioni nell\'atmosfera o trasferimento dello stesso
in altra localita\', previsto dal combinato disposto degli art. 15 e
25, comma 6, del D.P.R. 24 maggio 1988 n. 203.
Secondo l\'art. 15 "Sono sottoposte a preventiva autorizzazione: a)
la modifica sostanziale dell\'impianto che comporti variazioni
qualitative e/o quantitative delle emissioni inquinanti; b) il
trasferimento dell\'impianto in altra localita\'". Comportamenti
sanzionati dal successivo art. 25, comma 6, che prevede che "Chi
esegue la modifica o il trasferimento dell\'impianto senza
l\'autorizzazione prescritta dall\'art. 13 (recte 15)9 e\' punito, nel
primo caso, con l\'arresto sino a sei mesi o con l\'ammenda sino a
euro 1.032, e, nel secondo, con l\'arresto sino a due anni o con
l\'ammenda da euro 258 a euro 1.032" (la sanzione in caso di
trasferimento e\' identica a quella prevista nel comma 1 dello stesso
articolo 25, per il caso di prosecuzione di impianto esistente senza
la presentazione della domanda di autorizzazione).
In primis va ricordato come il punto 21 del D.P.C.M. 21 luglio 1989
precisi come "devono ritenersi sottoposte a preventiva
autorizzazione la realizzazione di strutture e le modifiche
strutturali del ciclo produttivo inerenti al singolo impianto che
comportino variazioni qualitative delle emissioni inquinanti ovvero
aumento significativo delle emissioni gia\' prodotte", in relazione
al quale si e\' ritenuto in dottrina10 che non sarebbero soggette ad
autorizzazione le modifiche con variazioni migliorative degli
impianti.
A fronte di tale quadro normativo, la giurisprudenza di legittimita\'
ha sostenuto con un primo orientamento che il reato in esame avesse
natura istantanea anche se con effetti eventualmente permanenti, in
caso di utilizzazione dell\'impianto modificato o spostato, e per il
quale la consumazione coinciderebbe con la data di realizzazione
delle modifiche (o dello spostamento): in questo senso, Sez. III, 15
marzo 2000, dep. 4 maggio 2000, n. 5207, Murri, rv. 21606811. Su
questa linea, Sez. III, 21 febbraio 2001, dep. 6 aprile 2001, n.
13992, Uva, rv. 218775, ha ulteriormente qualificato il reato come a
condotta mista (omissivo-commissiva) anche se con effetti
permanenti, consistenti nella mancata conoscenza delle
caratteristiche dell\'impianto e/o della relativa sua ubicazione (cd.
informazione ambientale) da parte dell\'autorita\' amministrativa,
effetti che cesserebbero o per ottemperanza tardiva dell\'agente
oppure per la conoscenza che l\'amministrazione ne abbia comunque
avuto12.
Diversamente, gia\' in precedenza si era pronunciata per la natura
permanente del reato Sez. III, 18 novembre 1997, dep. 18 dicembre
1997, n. 11836, Pasini, rv. 209339, per la quale la modifica
dell\'impianto costituisce soltanto il momento iniziale della
consumazione che si protrarrebbe sino alla conclusione del
procedimento di controllo ed al rilascio dell\'autorizzazione (o in
alternativa con la desistenza dal comportamento mediante il
ripristino della situazione precedente)13. Una interpretazione
condivisa successivamente da Sez. III, 27 marzo 2002, dep. 14 maggio
2002, n. 18198, Pinori, rv. 22195514, e, piu\' di recente, da Sez.
III, 12 febbraio 2004, dep. 18 marzo 2004 , n. 13204, Merico, rv.
2275715.
L\'orientamento in questione si ricollega alle valutazioni sul ruolo
che in materia ambientale svolge l\'autorizzazione, ovvero non
soltanto quello di rimozione di un ostacolo all\'esercizio di alcune
facolta\', attraverso la funzione abilitativa, ma altresi\' quella di
controllo del rispetto della normativa e degli standard di settore,
consentendo il cd. monitoraggio ecologico, cosi\' che l\'omessa
valutazione della P.A. impedirebbe quella conoscenza ed informazione
ambientale, e quel controllo sull\'attivita\' cui sono deputati il
procedimento autorizzatorio e le relative sanzioni in caso di
disobbedienza a questi precetti, comportando percio\' una effettiva
conseguenza pericolosa, e cio\' sul presupposto che conoscenza ed
informazione si presentano quali strumenti necessari per la
prevenzione e la tutela del bene finale (in questo caso, l\'aria).
La decisione assunta sul finire dello scorso anno dalla Corte di
legittimita\' sollecita a una riflessione sistematica che parte dalla
comparazione dell\'ipotesi di costruzione di nuovo impianto (senza
autorizzazione) con quella di trasferimento dell\'impianto (senza
autorizzazione), sino a quella di modifica (senza autorizzazione),
per le quali e\' prevista una graduazione sanzionatoria discendente,
sostenuta da adeguata coerenza logica (arresto da due mesi a due
anni o ammenda da euro 258 a euro 1.032 nel primo caso, arresto sino
a due anni o ammenda da euro 258 a euro 1.032 nel secondo caso,
arresto sino a sei mesi o ammenda sino a euro 1.032 nella terza
ipotesi).
La modifica sostanziale, ed ancor piu\' il trasferimento,
dell\'impianto sembrano porsi nella medesima logica di tutela della
costruzione o attivazione di nuovo impianto senza la prescritta
autorizzazione, in quanto le tre previsioni sono tutte finalizzate
alla tutela della qualita\' dell\'aria e l\'autorizzazione costituisce
mezzo di controllo preventivo sugli impianti inquinanti onde
verificare la tollerabilita\' delle emissioni e l\'adozione di
appropriate misure di prevenzione dell\'inquinamento atmosferico,
sicche\' sembrerebbe corretto ritenere che il reato permanga finche\'
il competente ente territoriale non abbia effettuato tale controllo.
Attivazione di nuovo impianto in difetto di comunicazione preventiva
nel termine prescritto e omessa comunicazione, sempre entro il
termine prescritto, dei dati relativi alle emissioni.
La questione sopra illustrata presenta punti di contatto con quella
ulteriore sulla natura delle fattispecie previste dai commi 2 e 3
dell\'art. 24 (Attivazione di nuovo impianto in difetto di
comunicazione preventiva nel termine prescritto e omessa
comunicazione, sempre entro il termine prescritto, dei dati relativi
alle emissioni).
Infatti, anche in relazione a tali fattispecie, sussistono discrasie
nella giurisprudenza della terza sezione, essendosene da un lato
affermata la natura permanente da Sez. III, 29 novembre 1994, dep.
21 dicembre 1994 n. 12710, D\'Alessandro, rv. 200951, sul presupposto
che la comunicazione di messa in esercizio dell\'impianto (cosi\' come
le ulteriori comunicazioni richieste in tema di dati relativi alle
emissioni effettuate) viene collegata temporalmente all\'esperimento
dell\'accertamento previsto dall\'art. 8, ultimo comma, stesso d.P.R.
n. 203 del 1988, affermandosi conseguentemente che il reato permane
finche\' il protrarsi dell\'omissione impedisce tale accertamento.
Si sostiene in pratica che il controllo della P.A. si articola in
due fasi: la prima nel momento autorizzativo, la seconda al momento
dell\'attivazione, attraverso la verifica della regolarita\' delle
misure e dei dispositivi di prevenzione dall\'inquinamento
effettivamente adottati.
Infatti, l\'art. 8 del d.p.r. n. 203 prevede che:
"L\'impresa, almeno quindici giorni prima di dare inizio alla messa
in esercizio degli impianti, ne da\' comunicazione alla Regione e al
Sindaco del comune o dei comuni interessati.
Entro quindici giorni dalla data fissata per la messa regime degli
impianti, l\'impresa comunica alla regione e ai comuni interessati i
dati relativi alle emissioni effettuate da tale data per un periodo
continuativo di dieci giorni.
Entro centoventi giorni dalla data indicata per la messa a regime
dell\'impianto, la regione deve accertare la regolarita\' delle misure
dei dispositivi di prevenzione dall\'inquinamento, nonche\' il
rispetto dei valori limite........".
Diversamente, Sez. III, 23 marzo 2005, dep. 13 maggio 2005 n. 17840,
Salerno, rv. 231647, ne ha escluso la natura di reato permanente sul
rilievo che il termine di quindici giorni previsto per la
comunicazione deve precedere l\'attivazione dell\'impianto e non e\'
previsto un adempimento postumo che porrebbe fine alla permanenza
del reato.
Questa opzione si fonda sul dato letterale della norma, per cui la
comunicazione non puo\' che essere preventiva e precedere
all\'attivazione del nuovo impianto, essendo tra l\'altro finalizzata
a provocare il controllo di cui allo stesso art. 8.
