Consiglio di Stato: I forni crematori sono industrie insalubri

di Gianfranco AMENDOLA

pubblicato su unaltroambiente.it. Si ringrazia l'editore

1. Premessa: il fatto

La cremazione è ormai una pratica sempre più diffusa ma, ovviamente, produce fumi inquinanti che possono costituire un pericolo per la salute e per l’ambiente. Se ne è occupato recentemente il Consiglio di Stato (Nota 1) il quale, chiamato in causa per un impianto di cremazione e custodia urne cinerarie presso il nuovo cimitero del Comune di Civitavecchia, ha considerato fatto notorio “c he i forni crematori con il loro funzionamento producono emissioni inquinanti, costituite in particolare da polveri, monossido di carbonio, ossidi di azoto e zolfo, composti organici volatili, composti inorganici del cloro e del fluoro e metalli pesanti, tra cui il mercurio sovente presente nelle otturazioni dentarie ”; e, quindi, in termini chimico fisici, del tutto identiche a quelle prodotte dagli inceneritori.

La vicenda vedeva contrapposti il Comune di Civitavecchia e la società affidataria della costruzione e gestione dell’impianto, la quale contestava gli obblighi, imposti con l’AUA (Autorizzazione Unica Ambientale) su richiesta del sindaco, di monitorare a scadenze regolari gli scarichi in atmosfera e di non superare ogni anno il numero massimo di cremazioni previste “dal piano economico finanziario approvato in sede di gara” con un numero massimo di ore di attività giornaliera.

Proponeva, quindi, ricorso al Tar del Lazio, il quale, tuttavia, lo respingeva, osservando che si tratta pur sempre di un’attività che comporta immissioni in atmosfera in un ambiente, come quello di Civitavecchia, notoriamente soggetto a pressione ambientale, e che le prescrizioni stesse sono analoghe a quelle che altri Comuni hanno imposto ad impianti identici della stessa impresa.

La società ricorreva, allora, in appello al Consiglio di Stato lamentando sia la incompetenza del sindaco ad esprimere un parere sanitario sulla realizzazione del forno crematorio sia il carattere sproporzionato ed irragionevole delle prescrizioni impostele.

2. La normativa relativa ai forni crematori

Le prime disposizioni specifiche riguardo “le cremazioni” si rinvengono nel titolo XVI del D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 ( Approvazione del regolamento di polizia mortuaria), il quale individua nel sindaco l’autorità competente, stabilendo che “ i crematori devono essere costruiti entro i recinti dei cimiteri e sono soggetti alla vigilanza del sindaco ” e che spetta al consiglio comunale deliberare sul relativo progetto di costruzione il quale deve essere “ corredato da una relazione nella quale vengono illustrate le caratteristiche ambientali del sito, le caratteristiche tecnico-sanitarie dell’impianto ed i sistemi di tutela dell’aria dagli inquinamenti sulla base delle norme vigenti in materia ” (art. 78).

Nel 2001, tuttavia, viene emanata lalegge 30 marzo 2001, n. 130 (Disposizioni in materia di cremazione e dispersione delle ceneri ), la quale disciplina la pratica funeraria della cremazione, nonché, nel rispetto della volontà del defunto, la dispersione delle ceneri (art. 1); prevede alcune modifiche del regolamento di polizia mortuaria e, in particolare, una aggiunta all’art. 338 del testo unico leggi sanitarie (T.U.LL.SS.) n. 1265del 1934 per escludere i “cimiteri di urne” dal limite minimo dei 200 metri dal centro abitato previsto per i cimiteri (art. 4); demanda alle Regioni la elaborazione di piani di coordinamento per la realizzazione dei crematori da parte dei comuni, confermando che “ la gestione dei crematori spetta ai comuni” (art. 6); e, soprattutto, rinvia ad un futuro decreto interministeriale (sanità, ambiente e industria) da emanarsi entro 3 mesi (giugno 2001), la definizione delle “ norme tecniche per la realizzazione dei crematori, relativamente ai limiti di emissione, agli impianti e agli ambienti tecnologici, nonché ai materiali per la costruzione delle bare per la cremazione ” (art. 8). Decreto mai emanato a tutt’oggi.

Più in generale, infine, la parte V del D. Lgs 152/06 (cd. TUA, testo unico ambientale) prescrive che tutti gli impianti che producono emissioni in atmosfera devono essere autorizzati in base alle migliori tecnologie disponibili tenendo conto dei valori e degli obiettivi fissati per la qualità dell’aria.

In sostanza, quindi, appare chiaro, secondo la normativa sopra succintamente richiamata, che i forni crematori devono essere muniti di autorizzazione per le emissioni in atmosfera, che la loro gestione rientra nell’ambito delle competenze comunali e che non è mai stato emanato il decreto interministeriale che dovrebbe individuare le norme tecniche relative ai limiti consentiti per queste emissioni.

3. La sentenza del Consiglio di Stato

Come già abbiamo accennato, nel caso sottoposto all’esame del Consiglio di Stato, il forno crematorio era stato autorizzato con AUA a seguito di una conferenza di servizi, nell’ambito della quale erano state recepite le prescrizioni all’esercizio indicate dal sindaco di Civitavecchia e sottoposte all’attenzione della Città metropolitana. Ed è proprio questa competenza del sindaco che contestava, in via principale, la società ricorrente.

A questo proposito, la sentenza accoglieva, invece, integralmente le osservazioni del sindaco, secondo cui i forni crematori sono assimilabili agli “inceneritori”, che, in base alla normativa del T.U.LL.SS. del 1934 (sopra richiamato) sono “ industrie insalubri di prima classe (lettera C n. 14 dell’elenco di cui al D.M. Sanità 5 settembre 1994). Normativa che appare ancora oggi applicabile, in quanto la mancata emanazione del decreto interministeriale previsto dall’art. 8 della legge 30 marzo 2001, n. 130 sulle norme tecniche per i forni crematori ha lasciato un vuoto normativo, in particolare per quanto concerne la disciplina delle emissioni in atmosfera, “ vuoto che il Sindaco ha ritenuto di colmare esercitando la propria competenza ai sensi del T.U. 1265/1934 ”.

In sostanza, quindi, secondo il Consiglio di Stato, “ con tutto il rispetto che l’etica impone per quelle che comunque sono le spoglie mortali di un essere umano, non si può allora negare che questo tipo di emissioni sia in termini chimico fisici del tutto identico a quello prodotto appunto dagli inceneritori citati nel parere del Sindaco. Appare quindi legittimo che il vuoto di prescrizioni creato dalla non attuazione della l. 130/2001 sul punto venga colmato con il ricorso alla normativa generale del T.U., tenuto presente che dall’art. 8 della l. 130/2001 stessa emerge inequivocabile la volontà del legislatore nel senso che la materia venisse disciplinata. La competenza del Sindaco si deve quindi ritenere legittimamente esercitata ”; e parimenti legittime risultano le prescrizioni imposte, che integrano le “determinate cautele” cui il sindaco può subordinare l’esercizio della industria insalubre ai sensi dell’art. 216 del citato Testo unico.

In particolare, quindi, il riferimento accolto rinvia ai seguenti articoli del T.U.LL.SS (Nota 2).

Art. 216 Le manifatture o fabbriche che producono vapori, gas o altre esalazioni insalubri o che possono riuscire in altro modo pericolose alla salute degli abitanti sono indicate in un elenco diviso in due classi. La prima classe comprende quelle che debbono essere isolate nelle campagne e tenute lontane dalle abitazioni; la seconda, quelle che esigono speciali cautele per la incolumità del vicinato. OMISSIS Una industria o manifattura la quale sia inserita nella prima classe, può essere permessa nell’abitato, quante volte l’industriale che l’esercita provi che, per l’introduzione di nuovi metodi o speciali cautele, il suo esercizio non reca nocumento alla salute del vicinato. Chiunque intende attivare una fabbrica o manifattura, compresa nel sopra indicato elenco, deve quindici giorni prima darne avviso per iscritto al podestà, il quale, quando lo ritenga necessario nell’interesse della salute pubblica, può vietarne la attivazione o subordinarla a determinate cautele. Il contravventore è punito con la sanzione amministrativa da L. 40.000 a L 400.000.
Art. 217 Quando vapori, gas o altre esalazioni , scoli di acque, rifiuti solidi o liquidi provenienti da manifatture o fabbriche, possono riuscire di pericolo o di danno per la salute pubblica, il podestà prescrive le norme da applicare per prevenire o impedire il danno o il pericolo e si assicura della loro esecuzione ed efficienza. Nel caso di inadempimento il podestà può provvedere di ufficio nei modi e termini stabiliti nel testo unico della legge comunale e provinciale.

