CAVALLI, ASINI, MULI E BARDOTTI E ...ALLEVAMENTI IN GENERE.
Disposizioni normative - Sentenze -

a cura di Arnaldo Pierantoni

 

 

 

Il Codice per la tutela e la gestione degli equidi fissa per la prima volta nel nostro paese i parametri essenziali per la corretta gestione degli animali nell’ambito di tutte le attività in cui vengono coinvolti – scuderizzazione, allevamento, addestramento, attività sportiva – nel rispetto delle esigenze etologiche e di benessere degli stessi, ma non basta, nell’allevare gli animali sopra richiamati è altresì necessario osservare la normativa nazionale e quella regionale in materia di igiene e salute pubblica.

 

Il presente articolo riguarda gli allevamenti di animali in genere anche se è finalizzato sopratutto al caso di allevamenti amatoriali di equidi (cavalli, asini, muli, bardotti), soprattutto quelli realizzati con la tecnica del “fai da te” che, per collocazione e conduzione possono non solo creare problemi igienico sanitari, ma possono interferire negativamente con le esigenze di benessere e di piena fruizione dell’ambiente delle persone che vivono in vicinanza dell’allevamento stesso, nonchè danni ambientali.

 

Il problema riguarda norme specifiche che devono comunque essere osservate; e l’eventuale mancanza di specifici regolamenti di igiene presso i Comuni interessati (o l’esistenza di regolamenti che non trattano l’intera tematica); la scarsa conoscenza della normativa e delle problematiche attinenti gli allevamenti in argomento costituisce, come detto, l’insorgere di gravi problemi igienico sanitari e ambientali.

 

1) Allevamento di animali: Industria insalubre di prima classe.

E’ generalmente definito “allevamento” l’insieme degli animali, dei terreni e di eventuali strutture di ricovero e servizio ed è altresì classificato come “Industria insalubre di 1a classe”.

 

Il D.M. 5 settembre 1994 “Elenco delle industrie insalubri di cui all'art. 216 del testo unico delle leggi sanitarie”, ha approvato l'elenco delle industrie insalubri che sostituisce il precedente di cui al decreto ministeriale 12 luglio 1912, e successive modifiche.

In tale elenco gli allevamenti di animali rientrano nelle “Industrie insalubri di prima classe”:

Vedasi: Parte I - INDUSTRIE INSALUBRI DI PRIMA CLASSE

C) Attività industriali

1. Allevamento di animali

 

Dal Capo III delle lavorazioni insalubri” del Regio decreto 27/06/1934, n. 1265 - T.U.LL.SS. -Testo unico delle leggi sanitarie“, si riportano le disposizioni di cui agli art. 216 e 217:

Art. 216 Le manifatture o fabbriche che producono vapori, gas o altre esalazioni insalubri o che possono riuscire in altro modo pericolose alla salute degli abitanti sono indicate in un elenco diviso in due classi.

La prima classe comprende quelle che debbono essere isolate nelle campagne e tenute lontane dalle abitazioni; la seconda, quelle che esigono speciali incolumità del vicinato. Questo elenco, compilato dal Consiglio superiore di sanità, è approvato dal Ministro per l'interno, sentito il Ministro per le corporazioni, e serve di norma per l'esecuzione delle presenti disposizioni.

Le stesse norme stabilite per la formazione dell'elenco sono seguite per iscrivervi ogni altra fabbrica o manifattura che posteriormente sia riconosciuta insalubre.

Una industria o manifattura la quale sia inserita nella prima classe,può essere permessa nell'abitato, quante volte l'industriale che l'esercita provi che, per l'introduzione di nuovi metodi o speciali cautele, il suo esercizio non reca nocumento alla salute del vicinato.

Chiunque intende attivare una fabbrica o manifattura, compresa nel sopra indicato elenco, deve quindici giorni prima darne avviso per iscritto al Sindaco (podestà), il quale, quando lo ritenga necessario nell'interesse della salute pubblica, può vietarne la attivazione o subordinarla a determinate cautele.

Allo stato attuale, unitamente alla DIA, ai sensi dell’articolo 216 del Testo unico leggi sanitarie, occorre comunicare al Sindaco l’intenzione di attivare un allevamento quindici giorni prima dell’avvio dell’attività. Il Sindaco, qualora lo ritenga necessario nell'interesse della salute pubblica, può vietarne l'attivazione o subordinarla a determinate cautele.

Sanzione amministrativa prevbista da  40 a 400 Lire.

 

L’articolo 216, sopra riportato, ha previsto che tutte le tipologie manifatturiere o fabbriche che producono vapori, gas o oltre esalazioni insalubri, o che comunque possano riuscire pericolose alla salute degli abitanti, sono riportate in un elenco, da aggiornarsi con decreto ministeriale, diviso in due classi. In particolare, le manifatture considerate di prima classe debbono essere isolate nelle campagne e tenute lontano dalle abitazioni e possono essere permesse nell’abitato solo a condizione che colui che ne ha la titolarità provi che, per l’introduzione di nuovi metodi o speciali cautele, il suo esercizio non rechi nocumento alla salute del vicinato.

 

Art. 217 Quando vapori, gas o altre esalazioni, scoli di acque, rifiuti solidi o liquidi provenienti da manifatture o fabbriche, possono riuscire di pericolo o di danno per la salute pubblica, il Sindaco prescrive le norme da applicare per prevenire o impedire il danno e il pericolo e si assicura della loro esecuzione ed efficenza. Nel caso di inadempimento il Sindaco può provvedere di ufficio nei modi e termini stabiliti nel testo unico della legge comunale e provinciale.

 

L’articolo 217, dispone che quando gas o altre esalazioni, scoli di acque, rifiuti solidi o liquidi provenienti da manifatture o fabbriche, possono riuscire di pericolo o di danno per la salute pubblica, il Sindaco prescrive le norme da applicare per prevenire o impedire il danno e il pericolo e si assicura della loro esecuzione ed efficenza. Nel caso di inadempimento il Sindaco può provvedere di ufficio nei modi e termini stabiliti nel testo unico della legge comunale e provinciale.

 

L’elencazione delle industrie insalubri nel sopra richiamato D.M. 5 settembre 1994 è riferita a quelle attività individuate non solo perché fonti certe di inquinamento, ma perché alle stesse, essendo potenzialmente insalubri, deve prestarsi una particolare attenzione in quanto possono interferire negativamente con la salute pubblica.

In merito agli allevamenti di animali vengono indicate quali cause di insalubrità:

- produzione di rifiuti inquinanti - contaminazione di acqua e suolo;

- emissioni in atmosfera - cattivi odori;

- diffusione di infestanti ambientali;

- potenziale diffusione di agenti zonosici;

- rumore.