L\'entrata in vigore del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152.
Le riflessioni sopra sviluppate vanno oggi poste a confronto con le
nuove disposizioni introdotte con il decreto legislativo 3 aprile
2006 n. 152, entrato in vigore il 29 aprile 2006, ed elaborato a
seguito della Legge 15 dicembre 2004 n. 308 (meglio nota per le
integrazioni in tema di paesaggio e per il cd. condono
paesaggistico), con la quale il Governo e\' stato delegato a adottare
uno o piu\' decreti legislativi di riordino, coordinamento e
integrazione delle disposizioni in alcuni settori dell\'ambiente.
Una operazione nella quale si deve necessariamente tenere conto dei
tempi e delle modalita\' con le quali risulta predisposto il nuovo
testo legislativo, atteso che il Governo ha elaborato il dettato
definitivo in un arco di tempo (settembre 2005 - 29 marzo 2006),
notevolmente ristretto, con la ulteriore considerazione che il
competente Ministero ha, in tale spazio temporale, adottato 4
versioni dell\'articolato (ottobre 2004, come prima bozza, ed i
successivi testi approvati, con delibere del Consiglio dei Ministri,
del 18 novembre 2005, 19 gennaio, 10 febbraio 2006); un lavoro cui
vanno aggiunte le modifiche apportate a seguito delle osservazioni
svolte dal Capo dello Stato in data 20 marzo 2006, ed alle quali si
e\' risposto con il testo definitivo del 29 marzo 2006, giungendo
cosi\' alla firma del 3 aprile 2006 ed alla successiva pubblicazione
in data 14 aprile 2006 (cosi\' da determinare la sua entrata in
vigore dal 19 aprile 2006, quantomeno per la parte oggetto di esame).
La prima considerazione attiene alla nozione di inquinamento
atmosferico che, stranamente, si rinviene nell\'art. 183, relativo
alle definizioni della parte quarta del D.Lgs. n. 152 (norme in
materia di gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti inquinati),
ed ove si intende per inquinamento atmosferico "ogni modifica
atmosferica dovuta all\'introduzione nell\'aria di una o piu\' sostanze
in quantita\' e con caratteristiche tali da ledere o costituire un
pericolo per la salute umana o per la qualita\' dell\'ambiente oppure
tali da ledere i beni materiali o compromettere gli usi legittimi
dell\'ambiente".
Una seconda definizione viene fornita nell\'art. 268, questa volta
all\'interno della parte quarta, (Norme in materia di tutela
dell\'aria e di riduzione delle emissioni in atmosfera), ove alla
lett. a) si definisce inquinamento atmosferico "ogni modificazione
dell\'aria atmosferica, dovuta all\'introduzione nella stessa di una o
di piu\' sostanze in quantita\' e con caratteristiche tali da ledere o
da costituire un pericolo per la salute umana o per la qualita\'
dell\'ambiente, oppure tali da ledere i beni materiali o
compromettere gli usi legittimi dell\'ambiente".
Definizioni che vanno confrontate con quella precedente contenuta
nel d.p.R. n. 203, per la quale costituiva inquinamento atmosferico:
"ogni modificazione della normale composizione o stato fisico
dell\'aria atmosferica, dovuta alla presenza nella stessa di una o
piu\' sostanze in quantita\' e con caratteristiche tali da alterare le
normali condizioni ambientali e di salubrita\' dell\'aria; da
costituire pericolo ovvero pregiudizio diretto o indiretto per la
salute dell\'uomo; da compromettere le attivita\' ricreative e gli
altri usi legittimi dell\'ambiente; alterare le risorse biologiche e
gli ecosistemi ed i beni materiali pubblici e privati".
La seconda considerazione attiene al campo di applicazione delle
disposizioni in materia, la cui indicazione appare idonea a superare
i dubbi sopra riportati sul procedimento di estensione operato
successivamente al D.P.R. n. 203 del 1988, e cio\' in quanto l\'art.
267 ne prevede l\'applicazione agli impianti ed alle attivita\' che
producono emissioni nell\'atmosfera, e il successivo art. 268
definisce impianto "il macchinario o il sistema o l\'insieme di
macchinari o di sistemi costituito da una struttura fissa e dotato
di autonomia funzionale in quanto destinato ad una specifica
attivita\'" cosi\' che attraverso la mancata riproposizione delle
parole "che serva per usi industriali o di pubblica utilita\'",
l\'ambito di applicazione risulta coincidente con l\'elaborazione
giurisprudenziale richiamata ab initio.
Per quanto riguarda il sistema sanzionatorio, questo e\' contenuto
nell\'art. 279 del nuovo decreto, ed il confronto tra vecchia e nuova
disposizione consente di evidenziare che:
-la fattispecie di costruzione di nuovo impianto senza
l\'autorizzazione, prima prevista dall\'art. 24, comma 1, e\' ora
regolata dall\'art. 279, comma 1 parte prima;
-l\'attivazione dell\'esercizio di nuovo impianto senza comunicazione,
prima prevista dall\'art. 24, comma 2, e\' ora regolata dall\'art. 279,
comma 3;
-l\'omessa comunicazione dei dati relativi alle emissioni, prima
prevista dall\'art. 24, comma 3, e\' ora regolata dall\'art. 279, comma
4;
-l\'inosservanza delle prescrizioni dell\'autorizzazione, prima
prevista dall\'art. 24, comma 4, e\' ora regolata dall\'art. 279, comma
2;
-il mancato rispetto dei valori limite di emissione, prima prevista
dall\'art. 24, comma 5, e\' ora regolata dall\'art. 279, comma 2,
unitamente alla precedente fattispecie, con analoga previsione di
sanzionabilita\' solo con pena detentiva in caso di superamento dei
valori limite di qualita\' dell\'aria (prima art. 24, comma 6, ora
art. 279, comma 5);
-la modifica dell\'impianto senza autorizzazione, prima prevista
dall\'art. 25, comma 6, e\' ora regolata dall\'art. 279, comma 1 parte
seconda, con la specificazione e differenziazione sanzionatoria tra
modifica sostanziale e non sostanziale ed in assenza di riferimento
alla diversa ipotesi del trasferimento senza autorizzazione (che in
precedenza accompagnava nell\'art. 25, comma 6, quella della
modifica).
Le sanzioni rimangono identiche, in assenza di una delega sul punto
nella legge n. 308 del 2004, e si accompagnano ad altre ipotesi
"classiche" della legislazione ambientale, come il divieto di
aumento anche temporaneo delle emissioni nel periodo transitorio.
Tenendo presente la dedotta continuita\' normativa fra le previsioni
di cui al D.P.R. n. 203 del 1988 e le nuove disposizioni di cui al
D.Lgs. n. 152 del 2006, possono meglio affrontarsi alcune
riflessioni sulla natura, permanente o meno, dei reati in esame,
nelle quali si scontano, e si scontrano, ricostruzioni dogmatiche e
esigenze di gestione (dei tempi) del processo.
Da un lato, puo\' osservarsi come la formulazione di alcune ipotesi
di reato, attraverso l\'utilizzazione di espressioni quali "inizia la
costruzione" (art. 24, comma 1), "attiva l\'esercizio di un nuovo
impianto" (art. 24, comma 2), "omette di comunicare nel termine"
(art. 24, comma 3), "chi esegue la modifica o il trasferimento"
(art. 25, comma 6), farebbero pensare ad una natura istantanea dei
reati in questione.
E cio\' differentemente da quanto avviene per ipotesi pure articolate
nello stesso contesto, ma per le quali le formule utilizzate,
"continua l\'esercizio con autorizzazione sospesa, rifiutata, etc.."
(art. 24, comma 1, parte seconda), o "nell\'esercizio di un nuovo
impianto non osserva le prescrizioni" (art. 24, comma 4), possono
altrettanto legittimamente supportare una natura permanente del
reato, che si protrae sino alla cessazione della attivita\' illecita.
A queste osservazioni la giurisprudenza e, marginalmente, anche la
dottrina, ha risposto16, probabilmente condizionata dal tema della
prescrizione17, esaltando la lesione che tali comportamenti portano
all\'interesse della Pubblica Amministrazione al controllo di ogni
attivita\' incidente in senso lato sull\'ambiente, cosi\' protraendo la
consumazione sino al momento del controllo stesso (o della
cessazione dell\'attivita\').
Affermazioni alle quali si obietta che il reato permanente richiede
una tipicita\' in grado di perdurare nel tempo in modo immutato,
cosi\' che solo alle fattispecie, di cui agli artt. 24 D.P.R. n. 203
e 279 D.Lgs. n. 152, capaci di garantire un loro sviluppo temporale
potrebbe riconoscersi natura di reato permanente18.
