Cass. Sez. III n. 40513 del 3 ottobre 2019 (UP 17 mag 2019)
Pres. Sarno Est. Andronio Ric. Carafa
Beni Ambientali.Limite percentuale assoluto per aumenti di volumetria e legittimità costituzionale

Deve essere dichiarata manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 181, comma 1-bis, del d.lgs. n. 42 del 2004, nella formulazione risultante all’esito della sentenza della Corte costituzionale, n. 56 del 26 marzo 2016, proposta in riferimento agli art. 3 e 27 della Costituzione sotto il profilo della manifesta irragionevolezza, perché la previsione di un limite percentuale assoluto per gli aumenti di volumetria rappresenta la disciplina generale, cui si aggiungono, per realizzare una più penetrante tutela del paesaggio, le ulteriori norme della stessa disposizione, che fissano limiti di cubatura assoluti anche indipendentemente dal superamento di tale percentuale.

RITENUTO IN FATTO
1. – Con sentenza del 24 agosto 2018, la Corte d’appello di Firenze ha confermato la sentenza del Tribunale di Grosseto del 25 gennaio 2018, con la quale – per quanto qui rileva – gli imputati erano stati condannati, alla pena di otto mesi di reclusione, con sospensione condizionale e ordine di immissione in pristino, per il reato di cui all’art. 181, comma 1-bis, lettera a), del d.lgs. n. 42 del 2004, per avere eseguito su un immobile dichiarato di notevole interesse pubblico con d.m. 21 febbraio 1958, l’ampliamento della sagoma dell’edificio, con un aumento della volumetria superiore del 30% rispetto quella della costruzione originaria: Bagnoli Elisabetta quale direttore dei lavori, Bagnoli Roberto quale titolare dell’impresa esecutrice, Carafa d’Andria quale committente.
2. – Avverso la sentenza hanno proposto ricorsi per cassazione, tramite il difensore e con unico atto, Bagnoli e Elisabetta e Bagnoli Roberto.
2.1. – Con un primo motivo di doglianza, si lamentano vizio della motivazione, nonché la violazione degli artt. 12 e 14 delle preleggi e dei principi nazionali ed europei in materia di interpretazione, contestando l’affermazione della sentenza impugnata secondo cui, poiché l’immobile oggetto dell’intervento aveva già destinazione abitativa del tutto autonoma, esso non poteva essere considerato come pertinenza e, dunque, l’aumento di volumetria doveva essere calcolato in relazione al solo manufatto ampliato. Secondo la prospettazione difensiva, la soluzione interpretativa adottata dalla Corte territoriale sarebbe irrazionale, perché può verificarsi il caso che colui che realizzi un ampliamento di considerevole volumetria della sua proprietà principale per moltissimi metri quadrati non incorra nell’integrazione della fattispecie delittuosa, qualora la proprietà immobiliare principale, essendo grandissima, consenta un aumento per molti metri quadrati; mentre ho stesso soggetto commette il delitto se realizza un modestissimo ampiamento di volumetria di pochi metri quadrati. Nel caso di specie, per i ricorrenti, il fatto che il manufatto fosse dotato di zona cottura e bagno non imprime allo stesso carattere di autonomia, non essendo dotato di una camera e non essendo suscettibile di autonoma destinazione, né alienabile autonomamente rispetto all’abitazione principale. Dunque, poiché l’opera realizzata avrebbe comportato un aumento della volumetria al di sotto dei parametri stabiliti, inferiore al 30%, il reato andrebbe derubricato nella fattispecie contravvenzionale di cui al comma 1 dello stesso art. 181 e il reato sarebbe prescritto.
2.2. – In secondo luogo, si deducono vizi della motivazione in relazione alla condanna alla rimessione in pristino, trattandosi di soggetti che, come l’esecutore e il direttore di lavori, non hanno la disponibilità dell’opera realizzata.
3. – La sentenza è stata impugnata anche nell’interesse dell’imputato Carafa d’Andria.
3.1. – Con una prima censura, si lamenta l’erronea applicazione della disposizione incriminatrice e dell’art. 2 del d.P.R. n. 31 del 2017, per la mancata considerazione del fatto che l’aumento di volume in questione è stato integralmente realizzato scavando all’interno edificio seminterrato, al di sotto del piano di campagna, senza alterazione dell’aspetto esteriore dell’edificio; cosicché non sarebbe necessaria alcuna autorizzazione, non essendoci alcuna incidenza sull’aspetto paesaggistico.
3.2. – In via subordinata, si deducono l’erronea applicazione della disposizione incriminatrice e l’illegittimità costituzionale della stessa, in relazione agli artt. 3 e 27 Cost., essendosi trattato di un ampliamento di soli 37,81 m³. L’art. 181, comma 1-bis, del d.lgs. n. 42 del 2004, sarebbe irragionevole laddove applica la stessa reazione sanzionatoria sia per opere di modestissimo impatto ambientale sia per ampliamenti superiori a 750 m³ o nuove costruzioni superiori a 1000 m³. La derubricazione della fattispecie ai sensi dell’art. 181, comma 1, consentirebbe di ritenere prescritto il reato
3.3. – Sempre in via subordinata, si sostiene che l’ampliamento realizzato insiste su un immobile che costituisce pertinenza dell’edificio principale e che, dunque, sommando il volume originario dei due edifici, il contestato ampliamento si troverebbe al di sotto del 30%, con conseguente configurabilità della fattispecie contravvenzionale. Del resto, la pertinenza avrebbe destinazione abitativa pur non essendo autonoma rispetto all’edificio principale e, per le sue dimensioni, sarebbe insuscettibile di utilizzazione e destinazione autonoma, avendo una superficie inferiore a 28 m²; superficie che rappresenta il minimo per un alloggio destinato una persona, ai sensi del d.m. del Ministero della Sanità 5 luglio 1975.
3.4. – In ulteriore subordine, si sostiene che, anche a voler prendere in esame il solo manufatto secondario, l’aumento di volume rilevante non supera comunque il 30%, essendovi scavi all’interno del manufatto preesistente.

CONSIDERATO IN DIRITTO
4. – I ricorsi di Bagnoli Elisabetta e Bagnoli Roberto sono fondati limitatamente al secondo motivo. Il ricorso di Carafa D’Andria è infondato.
Deve premettersi che, a seguito dell’intervenuta pronuncia della Corte costituzionale, n. 56 del 26 marzo 2016, rientrano oggi nell’art. 181, comma 1-bis, del d.lgs. n. 42 del 2004, unicamente i lavori «che abbiano comportato un aumento dei manufatti superiore al trenta per cento della volumetria della costruzione originaria o, in alternativa, un ampliamento della medesima superiore a settecentocinquanta metri cubi, ovvero ancora abbiano comportato una nuova costruzione con una volumetria superiore ai mille metri cubi». La condotta contestata nella specie è stata ricondotta, dunque, all’interno del comma 1-bis della medesima disposizione, essendo stato computato l’aumento di volumetria, in relazione al manufatto al quale afferisce, ritenuto autonomo e distinto rispetto ad altro più grande manufatto presente nell’area, come superiore al «trenta per cento della costruzione originaria».
4.1. – Quanto a tale computo, la sentenza impugnata contiene una motivazione pienamente sufficiente, laddove valorizza le testimonianze dei soggetti che avevano effettuato misurazioni e – con affermazioni non puntualmente contestate dalle difese nei ricorsi per cassazione – evidenzia che vi era effettivamente una originaria destinazione pertinenziale dell’immobile al quale l’aumento di volumetria afferisce, ma che tale destinazione si era già peraa da molto tempo, in quanto lo stesso aveva un’autonoma funzione abitativa, essendo completo di zona cottura e bagno e risultando dalla d.i.a. presentata che lo stesso sarebbe stato modificato con opere tese a migliorare la possibile adattabilità alle persone con ridotta capacità motoria. Né possono essere prese considerazione in senso contrario le generiche affermazioni dei ricorrenti relative all’inutilizzabilità autonoma dell’immobile e alla sua inalienabilità come unità separata, trattandosi di valutazioni di fatto, che non possono essere prese in considerazione in questa sede. Del pari generiche risultano le prospettazioni difensive secondo cui l’ampliamento sarebbe stato realizzato attraverso uno scavo e sarebbe, dunque, irrilevante ai fini paesaggistici, trattandosi, anche in questo caso, di pure affermazioni, del tutto sganciate da riferimenti agli atti di causa, da cui emerge, anzi, la piena visibilità all’esterno dell’opere realizzate.
