Cass. Sez. III n. 17485 del 9 giugno 2020 (CC 11 set 2019)
Pres. Sarno Est. Macrì Ric. Di Cicco
Beni ambientali.Sequestro preventivo
L’art. 30, comma 3, l. n. 394 del 1991 contempla il sequestro preventivo delle aree nei casi di violazione degli art. 733 e 734. Tale circostanza non preclude tuttavia la possibilità di procedere comunque al sequestro preventivo, ai sensi dell'art. 321 cod. proc. pen., ove sussista il fumus della violazione di una delle disposizioni penali previste dalla legge citata
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza in data 25 marzo 2019 il Tribunale del riesame di Brindisi ha confermato il decreto di sequestro preventivo emesso in data 1 marzo 2019 dal Giudice per le indagini preliminari di Brindisi, avente ad oggetto delle aree di terreno meglio descritte in atti ed un tubo in pvc di colore arancione del diametro di 15 centimetri e lungo 35 metri, nei confronti di Massimiliano Di Cicco, per il reato di cui al capo A), art. 19, comma 3, lett. b) e 30, commi 1, primo periodo, 4, 6, 7 e 8, l. n. 394 del 1991, perché, in area marina protetta, in violazione del divieto di alterazione dell’ambiente geofisico e delle caratteristiche chimiche ed idrobiologiche delle acque, aveva creato un sistema di collettamento che scaricava in mare le acque di “una palude interna - stagno di durata temporanea” presente sull’area di sua proprietà, a seguito del ciclico riempimento di una depressione,
così prosciugando la depressione, e per il reato del capo B), art. 734 cod. pen., perché aveva alterato le bellezze naturali della “Riserva marina Torre Guaceto”, soggetta alla speciale protezione dell’autorità, prosciugando lo stagno naturale, dopo aver già illecitamente realizzato su quel terreno e sull’adiacente particella 469 un tracciato viario carrabile delimitante un’area di sagoma rettangolare interessante uno sviluppo lineare di circa 300 metri per una larghezza di 3,50 metri ed un’altezza media di 15 centimetri, movimentato terreno tramite il suo spianamento sino ad arrivare all’arenile e spianato preesistenti dune costiere, in Brindisi fino al 29 gennaio 2019.
2. Il ricorrente impugna per cassazione l’ordinanza del Tribunale del riesame sulla base di due motivi: per violazione di legge, in relazione agli art. 19, comma 3, lett. b) e 30 l. n. 394 del 1991, 49 e 734 cod. pen., 42 Cost., e per violazione di legge, norme processuali e vizio di motivazione. Precisa che, originariamente, i beni erano stati oggetto sia di un sequestro probatorio confermato dal Tribunale del riesame ed impugnato per cassazione, sia di un sequestro preventivo che aveva avuto un contenuto anche più ampio. Già in sede di sequestro probatorio non era emersa alcuna alterazione delle acque del mare antistante alla proprietà privata. Dai prelievi effettuati sulle acque dell’ARPA Puglia era risultato che i valori dei parametri esaminati erano “compatibili con acqua stagnante salmastra e non evidenziavano criticità chimiche degne di nota”. Analogo risultato era stato registrato nel rapporto di prova successivo. Pertanto, in assenza di qualunque tipo di alterazione dell’ambiente geofisico e delle caratteristiche chimiche ed idrobiologiche delle acque dello specchio antistante la sua proprietà privata, non potevano ravvisarsi le ipotesi contestate del reato del capo A) e del capo B). Ricorda che, ai fini dell’individuazione del fumus, non era sufficiente la mera ipotesi da parte del Pubblico ministero dell’esistenza del reato, essendo necessario portare in conto gli elementi offerti dalle parti; che l’anticipazione della soglia penale doveva essere valutata e coordinata con il principio di offensività del bene protetto; che il Tribunale del riesame aveva ritenuto che l’idoneità dell’azione discendeva già dal prosciugamento dello stagno nelle acque marine, argomento non pertinente rispetto al dettato della norma violata, che tutelava l’area marina protetta e che non aveva a che vedere con la proprietà privata. Il prosciugamento riguardava la depressione del terreno agricolo e non l’area marina protetta.
Con riferimento al reato di deturpamento delle bellezze naturali, il Tribunale del riesame non aveva tenuto conto del fatto che l’area depressa, successivamente al riempimento dell’acqua piovana, per la conformazione del terreno, faceva defluire l’acqua nel mare antistante, che lambiva la proprietà privata, o veniva assorbita lentamente dalla terra.
Tale depressione, per quanto accertato nella consulenza tecnica, non era classificata né tra le “zone umide ramsar” dei beni paesaggistici né tra le “aree umide” degli “ulteriori contesti paesaggistici” né rientrava tra le “aree di rispetto dei parchi e riserve regionali” né infine era interessata da un “reticolo idrografico di connessione RER”. Erroneamente il Tribunale del riesame aveva ritenuto che l’area costituisse un habitat per la fauna, qualificandola impropriamente come laguna – stagno naturale, pur risultando dalle cartografie che non rientrava in alcun habitat. In definitiva, osserva che la condotta ascritta aveva ad oggetto solo la riserva marina di Torre Guaceto e che il Tribunale del riesame aveva ritenuto sussistente la condotta illecita, pur dando atto che era soggetta a “riempimento ciclico” o in occasione di “straordinario afflusso di acqua piovana”.