Redattore: Alfredo Montagna
Il direttore
(Giovanni Canzio)
1In tale settore vanno ricordate le disposizioni in tema di
contenuto di piombo, di cui ai D.P.R. 10 marzo 1982 n. 485 e 28
maggio 1988 n. 214, e di benzene, di cui alla Legge 4 novembre 1997
n. 413, Misure urgenti per la prevenzione dell\'inquinamento
atmosferico da benzene, di biossido di carbonio; cosi\' come i D. M.
8 maggio 1995 e 16 marzo 2000, sul contenuto di zolfo, nonche\' il
D.P.C.M. 7 settembre 2001 n. 395, di recepimento della Direttiva
99/33/CE sulla riduzione di tale sostanza.
2 In tale settore assumono rilievo le disposizioni del D.P.R. 8
giugno 1982 n. 400, sulle caratteristiche dei combustibili
utilizzati per gli impianti termici, del D.P.R. 26 agosto 1993 n.
412, sulla progettazione, installazione, esercizio e manutenzione
degli impianti termini, e in parte del D.P.C.M. 8 marzo 2002,
disciplinante le caratteristiche dei combustibili rilevanti ai fini
dell\'inquinamento atmosferico.
3 C.M. Grillo, Che aria tira, il punto sull\'inquinamento
atmosferico, in RivistAmbiente, 202, 9, 971; nonche\' in Aria,
Encicl. Giur. Treccani, Aggiorn. XIV, 2006.
4 L. Ramacci, Manuale di autodifesa del cittadino, SE, 2003, pag..
253, e, in precedenza, Manuale di diritto penale dell\'ambiente,
Padova, 2001; C. Rapisarda Sassoon (a cura di), Manuale delle leggi
ambientali, Milano, 2002, p. 291;
5 P. Fimiani, Gli illeciti in materia di inquinamento, Il Sole 24
Ore, Milano, 2002, 601; Luca de Pauli, L\'ambito di applicazione del
d.p.r. 203 e dell\'art. 674 c.p., in Riv. giur. dell\'ambiente, 2003,
6, 1031; in precedenza, ma ancor prima della emanazione del d.p.c.m.
del 1989, si riferiva ai solo impianti industriali A. Albamonte,
Sistema penale ed ambiente, Cedam, Padova, 1989, 175.
6 I punti 25 e 26 del dpcm del 1989, come modificati ed integrati
dal d.p.r. 25/07/1991, dispongono che non sono soggette ad
autorizzazione le attivita\' i cui impianti provocano inquinamento
atmosferico poco significativo ai sensi dell\'art. 2, comma primo,
del d.p.r. n. 203; attivita\' da individuarsi ed individuate con il
successivo d.p.r. 25/07/1991 all\'Allegato I (per tali casi le
Regioni possono soltanto prevedere l\'obbligo per i titolari di
comunicare la sussistenza delle condizioni che consentono di
ritenere poco significative le emissioni). Lo stesso d.p.R. del 1991
ha individuato le attivita\' a ridotto inquinamento atmosferico,
specificando, ex art. 4, che trattasi di quelle i cui impianti
producono flussi di massa degli inquinanti inferiori a quelli
indicati nei decreti ministeriali riportanti le linee guida per il
contenimento delle emissioni ed i valori minimi di emissioni, cosi\'
come di quelle che utilizzano nel ciclo di produzione materie prime
ed ausiliarie che non superano i livelli fissati nell\'Allegato 2
(allegato che per ciascuna delle 27 attivita\' ivi previste
stabilisce il quantitativo giornaliero di prodotti utilizzabili per
essere ricompresa nel settore de qua).
7 La Corte Costituzionale, con sentenza 19 giugno-15 luglio 1997 n.
234, ha dichiarato l\'illegittimita\' costituzionale di questo comma
per eccesso di delega, ove non si prevede la pena alternativa.
8 La decisione ritiene che non vi siano ragioni per attribuire alla
contravvenzione de qua natura diversa da quella pacificamente
riconosciuta all\'ipotesi del comma primo dello stesso art. 24,
evidenziando come sussista analogia tra il rinvio del comma 1
all\'art. 6 e quello del comma 6 all\'art. 15, cosi\' che la modifica o
il trasferimento dell\'impianto non possono non essere posti in linea
con la sua costruzione, sia pure con regime sanzionatorio graduato.
9 Come precisato dalla Corte Costituzionale con la sentenza 13 -22
aprile 1992 n. 185, trattandosi di un errore materiale di redazione
del testo legislativo.
10 P. Fimiani, op. citata.
11 La decisione si limita a giustificare su tali presupposti la
scelta sulla natura del reato de quo.
12 In motivazione la Corte si pone il problema di una eventuale
permanenza sino al realizzarsi di una delle due condizioni sopra
riportate, ma non sembra operare una scelta per la mancanza di
interesse nel caso di specie, ove la prescrizione era pacificamente
decorsa anche aderendo ad una interpretazione diversa da quella
iniziale.
13 La Corte nell\'occasione ha ricordato come i requisiti costitutivi
del reato permanente debbano individuarsi nel carattere continuativo
ed unitario del protrarsi dell\'offesa scaturente dalla condotta
dell\'agente e nella sua persistenza volontaria che consente al
soggetto attivo dell\'illecito di porre fine in ogni momento alla
situazione offensiva, cosi\' che potendo il soggetto eliminare la
modifica dell\'impianto, richiedere l\'autorizzazione, sospendere
l\'attivita\', e\' a questi fatti che occorrerebbe attribuire rilevanza
ai fini della cessazione della condotta antidoverosa.
14 Che espressamente si rifa\' alle motivazioni della decisione
Pasini.
15 Anche se in assenza di ulteriori contributi all\'orientamento che
si dichiara di condividere.
16 G. Amendola- P. Dell\'Anno, La disciplina dell\'inquinamento
atmosferico, Jovene, Napoli, 1992; L. Ramacci, Manuale di diritto
penale dell\'ambiente, Cedam, 2003.
17A. Martini, Commento agli artt. 24, 25 e 26 d.p.r. n. 203 del
1988, in Commentario breve delle leggi penali complementari a cura
di F. Palazzo- C. Paliero, Cedam, 2003, 50.
18 F. Mucciarelli, Tutela dell\'aria dall\'inquinamento atmosferico ed
attuazione delle direttive comunitarie, in M. Siniscalco (a cura
di), Reati e illeciti amministrativi in materia di inquinamento,
Cedam, 1997, 324; R. Bartoli, Sulla struttura del reato permanente,
in Riv. it. dir. proc. pen., 2001, 137.
Rel. n. 80/2006 Roma, 7 novembre 2006
OGGETTO: SANITA\' PUBBLICA - IN GENERE - Inquinamento atmosferico -
Reati di cui al d.p.R. n. 203 del 1988 - Natura permanente o meno -
Orientamento di giurisprudenza.
RIF. NORM.: D.P.R. 24 maggio 1988, n. 203; D.Lgs. 3 aprile 2006, n.
152.
Premessa
Le principali cause di inquinamento dell\'aria (recte:
dell\'atmosfera) vengono generalmente ricondotte a tre fonti: le
emissioni da autoveicoli, quelle da impianti termici e quelle da
attivita\' produttive. Tripartizione, questa, avvalorata dalla
normazione specifica adottata successivamente alla prima legge
organica nazionale in materia, la legge 13 luglio 1966, n. 615,
Provvedimenti contro l\'inquinamento atmosferico, il cui art. 1 ne
prevedeva l\' applicazione alla "emissione in atmosfera di fumi,
polveri, gas e odori di qualsiasi tipo atti ad alterare le normali
condizioni di salubrita\' dell\'aria ed a costituire, pertanto,
pregiudizio diretto o indiretto alla salute dei cittadini e danno ai
beni pubblici o privati".
L\'attuazione dei principi e delle disposizioni contenuti nella legge
n. 615 veniva fornita dal d.p.R. 22 dicembre 1970 n. 1391, per
quanto riguardava gli impianti termici, dal d.p.R. 15 aprile 1971 n.
322 per il settore industriale, e dal d.p.R. 22 febbraio 1971 n. 323
per i veicoli a motore.
Piu\' in particolare, la parte della legge 615 dedicata ai veicoli a
motore (capo VI) risulta abrogata dall\'art. 231 del D.Lgs. 30 aprile
1992, n. 285, nuovo codice della strada, piu\' volte modificato,
anche di recente1; gli impianti termici venivano disciplinati dai
capi II, III e IV, unitamente al richiamato d.p.R. n. 13912; le
emissioni degli impianti industriali trovavano la loro
regolamentazione nel capo V (artt. 20 e 21), ove si prevedeva che
tutti gli stabilimenti industriali dovessero dotarsi di "impianti,
installazioni o dispositivi tali da contenere, entro i piu\'
ristretti limiti che il progresso della tecnica consenta, la
emissione di fumi o gas o polveri o esalazioni".
