Consiglio di Stato Sez. VII n. 1966 del 27 febbraio 2023
Beni culturali.Vincolo su immobile in stato di abbandono e degrado

Lo stato di abbandono e degrado in cui versa un bene immobile non esclude che esso possa essere assoggettato a vincolo culturale e non comporta, per ciò solo, il venir meno della relativa tutela


Pubblicato il 27/02/2023

N. 01966/2023REG.PROV.COLL.

N. 06310/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Settima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6310 del 2018, proposto da Di Micco Real Estate S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Antonio Parisi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Gianluigi Pellegrino in Roma, corso del Rinascimento, 11;

contro

Ministero dei Beni e delle Attività Culturali, Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per il Comune di Napoli, in persona dei rispettivi rappresentanti legali pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania (Sezione Sesta) n. 3041/2018, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per il Comune di Napoli;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.;

Relatore all'udienza straordinaria del giorno 13 gennaio 2023 il Cons. Giovanni Tulumello e viste le conclusioni delle parti come in atti

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con sentenza n. 3041 del 2018 il T.A.R. della Campania, sede di Napoli, sez. VII, ha rigettato il ricorso proposto dalla società odierna appellante per l’annullamento del decreto n. 21 del 18.6.2015 emanato dalla Commissione regionale per il patrimonio culturale della Campania ex art. 39 del D.P.C.M. n. 171/2014, recante la rinnovazione del vincolo storico-artistico di cui all'art. 13 del D.Lgs. n. 42/2014 sull’intero immobile denominato Palazzo Maiello, comunicato giusta nota prot. n. 9601 del 9.7.2015 a firma del Soprintendente, unitamente alla relazione storico-artistica, nota prot. n. 4376 del 6.5.2015.

La sentenza indicata è stata impugnata con ricorso in appello dalla parte ricorrente in primo grado.

Il Ministero dei Beni e delle Attività culturali si è costituito in giudizio.

Il difensore dell’appellante ha rinunciato al mandato con dichiarazione depositata il 19 ottobre 2020.

2. La materia del contendere verte sulla asserita nullità per elusione del giudicato del provvedimento con cui è stata disposta la rinnovazione, dopo l’annullamento del primo decreto da parte del Tar Campania, del vincolo storico-artistico sull’immobile “Palazzo Maiello”.

Tale provvedimento è contestato nella parte in cui non ha tenuto in considerazione l’apporto istruttorio dell’odierno appellante, in particolare non ha valutato la richiesta di apposizione parziale del vincolo.

L’appellante ha gravato la sentenza di primo grado, che ha ritenuto legittimo tale provvedimento, deducendo, con il primo motivo di impugnazione, “Error in iudicando in relazione alla violazione degli artt. 21 septies della l. N. 241/90 e 114, comma 4, lett. B) c.p.a. – omessa ponderazione della nullita' dell'atto per elusione del giudicato formatosi in ordine alla sentenza Tar Campania, sez. VII, n. 4635/2014”.

L’appellante ha dedotto la nullità dell’atto impugnato per elusione del giudicato in quanto l’Amministrazione non avrebbe correttamente ottemperato la sentenza n. 4635/2014 con cui il Tar Campania aveva annullato il precedente decreto impositivo del vincolo storico-artistico sull’immobile “Palazzo Maiello”.

Nella richiamata pronuncia il Tar, nell’annullare il precedente provvedimento per difetto di motivazione e di istruttoria, aveva onerato l’amministrazione di tenere in dovuta considerazione le osservazioni del privato e di dare rilievo alle attuali condizioni dell’immobile, completamente snaturato, a parere dell’appellante, della sua originaria conformazione.

Nonostante tale monito la Soprintendenza si sarebbe limitata a reiterare il regime vincolistico riproducendo pedissequamente la precedente relazione contenuta nel provvedimento dichiarativo di particolare interesse culturale del bene immobile.

Pertanto l’appellante ha dedotto l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che la relazione storico-artistica sarebbe stata emendata dalle imprecisioni riscontrate nel precedente provvedimento annullato con la sent. 4635/2014.

3. Con il secondo motivo di impugnazione, l’appellante ha censurato l’erroneità della decisione gravata nella parte in cui ha riconosciuto illimitata e insindacabile discrezionalità dell’amministrazione nell’adottare il decreto impositivo del vincolo storico-artistico.

In altre parole, a parere dell’appellante, non può escludersi la sindacabilità del provvedimento che risulti contraddittorio e incoerente nonché non rispettoso del principio di proporzionalità.

Infatti l’appellante ha specificamente chiesto all’amministrazione di valutare, nel contemperamento dei vari interessi, un’apposizione parziale del vincolo che coinvolgesse solo alcune parti dell’immobile.

