TAR Campania (SA) Sez. II n.1694 del 23 novembre 2018
Beni ambientali.Aree protette e silenzio assenso
Il rapporto tra la disposizione contenuta nell’art. 20, comma 4, della l. n. 241/1990 e quella contenuta nell’art. 13, comma 1, della l. n. 394/1991 (secondo cui «il rilascio di concessioni o autorizzazioni relative ad interventi, impianti ed opere all'interno del parco è sottoposto al preventivo nulla osta dell'Ente Parco … il nulla osta è reso entro sessanta giorni dalla richiesta … decorso inutilmente tale termine il nulla osta si intende rilasciato»), va letto nel senso di annettere prevalenza alla prima e di escludere, quindi, l’operatività del silenzio assenso sulle richieste di nulla osta del competente Ente Parco nell’ambito dei procedimenti abilitativi edilizi.
Pubblicato il 23/11/2018
N. 01694/2018 REG.PROV.COLL.
N. 02244/2013 REG.RIC.
N. 02245/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
sezione staccata di Salerno (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2244 del 2013, proposto da
Benito Ruocco, rappresentato e difeso dall'avvocato Vincenzo Speranza, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Giovanni Sofia, in Salerno, viale Verdi, 6;
contro
Ente Parco Nazionale del Cilento, Vallo di Diano e degli Alburni, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Salerno, domiciliataria in Salerno, corso Vittorio Emanuele, 58;
Comune di Centola, non costituito in giudizio;
sul ricorso numero di registro generale 2245 del 2013, proposto da
Benito Ruocco, rappresentato e difeso dall'avvocato Vincenzo Speranza, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Giovanni Sofia, in Salerno, viale Verdi, 6;
contro
Ministero per i Beni e le Attività Culturali, in persona del Ministro pro tempore, Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici di Salerno e Avellino, in persona del Soprintendente pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Salerno, domiciliataria in Salerno, corso Vittorio Emanuele, 58;
Comune di Centola, non costituito in giudizio;
per l'annullamento
quanto al ricorso n. 2244 del 2013:
del parere sfavorevole di cui alla nota del 30 aprile 2013, prot. n. 6940, in merito alla domanda di permesso di costruire del 15 febbraio 2013 (prot. n. 2401);
quanto al ricorso n. 2245 del 2013:
del parere sfavorevole di cui alla nota del 30 luglio 2013, prot. n. 22057, in merito all’istanza di autorizzazione paesaggistica del 7 novembre 2012 (prot. n. 9694).
Visti i ricorsi e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Ente Parco Nazionale del Cilento, Vallo di Diano e degli Alburni e del Ministero per i Beni e le Attività Culturali – Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici di Salerno e Avellino;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 settembre 2018 il dott. Olindo Di Popolo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Con ricorso iscritto a r.g. n. 2244/2013, Ruocco Benito impugnava, chiedendone l’annullamento, il parere sfavorevole di cui alla nota del 30 aprile 2013, prot. n. 6940, espresso dall’Ente Parco Nazionale del Cilento, Vallo di Diano e degli Alburni (in appresso, Ente Parco) in merito alla domanda di permesso di costruire presentata il 15 febbraio 2013 (prot. n. 2401) ed avente per oggetto il recupero di un rudere in sua proprietà, ubicato nel territorio comunale di Centola, località Saline, censito in catasto al foglio 39, particella 470, nonché ricadente in zona classificata B1 (di tutela orientata) dal Piano del Parco Nazionale del Cilento, Vallo di Diano e degli Alburni (in appresso, Piano del Parco) e CIRA 1 dal Piano territoriale paesistico Cilento Costiero, approvato con d.m. 4 ottobre 1997 (in appresso, p.t.p. Cilento Costiero).
2. A tenore del provvedimento impugnato, gli interventi progettati dal ricorrente esulavano dal perimetro delle categorie edilizie di cui all’art. 3, lett. a, b e c, del d.p.r. n. 380/2001, consentite per la zona B1 dall’art. 8, comma 3, delle norme di attuazione (n.a.) del Piano del Parco.