Ma soltanto con il d.p.R. 24 maggio 1988, n. 203, "Attuazione delle
direttive CEE 80/779, 82/884, 84/360 e 85/203, concernenti norme in
materia di qualita\' dell\'aria, relativamente a specifici agenti
inquinanti, e di inquinamento prodotto dagli impianti industriali,
ai sensi dell\'art. 15 della legge 16 aprile 1987, n. 183", che
regolamenta ogni tipo di impianto idoneo a causare emissioni
nell\'atmosfera, si e\' giunti ad una sistemazione organica della
materia.
Il quadro normativo previsto dal d.p.R. 203 del 1988
Con il d.p.R. 24 maggio 1988 n. 203, veniva data attuazione a
quattro Direttive CEE (80/779, 82/884, 84/360 e 85/203), concernenti
norme in materia di qualita\' dell\'aria, relativamente a specifici
agenti inquinanti, e di inquinamento prodotto dagli impianti
industriali, ai sensi dell\'art. 15 della legge 16 aprile 1987, n.
183 (relativa al coordinamento delle politiche comunitarie e
adeguamento dell\'ordinamento interno agli atti normativi
comunitari), che al comma primo disponeva che "Il Governo e\'
delegato ad emanare, entro il termine di dodici mesi dall\'entrata in
vigore della presente legge, con decreti aventi forza di legge, le
norme necessarie per dare attuazione alle direttive della Comunita\'
economica europea indicate negli elenchi "B" e "C" allegati alla
presente legge". Nel lungo elenco di disposizioni comunitarie delle
quali veniva disposta l\'attuazione erano ricomprese, nell\'Allegato
3, le quattro Direttive sopra riportate:
- Direttiva 80/779 del Consiglio del 15 luglio 1980, relativa ai
valori limite e ai valori guida di qualita\' dell\'aria per l\'anidride
solforosa e le particelle in sospensione.
- Direttiva 82/884 del Consiglio del 3 dicembre 1982, concernente un
valore limite per il piombo contenuto nell\'atmosfera.
- Direttiva 84/360 del Consiglio del 28 giugno 1984, concernente la
lotta contro l\'inquinamento atmosferico provocato dagli impianti
industriali.
- Direttiva 85/203 del Consiglio del 7 marzo 1985, concernente le
norme di qualita\' atmosferica per il biossido di azoto.
La delega veniva esercitata con la elaborazione del d.p.R. n. 203,
che adottava un concetto di inquinamento atmosferico riferito ad
"ogni modificazione della normale composizione o stato fisico
dell\'aria atmosferica, dovuta alla presenza nella stessa di una o
piu\' sostanze in quantita\' e con caratteristiche tali da alterare le
normali condizioni ambientali e di salubrita\' dell\'aria; da
costituire pericolo ovvero pregiudizio diretto o indiretto per la
salute dell\'uomo; da compromettere le attivita\' ricreative e gli
altri usi legittimi dell\'ambiente; alterare le risorse biologiche e
gli ecosistemi ed i beni materiali pubblici e privati", con una
concezione integrata, ispirata non solo alla protezione della
risorsa naturale in se\', nella propria specificita\' naturale, ma
anche alla semplice modificazione o alterazione del normale stato
fisico naturale, stante il pericolo di effetti negativi sull\'uomo o
sulla natura.
Lo stesso d.p.R. stabiliva, con l\'art. 1, che fossero sottoposti
alla disciplina del decreto stesso "a) tutti gli impianti che
possono dar luogo ad emissione nell\'atmosfera", ma, con una
formulazione di derivazione comunitaria oggi comune ai singoli
interventi legislativi in materia ambientale, forniva le nozioni dei
termini utilizzati nella stessa fonte normativa e, per quello che
interessa in questa sede, precisava, con il successivo articolo 2
punto 9, che <
o di pubblica utilita\' e possa provocare inquinamento atmosferico,
ad esclusione di quelli destinati alla difesa nazionale>>.
Successivamente, con D.P.C.M. 21 luglio 1989 (emanato ai sensi
dell\'art. 9 della legge 8 luglio 1986 n. 349, istitutiva del
Ministero dell\'Ambiente), veniva approvato un "Atto di indirizzo e
coordinamento alle regioni per l\'attuazione e l\'interpretazione del
d.p.R. n. 203"; si tratta dell\'esercizio della generale funzione di
indirizzo, a livello statale, prevista nelle materie ambientali
dallo stesso art. 9 per "esigenze di carattere unitario anche in
riferimento agli obiettivi della programmazione economica nazionale
e dagli impegni derivanti dagli obblighi internazionali e
comunitari".
In questa occasione veniva affermato, nel punto relativo all\'ambito
di sua applicazione, che "il d.p.R. 203 del 1988 si applica agli
impianti industriali di produzione di beni o servizi, ivi compresi
gli impianti di imprese artigiane di cui alla L. 8 agosto 1985 n.
443, nonche\' agli impianti di pubblica utilita\'".
Questa ricostruzione normativa ha indotto un Autore3 ad osservare
che il d.p.R. n. 203, dovendo dare attuazione alle citate quattro
direttive sulla base della legge delega n. 183 del 1987, non avrebbe
potuto valicarne i limiti ricavabili dall\'ambito stesso delle
Direttive, riferentesi all\'inquinamento atmosferico provocato dagli
impianti industriali, cosi\' che, correttamente, l\'art. 2 del d.p.R.
203 definisce "impianto" lo stabilimento o altro impianto fisso che
serva per usi industriali o di pubblica utilita\', mentre
l\'operazione di estensione dell\'ambito operativo delle disposizioni
introdotte con il decreto in questione, per ragioni intuibili e
certamente condivisibili in linea generale, risulta effettuata con
un D.P.C.M. che secondo i principi generali sulla gerarchia delle
fonti non potrebbe ampliare il contenuto del provvedimento che e\'
chiamato a chiarire.
Pur tuttavia, la Corte di cassazione ha adottato e sostenuto una
linea interpretativa particolarmente ampia, precisando piu\' volte
che il legislatore non avesse inteso limitare la tutela della
salubrita\' dell\'aria ed il controllo delle emissioni atmosferiche
solo agli impianti definibili come industriali ai sensi dell\'art.
2195 del cod. civ., ma includendovi anche gli altri impianti non
industriali con potenziale inquinante uguale o maggiore, ed
attribuendo una portata generale all\'art. 1 del decreto che,
prevedendo la sottoposizione alla disciplina in lui contenuta di
tutti gli impianti che possono dar luogo ad emissione
nell\'atmosfera, non poteva essere limitato ai soli impianti
industriali (Sez. III, 23/5/2001 - 6/7/2001 n. 27366, Feletto e
altro, rv. 219986); cosi\' applicando la disciplina normativa a
tutti gli impianti destinati alla produzione, al commercio,
all\'artigianato ed ai servizi da cui derivasse anche soltanto
uno degli effetti contemplati dal decreto in esame (Sez. III,
11/12/1991-3/3/1992 n. 2321, Forte, rv. 189886).
In base a tale orientamento la disciplina del decreto n. 203 risulta
applicata in una serie di fattispecie esemplificative, e fra queste:
- agli impianti di frantumazione dei materiali di cava (Sez.
III, 7/10/1999 - 26/11/1999 n. 13534, Cipriani, rv. 214987) e/o
impianti di selezione e lavaggio dei materiali di cava, in quanto
suscettibili di emanare polveri e fumi (Sez. III, 13/10/1995 -
22/11/1995 n. 11334, Morelli e altro, rv. 203266), anche se piu\' di
recente la Corte ha escluso la applicabilita\' della normativa de
qua alle immissioni provocate da un fronte di cava in quanto
non tecnicamente convogliabili (Sez. III, 23/01/2004 - 3/3/2004 n.
9757, P.M. in proc. Pannone, rv. 228009);
- alle officine di autoverniciatura (Sez. III, 27/06/2001 -
21/09/2001 n. 34378, Trovato, rv. 220195), considerate in una
occasione (Sez. III, 11/01/1999 - 19/02/1999 n. 3, Alfonso, rv.