 

Gli articoli 216 e 217 del T.U.LL.SS si sono rivelati uno strumento importante al quale i Sindaci di tutta Italia hanno fatto ampio ricorso in tutte quelle situazioni in cui, al di là del rispetto delle singole normative di settore (inquinamento atmosferico, disciplina degli scarichi, inquinamento acustico, ecc.), l’esercizio di una ”industria insalubre” in vicinanza di un centro abitato si poneva in netto contrasto con le esigenze di benessere e di piena fruizione dell’ambiente da parte della popolazione, esigenze comunemente considerate ricomprese nel concetto di ”diritto alla salute” sancito dall’art. 32 della Costituzione. (Vedasi Sentenza TAR Toscana 11/07/1988 n 1016, richiamata nel seguito).

Secondo l’orientamento prevalente, essendo gli allevamenti di bestiame insediamenti insalubri di prima classe sussiste una vera e propria presunzione di pericolosità, e quindi sorge a carico del Sindaco l’obbligo della salvaguardia della pubblica salute con l’allontanamento dell’impianto in aperta campagna, senza obbligo alcuno di dettare misure preventive atte ad impedire il danno. Infatti, l’art. 217 non prevede debba essere il Sindaco ad indicare tali misure preventive, ma bensì l’interessato, che dovrà anche dimostrare l’idoneità ad evitare nocumento alla salute del vicinato.

(Sull’argomento vedasi Sentenze: Consiglio di Stato -Sez. V, 20/04/1979  n.208;  TAR Abruzzi, Sez.L’Aquila, 5/05/1986 n. 165; TAR Friuli Venezia Giulia, 8/04/1981 n. 50; TAR Emilia Romagna, Sez. Bologna, 25/03/1985 n.137).

 

 

2) Alcune sentenze del Consiglio di Stato, della Cassazione Penale e dei T.A.R. che hanno per oggetto “ allevamenti di animali” - “ industrie insalubri”:

 

2.1) Il numero di animali nell’allevamento non modifica la qualifica di industria insalubre.

La consistenza dell’allevamento di animali non modifica l’appartenenza o meno dello stesso alla qualifica di “industria insalubre di prima classe”.

Il TAR Lombardia, con sentenza n. 2217 del 19/11/2009, respingendo la tesi che “la tenuta di un allevamento di pochi animali (segnatamente tre mucche) non possa essere classificabile come stalla”, ha argomentato che il d.m. 05/09/1994, che definisce le industrie insalubri, si limita ad indicare come tale sia l’allevamento di animali,, senza fissare un numero minimo di animali perché si possa integrare la definizione in parola”.

da http://www.ptpl.altervista.org/dossier/dossier_industria_insalubre.htm

link a www.giustizia-amministrativa.it

 

2.2) Non è necessario un ulteriore provvedimento per qualificare una industria insalubre definita tale dal D.M. 5/09/94.

La Cassazione Penale, sez. II, in data 6 Aprile 1994 con Sentenza n 1995 ha precisato: ”Il d.m. 5 settembre 1994 elenca, classifica e definisce le industrie insalubri; nessun altro atto si richiede perché un’industria sia ritenuta tale, nessun ulteriore provvedimento alternativo o dichiarativo è necessario oltre all’inquadramento per definizione ministeriale”, per la determinazione di una industria insalubre.

da http://www.ilcaso.it/acustico/a.pdf - Pericolosità delle industrie insalubri:astratta o concreta ? - di Silvano Di Rosa - Consulente Legale Ambientale - Esperto A.N.E.A.

 

2.3) Ai fini dell’applicazione dell’art. 216 del TULS, per impedire che dallo svolgimento di determinate lavorazioni possa derivare un pericolo per i cittadini,  non è rilevante che l’attività sia industriale, commerciale o agricola.

Il T.A.R. Abruzzo, L’Aquila, sez. I. con sentenza del 24 febbraio 2009, n.90, avente per oggetto: INQUINAMENTO – Attività insalubri – Art. 216 T.U. n. 1265/1934, si è così espressa: Ai fini dell’applicazione dell’articolo 216 T.U. 27 luglio 1934 n. 1265 sulle attività insalubri (con specifico riguardo all’allevamento di animali) ciò che rileva non è che l’attività sia industriale, commerciale od agricola, ma lo scopo perseguito dalla norma appena citata, che consiste –al di là di quella qualificazione- nell’impedire che dallo svolgimento di determinate lavorazioni possa derivare pericolo per la salute dei cittadini (Cons. Stato sez. V n. 778 dell’8.6.1998).

da http://www.unitel.it/_news24/news19/49.pdf

(Massima a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

(Vedasi anche sentenze: TAR Sicilia Palermo, sez. I. del 24/01/2000, n.67, TAR Liguria, sez. I.20/10/2000, n. 1051).

 

2.4) I termini: “industria” sono intesi a rivolgersi a tutte quelle attività di qualsiasi genere che, modificando la situazione socio ambientale, possono dar luogo ad occasioni di pericolo per la salute pubblica””.

Il T.A.R. Toscana, sez.I. con sentenza del 24/11/1998 n.665, riguardo al termine “industria” impiegato all’art. 216 del T.U.LL.SS., ha precisato che lo stesso non attiene esclusivamente all’attività umana diretta alla produzione di beni mediante procedimenti di carattere artificiale, ma il legislatore ha inteso sostanzialmente rivolgersi «...a tutte quelle attività che, modificando la situazione socio-ambientale del territorio, possono dar luogo ad occasioni di pericolo per la salute pubblica».

da www.ilcaso.it/acustico/b - Industrie insalubri, ma non solo industrie.- di Silvano Di Rosa - Consulente Legale Ambientale A.N.E.A.

 

2.5) I termini: ”lavorazioni”-“manifatture o fabbriche”-“industria o manifattura” utilizzati nell’art. 216 indicano tutte quelle attività di qualsiasi genere che, in quanto producono vapori, gas o altre esalazioni insalubri, possono risultare pericolose per la salute degli abitanti.

Inoltre in “allevamento di animali” definita industria insalubre debbono considerasi ricompresi non solo bovini, equini, caprini, equini e suini, ma anche gli animali da cortile, quali coniglicoltura, pollicoltura, apicoltura, ecc””.

Il T.A.R. Veneto con Sentenza del 8/05/1980 n.325, tra l’altro specifica che “...l’art. 216 del T.U.LL.SS. non si riferisce alla attività umana diretta alla sola produzione di beni mediante procedimenti di carattere artificiale, ma ad ogni attività industriale in senso stretto ed anche agricola....” e precisa altresì che i termini “lavorazioni”, “manifatture o fabbriche” ed “industria o manifattura”, utilizzati in modo fungibile, nell’art. 216 sopracitato, si indicano attività lavorative di qualsiasi genere e che tali lavorazioni in tanto sono prese in consederazione dal Capo terzo del T.U. in quanto producono vapori, gas o altre esalazioni insalubri che possono riuscire in altro modo pericolose per la salute degli abitanti, indipendentemente dalla loro natura: industriale in senso stretto, od agricola e, nella fattispecie relativa a “allevamento di animali”, definita industria insalubre, devono considerarsi ricompresi tutti i tipi di allevamento, non solo “bovini, ovini, caprini, equini e suini”, ma anche gli “allevamenti degli animali da cortile e le altre attività di allevamento, quali la coniglicoltura, la bachicoltura, la pollicoltura, l’apicoltura, ecc.”.

da www.ilcaso.it/acustico/b - Industrie insalubri, ma non solo industrie.- di Silvano Di Rosa - Consulente Legale Ambientale A.N.EA.