Lamenta che nell’ordinanza non era stato esplicitato il periculum in mora, con particolare riguardo alle ragioni di concretezza ed attualità, enunciate solo in modo apodittico. Evidenzia che era stata illegittimamente compressa la proprietà, perché era stato imposto un vincolo su una superficie di oltre mq 40.000, mentre il collettamento era solo di m 35.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è manifestamente infondato.
Ai sensi dell’art. 325 cod. proc. pen., avverso le misure cautelari reali, sequestro preventivo e probatorio, il ricorso per cassazione è ammissibile solo per violazione di legge, in tale nozione rientrando sia gli "errores in iudicando" o "in procedendo" sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l'apparato argomentativo, posto a sostegno del provvedimento, del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice (ex plurimis, Cass., Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017, Napoli e altro, Rv. 269656).
Alla luce del cospicuo materiale indiziario a disposizione, il Tribunale del riesame ha reso una motivazione ampia e solida sia in ordine al fumus, ricostruendo nel dettaglio tutta la vicenda e valorizzando la circostanza che i consulenti del Pubblico ministero avevano affermato che l’obiettivo dell’indagato era quello di prosciugare lo stagno, sia in ordine al periculum, siccome la libera disponibilità dei terreni, soprattutto alla luce delle condotte poste in essere nel tempo, rendeva concreto ed attuale il rischio di aggravamento delle conseguenze di reati già in contestazione e di protrazione delle conseguenze della condotta illecita.
Va rilevato che il ricorrente è indagato per due reati, il primo previsto dalla legge speciale n. 394 del 1991, che all’art. 19 stabilisce che nelle aree protette marine sono vietate le attività che possono compromettere la tutela delle caratteristiche dell'ambiente oggetto della protezione e delle finalità istitutive dell'area, essendo vietata in particolare l'alterazione dell'ambiente geofisico e delle caratteristiche chimiche e idrobiologiche delle acque (lett. b), il secondo previsto dall’art. 734 cod. pen. relativo alla distruzione o deturpamento di bellezze naturali.
Rispetto al primo reato, nonostante le difese dell’indagato secondo il quale l’intervento di convogliamento a mare delle acque dell’area depressa presente nella sua proprietà non avrebbe alterato le caratteristiche delle acque dell’area marina protetta, il Tribunale del riesame ha ritenuto con motivazione non sindacabile in fatto in questa sede che il reato era integrato già per il solo prosciugamento della depressione naturale e convogliamento delle acque in mare, a nulla rilevando che l’area di proprietà dell’indagato non fosse ricompresa nell’area marina protetta e l’operazione non avesse influito sulla qualità delle acque del mare. Il punto focale è infatti costituito dall’alterazione delle caratteristiche dell’ambiente nel suo complesso per effetto delle opere realizzate.
Analogo ragionamento è stato condotto per il secondo reato, quello dell’art. 734 cod. pen., realizzato peraltro anche attraverso la movimentazione di terra e lo spianamento di dune costiere. Nella valutazione del "fumus commissi delicti", quale presupposto del sequestro preventivo, il giudice deve verificare la sussistenza di un concreto quadro indiziario, non potendosi limitare alla semplice verifica astratta della corretta qualificazione giuridica dei fatti prospettati dall'accusa, ma non ha bisogno di motivare sui gravi indizi di colpevolezza come se si trattasse di una misura cautelare personale (tra le più recenti, Cass., Sez. 6, n. 18183 del 23/11/2017, dep. 2018, Polifroni, Rv. 272927-01). Il Tribunale del riesame ha assolto correttamente al suo obbligo. Quanto al periculum, già l’art. 30, comma 3, l. n. 394 del 1991 contempla il sequestro preventivo delle aree nei casi di violazione degli art. 733 e 734. Tale circostanza non preclude tuttavia la possibilità di procedere comunque al sequestro preventivo, ai sensi dell'art. 321 cod. proc. pen., ove sussista il fumus della violazione di una delle disposizioni penali previste dalla legge citata (Cass., Sez. 3, n. 28736 del 27/04/2018, Faenza, Rv. 273306).
Nella specie, il Tribunale del riesame ha confermato un sequestro preventivo impeditivo, per il quale ha ben delineato gli elementi di concretezza ed attualità, in termini di ragionevole certezza che l'utilizzazione del bene consenta la commissione di ulteriori reati o l'aggravamento o la prosecuzione di quello per cui si procede (tra le più recenti, la citata Cass., Sez. 6, n. 18183 del 23/11/2017, dep. 2018, Polifroni, Rv 272927-02).
Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende