Cass. Sez. III n. 48451 del 9 dicembre 2015 (Ud 13 ott 2015)
Pres. Franco Est. Rosi Ric. Borghero
Ben Ambientai. Accertamento di compatibilità paesaggistica  sussistenza del reato

Il positivo accertamento di compatibilità paesaggistica dell'abuso edilizio eseguito in zona vincolata non esclude la punibilità del reato di pericolo di cui all'art. 181, comma 1-bis, D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, che non richiede per la sua integrazione un effettivo pregiudizio per l'ambiente, in quanto il rilascio di tale provvedimento non implica "automaticamente" che l'opera realizzata possa ritenersi "ex ante" inoffensiva o inidonea a compromettere il bene giuridico tutelato

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 16 aprile 2013, il Tribunale di Cagliari ha dichiarato B.C. responsabile: a) del reato di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. C) per aver realizzato senza concessione edilizia, in zona sottoposta a vincolo paesistico ex D.M. 25 marzo 1996, lavori di sbancamento con scavo; b) del reato di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1 bis, per aver realizzato le opere in zona sottoposta a vincolo paesaggistico senza relativo nulla-osta e, riconosciute le attenuanti generiche, lo aveva condannato alla pena di mesi 8 e giorni 10 di reclusione; fatto accertato in (OMISSIS).

2. Con sentenza del 24 novembre 2014, la Corte di Appello di Cagliari, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Cagliari, ha dichiarato di non doversi procedere nei confronti del predetto in ordine al reato di cui al capo a) perchè estinto per prescrizione, ed ha ridotto la pena inflitta a otto mesi di reclusione; inoltre, ha escluso l'ordine di rimessione in pristino dei luoghi e la subordinazione della sospensione condizionale della pena a tale ripristino, confermando nel resto.

3. Avverso la sentenza, l'imputato ha proposto, tramite il proprio difensore, ricorso per cassazione per i seguenti motivi: 1) La sentenza sarebbe viziata nella parte in cui ha attribuito la responsabilità per i fatti contestati all'imputato atteso che egli era solo nudo proprietario dei terreni su cui era stato costruito il presunto edificio abusivo. Il padre dell'imputato era, infatti, l'usufruttuario ed aveva sempre riconosciuto la propria responsabilità per i fatti di cui è processo. 2) Il ricorrente ha lamentato, altresì, il vizio di motivazione con riferimento alla qualificazione dei fatti contestati e alla loro data di realizzazione. Erronea sarebbe l'imputazione nella parte in cui si è fatto riferimento all'assenza di concessione edilizia, mentre nel caso di specie, proprio perchè era stata rilasciata la concessione edilizia per la ricostruzione di una cisterna interrata al servizio del fondo agricolo, si sarebbe dovuto parlare di parziale difformità. Inoltre, la natura dell'opera, che non ha prodotto alcun danno ai beni tutelati e non ha prodotto alterazioni negative dello stato dei luoghi non avendo inciso sul territorio e sull'ambiente, non poteva essere ricondotta alla fattispecie incriminatrice contestata. Quanto al tempus commissi delicti, l'immagine satellitare prodotta avrebbe confermato che i lavori di sbancamento sarebbero stati realizzati nel (OMISSIS). In sostanza, secondo la difesa, nel (OMISSIS), erano stati realizzati senza concessione edilizia lo sbancamento e lo stradello, mentre B.B. aveva chiesto l'autorizzazione per la cisterna che era stata realizzata in maniera difforme nel (OMISSIS). In definitiva, si tratterebbe di opere diverse e frazionabili rispetto alla cisterna, pertanto, rispetto a tali opere sarebbe compiuto il termine di prescrizione.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Le censure prospettate dal ricorrente, oltre ad essere meramente ripetitive di quelle già proposte in appello, tendono a sottoporre al giudizio di legittimità aspetti attinenti alla ricostruzione del fatto e all'apprezzamento del materiale probatorio, che devono essere rimessi all'esclusiva competenza del giudice di merito, mirando a prospettare una versione del fatto diversa e alternativa rispetto a quella posta a base del provvedimento impugnato. Secondo la giurisprudenza di questa Corte (cfr. Sez. 6, n. 22256 del 26/04/2006, Bosco, Rv. 234148), il giudizio di legittimità - in sede di controllo sulla motivazione - non può concretarsi nella rilettura degli elementi di fatto, posti a fondamento della decisione o nell'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice di merito, perchè ritenuti maggiormente plausibili.