In particolare, «lo stato di rudere documentato dal rilievo dello stato di fatto, dalle fotografie e dalla documentazione allegata alla richiesta di nulla osta – recitava la nota del 30 aprile 2013, prot. n. 6940 – consente una ricostruzione filologica del manufatto soltanto in pianta. Non vi è nessun elemento architettonico che lasci presupporre l'altezza originaria della linea di colmo e/o di gronda del manufatto, nessun elemento documentato o documentabile consente pertanto la ricostruzione del volume e della sagoma dell'edificio originario. A tali condizioni l'intervento di restauro e risanamento conservativo, consentito in zona B1 come possibilità estrema non risulta possibile in quanto gli interventi edilizi necessari al ripristino della funzionalità del manufatto sono ben più consistenti di quelli descritti dalla lett. c dell'art. 3, comma 1, del d.p.r. n. 380/2001».
3. Nell’avversare siffatta determinazione, il Ruocco lamentava, in estrema sintesi, che: - sulla domanda di permesso di costruire del 15 febbraio 2013 (prot. n. 2401) il nulla osta dell’Ente Parco si sarebbe formato per silenzio assenso per decorso del termine all’uopo previsto dall’art. 13 della l. n. 394/1991; - dalla documentazione esibita nel corso dell’instaurato procedimento abilitativo (piante catastali risalenti al 1989; perizia giurata del tecnico all’uopo incaricato; atti pubblici notarili) sarebbero state ricavabili la sagoma e la consistenza planovolumetrica dell’edificio originario.
5. Costituitosi l’intimato Ente Parco, eccepiva l’infondatezza del gravame esperito ex adverso, del quale richiedeva, quindi, il rigetto. Non si costituiva, invece, in giudizio il Comune di Centola.
6. Con ricorso iscritto a r.g. n. 2245/2013, il Ruocco impugnava, altresì, chiedendone l’annullamento: - il parere sfavorevole di cui alla nota del 30 luglio 2013, prot. n. 22057, espresso dalla Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici di Salerno e Avellino (in appresso, Soprintendenza di Salerno e Avellino) in merito all’istanza di autorizzazione paesaggistica presentata il 7 novembre 2012 (prot. n. 9694) ed avente per oggetto il recupero del medesimo rudere in sua proprietà; - il provvedimento del 30 agosto 2013, prot. n. 62, col quale il Responsabile dello Sportello Unico per l’Edilizia del Comune di Centola aveva rigettato la predetta istanza di autorizzazione paesaggistica presentata il 7 novembre 2012 (prot. n. 9694).
7. Nel formulare il proprio parere sfavorevole circa la compatibilità paesaggistica di tali opere, la Soprintendenza di Salerno e Avellino aveva, in particolare, rilevato che, alla stregua della lacunosa documentazione esibita nel corso dell’instaurato procedimento abilitativo, il progetto presentato dal Ruocco risultava integrare non già una mera ricostruzione del manufatto preesistente, ridotto in stato di rudere, bensì la costruzione di un nuovo manufatto, ossia una categoria edilizia vietata dalla disciplina del p.t.p. Cilento Costiero.
8. Nell’avversare siffatta determinazione, implicante il definitivo arresto del procedimento di accertamento di compatibilità paesaggistica, il ricorrente deduceva, in estrema sintesi, che la Soprintendenza di Salerno e Avellino: - in violazione dell’art. 10 bis della l. n. 241/1990 e delle sottese garanzie di contraddittorio procedimentale, nel rilasciare il parere sfavorevole di cui alla nota del 30 luglio 2013, prot. n. 22057, all’indomani della modifica legislativa apportata all’art. 3, comma 1, lett. d, del d.p.r. n. 380/2001 dall’art. 30, comma 1, lett. a, del d.l. n. 69/2013, conv. in l. n. 98/2013, avrebbe variato i motivi ostativi preannunciati con nota del 19 aprile 2013, prot. n. 11314 – originariamente incentrati sulla configurabilità dell’intervento progettato in termini di (non consentita) nuova costruzione, anziché di (rappresentata) ristrutturazione edilizia –, facendo leva sull’inedita contestazione di carenza documentale a corredo dell’istanza di autorizzazione paesaggistica; - in difetto di istruttoria, avrebbe circoscritto le proprie valutazioni a profili di ordine urbanistico, piuttosto che paesaggistico; - pronunciandosi con formule perplesse e dubitative, avrebbe escluso la possibilità di risalire alla sagoma ed alla consistenza planovolumetrica dell’edificio originario, senza tener conto dell’idoneità della documentazione esibita nel corso dell’instaurato procedimento abilitativo (piante catastali risalenti al 1989; perizia giurata del tecnico all’uopo incaricato; atti pubblici notarili).
9. L’intimato Ministero per i beni e le attività culturali si costituiva in resistenza al ricorso. Non si costituiva, invece, in giudizio il Comune di Centola.
10. All’udienza pubblica del 26 settembre 2018, le cause instaurate dai due ricorsi in epigrafe erano trattenute in decisione.
DIRITTO
1. In rito, sono, innanzitutto, ravvisabili i presupposti per disporre, ai sensi dell’art. 70 cod. proc. amm., la riunione dei giudizi instaurati con i ricorsi iscritti a r.g. n. 2244/2013 e n. 2245/2013.
Sono evidenti, infatti, le ragioni di connessione che giustificano la trattazione congiunta delle due cause: la parziale identità dei soggetti in causa (Ruocco Benito in veste di ricorrente, Comune di Centola in veste di amministrazione resistente), l’unicità della vicenda sostanziale controversa e il rapporto di connessione tra gli atti impugnati, inerenti ai procedimenti abilitativi del progetto di recupero del rudere ubicato nel territorio comunale di Centola, località Saline, censito in catasto al foglio 39, particella 470.
2. Venendo ora a scrutinare il ricorso iscritto a r.g. n. 2244/2013, privo di pregio si rivela l’ordine di doglianze secondo cui sulla domanda di permesso di costruire del 15 febbraio 2013 (prot. n. 2401) il nulla osta dell’Ente Parco si sarebbe formato per silenzio assenso per decorso del termine all’uopo previsto dall’art. 13 della l. n. 394/1991.
A ripudio di un simile assunto, giova rammentare che l'art. 20 della l. n. 241/1990, mentre al comma 1 prevede che, «fatta salva l'applicazione dell'art. 19, nei procedimenti ad istanza di parte per il rilascio di provvedimenti amministrativi il silenzio dell'amministrazione competente equivale a provvedimento di accoglimento della domanda, senza necessità di ulteriori istanze o diffide», al comma 4 precisa che «le disposizioni del presente articolo non si applicano agli atti e procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico, l'ambiente, la difesa nazionale».
Il rapporto tra la disposizione contenuta nell’art. 20, comma 4, della l. n. 241/1990 e quella contenuta nell’art. 13, comma 1, della l. n. 394/1991 (secondo cui «il rilascio di concessioni o autorizzazioni relative ad interventi, impianti ed opere all'interno del parco è sottoposto al preventivo nulla osta dell'Ente Parco … il nulla osta è reso entro sessanta giorni dalla richiesta … decorso inutilmente tale termine il nulla osta si intende rilasciato»), è stato chiarito dalla giurisprudenza nel senso di annettere prevalenza alla prima e di escludere, quindi, l’operatività del silenzio assenso sulle richieste di nulla osta del competente Ente Parco nell’ambito dei procedimenti abilitativi edilizi.
Il Consiglio di Stato, infatti, con sentenza n. 5188/2013, nel decidere una questione analoga a quella dedotta nel presente giudizio, ha così statuito: «Il Collegio è dunque chiamato a stabilire se, come sostiene l'appellante, nel conflitto tra la norma contenuta nell'art. 20, comma 4, della l. n. 241/1990 (come sostituita dalla l. n. 80/2005) e la disposizione dell'art. 13 della l. n. 394/91, sarebbe quest'ultima, in quanto norma speciale, a dover prevalere su quella generale sopravvenuta o, al contrario, … debba darsi prevalenza alla prima. Alla questione deve darsi esito … muovendo dal rilievo per cui entrambe le norme hanno la medesima natura procedimentale e vengono a disciplinare lo stesso istituto operante in materia edilizia-ambientale; resta, infatti, escluso che tra esse possa configurarsi un rapporto di specialità, poiché questo presuppone un certo grado di equivalenza tra norme a confronto, ma che non può spingersi sino alla sostanziale identità tra le due discipline in contrasto. In questo secondo caso, il prospettato conflitto tra due disposizioni, che, seppur con esiti opposti per l'istante, disciplinano il medesimo istituto procedimentale del silenzio assenso, deve quindi essere risolto alla luce della successione nel tempo tra due norme generali e pertanto secondo il principio per cui la legge posteriore abroga la legge anteriore con essa incompatibile (arg ex art. 15 cod. civ.)».