In sostanza, quindi, il Consiglio di Stato, ritenendo i forni crematori equiparabili agli inceneritori previsti fra le industrie insalubri di prima classe, in attesa che vengano emanate norme specifiche per le emissioni provocate dai forni crematori, ha stabilito che essi siano tenuti a rispettare le prescrizioni impartite dal sindaco a tutela della salute ed igiene pubblica ai sensi del citato Testo unico del 1934.

Peraltro, nel caso di specie si trattava di prescrizioni del tutto ragionevoli in quanto << la zona di Civitavecchia è inserita in un “contesto pesantemente gravato” da “numerosi e rilevanti fattori di pressione ambientale che hanno determinato uno stato di sofferenza sanitaria della popolazione” (Nota 3), come risulta da uno studio delle autorità sanitarie regionali, puntualmente citato >>. E pertanto, “ in un contesto del genere, limitare l’impianto al volume di attività indicato dallo stesso gestore e imporre un monitoraggio appaiono misure assolutamente non sproporzionate, dato che non sacrificano l’attività del privato e intendono soltanto dare all’autorità lo strumento per conoscere se essa produca o no effetti pericolosi, il che è il minimo necessario per qualsiasi ulteriore misura ”.

4. Conclusioni

Trattasi di sentenza emessa dal nostro massimo organo di giustizia amministrativa che, se pure emessa per un caso particolare, ha un contenuto generale per quanto concerne gli obblighi a carico dei forni crematori. Con la conseguenza che, visto che trattasi di industrie insalubri di prima classe, in primo luogo la loro attivazione deve essere comunicata preventivamente al sindaco e devono, di regola, salvo espressa deroga motivata, essere isolati nelle campagne e tenuti lontani dalle abitazioni (Nota 4).

In secondo luogo devono essere muniti di autorizzazione per le emissioni in atmosfera, per le cui prescrizioni, tuttavia, in assenza della normativa specifica, trattandosi di industrie insalubri di prima classe, si dovrà fare riferimento a quanto imposto dal sindaco a tutela dell’igiene e della salute pubblica. In proposito, è certamente significativo ricordare che, con riferimento alle prescrizioni dell’AIA (autorizzazione integrata ambientale) l’art. 29 decies, comma 10 del TUA (D. Lgs 152/06) prescrive che, “ in caso di inosservanza delle prescrizioni autorizzatorie, l’autorità competente, ove si manifestino situazioni di pericolo o di danno per la salute, ne dà comunicazione al sindaco, ai fini dell’assunzione delle eventuali misure ai sensi dell’art. 217 del R.D 1265 del 1934 ” (Nota 5).

Quanto al contenuto di queste prescrizioni, più volte il Consiglio di Stato ha ribadito che “ le disposizioni degli artt. 216 e 217 R.D. 27 luglio 1934, n. 1265, attribuiscono al Sindaco, ausiliato dalla struttura sanitaria competente, il cui parere tecnico ha funzione consultiva ed endoprocedimentale, un ampio potere di valutazione della tollerabilità o meno delle lavorazioni provenienti dalle industrie, classificate “insalubri” per contemperare le esigenze di pubblico interesse con quelle pur rispettabili dell’attività produttiva, anche prescindendo da situazioni di emergenza . Inoltre, l’autorizzazione per l’esercizio di un’industria classificata insalubre è concessa e può essere mantenuta a condizione che l’esercizio non superi i limiti della più stretta tollerabilità ” (Nota 6).