 

2.6) L’art. 216 del tuls si armonizza con le norme dello strumento urbanisticoproprio al fine di allontanare quelle lavorazioni insalubri a tutela della qualità della vita dei residenti.

Il Consiglio di Stato Sez.IV, con sentenza del 22/01/2013 n.364 ha ancora affermato e precisato: “...la giurisprudenza evidenzia come l’art. 216 t.u.l.s., nel consentire la permanenza delle industrie insalubri nei centri abitati a certe condizioni e accorgimenti tecnici, non ha autorizzato il Comune a disporre una deroga al disposto della norma, tale da porre nel nulla il precetto che vuole lontane dagli abitati le lavorazioni insalubri. Al contrario, ha inserito una prescrizione che si armonizza con le norme dello strumento urbanistico e ha proprio il fine di allontanare quelle lavorazioni a tutela della qualità della vita dei residenti. Si tratta quindi di un ulteriore strumento di governo del territorio che conferisce all’ente locale, nell’ambito del potere pianificatorio, un’ampia potestà di valutazione della tollerabilità o meno di quelle attività, tanto ampia da comprendere anche l’interdizione dell’esercizio delle attività stesse”.

da http://www.ediltecnico.it/newsletter/2013/080313/09.pdf

 

3) Le Industrie insalubri ed il potere di valutazione del Sindaco.

 

In base a quanto stabilito all’articolo 216 del T.U.LL.SS., chiunque intende attivare una fabbrica o manifattura compresa nel sopra indicato elenco, deve quindici giorni prima darne avviso per iscritto al Sindaco.

 

Nel caso di Industria insalubre di prima classe è a carico del Sindaco l’obbligo di salvaguardare la salute pubblica con l’allontanamento dell’insediamento dalla vicinanza con le abitazioni.

il Consiglio di Stato, sez. V, con sentenza del 20/04/1979, n 208, ha precisato che ai fini dell’allontanamento dell’impianto, è assolutamente irrilevante l’eventuale destinazione urbanistica ad insediamenti agricoli industriali dell’area in cui esso è ubicato. Il Sindaco, nella Sua veste di massima autorità sanitaria locale, quando lo ritenga necessario nell'interesse della salute pubblica, può vietarne l'attivazione o subordinarla a determinate cautele.

Secondo il prevalente orientamento giurisprudenziale, in tema di allevamenti di bestiame essendo questi “industrie insalubri di prima classe”, sussite una fondata presunzione di di pericolosità, e quindi è a carico del Sindaco l’obbligo di salvaguardare la salute pubblica con l’allontanamento dell’insediamento dalla vicinanza con le abitazioni. Nel merito,

 

Il Consiglio di Stato, V, 15 febbraio 2001, con sentenza n. 766 specifica che “rientrano nelle attribuzioni dei Sindaci i poteri di controllo e repressivi, previsti dagli artt. 216 e 217 del T.U.L.S. 1265/1934, sia perché nessuna modifica è stata apportata dalla legge 833/1978 (cfr. art. 32, 3° comma), sulla istituzione del Servizio sanitario nazionale, sia in relazione all’attuazione della delega di cui alla legge 22 luglio 1975, n. 382, avvenuta con il DPR 24 luglio 1977, n. 616 (art. 32).

Nell’ambito di tale attività il Sindaco opera per il corretto esercizio dei poteri attribuitigli con l’ausilio della locale Unità Sanitaria, il cui parere ha natura consultiva e endoprocedimentale e tuttavia, data la sua natura di carattere tecnico-sanitario, sollecita la promozione di tutti gli interventi tesi a tutelare la salute pubblica.

Questa Sezione (Cons. Stato Sez. V 5 febbraio 1985, n. 67) ha già avuto modo di rimarcare che il Sindaco è titolare di un’ampia potestà di valutazione della tollerabilità o meno delle lavorazioni provenienti dalle industrie, classificate "insalubri", ed inserite nella prima e nella seconda delle categorie previste dall’art. 216 del richiamato testo unico delle leggi sanitarie, e l’esercizio di tale potestà può avvenire in qualsiasi tempo e, quindi, anche in epoca successiva all’attivazione dell’impianto industriale. Inoltre, può estrinsecarsi con l’adozione in via cautelare di interventi finalizzati ad impedire la continuazione o l’evolversi di attività che presentano i caratteri di possibile pericolosità, per effetto, in particolare, delle esalazioni, scoli e rifiuti, specialmente riguardanti l’allevamento, e ciò per contemperare le esigenze di pubblico interesse con quelle pur rispettabili dell’attività produttiva.

Ed anche sentenze:

T.A.R. Lombardia Brescia, 1/09/1992 n.946 e 12/06/1996 n 701; TAR Piemonte Torino 5/6/1996 n 440: Il sindaco, nell’esercitare i propri poteri, si avvale del supporto di un organo tecnico, l’Azienda sanitaria locale, il cui parere ha natura consultiva e endoprocedimentale e non è vincolante, ma riveste particolare importanza sia per la diagnosi degli elementi pregiudiziali arrecabili alla salute pubblica che per la promozione, in positivo, degli strumenti di tutela stessa.

Il T.A.R. Toscana. Sentenza del 11/07/1988 n.1016 Gli articoli 216 e 217 del T.U.LL.SS si sono rivelati uno strumento importante cui i Sindaci hanno fatto ampio ricorso in tutte quelle situazioni in cui, al di là del rispetto delle singole normative di settore (inquinamento atmosferico, disciplina degli scarichi, inquinamento acustico, ecc...), l’esercizio di una ”industria insalubre” in vicinanza di un centro abitato si poneva in netto contrasto con le esigenze di benessere e di piena fruizione dell’ambiente da parte della popolazione, esigenze comunemente considerate ricomprese nel concetto di “diritto alla salute” sancito dall’art. 32 della Costituzione.