Ne deriva l’infondatezza dei motivi sub 2.1., 3.1., 3.3., 3.4., riferiti alla consistenza dell’ampliamento.
4.2. – Le considerazioni svolte con i motivi sub 2.1. e 3.2., relativamente all’interpretazione della disposizione incriminatrice e alla sua prospettata illegittimità costituzionale, per violazione del principio di ragionevolezza, sono manifestamente infondate. Deve rilevarsi, sul punto, che il legislatore, nell’esercizio della sua discrezionalità, ha ritenuto di punire come delitto, non solo tutte le condotte che provocano un ampliamento della volumetria preesistente superiore al 30%, ma anche quelle che, a prescindere dal dato percentuale, comportano la realizzazione in aumento di una cubatura superiore a 750 m³ o la nuova realizzazione di una cubatura superiore a 1000 m³. Nell’ambito di tale sistema, la regola è rappresentata dalla disposizione che fa riferimento al dato percentuale, cui si aggiungono le altre disposizioni, dettate, evidentemente, allo scopo di evitare che, mantenendosi al di sotto della percentuale consentita, si realizzino in edifici molto grandi aumenti di volumetria molto rilevanti o si realizzino ex novo interventi edilizi anch’essi molto rilevanti. Tali ultime disposizioni non possono dunque essere prese quali tertia comparationis in un giudizio di ragionevolezza della prima, perché sono dettate dalla necessità di stabilire un ulteriore tetto, applicabile al di fuori del caso in cui gli aumenti di volume siamo superiori al 30%. E nessuna irrazionalità emerge da tale sistema, diretto a realizzare una tutela effettiva di un bene di rilevanza costituzionale, qual è il paesaggio, attraverso la sottoposizione ad autorizzazione delle sue trasformazioni più rilevanti. Dunque, deve essere dichiarata manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 181, comma 1-bis, del d.lgs. n. 42 del 2004, nella formulazione risultante all’esito della sentenza della Corte costituzionale, n. 56 del 26 marzo 2016, proposta in riferimento agli art. 3 e 27 della Costituzione sotto il profilo della manifesta irragionevolezza, perché la previsione di un limite percentuale assoluto per gli aumenti di volumetria rappresenta la disciplina generale, cui si aggiungono, per realizzare una più penetrante tutela del paesaggio, le ulteriori norme della stessa disposizione, che fissano limiti di cubatura assoluti anche indipendentemente dal superamento di tale percentuale.
4.3. – È invece fondato il motivo sub 2.2., con cui si deducono vizi della motivazione in relazione alla condanna alla rimessione in pristino dell’esecutore e del direttore di lavori, in quanto privi della disponibilità dell’opera realizzata. Deve infatti ricordarsi, quanto affermato da questa Corte in tema di reati edilizi, nel senso che il giudice, nel disporre la condanna dell’esecutore e/o del direttore dei lavori per il reato di cui all’art. 44 del d.P.R. n. 380 del 2001, non può subordinare il beneficio della sospensione condizionale della pena alla effettiva eliminazione delle opere abusive, in quanto solo il proprietario, ai sensi dell'art. 31 del citato d.P.R., può ritenersi soggetto passivamente legittimato rispetto all'ordine di demolizione (Sez. 3, n. 41051 del 15/09/2015, Rv. 264976 – 01; Sez. 3, n. 17991 del 21/01/2014, Rv. 261497 – 01). Tale principio, formulato in relazione all’ ordine di demolizione per l’abuso edilizio, trova evidentemente applicazione anche in relazione all’obbligo di rimessione in pristino previsto per le violazioni paesaggistiche, trattandosi di rimedi analoghi, entrambi finalizzati a realizzare in concreto la tutela del bene interesse protetto attraverso la rimozione degli effetti negativi del reato.
5. – Da quanto precede consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata nei confronti di Bagnoli Elisabetta e Bagnoli Roberto, limitatamente all’ordine di rimessione in pristino, che deve essere eliminato, con rigetto il resto dei ricorsi dei predetti. Il ricorso di Carafa d’Andria deve essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di Bagnoli Elisabetta e Bagnoli Roberto, limitatamente all’ordine di rimessione in pristino, che elimina, e rigetto il resto i ricorsi. Rigetta il ricorso di Carafa d’Andria e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 17 maggio 2019.