Un dubbio si pone, per il caso di specie, quanto alla inosservanza di queste prescrizioni. Se, infatti, la si considera inosservanza alle prescrizioni dell’AUA, si applicano l’art. 278 (con diffida, sospensione attività ecc.) e l’art. 279, comma 2-bis del TUA con la sanzione amministrativa pecuniaria da 1.000 a 10.000 euro. Vanno, tuttavia “ inflitte le maggiori sanzioni previste dall’art. 650 c.p.”, se, invece, al di là della collocazione formale, si considera trattarsi di “ inosservanza ad un provvedimento emesso dal sindaco per ragioni di tutela dell’igiene pubblica ai sensi dell’art. 217 del R.D. 27 luglio 1934, n. 1265, T.U. leggi sanitarie ” (Nota 7) .

A questo proposito, bisogna aggiungere che, comunque, anche in quest’ultimo caso, la giurisprudenza amministrativa ritiene concordemente che il sindaco non può disporre la sospensione di un’attività insalubre ai sensi del citato art. 217 “ senza prima prescrivere quanto necessario per prevenire ritenuti o temuti danni o pericoli, ed assicurarsi del relativo adempimento ed efficacia ” (Nota 8); e che la eventuale ordinanza di chiusura di un’attività insalubre per inquinamento atmosferico “ deve recare un’esauriente ed articolata motivazione in relazione ad elementi obbiettivi, e suffragata da relative indagini tecniche; infatti essa comprime, fino a bloccarla, l’iniziativa economica privata (garantita dalla Costituzione: art. 41) ed incide, inoltre, pregiudizievolmente sul diritto al lavoro (art. 4 Cost.) del personale occupato ” (Nota 9).

Note:

Nota 1. C.D.S. sez. 4, n. 14 del 3 gennaio 2022, in www.lexambiente.it, 9 febbraio 2022

Nota 2. Ovviamente alcune denominazioni sono cambiate dal 1934: ad esempio, oggi il podestà è il sindaco.

Nota 3. Basta ricordare che a Civitavecchia, tra l’altro, opera una centrale ENEL a carbone e che un notevole inquinamento è provocato dai fumi delle navi ormeggiate in porto.

Nota 4. Ed è appena il caso di sottolineare che, come confermato dalla costante giurisprudenza, non è necessario accertare la pericolosità delle emissioni in quanto basta la inclusione nell’elenco.

Nota 5. T.U.LL.SS. In proposito, cfr. C.D.S., sez. IV, 6824 del 3 dicembre 2018, in www.lexambiente.it, 4 gennaio 2019 secondo cui “ ai sensi dell’art. 29 decies, comma 10, del testo unico dell’ambiente (d.lgs. n. 152/2006) le situazioni di pericolo per la salute sono tutelate mediante l’adozione da parte del Comune delle misure previste dall’art. 217 del testo unico delle leggi sanitarie (RD n. 1265/34). In particolare, il provvedimento di inibizione dell’attività insalubre di un’industria deve essere preceduto dalla prescrizione di idonee misure e cautele tecniche che possano valere ad eliminare l’inconveniente accertato, o a ridurlo entro i limiti della tollerabilità”

Nota 6. C.D.S., sez. II, n. 2964 del 11 maggio 2020 in www.lexambiente.it, 4 giugno 2020

Nota 7. Cass. Pen., Sez. 5, 10 settembre 1986, n. 278, Ghidini in Riv. giur. pol. loc., 1988, pag. 357

Nota 8. TAR Abruzzo, sez. Pescara, 12 febbraio 1987, n. 45 in San. Pubbl. 1988, n. 1, pag. 122

Nota 9. TAR Campania, sez. Salerno, 5 agosto 1982, n. 185, in San. Pubbl. 1983, n. 3, pag. 334. Più di recente, cfr. TAR Lazio, Roma, sez. II, 28 settembre 1992, n. 1924, in Riv.giur. ambiente 1993, nn. 3-4, pag. 534, secondo cui non si può disporre la immediata sospensione dell’attività “ quando sia possibile rimuovere, attraverso opportune prescrizioni, gli inconveniente igienico-sanitari riscontrati