Proprio nel merito al “diritto alla salute” sancito dall’art.32 della Costituzione, in cui è da considerarsi incluso il “diritto ad un ambiente salubre”, si richiama quanto affermato la Corte di Cassazione con la celebre sentenza a sezioni riunite del 6 Ottobre 1979 n 2302, in cui la Corte ha affermato che la protezione “si estende alla vita associata dell’uomo nei luoghi delle varie aggregazioni nelle quali questa si articola e, in ragione della sua effettività, alla preservazione in quei luoghi delle condizioni indispensabili o anche soltanto propizie alla sua salute: essa assume in tal modo un contenuto di socialità e di sicurezza, per cui il diritto alla salute, piuttosto (o oltre) che come mero diritto alla vita e all’incolumità fisica, si configura come diritto all’ambiente salubre”.

(da www.ilcaso.it/acustico/b - Industrie insalubri, ma non solo industrie.- Dott.Avv. Silvano Di Rosa - Consulente Legale Ambientale A.N.E.A.)

Secondo l’orientamento prevalente, essendo gli allevamenti di bestiame insediamenti insalubri di prima classe sussiste una vera e propria presunzione di pericolosità, e quindi sorge a carico del Sindaco l’obbligo della salvaguardiadella pubblica salute con l’allontanamento dell’impianto in aperta campagna, senza bisogno alcuno di dettare misure preventive atte ad impedire il danno. Infatti, l’art. 217 non prevede debba essere il Sindaco ad indicare tali misute preventive, ma bensì l’interessato, che dovrà anche dimostrare l’idoneità ad evitare “nocumento alla salute del vicinato”.

Inoltre, in presenza di eventuali prescrizioni date per eliminare il danno alla salute pubblica, è senz’altro leggittima, in mancanza di adeguamento a dette prescrizioni, l’ordinanza di chiusura di un allevamento. (dalle Sentenze TAR Liguria, 6/03/1980 n. 124; TAR Abruzzi, sez. L’Aquila, 5/05/1986 n165; Consiglio di Stato, sez. V, 27/04/1988 n 247)

da www.buiatria.it -Gli art.216-217 T.U.LL.SS. sulle lavorazioni insalubri: Breve rassegna della giurisprudenza in materia di allevamenti. Università degli Studi di Bologna - Istituto di Patologia Speciale e Clinica Medica Veterinaria. - Centro Raccolta atti Legislativi Europei, Nazionali e Regionali inerenti il Servizio Veterinario.

 

4) Il potere di vigilanza sulle industrie insalubri da parte del Sindaco ed il mancato esercizio di tale potere determina il reato di omissione di atti d’ufficio.

 

4.1) il mancato esercizio in presenza dei prescritti presupposti (fenomeni di grave inquinamento ambientale e conseguente pericolo per la salute pubblica) da parte del Sindaco determina tra l’altro i reati di danneggiamento e di omissione di atti d’ufficio ai sensi dell’art. 328, comma 1, c.p.

TAR Puglia (LE) Sez. I n. 1786 del 7 luglio 2009

...............

”Ai sensi degli art. 216 e 217 t.u. 27 luglio 1934 n. 1265, il sindaco è infatti titolare di un generale potere di vigilanza sulle industrie insalubri e pericolose che può anche concretarsi nella prescrizione di accorgimenti relativi allo svolgimento dell'attività, volti a prevenire, a tutela dell'igiene e della salute pubblica, situazioni di inquinamento, e tale potere è ampiamente discrezionale ed esercitabile in qualsiasi tempo, sia nel momento in cui è richiesta l'attivazione dell'impianto, sia in epoca successiva (T.A.R. Veneto, sez. II, 16 dicembre 1997, n. 1754).

Presupposto per l’esercizio di siffatto potere è la sussistenza di un concreto pericolo per l’ambiente e dunque per la salute pubblica, da valutare complessivamente a seguito di attenta ed approfondita istruttoria, e dunque previa consultazione ed avviso degli organismi competenti in materia sanitaria ed ambientale (ASL, ARPA, etc.), nei sensi ed alle condizioni previste dall’art. 16 della legge n. 241 del 1990.

Si sottolinea ancora come tale potere, il cui mancato esercizio in presenza dei prescritti presupposti (fenomeni di grave inquinamento ambientale e conseguente pericolo per la salute pubblica) determina tra l’altro i reati di danneggiamento e di omissione di atti d’ufficio ai sensi dell’art. 328, comma 1, c.p., sia tuttora esercitabile - per quieta giurisprudenza (T.A.R. Liguria, sez. I, 8 marzo 1996, n. 68; Cons. Stato, sez. V, 29 ottobre 1992, n. 1080) - anche in presenza di norme specifiche in materia di inquinamento come ad esempio il d.P.R. 24 maggio 1988 n. 203 (cfr. T.A.R. Piemonte, sez. II, 5 febbraio 1998 , n. 37)” .........

da http://www.ambientediritto.it/sentenze/2009/TAR/Tar_Puglia_LE_2009_n.1786.htm

 

5) La ubicazione delle industrie insalubri ai sensi dell’art.216 del TU.LL.SS.

 

5.1) La ubicazione di una industria insalubre di prima classe, a distanza da escludere immissioni nocive, deve intendersi realizzata allorchè risulti isolata da una adeguata zona di rispetto dagli insediamenti di tipo residenziale.

T.A.R. Piemonte. Sentenza del 26.01.2012, n.112. “.... la ubicazione di uno stabilimento che effettui lavorazioni insalubri (quindi industria insalubre) a distanza tale da escludere immissioni nocive ai sensi dell'art. 216 TU.LL.SS deve intendersi realizzata quando lo stabilimento sia ubicato in zona che la pianificazione riservi alle attività industriali e che pertanto deve ritenersi isolata da una adeguata zona di rispetto dagli insediamenti di tipo residenziale”.

da http://www.reteambiente.it/normativa/16318/

 

5.2) Il giudizio valutativo sulla su lontananza e vicinanza da parte del Comune non deve risultare manifestamente illogico. La fissazione del limite minimo di distanza dalle abitazioni di un’industria insalubre deve essere valutata con particolare riguardo alla tipologia di impianto.

Consiglio di Stato, Sez. V. Sentenza n.240/90. Sul punto della localizzazione delle industrie insalubri di prima classe, la giurisprudenza amministrativa ha affermato che il giudizio valutativo del Comune su dette industrie, che debbono essere isolate nelle campagne e tenute lontano dalle abitazioni, presenta ampi margini di insindacabilità, censurabile solo quando le valutazioni di lontananza e vicinanza siano manifestamente illogiche

T.A.R. Toscana n. 947/2006 REG. SENT.