2. Orbene, nel caso di specie, con motivazione congrua e priva di smagliature logiche, la sentenza impugnata ha correttamente affermato la responsabilità dell'imputato in ordine al reato contestato, ritenendo prive di pregio le doglianze difensive. Come affermato da questa Corte (così Sez. 3, n. 39400 del 21/03/2013, Spataro, Rv. 257676), in tema di reati edilizi, la responsabilità per la realizzazione di opere abusive è configurabile anche nei confronti del nudo proprietario, che abbia la disponibilità dell'immobile ed un concreto interesse all'esecuzione dei lavori, a meno che egli non alleghi circostanze utili a dimostrare che si tratti di interventi realizzati da terzi a sua insaputa e senza la sua volontà.

3. Nel caso di specie, la sentenza impugnata ha escluso con motivazione logica e coerente che le condotte contestate fossero da attribuire in via esclusiva al padre dell'imputato, ormai deceduto, in quanto usufruttuario dei terreni su cui erano state realizzate le opere abusive. I giudici di merito, infatti, hanno evidenziato che nella nota indirizzata all'Ufficio tecnico del Comune di Carloforte, era stato l'imputato a dichiarare che i lavori edilizi di costruzione sarebbero stati eseguiti "in proprio"; inoltre, il direttore dei lavori nel trasmettere la dichiarazione di rinuncia ha dichiarato di rinunciare per motivi personali "all'incarico del sig. B. C.".

4. Alla luce di tali considerazioni risulta evidente, pertanto, che l'intervento abusivo non poteva essere considerato come opera esclusiva dell'usufruttuario realizzata all'insaputa del nudo proprietario. Sicchè correttamente i giudici merito hanno ritenuto sussistente la responsabilità dell'imputato anche se nudo proprietario dei terreni, evidenziando come le dichiarazioni autoaccusatorie del padre fossero state in realtà funzionali a scagionare il figlio, e perciò altrettanto correttamente, hanno ritenuto privo di pregio l'assunto difensivo secondo il quale, solo il padre dell'imputato, in qualità di usufruttuario e dunque di possessore del terreno, avrebbe dovuto essere considerato autore del reato contestato.

5. Del pari, risultano infondate le censure prospettate con riferimento alla qualificazione giuridica dei fatti. Sul punto, la sentenza impugnata ha evidenziato che l'autorizzazione n. 7/2007 non aveva certamente assentito l'intervento relativo alla realizzazione di uno stradello di 100 metri per il quale, invece, trattandosi di opera di urbanizzazione primaria, sarebbe stata necessaria la concessione edilizia (la legislazione sarda non ha ancora adottato la terminologia del D.P.R. n. 380 del 2001, ma nella sostanza i due istituti si equivalgono). Peraltro, i giudici di merito hanno evidenziato come la testimonianza del S. aveva chiarito che gli scavi riguardavano un'area maggiore rispetto a quella che sarebbe stata necessaria per la cisterna.