L’amministrazione invece, pur riconoscendo che in molte delle sue parti sia stato snaturato da interventi succedutesi nel tempo, ha stabilito che l’immobile costituisca un unicum inscindibile ai fini dell’apposizione del vincolo.

La sentenza impugnata dunque risulta viziata anche per l’omessa considerazione dell’art 11 del d.lgs. n. 42/2004 che prevede espressamente che possano essere assoggettati al vincolo “gli affreschi, gli stemmi, i graffiti, le lapidi, le iscrizioni, i tabernacoli ed altri elementi decorativi di edifici”, evitando il sacrificio all’intera proprietà nel rispetto del principio di proporzionalità che impone un doveroso contemperamento tra l’interesse pubblico a perseguire la finalità di tutela e l’interesse del privato.

4. Con il terzo motivo di gravame, l’appellante ha lamentato l’erroneità della sentenza impugnata per aver condotto un esame asettico sulla legittimità del provvedimento impugnato non tenendo in considerazione lo stato del manufatto, e dunque la concreta incompatibilità con l’imposizione di un vincolo storico-artistico.

In particolare l’appellante ha fatto riferimento alla produzione fotografica la quale testimonierebbe l’attuale situazione dell’immobile e del borgo in cui è situato, dimostrando non solo la carenza degli interessi storico-artistici ma anche le condizioni di degrado in cui verterebbero il manufatto e il paesaggio circostante.

Di riflesso nel provvedimento impugnato non sarebbero invece adeguatamente documentati gli elementi posti a fondamento della dichiarazione di interesse culturale, laddove un provvedimento limitativo dei diritti del proprietario dovrebbe basarsi su di un puntuale e concreto riferimento alla situazione attuale.

A tal proposito l’appellante ha richiamato la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato per la quale “… la valutazione non può prescindere, a pena di una astrazione pericolosa per la stessa sopravvivenza in concreto della cosa che costituisce il bene culturale, dalla considerazione delle concrete coordinate di spazio e di tempo in cui esso è calato. La valutazione dell'Amministrazione deve necessariamente tener conto di un complesso e integrato sistema attinente all'interesse pubblico in concreto, nel quale la concreta sopravvivenza della testimonianza culturale deve inevitabilmente collegarsi alla necessità di preservare, con il valore culturale, la stessa esistenza materiale e la vitalità del contesto del quale il bene stesso è parte integrante” (sez. VI, 02/03/2015, n. 1003).

5. L’appellante ha infine rinnovato la richiesta istruttoria formulata in primo grado, e disattesa dal Tar, chiedendo di disporre apposita verificazione o consulenza tecnica d’ufficio ai sensi degli artt. 66 e 67 cod. proc. amm. al fine di valutare l’attuale consistenza dell’immobile.

6. I motivi di gravame, come sopra descritti, possono essere esaminati unitariamente, pur in relazione alla specificità di ciascun profilo di censura, in ragione della comune impostazione degli stessi.

Va anzitutto osservato che risulta infondata la censura di violazione del precedente giudicato.

Il provvedimento impugnato non si è infatti limitato a replicare i contenuti di quello precedentemente annullato, senza tener conto – se non formalmente - delle osservazioni della parte interessata.

Come chiaramente argomentato dal T.A.R. nella sentenza impugnata nel presente giudizio, “Con la relazione allegata al decreto di apposizione del vincolo e con la nota prot. 4376 del 6.5.2015 l’apprezzamento della Soprintendenza viene infatti correttamente rinnovato tenendo di elementi nuovi e delle deduzioni avanzate dalla ricorrente. La relazione è stata infatti emendata dalle imprecisioni, riconosciute dalla stessa Amministrazione, riguardanti la frequentazione del palazzo da parte di ospiti illustri e l’origine della Cappella gentilizia; viene confutata la pretesa assenza di arredi, di affreschi e decori che in base alla documentazione fotografica disponibile la Soprintendenza ha invece apprezzato positivamente; in tale ambito vengono poi sottolineati i numerosi elementi di pregio storico-artistico (tra cui “la singolarità della costruzione, connubio di lessici compositivi differenti”, “l’unicità.. della monumentale scala aperta ad unico rampante”; “gli ambienti connotati da linee di notevole pregio architettonico” in particolare “le stanze dai soffitti decorati con dipinti allegorici” e la “sala affrescata in stile pompeiano”) che inducono a confutare le opinabili osservazioni della ricorrente in merito ad una presunta assenza di valore storico-artistico del complesso immobiliare. La rivalutazione operata dagli uffici dell’amministrazione si pone dunque in linea con le indicazioni conformative formulate nella sentenza 4635/2014 di questo Tribunale”.