“.....l’art. 216 del t.u. delle leggi sanitarie n. 1265/1934, al quinto comma, prevede una deroga per la “industria o manifattura” insalubre di prima classe, che può essere “permessa nell’abitato” se l’interessato dimostri che per l’introduzione di metodi o cautele il suo esercizio non reca nocumento alla salute del vicinato;....

il Comune, proprio ai sensi dell’art. 216 ricordato, è tenuto a verificare la nocività dell’impianto in concreto, con la specifica valutazione dei metodi e delle cautele offerte dall’interessato.”

da www.confediliziafirenze.it/sentenze_visualizza.php?id=97

Consiglio di Stato, Sez. V, Sentenze: n.1041 del 20/10/1978 e n.1000 del 14/10/1992. Il Consiglio di Stato ha affermato che “”il principio fondamentale, insistentemente affermato dalla giurisprudenza amministrativa, riguarda la piena discrezionalità dell’amministrazione comunale circa la fissazione (in mancanza di una statuizione normativa nazionale) del limite minimo di distanza dalle abitazioni di una industria insalubre comunque da situarsi in aperta campagna e lontano dalle abitazioni. Tale discrezionalità si giustifica sulla base della spiccata duttilità del concetto di lontananza che deve essere valutata con particolare riguardo alla tipologia di impianto di cui trattasi.

da http://www.buiatria.it/file_27/Pages%20from%20volume27-18.pdf - Gli artt. 216-217 T.U.LL.SS. sulle lavorazioni insalubri: Breve rassegna della giurisprudenza in materia di allevamenti.  - Cinotti S., Peccolo G.

 

5.3) La distanza minima tra un’industria insalubre e l’abitato deve essere computata dal confine dell’area asservita e non dalle opere in muratura poste all’interno. Tale valutazione è motivata soprattutto nei casi in cui i terreni siano i recettori i ricettori delle deiezioni prodotte negli allevamenti.

In particolare, il T.A.R. Lazio, sez. Latina con sentenza del 26/03/1982 n.127 ha affermato che la distanza minima tra un’industria insalubre (nel caso, trattavasi appunto di allevamento) e il più vicino centro abitato deve essere computata dal confine dell’area asservita, e non dalle opere in muratura e dai capannoni (strutture di ricovero degli animali e di esrcizio dell’impianto) che siano posti all’interno dell’area. L’affermazione del T.A.R., largamente condivisibile, è motivata soprattutto nei casi in cui i terreni siano ricettori delle deiezioni prodotte dagli allevamenti. Le deiezioni rappresentano il fattore di maggior impatto negativo ai fini della tutela della pubblica igiene e del malessere della popolazione interessata. E’ evidente che non può sempre ritersi soddisfatto il requisito della “sufficiente lontananza” quando questo riguardi la distanza tra abitazioni e strutture di ricovero di ricovero degli animali e di esercizio dell’impianto.

(da www.buiatria.it -Gli art.216-217 T.U.LL.SS. sulle lavorazioni insalubri: Breve rassegna della giurisprudenza in materia di allevamenti. Università degli Studi di Bologna - Istituto di Patologia Speciale e Clinica Medica Veterinaria. - Centro Raccolta atti Legislativi Europei, Nazionali e Regionali inerenti il Servizio Veterinario).

 

6) La gestione dei reflui di allevamento:

L’attività zootecnica influenza significativamente gli equilibri ambientali, incidendo prioritariamente su qualità dell’aria, qualità delle acque, suolo, biodiversità, ecc.

Le deizioni degli animali allevati (le deiezioni del bestiame o una miscela di lettiera e di deiezioni di bestiame), definiti “effluenti di allevamento”, costituiscono un grave problema in quanto, per la loro gestione, è necessario osservare scrupolosamente la normativa vigente, sia quella nazionale che quella regionale.

Tali norme sono intese a favorire la corretta convivenza fra umani e animali, tutelare la salute pubblica e l’ambiente, promuovere la conservazione degli ecosistemi e degli equilibri ecologici.

Il nuovo T.U. ambientale, D.Lgs 152/2006, nella parte terza e parte quarta, disciplina normativamente la materia degli scarichi e la tutela delle acque dall’inquinamento; detta anche norme in materia difesa del suolo e lotta alla desertificazione nonché di gestione delle risorse idriche.

In merito alla gestione dei reflui di allevamento ocorre prioritariamente osservare che il D.Lgs 152/2006 nella parte quarta disciplina normativamente tutti i “rifiuti” (sia solidi che liquidi) ed indica tra i rifiuti, con il codice CER 02 01 06, le "feci animali, urine e letame, effluenti, raccolti separatamente e trattati fuori sito”, poi, nella parte terza, stabilisce alcune deroghe dalla qualifica di rifiuti in funzione della provenienza, della gestione e del riutilizzo nella pratica agricola.

Nella parte terza del citato D.Lgs 152/2006 sono ricomprese le deroghe alle norme di cui alla parte quarta. Tali deroghe trattano:

  1. a) la definizione e le regole che riguardano lo “scarico”;

  2. b) la assimilazione delle “acque reflue” provenienti da imprese dedite ad allevamento di bestiame alle acque reflue domestiche.

 

La gestione dei reflui può variare in funzione della tipologia dell’allevamento ed in particolare se trattasi di “stabulazione fissa” o di “stabulazione libera”.

(La stabulazione indica il confinamento di animali in spazi controllati e delimitati artificialmente; nella stabulazione fissa gli animali occupano sempre lo stesso spazio, detto posta e sono legati ad una rastrelliera; nella stabulazione libera gli animali possono muoversi liberamente nella stalla e possono avere accesso ad aree scoperte. Inoltre, questo tipo di allevamenti può essere completamente all’aperto e privo di stalla.

Esistono inoltre gli allevamenti allo stato brado in cui le bestie vengono lasciate al pascolo per tutto l'anno e gli allevamenti allo stato semibrado nei quali gli animali in inverno stanno in stalla e in estate al pascolo brado).

In base alla normativa di cui al D.Lgs 152/2006 e a quella regionale, negli allevamenti a stabulazione fissa o a stabulazione libera, i reflui possono essere gestiti come segue:

6/a) mediante stoccaggio e successivo riutilizzo, in genere nella pratica agricola come fertilizzanti o emendanti: i liquami (effluenti di allevamento non palabili, derivanti dalla miscela di feci, urine, residui alimentari, ecc.), provenienti dalla stalla, sono raccolti in apposite vasche; i letami (effluenti di allevamento palabili derivanti dalla miscela di feci, urine, residui alimentari e materiali lignocellulosici, ecc.) sono raccolti in platee di stoccaggio a pavimentazione di calcestruzzo armato provviste di cordoli o pareti perimetrali di contenimento.

6/b) mediante il convogliamento con apposito “scarico” autorizzato ad uno specifico corpo recettore.

6/c) Inoltre, esclusivamente per le Regioni che hanno deliberato in materia di “allevamenti all’aperto”, (per esempio Regione Piemonte - Aree scoperte destinate alla stabulazione - L.R. 40/98 e s.m.i.- INSEDIAMENTI ZOOTECNICI): mediante rilascio in continuo sul suolo delle deiezioni da parte degli animali stabulati purchè (ed esclusivamente) dette aree di esercizio scoperte destinate alla stabulazione degli animali siano opportunamente impermeabilizzate e dotate di idonei sistemi per la captazione ed il convogliamento delle deiezioni e delle acque meteoriche ricadenti su di esse in vasche di raccolta.