213002) non rientranti ne\' tra le attivita\' a ridotto inquinamento
atmosferico previste dal punto 19 del D.P.C.M. 21 luglio 1989, ne\'
tra le attivita\' i cui impianti provocano inquinamento atmosferico
poco significativo, previste dal punto 25 dello stesso D.P.C.M.,
come modificato dal d.p.R. 25 luglio 1991 (Sez. III, 27/11/2003 -
20/01/2004 n. 978, Marino, rv. 227181), e diversamente considerate
in altra occasione rientranti tra le attivita\' a ridotto
inquinamento (Sez. III, 20/12/2002 - 27/01/2003 n. 3880, Cardillo,
rv. 224180). Peraltro, nelle prime due citate decisioni si afferma
esplicitamente l\'estensione dell\'ambito di applicabilita\' del d.p.R.
n. 203 agli impianti di imprese artigiane e di servizi ad opera del
d.p.c.m. del 1989, e per le quali risultano introdotte in alcuni
casi procedure diversificate rispetto al disposto generale del
d.p.R. n. 203;
- ad un impianto di torrefazione di caffe\' grezzo qualificato, in
caso di produzione non superiore a 450 kg giornalieri, come
"attivita\' a ridotto inquinamento atmosferico" (Sez. III, 18/10/1996
- 19/11/1996 n. 9855, Carini, rv. 206477);
- alle emissioni tramite ventilatori dell\'aria interna di un
capannone destinato all\'allevamento di conigli, considerato
idoneo ad alterare la temperatura e lo stato fisico
dell\'atmosfera circostante, oltre che potenziale veicolo di
diffusione all\'esterno di residui organici, pelo e simili, con
proprieta\' irritanti ed allergizzanti (Sez. III, 12/04/1996 -
7/06/1996 n. 5702, P.M. in proc. Mazzi, rv. 205270).
A fronte di tale quadro, che va a costituire il "diritto vivente",
non si rinvengono in giurisprudenza e in dottrina particolari
approfondimenti sul tema, se non, come ricordato in precedenza, in
Sez. III, n. 9757/2004, ric. P.M. in proc. Pannone, che peraltro
contesta l\'applicazione generalizzata della disciplina del d.p.R. n.
203, basandosi nel caso di specie sulla impossibilita\' di
considerare convogliabili le polveri prodotte da un fronte di cava.
Sul punto la Corte, chiamata a valutare la posizione processuale dei
dirigenti del reparto parchi minerali di un grosso insediamento
industriale, con decisione assunta nella pubblica udienza del 28
settembre 2005, e depositata il 24 ottobre 2005, n. 38936, Riva ed
altro, rv. 232360, ha affermato che "l\'inquinamento atmosferico
disciplinato dal d.p.R. n. 203 del 1988 ricomprende quello
ingenerato da tutti gli impianti destinati alla produzione, al
commercio, all\'artigianato ed ai servizi dai quali derivi anche uno
solo degli effetti contemplati dal citato d.p.R., ovvero una
alterazione delle normali condizioni ambientali o delle risorse
biologiche e della salubrita\' dell\'aria".
Quasi contestualmente, con altra decisione, questa volta relativa ad
una imputazione elevata al responsabile di un frantoio oleario per
le emissioni conseguenti all\'uso di una caldaia alimentata a sansa,
esausta ed utilizzata per il riscaldamento dell\'acqua impiegata nel
ciclo produttivo, redatta da un diverso estensore, la Corte e\' stata
ancora piu\' esplicita affermando che "l\'inquinamento atmosferico
disciplinato dal D.P.R. n. 203 del 1988 non e\' limitato alla
salubrita\' dell\'aria ed al controllo delle emissioni atmosferiche
originate dai soli impianti qualificabili quali industriali ai sensi
dell\'art. 2195 c.c., ma si estende a qualsiasi impianto che puo\'
dare luogo ad emissioni nell\'atmosfera, ai sensi dell\'art. 1 del
citato decreto n. 203" (Sez. III, 30 settembre 2005, dep. 11
novembre 2005, n. 40944, Belcastro, rv. 232361).
Anche la dottrina sembra avere preso atto4 dell\'opera di
integrazione effettuata con il D.P.C.M. 21/07/1989, pur nella
consapevolezza della originaria riferibilita\' agli impianti
industriali del d.p.R. n. 2035, con la introduzione delle sopra
ricordate categorie delle attivita\' i cui impianti provocano un
ridotto inquinamento atmosferico (punto 19 del D.P.C.M.) o un
inquinamento atmosferico poco significativo (punto 25 del D.P.C.M.)6
e la successiva introduzione di procedure semplificate (ex D.P.R. 25
luglio 1991 per l\'indirizzo ed il coordinamento dell\'attivita\'
amministrativa delle Regioni) per queste ultime.
Il sistema autorizzatorio e sanzionatorio nel d.p.R. n. 203 del 1988
Il sistema autorizzatorio e sanzionatorio era contenuto negli artt.
6, 24, 25 e 26, e, in particolare, le ipotesi riportate negli artt.
24 e 25 si riferivano agli impianti nuovi e a quelli esistenti, la
cui differenziazione e\' venuta meno per la scadenza dei termini
"transitori", residuando la disciplina del solo comma sesto
dell\'art. 25, riferibile anche agli impianti nuovi.
Ai sensi dell\'art. 6, "per la costruzione di un nuovo impianto deve
essere presentata domanda di autorizzazione alla Regione o alla
Provincia autonoma competente, corredata dal progetto nel quale sono
comunque indicati il ciclo produttivo, le tecnologie adottate per
prevenire l\'inquinamento, la quantita\' e la qualita\' delle emissioni
nonche\' il termine per la messa a regime degli impianti".
Le fattispecie vengono delineate nel successivo art. 24, per il
quale:
1. Chi inizia la costruzione di un nuovo impianto senza
l\'autorizzazione, ovvero ne continua l\'esercizio con autorizzazione
sospesa, rifiutata, revocata, ovvero dopo l\'ordine di chiusura
dell\'impianto, e\' punito con la pena dell\'arresto da due mesi a due
anni e dell\'ammenda da euro 258 a euro 1032. 7
2. Chi attiva l\'esercizio di un nuovo impianto senza averne dato,
nel termine prescritto, comunicazione preventiva alle autorita\'
competenti e\' punito con l\'arresto sino ad un anno o con l\'ammenda
sino a euro 1032.
3. Chi omette di comunicare alla regione, nel termine con
riferimento al periodo prescritto, i dati relativi alle emissioni,
effettuate a partire dalla data di messa a regime degli impianti, e\'
punito con l\'arresto sino a sei mesi o con l\'ammenda sino a euro
1032.
4. Chi, nell\'esercizio di un nuovo impianto, non osserva le
prescrizioni dell\'autorizzazione o quelle imposte dall\'autorita\'
competente nell\'ambito dei poteri ad essa spettanti, e\' punito con
l\'arresto sino ad un anno o con l\'ammenda sino a euro 1032.
5. Alla pena prevista dal comma 4 soggiace chi nell\'esercizio di un
nuovo impianto non rispetta i valori limite di emissione stabiliti
direttamente dalla normativa statale e regionale.
6. Nei casi previsti dai commi 4 e 5 si applica sempre la pena
dell\'arresto sino ad un anno se il superamento dei valori limite di
emissione determina il superamento dei valori limite di qualita\'
dell\'aria.
Nel successivo art. 25, comma 6, si prevede che "Chi esegue la
modifica o il trasferimento dell\'impianto senza l\'autorizzazione
prescritta dall\'art. 13 (recte 15) e\' punito, nel primo caso, con
l\'arresto sino a sei mesi o con l\'ammenda sino a euro 1.032, e, nel
secondo, con l\'arresto sino a due anni o con l\'ammenda da euro 258 a
euro 1.032" (che si riferisce sia gli impianti esistenti che a
quelli nuovi).
Il reato di cui all\'art. 24, comma 1, "costruzione di nuovo impianto
senza autorizzazione", e\' pacificamente ritenuto in giurisprudenza
quale reato permanente, la cui permanenza dura fino al rilascio
della prescritta autorizzazione, in quanto finalizzato alla tutela
della qualita\' dell\'aria e l\'autorizzazione costituisce mezzo di
controllo preventivo sugli impianti inquinanti onde verificare la
tollerabilita\' delle emissioni e l\'adozione di appropriate misure di
prevenzione dell\'inquinamento atmosferico, cosi\' che il reato
permane finche\' il competente ente territoriale non abbia effettuato
tale controllo.
Sulla natura del reato di cui all\'art. 24, comma 2, "attivazione
dell\'esercizio di nuovo impianto senza la preventiva comunicazione",
sussistono valutazioni differenti sulla possibilita\' di ritenerlo o
meno permanente, e sul punto si rinvia allo specifico paragrafo.
Sulla natura del reato di cui all\'art. 24, comma 3, "omessa
comunicazione dei dati relativi alle emissioni", sussistono
valutazioni differenti sulla possibilita\' di ritenerlo o meno
permanente, e sul punto si rinvia allo specifico paragrafo.
Per quanto attiene al reato di cui all\'art. 24, comma 4,
inosservanza delle prescrizioni dell\'autorizzazione, fra le
"prescrizioni" la cui inosservanza da\' luogo a sanzione penale,
possono ricomprendersi anche quelle che impongano adempimenti
prodromici alla messa in esercizio del nuovo impianto, in funzione
di una preventiva verifica delle condizioni ambientali esistenti nel
luogo in cui l\'impianto stesso dovra\' essere attivato. In tal caso,
pero\', il reato si perfeziona e si esaurisce all\'atto in cui
l\'attivazione ha effettivamente luogo (Sez. III, 20 gennaio 2006 n.
4514, Rapotan, rv. 233107).
Come precisato dalla giurisprudenza, il concetto di costruzione di
un nuovo impianto va distinto da quello di attivazione
dell\'esercizio dell\'impianto stesso, con la conseguente possibilita\'
di concorso della due diverse figure di reato di cui ai commi 1 e 2
dell\'art. 24, come affermato da Sez. III, 30 luglio 1994, n. 8703,
Botta, rv. 199415, per la quale <
regionale espressa e specifica l\'inizio della "costruzione" di un
nuovo impianto e distingue tale momento da quello dell\'attivazione
dell\'"esercizio" egualmente soggetto a controllo regionale>>.
Il contrasto maggiore appare sussistere con riferimento all\'ipotesi
di cui all\'art. 25, comma 6, di cui in prosieguo.
Modifica e trasferimento di impianto senza autorizzazione: natura
istantanea o permanente del reato di cui all\'art. 25, comma 6,
d.p.R. n. 203 del 1988.
L\'esame di una decisione della Corte, assunta nella pubblica udienza
del 28 dicembre 2005, e depositata il 9 febbraio 2006, n. 4326,
Fabris, rv. 233301, nella quale si afferma che "il reato di cui agli
artt. 15 e 25, comma 6, D.P.R. n. 203 del 1988 ha natura di reato
permanente, per il quale la consumazione si protrae sino alla
conclusione del procedimento di controllo ed al rilascio della
autorizzazione"8 ha determinato l\'Ufficio del Massimario a redigere
la segnalazione n. 37 del 4 maggio 2006 sulla natura del reato di
esecuzione senza autorizzazione di modifiche sostanziali di un
impianto con emissioni nell\'atmosfera o trasferimento dello stesso
in altra localita\', previsto dal combinato disposto degli art. 15 e
25, comma 6, del D.P.R. 24 maggio 1988 n. 203.
Secondo l\'art. 15 "Sono sottoposte a preventiva autorizzazione: a)
la modifica sostanziale dell\'impianto che comporti variazioni
qualitative e/o quantitative delle emissioni inquinanti; b) il
trasferimento dell\'impianto in altra localita\'". Comportamenti
sanzionati dal successivo art. 25, comma 6, che prevede che "Chi
esegue la modifica o il trasferimento dell\'impianto senza
l\'autorizzazione prescritta dall\'art. 13 (recte 15)9 e\' punito, nel
primo caso, con l\'arresto sino a sei mesi o con l\'ammenda sino a
euro 1.032, e, nel secondo, con l\'arresto sino a due anni o con
l\'ammenda da euro 258 a euro 1.032" (la sanzione in caso di
trasferimento e\' identica a quella prevista nel comma 1 dello stesso
articolo 25, per il caso di prosecuzione di impianto esistente senza
la presentazione della domanda di autorizzazione).
In primis va ricordato come il punto 21 del D.P.C.M. 21 luglio 1989
precisi come "devono ritenersi sottoposte a preventiva
autorizzazione la realizzazione di strutture e le modifiche
strutturali del ciclo produttivo inerenti al singolo impianto che
comportino variazioni qualitative delle emissioni inquinanti ovvero
aumento significativo delle emissioni gia\' prodotte", in relazione
al quale si e\' ritenuto in dottrina10 che non sarebbero soggette ad
autorizzazione le modifiche con variazioni migliorative degli
impianti.
A fronte di tale quadro normativo, la giurisprudenza di legittimita\'
ha sostenuto con un primo orientamento che il reato in esame avesse
natura istantanea anche se con effetti eventualmente permanenti, in
caso di utilizzazione dell\'impianto modificato o spostato, e per il
quale la consumazione coinciderebbe con la data di realizzazione
delle modifiche (o dello spostamento): in questo senso, Sez. III, 15
marzo 2000, dep. 4 maggio 2000, n. 5207, Murri, rv. 21606811. Su
questa linea, Sez. III, 21 febbraio 2001, dep. 6 aprile 2001, n.
13992, Uva, rv. 218775, ha ulteriormente qualificato il reato come a
condotta mista (omissivo-commissiva) anche se con effetti
permanenti, consistenti nella mancata conoscenza delle
caratteristiche dell\'impianto e/o della relativa sua ubicazione (cd.
informazione ambientale) da parte dell\'autorita\' amministrativa,
effetti che cesserebbero o per ottemperanza tardiva dell\'agente
oppure per la conoscenza che l\'amministrazione ne abbia comunque
avuto12.
Diversamente, gia\' in precedenza si era pronunciata per la natura
permanente del reato Sez. III, 18 novembre 1997, dep. 18 dicembre
1997, n. 11836, Pasini, rv. 209339, per la quale la modifica
dell\'impianto costituisce soltanto il momento iniziale della
consumazione che si protrarrebbe sino alla conclusione del
procedimento di controllo ed al rilascio dell\'autorizzazione (o in
alternativa con la desistenza dal comportamento mediante il
ripristino della situazione precedente)13. Una interpretazione
condivisa successivamente da Sez. III, 27 marzo 2002, dep. 14 maggio
2002, n. 18198, Pinori, rv. 22195514, e, piu\' di recente, da Sez.
III, 12 febbraio 2004, dep. 18 marzo 2004 , n. 13204, Merico, rv.
2275715.
L\'orientamento in questione si ricollega alle valutazioni sul ruolo
che in materia ambientale svolge l\'autorizzazione, ovvero non
soltanto quello di rimozione di un ostacolo all\'esercizio di alcune
facolta\', attraverso la funzione abilitativa, ma altresi\' quella di
controllo del rispetto della normativa e degli standard di settore,
consentendo il cd. monitoraggio ecologico, cosi\' che l\'omessa
valutazione della P.A. impedirebbe quella conoscenza ed informazione
ambientale, e quel controllo sull\'attivita\' cui sono deputati il
procedimento autorizzatorio e le relative sanzioni in caso di
disobbedienza a questi precetti, comportando percio\' una effettiva
conseguenza pericolosa, e cio\' sul presupposto che conoscenza ed
informazione si presentano quali strumenti necessari per la
prevenzione e la tutela del bene finale (in questo caso, l\'aria).
La decisione assunta sul finire dello scorso anno dalla Corte di
legittimita\' sollecita a una riflessione sistematica che parte dalla
comparazione dell\'ipotesi di costruzione di nuovo impianto (senza
autorizzazione) con quella di trasferimento dell\'impianto (senza
autorizzazione), sino a quella di modifica (senza autorizzazione),
per le quali e\' prevista una graduazione sanzionatoria discendente,
sostenuta da adeguata coerenza logica (arresto da due mesi a due
anni o ammenda da euro 258 a euro 1.032 nel primo caso, arresto sino
a due anni o ammenda da euro 258 a euro 1.032 nel secondo caso,
arresto sino a sei mesi o ammenda sino a euro 1.032 nella terza
ipotesi).
La modifica sostanziale, ed ancor piu\' il trasferimento,
dell\'impianto sembrano porsi nella medesima logica di tutela della
costruzione o attivazione di nuovo impianto senza la prescritta
autorizzazione, in quanto le tre previsioni sono tutte finalizzate
alla tutela della qualita\' dell\'aria e l\'autorizzazione costituisce
mezzo di controllo preventivo sugli impianti inquinanti onde
verificare la tollerabilita\' delle emissioni e l\'adozione di
appropriate misure di prevenzione dell\'inquinamento atmosferico,
sicche\' sembrerebbe corretto ritenere che il reato permanga finche\'
il competente ente territoriale non abbia effettuato tale controllo.
Attivazione di nuovo impianto in difetto di comunicazione preventiva
nel termine prescritto e omessa comunicazione, sempre entro il
termine prescritto, dei dati relativi alle emissioni.
La questione sopra illustrata presenta punti di contatto con quella
ulteriore sulla natura delle fattispecie previste dai commi 2 e 3
dell\'art. 24 (Attivazione di nuovo impianto in difetto di
comunicazione preventiva nel termine prescritto e omessa
comunicazione, sempre entro il termine prescritto, dei dati relativi
alle emissioni).
Infatti, anche in relazione a tali fattispecie, sussistono discrasie
nella giurisprudenza della terza sezione, essendosene da un lato
affermata la natura permanente da Sez. III, 29 novembre 1994, dep.
21 dicembre 1994 n. 12710, D\'Alessandro, rv. 200951, sul presupposto
che la comunicazione di messa in esercizio dell\'impianto (cosi\' come
le ulteriori comunicazioni richieste in tema di dati relativi alle
emissioni effettuate) viene collegata temporalmente all\'esperimento
dell\'accertamento previsto dall\'art. 8, ultimo comma, stesso d.P.R.
n. 203 del 1988, affermandosi conseguentemente che il reato permane
finche\' il protrarsi dell\'omissione impedisce tale accertamento.
Si sostiene in pratica che il controllo della P.A. si articola in
due fasi: la prima nel momento autorizzativo, la seconda al momento
dell\'attivazione, attraverso la verifica della regolarita\' delle
misure e dei dispositivi di prevenzione dall\'inquinamento
effettivamente adottati.
Infatti, l\'art. 8 del d.p.r. n. 203 prevede che:
"L\'impresa, almeno quindici giorni prima di dare inizio alla messa
in esercizio degli impianti, ne da\' comunicazione alla Regione e al
Sindaco del comune o dei comuni interessati.
Entro quindici giorni dalla data fissata per la messa regime degli
impianti, l\'impresa comunica alla regione e ai comuni interessati i
dati relativi alle emissioni effettuate da tale data per un periodo
continuativo di dieci giorni.
Entro centoventi giorni dalla data indicata per la messa a regime
dell\'impianto, la regione deve accertare la regolarita\' delle misure
dei dispositivi di prevenzione dall\'inquinamento, nonche\' il
rispetto dei valori limite........".
Diversamente, Sez. III, 23 marzo 2005, dep. 13 maggio 2005 n. 17840,
Salerno, rv. 231647, ne ha escluso la natura di reato permanente sul
rilievo che il termine di quindici giorni previsto per la
comunicazione deve precedere l\'attivazione dell\'impianto e non e\'
previsto un adempimento postumo che porrebbe fine alla permanenza
del reato.
Questa opzione si fonda sul dato letterale della norma, per cui la
comunicazione non puo\' che essere preventiva e precedere
all\'attivazione del nuovo impianto, essendo tra l\'altro finalizzata
a provocare il controllo di cui allo stesso art. 8.
L\'entrata in vigore del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152.
Le riflessioni sopra sviluppate vanno oggi poste a confronto con le
nuove disposizioni introdotte con il decreto legislativo 3 aprile
2006 n. 152, entrato in vigore il 29 aprile 2006, ed elaborato a
seguito della Legge 15 dicembre 2004 n. 308 (meglio nota per le
integrazioni in tema di paesaggio e per il cd. condono
paesaggistico), con la quale il Governo e\' stato delegato a adottare
uno o piu\' decreti legislativi di riordino, coordinamento e
integrazione delle disposizioni in alcuni settori dell\'ambiente.
Una operazione nella quale si deve necessariamente tenere conto dei
tempi e delle modalita\' con le quali risulta predisposto il nuovo
testo legislativo, atteso che il Governo ha elaborato il dettato
definitivo in un arco di tempo (settembre 2005 - 29 marzo 2006),
notevolmente ristretto, con la ulteriore considerazione che il
competente Ministero ha, in tale spazio temporale, adottato 4
versioni dell\'articolato (ottobre 2004, come prima bozza, ed i
successivi testi approvati, con delibere del Consiglio dei Ministri,
del 18 novembre 2005, 19 gennaio, 10 febbraio 2006); un lavoro cui
vanno aggiunte le modifiche apportate a seguito delle osservazioni
svolte dal Capo dello Stato in data 20 marzo 2006, ed alle quali si
e\' risposto con il testo definitivo del 29 marzo 2006, giungendo
cosi\' alla firma del 3 aprile 2006 ed alla successiva pubblicazione
in data 14 aprile 2006 (cosi\' da determinare la sua entrata in
vigore dal 19 aprile 2006, quantomeno per la parte oggetto di esame).
La prima considerazione attiene alla nozione di inquinamento
atmosferico che, stranamente, si rinviene nell\'art. 183, relativo
alle definizioni della parte quarta del D.Lgs. n. 152 (norme in
materia di gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti inquinati),
ed ove si intende per inquinamento atmosferico "ogni modifica
atmosferica dovuta all\'introduzione nell\'aria di una o piu\' sostanze
in quantita\' e con caratteristiche tali da ledere o costituire un
pericolo per la salute umana o per la qualita\' dell\'ambiente oppure
tali da ledere i beni materiali o compromettere gli usi legittimi
dell\'ambiente".
Una seconda definizione viene fornita nell\'art. 268, questa volta
all\'interno della parte quarta, (Norme in materia di tutela
dell\'aria e di riduzione delle emissioni in atmosfera), ove alla
lett. a) si definisce inquinamento atmosferico "ogni modificazione
dell\'aria atmosferica, dovuta all\'introduzione nella stessa di una o
di piu\' sostanze in quantita\' e con caratteristiche tali da ledere o
da costituire un pericolo per la salute umana o per la qualita\'
dell\'ambiente, oppure tali da ledere i beni materiali o
compromettere gli usi legittimi dell\'ambiente".
Definizioni che vanno confrontate con quella precedente contenuta
nel d.p.R. n. 203, per la quale costituiva inquinamento atmosferico:
"ogni modificazione della normale composizione o stato fisico
dell\'aria atmosferica, dovuta alla presenza nella stessa di una o
piu\' sostanze in quantita\' e con caratteristiche tali da alterare le
normali condizioni ambientali e di salubrita\' dell\'aria; da
costituire pericolo ovvero pregiudizio diretto o indiretto per la
salute dell\'uomo; da compromettere le attivita\' ricreative e gli
altri usi legittimi dell\'ambiente; alterare le risorse biologiche e
gli ecosistemi ed i beni materiali pubblici e privati".
La seconda considerazione attiene al campo di applicazione delle
disposizioni in materia, la cui indicazione appare idonea a superare
i dubbi sopra riportati sul procedimento di estensione operato
successivamente al D.P.R. n. 203 del 1988, e cio\' in quanto l\'art.
267 ne prevede l\'applicazione agli impianti ed alle attivita\' che
producono emissioni nell\'atmosfera, e il successivo art. 268
definisce impianto "il macchinario o il sistema o l\'insieme di
macchinari o di sistemi costituito da una struttura fissa e dotato
di autonomia funzionale in quanto destinato ad una specifica
attivita\'" cosi\' che attraverso la mancata riproposizione delle
parole "che serva per usi industriali o di pubblica utilita\'",
l\'ambito di applicazione risulta coincidente con l\'elaborazione
giurisprudenziale richiamata ab initio.
Per quanto riguarda il sistema sanzionatorio, questo e\' contenuto
nell\'art. 279 del nuovo decreto, ed il confronto tra vecchia e nuova
disposizione consente di evidenziare che:
-la fattispecie di costruzione di nuovo impianto senza
l\'autorizzazione, prima prevista dall\'art. 24, comma 1, e\' ora
regolata dall\'art. 279, comma 1 parte prima;
-l\'attivazione dell\'esercizio di nuovo impianto senza comunicazione,
prima prevista dall\'art. 24, comma 2, e\' ora regolata dall\'art. 279,
comma 3;
-l\'omessa comunicazione dei dati relativi alle emissioni, prima
prevista dall\'art. 24, comma 3, e\' ora regolata dall\'art. 279, comma
4;
-l\'inosservanza delle prescrizioni dell\'autorizzazione, prima
prevista dall\'art. 24, comma 4, e\' ora regolata dall\'art. 279, comma
2;
-il mancato rispetto dei valori limite di emissione, prima prevista
dall\'art. 24, comma 5, e\' ora regolata dall\'art. 279, comma 2,
unitamente alla precedente fattispecie, con analoga previsione di
sanzionabilita\' solo con pena detentiva in caso di superamento dei
valori limite di qualita\' dell\'aria (prima art. 24, comma 6, ora
art. 279, comma 5);
-la modifica dell\'impianto senza autorizzazione, prima prevista
dall\'art. 25, comma 6, e\' ora regolata dall\'art. 279, comma 1 parte
seconda, con la specificazione e differenziazione sanzionatoria tra
modifica sostanziale e non sostanziale ed in assenza di riferimento
alla diversa ipotesi del trasferimento senza autorizzazione (che in
precedenza accompagnava nell\'art. 25, comma 6, quella della
modifica).
Le sanzioni rimangono identiche, in assenza di una delega sul punto
nella legge n. 308 del 2004, e si accompagnano ad altre ipotesi
"classiche" della legislazione ambientale, come il divieto di
aumento anche temporaneo delle emissioni nel periodo transitorio.
Tenendo presente la dedotta continuita\' normativa fra le previsioni
di cui al D.P.R. n. 203 del 1988 e le nuove disposizioni di cui al
D.Lgs. n. 152 del 2006, possono meglio affrontarsi alcune
riflessioni sulla natura, permanente o meno, dei reati in esame,
nelle quali si scontano, e si scontrano, ricostruzioni dogmatiche e
esigenze di gestione (dei tempi) del processo.
Da un lato, puo\' osservarsi come la formulazione di alcune ipotesi
di reato, attraverso l\'utilizzazione di espressioni quali "inizia la
costruzione" (art. 24, comma 1), "attiva l\'esercizio di un nuovo
impianto" (art. 24, comma 2), "omette di comunicare nel termine"
(art. 24, comma 3), "chi esegue la modifica o il trasferimento"
(art. 25, comma 6), farebbero pensare ad una natura istantanea dei
reati in questione.
E cio\' differentemente da quanto avviene per ipotesi pure articolate
nello stesso contesto, ma per le quali le formule utilizzate,
"continua l\'esercizio con autorizzazione sospesa, rifiutata, etc.."
(art. 24, comma 1, parte seconda), o "nell\'esercizio di un nuovo
impianto non osserva le prescrizioni" (art. 24, comma 4), possono
altrettanto legittimamente supportare una natura permanente del
reato, che si protrae sino alla cessazione della attivita\' illecita.
A queste osservazioni la giurisprudenza e, marginalmente, anche la
dottrina, ha risposto16, probabilmente condizionata dal tema della
prescrizione17, esaltando la lesione che tali comportamenti portano
all\'interesse della Pubblica Amministrazione al controllo di ogni
attivita\' incidente in senso lato sull\'ambiente, cosi\' protraendo la
consumazione sino al momento del controllo stesso (o della
cessazione dell\'attivita\').
Affermazioni alle quali si obietta che il reato permanente richiede
una tipicita\' in grado di perdurare nel tempo in modo immutato,
cosi\' che solo alle fattispecie, di cui agli artt. 24 D.P.R. n. 203
e 279 D.Lgs. n. 152, capaci di garantire un loro sviluppo temporale
potrebbe riconoscersi natura di reato permanente18.
Redattore: Alfredo Montagna
Il direttore
(Giovanni Canzio)
1In tale settore vanno ricordate le disposizioni in tema di
contenuto di piombo, di cui ai D.P.R. 10 marzo 1982 n. 485 e 28
maggio 1988 n. 214, e di benzene, di cui alla Legge 4 novembre 1997
n. 413, Misure urgenti per la prevenzione dell\'inquinamento
atmosferico da benzene, di biossido di carbonio; cosi\' come i D. M.
8 maggio 1995 e 16 marzo 2000, sul contenuto di zolfo, nonche\' il
D.P.C.M. 7 settembre 2001 n. 395, di recepimento della Direttiva
99/33/CE sulla riduzione di tale sostanza.
2 In tale settore assumono rilievo le disposizioni del D.P.R. 8
giugno 1982 n. 400, sulle caratteristiche dei combustibili
utilizzati per gli impianti termici, del D.P.R. 26 agosto 1993 n.
412, sulla progettazione, installazione, esercizio e manutenzione
degli impianti termini, e in parte del D.P.C.M. 8 marzo 2002,
disciplinante le caratteristiche dei combustibili rilevanti ai fini
dell\'inquinamento atmosferico.
3 C.M. Grillo, Che aria tira, il punto sull\'inquinamento
atmosferico, in RivistAmbiente, 202, 9, 971; nonche\' in Aria,
Encicl. Giur. Treccani, Aggiorn. XIV, 2006.
4 L. Ramacci, Manuale di autodifesa del cittadino, SE, 2003, pag..
253, e, in precedenza, Manuale di diritto penale dell\'ambiente,
Padova, 2001; C. Rapisarda Sassoon (a cura di), Manuale delle leggi
ambientali, Milano, 2002, p. 291;
5 P. Fimiani, Gli illeciti in materia di inquinamento, Il Sole 24
Ore, Milano, 2002, 601; Luca de Pauli, L\'ambito di applicazione del
d.p.r. 203 e dell\'art. 674 c.p., in Riv. giur. dell\'ambiente, 2003,
6, 1031; in precedenza, ma ancor prima della emanazione del d.p.c.m.
del 1989, si riferiva ai solo impianti industriali A. Albamonte,
Sistema penale ed ambiente, Cedam, Padova, 1989, 175.
6 I punti 25 e 26 del dpcm del 1989, come modificati ed integrati
dal d.p.r. 25/07/1991, dispongono che non sono soggette ad
autorizzazione le attivita\' i cui impianti provocano inquinamento
atmosferico poco significativo ai sensi dell\'art. 2, comma primo,
del d.p.r. n. 203; attivita\' da individuarsi ed individuate con il
successivo d.p.r. 25/07/1991 all\'Allegato I (per tali casi le
Regioni possono soltanto prevedere l\'obbligo per i titolari di
comunicare la sussistenza delle condizioni che consentono di
ritenere poco significative le emissioni). Lo stesso d.p.R. del 1991
ha individuato le attivita\' a ridotto inquinamento atmosferico,
specificando, ex art. 4, che trattasi di quelle i cui impianti
producono flussi di massa degli inquinanti inferiori a quelli
indicati nei decreti ministeriali riportanti le linee guida per il
contenimento delle emissioni ed i valori minimi di emissioni, cosi\'
come di quelle che utilizzano nel ciclo di produzione materie prime
ed ausiliarie che non superano i livelli fissati nell\'Allegato 2
(allegato che per ciascuna delle 27 attivita\' ivi previste
stabilisce il quantitativo giornaliero di prodotti utilizzabili per
essere ricompresa nel settore de qua).
7 La Corte Costituzionale, con sentenza 19 giugno-15 luglio 1997 n.
234, ha dichiarato l\'illegittimita\' costituzionale di questo comma
per eccesso di delega, ove non si prevede la pena alternativa.
8 La decisione ritiene che non vi siano ragioni per attribuire alla
contravvenzione de qua natura diversa da quella pacificamente
riconosciuta all\'ipotesi del comma primo dello stesso art. 24,
evidenziando come sussista analogia tra il rinvio del comma 1
all\'art. 6 e quello del comma 6 all\'art. 15, cosi\' che la modifica o
il trasferimento dell\'impianto non possono non essere posti in linea
con la sua costruzione, sia pure con regime sanzionatorio graduato.
9 Come precisato dalla Corte Costituzionale con la sentenza 13 -22
aprile 1992 n. 185, trattandosi di un errore materiale di redazione
del testo legislativo.
10 P. Fimiani, op. citata.
11 La decisione si limita a giustificare su tali presupposti la
scelta sulla natura del reato de quo.
12 In motivazione la Corte si pone il problema di una eventuale
permanenza sino al realizzarsi di una delle due condizioni sopra
riportate, ma non sembra operare una scelta per la mancanza di
interesse nel caso di specie, ove la prescrizione era pacificamente
decorsa anche aderendo ad una interpretazione diversa da quella
iniziale.
13 La Corte nell\'occasione ha ricordato come i requisiti costitutivi
del reato permanente debbano individuarsi nel carattere continuativo
ed unitario del protrarsi dell\'offesa scaturente dalla condotta
dell\'agente e nella sua persistenza volontaria che consente al
soggetto attivo dell\'illecito di porre fine in ogni momento alla
situazione offensiva, cosi\' che potendo il soggetto eliminare la
modifica dell\'impianto, richiedere l\'autorizzazione, sospendere
l\'attivita\', e\' a questi fatti che occorrerebbe attribuire rilevanza
ai fini della cessazione della condotta antidoverosa.
14 Che espressamente si rifa\' alle motivazioni della decisione
Pasini.
15 Anche se in assenza di ulteriori contributi all\'orientamento che
si dichiara di condividere.
16 G. Amendola- P. Dell\'Anno, La disciplina dell\'inquinamento
atmosferico, Jovene, Napoli, 1992; L. Ramacci, Manuale di diritto
penale dell\'ambiente, Cedam, 2003.
17A. Martini, Commento agli artt. 24, 25 e 26 d.p.r. n. 203 del
1988, in Commentario breve delle leggi penali complementari a cura
di F. Palazzo- C. Paliero, Cedam, 2003, 50.
18 F. Mucciarelli, Tutela dell\'aria dall\'inquinamento atmosferico ed
attuazione delle direttive comunitarie, in M. Siniscalco (a cura
di), Reati e illeciti amministrativi in materia di inquinamento,
Cedam, 1997, 324; R. Bartoli, Sulla struttura del reato permanente,
in Riv. it. dir. proc. pen., 2001, 137.