6. Per quanto attiene alla intervenuta dichiarazione di conformità, ne è stata esclusa la rilevanza dai giudici del merito in applicazione del principio per cui il reato di pericolo previsto dal D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, art. 181 non richiede ai fini della sua configurabilità un effettivo pregiudizio per l'ambiente, essendo sufficiente l'esecuzione, in assenza di preventiva autorizzazione, di interventi che siano astrattamente idonei ad arrecare nocumento al bene giuridico tutelato, le cui conseguenze sull'assetto del territorio perdurano anche se l'amministrazione competente attesta la compatibilità paesaggistica delle opere eseguite (cfr. Sez. 3, n. 11048 del 18/02/2015, Murgia, Rv. 263289). E' stato anche affermato che il positivo accertamento di compatibilità paesaggistica dell'abuso edilizio eseguito in zona vincolata non esclude la punibilità del reato di pericolo di cui al D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, art. 181, comma 1-bis, che non richiede per la sua integrazione un effettivo pregiudizio per l'ambiente, in quanto il rilascio di tale provvedimento non implica "automaticamente" che l'opera realizzata possa ritenersi "ex ante" inoffensiva o inidonea a compromettere il bene giuridico tutelato (Sez. 3, Sentenza n. 21029 del 03/02/2015, Dell'Utri, Rv. 263978).

7. Conformemente agli indirizzi sopra citati, la Corte territoriale ha dato atto di alcuni elementi fattuali che hanno assunto significativo rilievo ai fini della valutazione di incidenza delle opere sull'assetto del paesaggio. La motivazione della sentenza impugnata, infatti, ha ritenuto che non potesse considerarsi inoffensiva la realizzazione abusiva di uno sbancamento di terra e la realizzazione di una stradina di quasi 120 metri di lunghezza e di quasi 5 metri di larghezza in una zona assoggettata al vincolo speciale della dichiarazione di notevole interesse pubblico. Di conseguenza, i giudici di merito hanno concluso con motivazione esaustiva che l'opera realizzata aveva costituito non già la classica pista di campagna, bensì un'opera imponente che aveva mutato i tratti caratteristici della zona.

8. Da ultimo, deve essere rigettata l'eccezione di prescrizione del reato. Infatti, anche con riferimento alla censura relativa alla datazione delle opere, si tratta ancora una volta di un accertamento di fatto che non può essere demandato al giudizio di legittimità, ove la motivazione del provvedimento impugnato sia stata congruamente e logicamente motivata. Nel caso di specie, la Corte territoriale ha precisato che, all'atto di accertamento da parte del Corpo Forestale, i lavori abusivi erano ancora in corso; tale circostanza era stata confermata dalle fotografie in atti, che attestavano la presenza delle attrezzature da cantiere ancora in corso, scavi e movimenti di terra recentissimi, atteso che, come ha sottolineato il giudice di merito, la sede dei lavori non era interessata dalla crescita di erba, e vi erano anche dei tubi a vista. Sotto un diverso profilo, la sentenza impugnata ha altresì dato conto del fatto che era possibile ravvisare nelle opere realizzate i caratteri di un intervento unitario di modifica strutturale del terreno, e dunque ritenendo priva di fondamento la prospettiva difensiva finalizzata a prospettare la possibilità di valutare le opere separatamente, segmentando il tempus commissi delicti per ciascuna di esse.

9. Peraltro, giova ricordare che il reato di cui al D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, art. 181 qualora sia realizzato attraverso una condotta che si protrae nel tempo, come nel caso di realizzazione di opere edilizie in zona sottoposta a vincolo, ha natura permanente e si consuma con l'esaurimento totale dell'attività o con la cessazione della condotta per qualsiasi motivo (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 24690 del 18/02/2015, Mancini, Rv. 263926). Pertanto, tenuto conto della data di accertamento del reato avvenuta in data 25 febbraio 2008, con un termine lungo di prescrizione di sette anni e mezzo, e considerati i periodi di sospensione determinati dai reiterati rinvii del dibattimento disposti per l'adesione del difensore alle astensioni proclamate dagli organismo di categoria (per un totale di centosessantadue giorni), i termini di prescrizione del reato contestato non sono ancora decorsi. Per tali motivi, il ricorso deve essere rigettato ed il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 13 ottobre 2015.
Depositato in Cancelleria il 9 dicembre 2015