 

In merito ai su esposti sistemi di gestione dei reflui è opportuno considerare quanto segue:

6/a-1) Stoccaggio dei reflui e successivo riutilizzo nella pratica agricola come fertilizzanti o emendanti.

Come già detto in precedenza, in base alla normativa vigente i reflui da allevamento allorchè stoccati in appositi contenitori per un successivo riutilizzo e fino all’effettivo utilizzo nella pratica agricola sono “rifiuti”.

La Corte di Cassazione penale in più sentenze ha confermato in ogni occasione che la deroga alla normativa sui rifiuti interviene solo allorquando i reflui di alllevamento siano utilizzati nella pratica agricola.

Si riportano alcune sentenze in merito ai “letami” e ai “liquami”:

- Sentenza Cass. Pen Sez III, n. 38411 del 9/10/2008. “Ai sensi dell'art. 185, comma 1. lett. c) del D.Lgs. 3.4.2006 n. 152, l'esclusione delle materie fecali dalla disciplina sui rifiuti, contenuta nella parte quarta dello stesso decreto legislativo, opera a condizione che dette materie provengano da attività agricola e che siano riutilizzate nella stessa attività agricola”.

- Sentenza Cass. Pen Sez III, n. 36830 del 12/11/2011. “i liquami costituiti dalle deiezioni animali provenienti da un allevamento zootecnico rappresentano, per qualità e quantità, un dato significativo della pericolosità per l'ambiente e la salute delle persone che può derivare dallo svolgimento di tale attività e richiede pertanto, da parte dei soggetti preposti, la predisposizione di ogni necessario accorgimento atto ad evitare sversamenti, anche accidentali, dei liquami prodotti”.

- Sentenza Cass. Pen Sez III, n. 49454 del 20/12/2012 “.............Sicchè, come ribadito anche di recente, sono da considerarsi rifiuti allo stato liquido, soggetti alla disciplina del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256 gli effluenti di bestiame che, in luogo di defluire direttamente nelle condotte di scarico , siano raccolti in apposite vasche a tempo indeterminato"(cfr. Cass. pen. Sez. 3 n. 15652 del 16.3.2001)”.

Per lo stoccaggio dei reflui di allevamento destinati poi all’utilizzo in agricoltura è necessario prevedere apposite vasche per i liquami e platee per i letami, di dimensioni tali da garantire sia un idoneo periodo di maturazione e stabilizzazione e delle necessità di stoccaggio per i periodi in cui è vietato il loro utilizzo.

(A titolo indicativo, per allevamenti in zone vulnerabili da nitrati, il periodo minimo di stoccaggio per i materiali palabili e per i materiali non palabili è di giorni 120).

 

La applicazione dei reflui da allevamento al terreno, in base alla normativa vigente, è ammessa solo ai fini di una reale utilizzazione agronomica, osservando comunque:

- il D.M. 7/04/2006 “Criteri e norme tecniche generali per la disciplina regionale dell'utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento, di cui all'articolo 38 del D.Lgs. 11 maggio 1999, n. 152”;

- Le Norme Regionali riguardanti l’argomento. (Utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento; delle acque reflue provenienti dalle aziende di cui all’art. 101, comma 7, lettere a), b) e c) del D.Lgs. 152/06 e da piccole aziende agroalimentari).

- Codice di buona pratica agricola (CBPA) approvato con D.M. 16/04/1999;

 

 

Si evidenziano alcune delle disposizioni vincolanti previste dalle norme Regionali per l'utilizzazione agronomica dei reflui:

  1. a) la tutela dei corpi idrici e, per gli stessi, il non pregiudizio del raggiungimento degli obiettivi di qualità fissati dalla normativa in materia di tutela delle acque;

  2. b) le tecniche di distribuzione devono assicurare, tra gli altri, il contenimento della formazione e diffusione, per deriva, di sostanze odorigene verso aree non interessate da attività agricola, comprese le abitazioni isolate e le vie pubbliche di traffico veicolare;

  3. c) il rispetto delle norme igienico-sanitarie, di tutela ambientale ed urbanistiche;

  4. d) il reinterro contestuale, o dopo le operazioni di spandimento entro e non oltre le 24 ore successive;

  5. e) il divieto di utilizzazione dei reflui a distanze inferiori a: 100 - 200 m. da punti di captazione di acque destinate ad uso domestico; a 50 m. da case sparse, ecc.;

  6. f) la richiesta di autorizzazione all’utilizzo dei reflui con la comunicazione contenente le informazioni stabilite dalla Regione, indirizzata al Sindaco del Comune in cui sono ubicati i terreni interessati all’utilizzazione agronomica, almeno 30 giorni prima dell’inizio dell’attività di spandimento;

  7. g) il rispetto del divieto di spandimento dei reflui nei periodi dell’anno eventualmente stabiliti dalla Regionale (in genere dal 15 novembre al 15 febbraio), in relazione agli andamenti climatici sfavorevoli, alle particolari condizioni locali;

  8. h) il rispetto delle dosi massime di concimazione azotata previste per le Zone Vulnerabili da Nitrati di origine agricola (ZVN), nelle quali è introdotto il divieto di spargimento dei reflui degli allevamenti oltre un limite massimo annuo di 170 kg di azoto per ettaro; nonché l’osservanza dei principi contenuti nel CBPA e degli indirizzi delle Autorità di Bacino nazionali ed interregionali.

 

6/b-1) Convogliamento con apposito “scarico” autorizzato ad uno specifico corpo recettore.

All’art. 74 , comma 1, lett ff del D.Lgs 152/2006 è definito “scarico”: qualsiasi immissione effettuata esclusivamente tramite un sistema stabile di collettamento che collega senza soluzione di continuità il ciclo di produzione del refluo con il corpo ricettore in acque superficiali, sul suolo, nel sottosuolo e in rete fognaria, indipendentemente dalla loro natura inquinante.

In merito alle suddetta definizione di “scarico” è opportuno tener conto di quanto stabilito dalla Cassazione Penale, Sez. III, con sentenze n. 2246 del 16/01/2008, n. 19880 del 11/05/2009 e n. 2537 del 22/05/2011 sulla corretta interpretazione della definizione di “scarico”, in base all’art. 74, comma 1, lett. ff) del D.Lgs 152/2006:

- Sentenza n. 2246 del 16/01/2008: “il parametro di riferimento per individuare - in materia di liquidi o semiliquidi di cui il detentore si disfa o intenda o sia obbligato a disfarsi - l’ambito di operatività della disciplina speciale relativa agli scarichi delle acque reflue nei corpi recettori rispetto alla disciplina generale sui rifiuti è rappresentato dalla esistenza o meno di un sistema di convogliamento delle acque nel corpo recettore, indipendentemente dalla loro natura inquinante”.

