Sez. 3, Sentenza n. 32837 del 02/09/2005 (Ud.16/06/2005) Rv. 232196
Presidente: Vitalone C. Estensore: Onorato P. Relatore: Onorato P. Imputato: Vella. P.M. Favalli M. (Conf.)
(Dichiara inammissibile, Trib. Genova, 9 Aprile 2004)
601 REATI CONTRO LA MORALITA\' PUBBLICA E IL BUON COSTUME - 006 MALTRATTAMENTI DI ANIMALI
REATI CONTRO LA MORALITÀ PUBBLICA E IL BUON COSTUME - CONTRAVVENZIONI - MALTRATTAMENTI DI ANIMALI - Reato di cui all\'art. 727 cod. pen. - Dolo - Necessità - Esclusione - Ipotesi colposa - Rilevabilità.
La detenzione di animali in condizioni incompatibili con la loro natura, prevista come reato dall\'art. 727 cod. pen., è configurabile anche in ipotesi di semplice negligenza, atteso che trattasi di contravvenzione non necessariamente dolosa. (Fonte CED cassazione)

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. VITALONE Claudio - Presidente - del 16/06/2005
Dott. POSTIGLIONE Amedeo - Consigliere - SENTENZA
Dott. ONORATO Pierluigi - est. Consigliere - N. 1325
Dott. MANCINI Franco - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. SARNO Giulio - Consigliere - N. 24159/2004
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
VELLA Silvana, nata a Genova il 25.6.1972;
avverso la sentenza resa il 9.4.2004 dal tribunale monocratico di Genova;
Vista la sentenza denunciata e il ricorso;
Udita la relazione svolta in udienza dal Consigliere Dott. Pierluigi Onorato;
Udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FAVALLI Mario, che ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso.
Osserva:
IN FATTO E IN DIRITTO
1 - Con sentenza del 9.4.2004 il tribunale monocratico di Genova ha dichiarato Silvana Velia colpevole del reato di cui all\'art. 727, commi 1 e 2, c.p., per aver detenuto, in Genova sino al 21.11.2002, quattro cani di razza rottweiler in condizioni di abbandono e malnutrizione (due di essi, stremati dagli stenti, decedevano; gli altri due, affetti da grave atrofia muscolare e da grave decadimento fisico, venivano ricoverati in un centro specializzato); e per l\'effetto, concesse le attenuanti generiche prevalenti sulla contestata aggravante, l\'ha condannata alla pena di 800 euro di ammenda, col beneficio della sospensione condizionale, ordinando la pubblicazione della sentenza su un quotidiano genovese. Ha osservato in particolare il giudice che le circostanze addotte a giustificazione (la detenzione in carcere del marito, la grave malattia del figlio) non esoneravano la imputata dalla sua responsabilità per aver lasciato i cani per lungo tempo senza cibo nè acqua, anche perché avrebbe potuto richiedere l\'aiuto di altre persone o rivolgersi a una delle tante associazioni animaliste. 2 - I difensori della Velia hanno proposto ricorso per cassazione, deducendo erronea applicazione della norma incriminatrice. In buona sostanza sostengono che non poteva ravvisarsi alcun profilo colposo nella condotta della imputata.
3 - La censura è manifestamente infondata.
Infatti il reato di cui all\'art. 727 c.p., anche nel testo vigente prima della modifica introdotta dalla legge 20.7.2004 n. 189 e applicabile alla presente fattispecie, non è contravvenzione necessariamente dolosa, in quanto, almeno per la ipotesi contestata all\'imputata, può essere commessa anche per semplice colpa. Detenere animali in condizioni incompatibili con la loro natura o in stato di abbandono, tanto da privarli di cibo e acqua, è penalmente imputabile anche per semplice negligenza. In base a questo presupposto, correttamente il giudice di merito ha escluso che la detenzione del marito e la grave malattia del figlio costituissero per l\'imputata una causa di forza maggiore o un caso fortuito che potevano esonerarla dall\'obbligo di nutrire i cani che aveva in custodia.
4 - Il ricorso è quindi inammissibile. Consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna alle spese processuali nonché alla sanzione pecuniaria a favore della cassa delle ammende, non ricorrendo una ipotesi di inammissibilità incolpevole ai sensi della sentenza n. 186/2000 della Corte costituzionale.
P.Q.M.
la Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di euro 500 a favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 16 giugno 2005.
Depositato in Cancelleria il 2 settembre 2005