Il Consiglio di Stato prosegue affermando che: «Anche qui il Collegio condivide, perciò, l'orientamento … per cui non si può far ricorso al principio di specialità che postula l'equivalenza tra le norme stesse, ma deve necessariamente applicarsi il criterio cronologico, in base al quale la legge successiva prevale su quella precedente. Ciò considerato, è evidente che l'intervento dell'art. 20 della l. n. 241/90, come successivamente modificato, determina che il regime del silenzio assenso non trovi applicazione in materia di tutela ambientale, con la conseguenza che il diniego di nulla osta, pur sopravvenuto oltre il termine fissato dalla legge precedente, risulta pienamente legittimo in quanto emesso in forza di potere non consumatosi – in quanto esplicato nella vigenza della nuova legge – ed il cui esercizio, dunque, non presupponeva l'annullamento in autotutela di un precedente silenzio assenso, viceversa inesistente».
3. Neppure accreditabile è la tesi attorea in base alla quale dalla documentazione esibita nel corso dell’instaurato procedimento abilitativo (piante catastali risalenti al 1989; perizia giurata del tecnico all’uopo incaricato; atti pubblici notarili) sarebbero state ricavabili la sagoma e la consistenza planovolumetrica dell’edificio originario.
Al riguardo, giova richiamare i puntuali rilievi formulati dall’Ente Parco nella gravata nota del 30 aprile 2013, prot. n. 6940: «lo stato di rudere documentato dal rilievo dello stato di fatto, dalle fotografie e dalla documentazione allegata alla richiesta di nulla osta consente una ricostruzione filologica del manufatto soltanto in pianta. Non vi è nessun elemento architettonico che lasci presupporre l'altezza originaria della linea di colmo e/o di gronda del manufatto, nessun elemento documentato o documentabile consente pertanto la ricostruzione del volume e della sagoma dell'edificio originario».
In realtà, come può agevolmente evincersi dalle riproduzioni fotografiche esibite in giudizio, non è, allo stato, rinvenibile un rudere da restaurare, ma solo ammassi di pietre. E, come ben motivato nel provvedimento impugnato, la documentazione allegata all'istanza non consente affatto la ricostruzione del volume e della sagoma dell'edificio originario.
Non vi è agli atti alcuna documentazione (ad es., anche fotografica) che rappresenti che cosa fosse e come fosse strutturato il rudere prima che cadesse completamente in rovina, così da permettere una eventuale valutazione positiva ai fini di un "intervento di restauro e di risanamento conservativo".
In proposito lo stesso Ruocco, riferisce, a p. 5 del ricorso, che, «dal punto di vista delle altezze ... il tecnico ne fa una ricostruzione grafica evidenziando in rosso le parti esistenti … la tavola n. 1 del progetto contiene … il prospetto principale del manufatto come si doveva presentare prima della rovina con sovrapposto in rosso il rilievo delle murature esistenti», lasciando così emergere che trattasi di una ‘nuova progettazione’, piuttosto che del rigoroso recupero di un manufatto preesistente, il quale risulta rappresentato non già in maniera chiara e certa, bensì in termini meramente inferenziali.
4. La dianzi ravvisata infondatezza del ricorso iscritto a r.g. n. 2244/2013 rende improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse ad agire il ricorso iscritto a r.g. n. 2245/2013.
Ed invero, nessuna utilità pratica potrebbe derivare al Ruocco da una pronuncia di accoglimento di quest’ultimo e dall’invocato annullamento giurisdizionale del parere sfavorevole di cui alla nota della Soprintendenza di Salerno e Avellino prot. n. 22057 del 30 luglio 2013 e del conseguente provvedimento del Responsabile dello Sportello Unico per l’Edilizia del Comune di Centola prot. n. 62 del 30 agosto 2013, recante il diniego dell’istanza di autorizzazione paesaggistica del 7 novembre 2012 (prot. n. 9694), posto che l’arresto procedimentale determinato dal parere sfavorevole di cui alla nota dell’Ente Parco prot. n. 6940 del 30 aprile 2013, resistito al r.g. n. 2244/2013, ha definitivamente precluso al proponente il bene della vita ambito, ossia il rilascio del titolo abilitativo all’esecuzione del progetto di recupero del rudere ubicato nel territorio comunale di Centola, località Saline, censito in catasto al foglio 39, particella 470.
5. In ogni caso, anche il ricorso iscritto a r.g. n. 2245/2013 si rivela infondato nel merito per le ragioni illustrate in appresso.
6. Ebbene, non è, in primis, fondatamente predicabile la denunciata ‘mutatio libelli’ tra il preavviso di rigetto di cui alla nota della Soprintendenza di Salerno e Avellino prot. n. 11314 del 19 aprile 2013 e il definitivo parere sfavorevole di cui alla nota della Soprintendenza di Salerno e Avellino prot. n. 22057 del 30 luglio 2013.