- Sentenza n. 19880 del 11/05/2009: “gli effluenti di allevamento, se non vengono utilizzati nella fertirrigazione, danno luogo ad uno scarico, parificato a quello domestico a tutti gli effetti se vengono smaltiti tramite condotta nel rispetto delle prescrizioni imposte dalla legge. Mancando invece la condotta, lo sversamento sul suolo, nel sottosuolo, ecc. al di fuori della fertirrigazione dà luogo allo smaltimento di rifiuti”

- Sentenza n. 2537 del 22/05/2011: “in assenza di una condotta di scarico, le acque reflue devono qualificarsi rifiuti liquidi il cui versamento sul suolo ovvero la cui immissione in acque superficiali o sotterranee, senza autorizzazione, è sanzionata penalmente dall’art. 256, commi 1 e 2 del D.Lgs 152/2006”

Pertanto, allorquando manca un sistema di convogliamento delle acque nel corpo recettore autorizzato, sia il liquame riversato in vasca di raccolta, sia il materiale palabile stoccato in apposita platea impermeabilizzata, sono considerati “rifiuti” fintanto che non vengono ripresi per un successivo riutilizzo, per esempio nella pratica agricola come emendante e in tale caso, dal momento in cui inizia l’utilizzazione agronomica, non sono più considerati rifiuti.

 

 

Ciò posto, si evidenzia che:

- In merito agli “scarichi” così come definiti dal D.Lgs 152/2006, lo stesso Decreto Legislativo stabilisce:

- all’art. 103: che è vietato lo scarico sul suolo o negli strati superficiali del sottosuolo;

- all’art. 104 che è vietato lo scarico diretto nelle acque sotterranee e nel sottosuolo;

La CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. III, con sentenza del 29.04.09 n. 17862 precisa, relativamente all’art. 137 c. 11 (che dispone:“chiunque non osservi i divieti di scarico previsti dagli articoli 103 e 104 è punito con l’arresto fino a tre anni ”) il legislatore, conformemente a direttive comunitarie ha voluto ribadire in maniera chiara e precisa il divieto di scarichi nel suolo e nel sottosuolo per la natura particolare di tale corpo recettore e per l’impossibilità di controllare le sostanze immesse.

L’autorizzazione allo scarico su suolo in deroga al generale divieto dell’art. 103 del D.Lgs. 152/06 non riguarda lo scarico dei reflui di allevamento.

 

- all’art. 124: che tutti gli scarichi devono essere preventivamente autorizzati.

Le Province e le Autorità d’ambito sono gli enti competenti al rilascio delle autorizzazioni agli scarichi (all’art. 124, comma 7).

E’ altresì importante precisare che il D.Lgs 152/2006 stabilisce che tutti gli scarichi:

- sono disciplinati in funzione del rispetto degli obiettivi di qualità dei corpi idrici e devono comunque rispettare i valori limite di emissione previsti nell'Allegato 5 alla parte terza dello stesso Decreto Legislativo (Art. 101, comma 1) e ai valori limite di qualità stabiliti dalle leggi Regionali.

Aspetti generali delle autorizzazioni (art. 124 del D.Lgs. 152/06):

  • ··L’autorizzazione è rilasciata al titolare dell’attività da cui origina lo scarico o al titolare dello scarico finale o al consorzio (comma. 2).

E’ rilasciata entro 90 giorni dalla ricezione della domanda (salvo i casi di sospensione) (comma. 7).

  • ··Indicazioni minimali da corredare all’istanza (art. 125 D.Lgs. 152/06):

Caratteristiche quantitative e qualitative dello scarico

Volume annuo di acqua da scaricare

Tipo di corpo recettore e punto di prelievo (accessibilità per il campionamento) sistema complessivo di scarico, di misura flusso apparecchiature dei processi produttivi e dei sistemi di scarico sistemi di depurazione

 

In merito ai “corpi ricettori” degli scarichi, di cui all’art. 74 sopra riportato, la disciplina del decreto sulle acque è riferita prevalentemente agli scarichi in acque superficiali e in rete fognaria in quanto gli scarichi sul suolo e nel sottosuolo sono ammessi solo eccezionalmente, come già detto e così come si può desumere agevolmente dagli articoli 103 e 104 che ne sanciscono il divieto.

 

Lo “scarico” e la assimilazione delle “acque reflue da allevamento di bestiame alle acque reflue domestiche”.

La assimilazione delle “acque reflue da allevamento di bestiame alle acque reflue domestiche” è prevista dal D.Lgs 152/2006 all’art. 101, comma 7, lettera b): le “acque reflue” provenienti da imprese dedite ad allevamento di bestiame sono assimilate alle acque reflue domestiche.

 

La assimilazione delle “acque reflue” provenienti da imprese dedite ad allevamento di bestiame alle acque reflue domestiche (modifica introdotta dall’art 2, comma 8, del D.Lgs n. 4 del 2008 che ha modificato l’art. 101, comma 7, lettera b) del D.Lgs 152/2006) costituisce una concreta condizione di deroga alla normativa sui rifiuti solo allorquando vi sia uno scarico diretto tramite condotta e senza soluzione di continuità (ossia senza interruzione), verso il corpo ricettore autorizzato.

Nel merito si riporta quanto affermato dalla Cassazione Penale, sez. III, con Sentenza n. 27071 del 4/07/2008 e con Sentenza n. 19880 dell’11/05/2009:

- Sentenza n. 27071 del 4/07/08: “l’assimilazione delle acque reflue provenienti da imprese agricole o da allevamenti di bestiame a quelle domestiche si riferisce ai casi in cui vi sia uno scarico diretto tramite condotta. Solo in tale caso, ossia in mancanza di spandimento al suolo degli effluenti derivanti dall’attività agricola o di allevamento di bestiame, era ed è applicabile la disciplina prevista per gli scarichi domestici. Allorchè i liquami vengano abbandonati alla rinfusa senza possibilità di assorbimento da parte del terreno, non si può parlare di fertirrigazione del suolo, ma di abbandono di rifiuti.”

- Sentenza 19880 del 11/05/09: “gli effluenti di allevamento, se non vengono utilizzati nella fertirrigazione, danno luogo ad uno scarico, parificato a quello domestico a tutti gli effetti se vengono smaltiti tramite condotta, lo sversamento sul suolo, nel sottosuolo, ecc. al di fuori della fertirrigazione dà luogo allo smaltimento di un rifiuto”

 

6/c-1 - Rilascio in continuo sul suolo delle deiezioni da parte degli animali stabulati.

(Si precisa ancora che la stabulazione indica un qualunque confinamento di animali in spazi controllati costruiti o ricavati artificialmente, diversamente da ciò che è l’allevamento allo stato brado).

