Presidente: Lupo E. Estensore: Franco A. Relatore: Franco A. Imputato: Villa. P.M. Ciampoli L. (Conf.)
(Rigetta, App. Genova, 25 Gennaio 2005)
BELLEZZE NATURALI (PROTEZIONE DELLE) - IN GENERE - Reato paesaggistico - Natura di reato di pericolo - Uso del bene diverso da quello cui lo stesso è destinato - Sufficienza - Interventi di minima entità - Non configurabilità del reato - Condizioni.
Il reato di cui all'art.163 D.Lgs. 29 ottobre 1999 n. 490, così come in precedenza quello di cui all'art. 1 sexies D.L. 27 giugno 1985 n. 312, convertito con L. 27 giugno 1985 n. 431, ed oggi quello di cui all'art. 181 D.Lgs. 22 gennaio 2004 n. 42, ha natura di reato di pericolo che si consuma con la sola realizzazione di lavori, attività o interventi in zone vincolate senza la prescritta autorizzazione paesaggistica e prescinde da ogni accertamento in ordine alla avvenuta alterazione, danneggiamento o deturpamento del paesaggio, in quanto per la sua configurabilità è sufficiente che l'agente faccia del bene protetto dal vincolo un uso diverso da quello cui esso è destinato, atteso che il vincolo posto su certe parti del territorio nazionale ha una funzione prodromica al governo del territorio stesso. Il citato reato non è configurabile esclusivamente in quelle eccezionali occasioni nelle quali si realizzi un intervento di entità talmente minima ed irrilevante che lo stesso non sia neppure astrattamente idoneo a porre in pericolo il paesaggio e a pregiudicare il bene paesaggistico-ambientale, ovvero che si tratti di un intervento ontologicamente estraneo al paesaggio ed all'ambiente.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri
Magistrati: Udienza pubblica
Dott. LUPO Ernesto - Presidente - del 17/11/2005
Dott. PETTI Ciro - Consigliere - SENTENZA
Dott. SQUASSONI Claudia - Consigliere - N. 2091
Dott. GENTILE Mario - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. FRANCO Amedeo - est. Consigliere - N. 31877/2005
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
VILLA Massimo, nato ad Alberga il 22 luglio 1978;
avverso la sentenza emessa il 25 gennaio 2005 dalla Corte d'Appello di
Genova;
udita nella Pubblica udienza del 17 novembre 2005 la relazione fatta
dal Consigliere Dott. Amedeo Franco;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. CIAMPOLI Luigi, che ha concluso per il rigetto del
ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Villa Massimo venne rinviato a giudizio per rispondere dei reati di
cui: a) alla L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 20, lett. c), per avere
realizzato, in zona vincolata e senza concessione edilizia, sulla
copertura di un manufatto adibito a garage, un manufatto adibito a
salotto delle dimensioni di m. 4 x 4 ed altezza di m. 3, in elementi
prefabbricati in legno con copertura in plastica e tamponamenti
laterali in parte in lastre di plexiglas fisse e in parte costituiti da
tende in plastica avvolgibili; b) al D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490,
art. 163 per avere realizzato la detta opera in zona sottoposta a
vincolo paesaggistico ed ambientale, in quanto compresa entro una
fascia di 150 m. da un torrente, senza la prescritta autorizzazione. Il
giudice del Tribunale di Savona, con sentenza 5 marzo 2004,
dichiarò estinto il reato di cui al capo A) per intervenuto
rilascio di concessione edilizia in sanatoria ed assolse l'imputato dal
reato di cui al capo B) perché il fatto non sussiste. In
ordine a quest'ultimo reato osservò: 1) che i lavori erano
stati autorizzati in sanatoria anche sotto il profilo ambientale,
avendo avuto parere favorevole dalla commissione edilizia integrata; 2)
che quindi il reato si era estinto ai sensi della L. 23 dicembre 1994,
n. 724, art. 39, comma 8, che prevedeva una causa di estinzione dei
reati di portata generale; 3) che in ogni caso nella specie si trattava
di una opera inidonea a compromettere i valori ambientali (tenda-gazebo
di modestissime dimensioni in materiale ligneo).
A seguito di appello del pubblico ministero, la Corte d'Appello di
Genova, con sentenza del 25 gennaio 2005, dichiarò
l'imputato colpevole del reato di cui al D.Lgs. 29 ottobre 1999, n.
490, art. 163 e lo condannò alla pena di giorni sei di
arresto ed Euro 11.000,00 di ammenda.
