Cass. Sez. III n. 376 del 10 gennaio 2023 (PU 6 ott 2022)
Pres. Ramacci Est. Andronio Ric. Carleo
Aria.Natura permanente della contravvenzione di cui all’art. 279 del d.lgs. n. 152 del 2006

La contravvenzione di cui all’art. 279 del d.lgs. n. 152 del 2006 che si riferisce alla realizzazione di uno stabilimento in difetto di autorizzazione, integra un reato permanente di pericolo per la cui sussistenza non è richiesto che l’attività inquinante abbia avuto effettivamente inizio, essendo sufficiente la sola sottrazione delle attività al controllo preventivo degli organi di vigilanza e, stante la sua natura, la consumazione non può che determinarsi o con il rilascio dell’autorizzazione o, alternativamente, con la cessazione dell’esercizio dell’impianto

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 11 novembre 2021, la Corte di appello di Potenza, ha confermato  – riconoscendo il beneficio della sospensione condizionale della pena – la sentenza del 13 gennaio 2020 del Tribunale di Potenza, con la quale – per quanto qui rileva – l’imputato odierno ricorrente era stato condannato per i reati di cui agli artt. 81 cod. pen., 137, comma 1, 279, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006 perché, nella qualità di amministratore unico della Conglomerati Cementizi s.r.l., esercente attività di produzione di calcestruzzo, in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, effettuava scarichi di acque reflue industriali senza la preventiva autorizzazione ex art. 124 del d.lgs. n. 152 del 2006, nonché emissioni in atmosfera senza l’autorizzazione ex art. 269, comma 1, o in forma semplificata ex art. 272 del d.lgs. n. 152 del 2006.

2. Avverso la sentenza l’imputato, tramite il difensore, ha proposto ricorso per cassazione, lamentando – con un unico motivo di doglianza – il travisamento della prova documentale finalizzata a dimostrare l’avvenuta prescrizione dei reati contestati come di natura permanente. Più nel dettaglio, l’imputato, in qualità di legale rappresentante della società, avrebbe trasmesso all’autorità amministrativa due istanze di autorizzazione unica ambientale, da considerarsi quale autodenuncia, volte ad ottenere i permessi prescritti dalla legge e a far data dalle quali i reati avrebbero dovuto essere ritenuti consumati. La difesa aggiunge che, se anche non si volesse identificare il termine di consumazione dei reati con quello di presentazione delle istanze de quibus, al più tardi i reati avrebbero dovuto comunque essere ritenuti consumati nell’ottobre 2015 con l’emissione e la trasmissione dei pareri e dei nullaosta della Regione Basilicata e dell’Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale. La Corte, in particolare, pur facendo riferimento ad uno dei documenti depositati, ovverosia la nota della Regione Basilicata – Ufficio Compatibilità Ambientale, datata 16 ottobre 2015 ed indirizzata alla Provincia di Potenza – Ufficio Ambiente, per affermare che dall’esame della stessa non emergerebbero elementi idonei a contrastare gli esiti dell’accertamento effettuato il 24 novembre 2015, ometterebbe di dare contezza dei pareri e dei nullaosta successivi a quella data, presenti nel fascicolo, attestanti la sussistenza dei requisiti idonei a interrompere la permanenza dei reati contestati e, di conseguenza, tali da permettere l’individuazione del termine a quo per il calcolo della prescrizione. Per la difesa, questa si è verificata il 28 agosto 2019, se si assume come riferimento la richiesta di autorizzazione unica ambientale, o il 27 ottobre 2019 se ci riferisce all’atto di rilascio del nullaosta della Regione Basilicata e dell’Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso – con cui si lamenta il travisamento della prova documentale finalizzata a dimostrare l’avvenuta prescrizione dei reati contestati – è inammissibile.
Per la giurisprudenza di legittimità, il reato di scarico di acque reflue industriali senza autorizzazione ha natura permanente, in quanto si consuma con il rilascio dell’autorizzazione o la cessazione dello scarico (ex multis, Sez. 3, n. 26423 del 11/02/2016, Rv. 267099). Quanto invece alla diversa fattispecie dell’inquinamento atmosferico, la contravvenzione di cui all’art. 279 del d.lgs. n. 152 del 2006 che si riferisce alla realizzazione di uno stabilimento in difetto di autorizzazione, integra un reato permanente di pericolo per la cui sussistenza non è richiesto che l’attività inquinante abbia avuto effettivamente inizio, essendo sufficiente la sola sottrazione delle attività al controllo preventivo degli organi di vigilanza e, stante la sua natura, la consumazione non può che determinarsi o con il rilascio dell’autorizzazione o, alternativamente, con la cessazione dell’esercizio dell’impianto (ex plurimis, Sez. 3, n. 4250 del 15/01/2019, Rv. 274826; Sez. 3, n. 8678 del 13/11/2013, dep. 2014, Rv. 258840; Sez. 3, n. 192 del 24/10/2012, dep. 2013, Rv. 254335).
Nel caso di specie, applicando correttamente tali principi, la Corte ha precisato che la nota della Regione Basilicata – Ufficio Compatibilità Ambientale, datata 16 ottobre 2015, dimostra che in quel momento era in corso l’istruttoria della pratica per il rilascio dell’autorizzazione unica ambientale relativa all’impianto di produzione di conglomerato cementizio, ma la stessa non appare idonea a contrastare gli esiti dell’accertamento effettuato in data 24 novembre 2015, in occasione del quale è emerso che l’impianto in oggetto continuava ad operare in assenza delle autorizzazioni per le emissioni in atmosfera ex art. 269, comma 1, o in forma semplificata ex art. 272 del d.lgs. n. 152 del 2006, e per gli scarichi delle acque reflue industriali ex art. 124 del d.lgs. n. 152 del 2006. In altri termini, i documenti allegati dalla difesa, a cui essa fa riferimento per anticipare il dies a quo dei reati, non costituiscono essi stessi autorizzazione, ma atti prodromici finalizzate al rilascio di quest’ultima e come tali assolutamente irrilevanti, posto che il reato si consuma solo con il rilascio dell’autorizzazione – pacificamente mai rilasciata nel caso di specie – o con la cessazione dell’esercizio dell’impianto, che non risulta essersi verificata. Correttamente, dunque, essendo i reati contestati come perduranti al momento dell’accertamento, la Corte d’appello ha ritenuto che gli stessi si siano consumati al momento della pronuncia della sentenza di primo grado, in data 13 gennaio 2020 (in tale senso, ex plurimis, Sez. 1, n. 47034 del 23/04/2018, Rv. 274368).

2. Il ricorso, in conclusione, deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in € 3.000,00.

P.Q.M

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 06/10/2022