Per avvedersene è qui sufficiente rimarcare che, sia nell’atto propedeutico sia nell’atto conclusivo del subprocedimento instaurato presso l’autorità tutoria statale, i motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza di autorizzazione paesaggistica del 7 novembre 2012 (prot. n. 9694) risiedono nel rilievo che il progetto presentato dal Ruocco – riguardato in rapporto all’art. 3, comma 1, lett. d, del d.p.r. n. 380/2001, sia nella versione («si intendono per … “interventi di ristrutturazione edilizia”, gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, l'eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti. Nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica») vigente prima, sia nella versione («si intendono per … “interventi di ristrutturazione edilizia”, gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, l'eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti. Nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria [e sagoma] di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica nonché quelli volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza. Rimane fermo che, con riferimento agli immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni, gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove sia rispettata la medesima sagoma dell'edificio preesistente») vigente dopo la modifica introdotta dall’art. 30, comma 1, lett. a, del d.l. n. 69/2013, conv. in l. n. 98/2013 – integra gli estremi della nuova costruzione, non autorizzabile a tenore della disciplina del p.t.p. Cilento Costiero per la zona CIRA 1.
7. Il Ruocco neppure può fondatamente dolersi della circostanza che la Soprintendenza di Salerno e Avellino avrebbe ancorato il proprio contrario avviso a valutazioni di ordine precipuamente urbanistico.
A ripudio di un simile assunto valga qui osservare che l’organo tutorio statale ha semplicemente stigmatizzato l’incompatibilità del progetto controverso con la disciplina dettata dal p.t.p. Cilento Costiero a salvaguardia, appunto, del bene alla cui protezione esso è preposto.
Non senza soggiungere che, pur essendo distinte le forme di tutela apprestate dall’ordinamento (in primis, tramite prescrizione di appositi titoli abilitativi) e pur essendo, quindi, distinte le competenze attribuite agli organi preposti al rispettivo esercizio, unico è il bene nella specie protetto, e cioè il territorio, riguardato dalle sue varie angolazioni (urbanistica e paesaggistica); con la conseguenza che i singoli valori salvaguardati finiscono inevitabilmente per intrecciarsi tra loro e per condizionare il sindacato delle rispettive autorità tutorie.
Nel caso in esame, la valutazione della Soprintendenza non avrebbe potuto, quindi, rimanere avulsa dal profilo urbanistico-edilizio valorizzato dal provvedimento impugnato, inscindibilmente connesso e, anzi, logicamente pregiudiziale rispetto a quello di ‘merito paesaggistico’, non essendo, cioè, in radice predicabile la compatibilità paesaggistica per un’attività edilizia non consentita nell’area di relativa localizzazione dallo strumento pianificatorio di settore (p.t.p. Cilento Costiero).
8. Infine, rimane dequotata dalle considerazioni svolte retro, sub n. 3, la tesi attorea in base alla quale dalla documentazione esibita nel corso dell’instaurato procedimento abilitativo (piante catastali risalenti al 1989; perizia giurata del tecnico all’uopo incaricato; atti pubblici notarili) sarebbero state ricavabili la sagoma e la consistenza planovolumetrica dell’edificio originario.
9. In conclusione, stante la sua ravvisata infondatezza, il ricorso iscritto a r.g. n. 2244/2013 va respinto, mentre, stante la sopravvenuta carenza di interesse a proporlo, il ricorso iscritto a r.g. n. 2245/2013 va dichiarato improcedibile.
10. Quanto alle spese di lite, appare equo disporne l’integrale compensazione tra le parti, ad eccezione dei contributi unificati, che restano a carico del ricorrente in ragione della relativa soccombenza, anche virtuale (cfr. spec. retro, sub n. 5-8).
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, Sezione staccata di Salerno (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando:
- riunisce i ricorsi in epigrafe;
- respinge il ricorso iscritto a r.g. n. 2244/2013;
- dichiara improcedibile il ricorso iscritto a r.g. n. 2245/2013;
- compensa interamente tra le parti le spese di lite, salvo pagamento, a carico del ricorrente, dei contributi unificati.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Salerno nella camera di consiglio del giorno 26 settembre 2018 con l'intervento dei magistrati:
Maria Abbruzzese, Presidente
Olindo Di Popolo, Consigliere, Estensore
Michele Conforti, Referendario