L'imputato propone ricorso per Cassazione deducendo violazione di
legge, ed in particolare della L. 23 dicembre 1994, n. 724, art. 39,
comma 8, il quale prevede che il rilascio della concessione edilizia o
della autorizzazione in sanatoria, subordinato al conseguimento delle
autorizzazioni delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo,
estingue anche il reato ambientale. Nella specie egli ha ottenuto
concessione edilizia in sanatoria ai sensi della L. 28 febbraio 1985,
n. 47, art. 13 la quale contiene anche la autorizzazione in sanatoria
sotto il profilo ambientale essendo stata preceduta dal parere
favorevole della commissione edilizia integrata. L'illecito in
questione è stato quindi sanato ai sensi della L. 23
dicembre 1994, n. 724, art. 39 al quale deve attribuirsi efficacia
estintiva di portata generale e non limitata esclusivamente alle opere
oggetto di condono edilizio. Del resto oggi la compatibilità
tra causa estintiva del reato ambientale ed accertamento di
conformità agli strumenti urbanistici è previsto
dal D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 27, lett. d).
Osserva in secondo luogo che, perché sia configurabile il
reato di cui al D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, art. 163 occorre che
l'intervento non autorizzato sia idoneo ad alterare lo stato dei
luoghi, ossia ad immutarne in modo rilevante ed apprezzabile le
caratteristiche essenziali, di modo che non sussiste il reato quando
deve escludersi, come nel caso di specie, la pur minima
possibilità di vulnus ai valori tutelati.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il primo motivo è infondato. La Corte d'Appello ha invero
osservato che l'imputato non ha dimostrato di avere presentato domanda
di condono ai sensi del D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 32 e che
il rilascio della concessione edilizia in sanatoria ai sensi della L.
28 febbraio 1985, n. 47, artt. 13 e 22 (ora D.P.R. 6 giugno 2001, n.
380 art. 36) - al contrario della concessione in sanatoria per condono
edilizio ai sensi della L. 23 dicembre 1994, n. 724, art. 39, comma 8 -
estingue le sole violazioni di natura strettamente edilizia, e non
anche il reato ambientale, mentre l'eventuale riconoscimento della
compatibilità ambientale dell'opera realizzata senza
autorizzazione produce l'unico effetto di escludere l'ordine di
rimessione in pristino dello stato dei luoghi, che infatti nella specie
correttamente la Corte d'Appello ha omesso di impartire. Si tratta di
statuizione corretta e perfettamente corrispondente alla consolidata
giurisprudenza di questa Suprema Corte che sul punto ha costantemente
affermato che "il nulla-osta in sanatoria rilasciato
dall'autorità preposta alla tutela del vincolo paesaggistico
non produce effetti estintivi sul reato commesso per l'esecuzione di
lavori in sua assenza, applicandosi la causa di estinzione dei reati
prevista dalla L. 28 febbraio 1985 n. 47, artt. 13 e 22
esclusivamente a quelli contemplati dalla medesima legge" (Sez. 3^, 26
novembre 2002, Caruso, m. 223.256); "il reato di cui al D.Lgs. 29
ottobre 1999 n. 490, art. 163 in tema di esecuzione di lavori di
qualsiasi genere su beni ambientali in assenza di autorizzazione, non
si estingue in conseguenza del rilascio della concessione in sanatoria
di cui alla L. 28 febbraio 1985 n. 47, art. 13 come avviene ex art. 22
della stessa legge per il reato urbanistico, atteso che il rilascio
della concessione in sanatoria estingue soltanto i reati previsti dalle
norme urbanistiche e non anche quelli previsti da altre disposizioni di
legge, (nell'occasione la Corte ha ulteriormente affermato la non
rilevanza, quale autorizzazione ambientale in sanatoria, del
certificato di assenza di danno ambientale rilasciato
dall'autorità preposta alla tutela del vincolo, stante la
natura di reato dì pericolo e non di danno dell'ipotesi in
questione)" (Sez. 3^, 7 giugno 2001, Gandolfi, m. 222.257); "il
rilascio in sanatoria delle concessioni edilizie, effettuato ai sensi
della L. 28 febbraio 1985, n. 47, artt. 13 e 22 come espressamente
previsto al terzo comma del citato art. 22, determina l'estinzione dei
soli "reati contravvenzionali previsti dalle norme urbanistiche
vigenti" e quindi si riferisce esclusivamente alle contravvenzioni
concernenti la materia che disciplina l'assetto del territorio sotto il
profilo edilizio, ossia alle violazioni della stessa legge, in cui
(citata L. art. 13) sono contemplate le ipotesi tipiche suscettibili di
sanatoria (opere eseguite in assenza di concessione o in totale
difformità o con variazioni essenziali, ecc). Ne deriva
l'inapplicabilità della causa estintiva agli altri reati che
riguardino altri aspetti delle costruzioni ed aventi
oggettività giuridica diversa rispetto a quella della mera
tutela urbanistica del territorio, come i reati relativi a violazioni
di disposizioni dettate dalla L. 2 febbraio 1974, n. 64, in materia di
costruzioni in zona sismica, o dalla L. 5 novembre 1971, n. 1086, in
materia di opere in conglomerato cementizio, ovvero dal D.L. 27 giugno
1985, n. 312, art. 1 sexies introdotto dalla legge di conversione 8
agosto 1985, n. 431, in materia di tutela delle zone di particolare
interesse ambientale. Ciò trova conferma della L. 23
dicembre 1994, n. 724, art. 39, comma 11, il quale prevede l'ipotesi di
conversione dell'istanza di sanatoria presentata a norma della L. n. 47
del 1985, art. 13 in istanza da considerarsi prodotta a mente del
successivo art. 31 ed, all'uopo, richiede che venga avanzata al comune
apposita domanda, corredata dal pagamento all'erario degli oneri
dovuti" (Sez. 3^, 1 dicembre 1997, Agnesse, m. 209.571).