A fronte dell’analiticità dei riferimenti, contenuti nella sentenza gravata, ai profili innovativi del nuovo provvedimento (costituenti altrettanti elementi di ottemperanza al giudicato), appare del tutto generica la critica contenuta nel primo motivo di appello, laddove si afferma, tra l’altro, che “in sede di riedizione del potere, l'Organo ministeriale si è limitato pervicacemente ed ostinatamente a depurare il procedimento di alcune motivazioni a sfondo storico, rilevatesi fallaci o non attendibili, limitandosi, con formule stereotipe e di stile, a confutare genericamente le corpose e documentate obiezioni sotto il profilo strettamente estetico-architettonico che sconfessano, anche proprio sotto l’aspetto profilo percettivo e visivo, quanto dedotto ad onta dei chiari indirizzi tracciati in via conformativa dal Tribunale amministrativo”.

Peraltro, non può non rilevarsi come l’amministrazione, in sede di riedizione del potere, sia certamente vincolata al giudicato, ma nei modi e nelle forme propri dello specifico potere esercitato.

Nel caso di specie l’ampia discrezionalità tecnica che connota il giudizio in questione, se pur ha doverosamente tenuto conto del precedente giudicato, si è comunque esplicata in modo conforme al relativo paradigma normativo, pur se emendata dai vizi precedentemente accertati.

7. Il secondo motivo di appello appare viziato da un’impostazione marcatamente soggettiva: si contesta in sostanza all’amministrazione di non aver condiviso la proposta di apposizione parziale del vincolo, avendo considerato l’immobile nella sua unicità pur a fronte degli interventi succeditisi nel tempo.

Una simile prospettazione non consente di ravvisare un profilo di censura rilevante sul piano del sindacato giurisdizionale, non essendo la descritta valutazione viziata da alcun profilo di manifesta irrazionalità od illogicità.

L’appellante tenta di tradurre in una pretesa normativamente fondata quello che era un mero auspicio: e che invece l’amministrazione ha motivatamente – e non illogicamente – ritenuto non compatibile con il regime di tutela, pur avendo riguardo allo stato dei luoghi.

Il richiamo al principio di proporzionalità, e all’art. 11 del d. lgs. n. 42 del 2004, appaiono sotto questo profilo impropri, perché la finalità di tutela dell’unitario bene non può essere frustrata dalla pretesa alla frammentazione dell’oggetto della stessa al solo scopo di salvaguardare parzialmente le prerogative private, e con l’effetto di ridurre, sminuire e comunque modificare l’oggetto della tutela medesima, secondo la non illogica valutazione della competente amministrazione.

8. Il terzo motivo di appello è infondato per le medesime ragioni appena enunciate, vale a dire perché esso consta di un tentativo di sovrapposizione dell’opinione della parte interessata al giudizio tecnico-discrezionale dell’amministrazione.

Tale opinione pretende, nello specifico, di escludere la rilevanza culturale, storica ed artistica del bene dallo stato di degrado in cui lo stesso verserebbe, nonché dallo stato del paesaggio circostante.

Un simile assunto è obiettivamente collidente con la pacifica giurisprudenza di questo Consiglio di Stato in materia [da ultimo sez. VI, sentenza n. 3605/2022: “lo stato di abbandono e degrado in cui versa un bene non esclude che esso possa essere assoggettato a vincolo culturale e non comporta, per ciò solo, il venir meno della relativa tutela (cfr., Cons. Stato, Sez VI, 14/10/2015, n. 4747; 16/7/2015, n. 3560; 8/4/2015, n. 1779; 27/11/2012, n. 5989; 11/6/2012, n. 3401)”].

9. La richiesta istruttoria, in quanto funzionale all’accoglimento di censure risultate infondate – in diritto - per le ragioni fin qui esposte, non merita accoglimento.

Il ricorso in appello è pertanto manifestamente infondato, e come tale deve essere rigettato.

Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la regola della soccombenza.

10. La presente decisione è stata assunta tenendo conto dell'ormai consolidato "principio della ragione più liquida", corollario del principio di economia processuale (cfr. Cons. Stato, Ad. pl., 5.1.2015, n. 5, nonché Cass., Sez. un., 12.12.2014, n. 26242), che ha consentito di derogare all'ordine logico di esame delle questioni e tenuto conto che le questioni sopra vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell'art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cass. civ., Sez. II, 22.3.1995, n. 3260, e, per quelle più recenti, Cass. civ., Sez. V, 16.5.2012, n. 7663, e per il Consiglio di Stato, Sez. VI, 19.1.2022, n. 339), con la conseguenza che gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Settima), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Condanna la parte appellante alla rifusione nei confronti del Ministero dei Beni e delle Attività culturali delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi euro tremila/00, oltre accessori come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 gennaio 2023 con l'intervento dei magistrati:

Marco Lipari, Presidente

Fabio Franconiero, Consigliere

Sergio Zeuli, Consigliere

Giovanni Tulumello, Consigliere, Estensore

Laura Marzano, Consigliere