È infondato anche il secondo motivo in quanto la Corte
d'Appello, con un apprezzamento di fatto adeguatamente e congruamente
motivato, e quindi non censurabile in questa sede, ha accertato che
l'intervento posto in essere dall'imputato, da un lato, ha importato
una radicale modificazione della struttura dell'immobile e un
consistente aumento della volumetria (e non costituisce quindi un
intervento di straordinaria manutenzione o di restauro conservativo) e,
dall'altro, è consistito in lavori di proporzioni tutt'altro
che modeste ed aventi una obiettiva percettività, che hanno
sensibilmente inciso sull'assetto dei luoghi.
È quindi indiscutibile, secondo la Corte d'Appello,
l'attitudine dell'intervento in questione a porre in pericolo il bene
collettivo protetto. Anche questa statuizione è corretta e
perfettamente corrispondente alla consolidata giurisprudenza di questa
Suprema Corte, la quale ha costantemente ritenuto che il reato di cui
al D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, art. 163 così come quello
di cui al D.L. 27 giugno 1985, n. 312, art. 1 sexies, convertito dalla
L. 8 agosto 1985, n. 431, ha natura di reato formale di pericolo che si
consuma con la sola realizzazione di lavori, attività o
interventi in zone vincolate senza la prescritta autorizzazione
paesaggistica e prescinde dal verificarsi di un evento di danno e da
ogni accertamento in ordine alla avvenuta alterazione, danneggiamento o
deturpamento del paesaggio, essendo per la sua esistenza sufficiente
che l'agente faccia, del bene protetto da vincolo paesaggistico, un uso
diverso da quello cui esso è destinato o ponga in essere su
di esso interventi astrattamente idonei a mettere in pericolo
l'ambiente. E ciò perché il vincolo posto su
certe parti del territorio nazionale ha una funzione prodromica al
governo del territorio stesso. È pertanto sufficiente
l'accertamento della mancanza del provvedimento amministrativo, ai fini
della sua configurabilità (Sez. 3^, 28 febbraio 2002,
Barbadoro, m. 221.456;
Sez. 1^, 31 agosto 2001, Fontana, m. 219.895; Sez. 3^, 26 giugno 2000,
Gregori, m. 216.820; Sez. 3^, 14 febbraio 2000, Tommasi, m. 216.853;
Sez. 6^, 24 luglio 1977, Stanzione, m. 209.282; Sez. 3^, 16 gennaio
1996, Re, m. 203.836; Sez. 3^, 12 luglio 1995, D'Emilio, m. 202.883;
Sez. 3^, 30 giugno 1995, Montone, m. 202.702; Sez. 3^, 16 marzo 1994,
Mastellone, m. 199.181; Sez. 3^, 27 gennaio 1994, Lambri, m. 197.592;
Sez. 3^, 4 febbraio 1993, De Lieto, m. 193.636). Si è solo
specificato, fermo restando tale principio generale, che il reato non
è configurabile esclusivamente in quelle rarissime ed
eccezionali occasioni nelle quali si tratti di un intervento
sull'immobile di entità talmente minima ed irrilevante che
non sia neppure astrattamente idoneo a porre in pericolo il paesaggio e
a pregiudicare il bene paesaggistico-ambientale, ossia in cui si tratti
di un intervento ontologicamente estraneo al paesaggio ed all'ambiente
(Sez. 3^, 3 marzo 2000, Faiola, m. 216.975; Sez. 3^, 26 novembre 1999,
Gargiulo, m. 215.891; Sez. 3^, 2 ottobre 2001, Farà, m.
220.356; Sez. 3^, 17 marzo 1999, Zotti, m. 213.243). Non è
quindi certamente sufficiente, per escludere il reato, la presenza di
una certificazione della autorità competente di assenza di
danno ambientale, ma occorre l'accertamento, con una valutazione ex
ante, che la condotta posta in essere, per la sua minima rilevanza, non
aveva l'attitudine a porre in pericolo il bene protetto neppure in
astratto (Sez. 3^, 6 febbraio 2003, De Marzi, m. 224,465).
Nel caso di specie, poi, era evidente la sussistenza di questa astratta
possibilità di porre in pericolo l'ambiente, trattandosi
della costruzione, sulla copertura di un preesistente edificio, di un
nuovo manufatto avente le dimensioni di m. 4 x 4 x 3, sulla cui
realizzazione pertanto la competente autorità doveva
esprimersi preventivamente.
Il ricorso deve pertanto essere rigettato con conseguente condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di
Cassazione, il 17 novembre 2005.
Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2006