Il rilascio in continuo sul suolo, delle deiezioni da parte degli animali stabulati, per tutto l’arco dell’anno, non è contemplato né dalla normativa nazionale, né da quella regionale come sistema alternativo al “convogliamento con apposito scarico autorizzato ad uno specifico corpo recettore” o allo “stoccaggio dei reflui per un successivo riutilizzo nella pratica agricola come fertilizzanti o emendanti” di cui si è già detto in precedenza.

E’ diffusa la convinzione che il rilascio in continuo sul suolo delle deiezioni da parte degli animali stabulati sia assimilabile alla tecnica della “fertirrigazione”. Questa convinzione è errata (per mancanza di conoscenza delle disposizioni normative o per altri interessi). Trattasi di una falsa fertirrigazione, di un sistema non conforme alla normativa vigente per “disfarsi di un rifiuto” che nulla ha a che fare con l’utilizzazione agronomica dei reflui. Vengono rilasciati reflui su terreni incolti in quantitativi e per tempi di applicazione incompatibili con scopi di utilizzazione agronomica.

Non può ritenersi “fertirrigazione” in quanto:

  1. a) - i letami permangono a cielo aperto sul terreno fintanto che non vengono rimossi;

  2. b) - le urine riversate vengono assorbite dal terreno stesso in base alle sue caratteristiche di permeabilità ed in funzione delle condizioni meteoriche del periodo.

    Si verificano acquitrini putrescenti, ruscellamenti ed emissioni odorigene nauseanti;

  3. c) - il rilascio delle deiezioni avviene sempre, per 365 gioni l’anno, sullo stesso appezzamento di terreno, cioè sull’area destinata alla stabulazione.

    In assenza di un utilizzo agronomico decade la deroga alla disciplina di cui alla parte quarta del D.Lgs 152/2006 e quindi i reflui rilasciati nell’area di stabulazione rientrano nella definizione giuridica di “rifiuto”;

  4. d) - verosimilmente viene superato il limite di 170 Kg per ettaro di Azoto, dal riversamento dei reflui, se la superficie del terreno utilizzato per la stabulazione è alquanto limitata e trovasi in zona vulnerabile ai nitrati.

In merito si riporta quanto alla Sentenza della Cassazione Penale n. 27071 del 4 luglio 2008:

“”................non si può parlare di fertirrigazione del suolo allorché, ........ i liquami vengono abbandonati alla rinfusa senza possibilità di assorbimento da parte del terreno, dando luogo a ruscellamenti, acquitrini o addirittura a paludi putrescenti, che non assolvevano la funzione, propria della fertirrigazione, di rendere i campi prosperi; anzi, come risulta dalla sentenza impugnata, hanno danneggiato il raccolto. In questi casi non si versa in ipotesi di fertirrigazione ma di abbandono di rifiuti (Cass n 5229 del 1991; Cass 3 dicembre 1999, Gobetti) sia in base alla normativa previgente che a quell'attuale””.

(da Ambiente Diritto.it - ACQUE - AGRICOLTURA - RIFIUTI - Allevamenti di bestiame - Acque reflue - Fertirrigazione - Disciplina applicabile - Utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento).

 

In numerosi allevamenti (soprattutto in quelli a carattere amatoriale, realizzati su superfici alquanto limitate) il rilascio in continuo sul suolo delle deiezioni animali, sempre nella stessa area di stabulazione, per tutto l’arco dell’anno (ed in assenza di una previsione di utilizzo agronomico sulla stessa superficie), confidando nelle capacità di assorbimento del terreno, è una violazione all’art. 137, comma 11 del D.Lgs 152/2006. Lo stesso articolo prevede che: “Chiunque non osservi i divieti di scarico previsti dagli articoli 103 e 104 è punito con l'arresto sino a tre anni”.

 

Tenuto conto di quanto sopra, seppure sia discutibile equipare il rilascio in continuo sul suolo delle deiezioni da parte degli animali stabulati, per tutto l’arco dell’anno, alla “fertirrigazione”, questo tipo di conduzione dovrebbe comunque comportare:

  • ··il rispetto delle norme igienico-sanitarie, di tutela ambientale ed urbanistiche;

  • ··la richiesta di autorizzazione allo sversamento dei reflui;

  • ··l’osservanza delle disposizioni riguardanti lo spargimento sul terreno dei liquami prodotti dagli allevamenti al fine di ridurre o comunque contenere le immissioni di nitrati nelle acque sotterranee e superficiali.

In particolare, in base a quanto all’art. 26, comma 5) del D.M D.M.7/4/2006, per le Zone Vulnerabili da Nitrati di origine agricola (ZVN),“la quantità di effluente non deve in ogni caso determinare in ogni singola azienda o allevamento un apporto di azoto superiore a 170 kg per ettaro e per anno”

Tale quantitativo è calcolabile sulla base del numero e delle categorie degli animali allevati (v. tabella 2 di cui al D.M.7/4/2006) con la seguente relazione:

carico . di . Azoto = Azoto . prodotto . ( Kg / anno . di . Azoto ) Superficie . ( ha ) ≤ 170 .

La superficie da considerare è quella effettivamente utilizzata per l’allevamento.

 

Dalla suddetta relazione è ricavabile, per ogni singolo capo delle diverse categorie di animali, la superficie minima di terreno necessaria.

A titolo di esempio:

- per ogni capo equini allevato (peso vivo 550 Kg/capo) la superficie minima è di 2232 m2.

(per gli equini: L’Azoto al campo (al netto delle perdite) è di 69 Kg/ton. di peso vivo per anno;

L’Azoto prodotto è 69 * 0,55 = 37,9 Kg

La superficie necessaria è 37,9/170 = 2232 m2

- per ogni capo bovino allevato (peso vivo 400 Kg/capo) la superficie minima è di 2232 m2.

(per gli equini: L’Azoto al campo (al netto delle perdite) è di 84 Kg/ton. di peso vivo per anno;

L’Azoto prodotto è 84 * 0,40 = 33,6 Kg

La superficie necessaria è 33,6/170 = 1976 m2

ecc.

  • ··l’osservanza delle distanze di rispetto di:

m 200 da punti di captazione di acque destinate ad uso domestico;

m 50 ¸ 100 m da abitazioni, case sparse, conglomerati urbani, ecc; nonchè le distanze di rispetto verso i confini di proprietà, strade, ecc.

(N.B.: in merito alle distanze dell’allevamento rispetto alle abitazioni deve essere computata tenendo conto sia di quanto al precedente punto 5.3) cioè dal confine dell’area asservita all’allevamento stesso, e non dalle opere in muratura e/o capannoni che siano posti all’interno dell’area interessata, sia delle distanze minime stabilite nelle disposizioni regionali in materia di fertirrigazione (distanze che variano, come detto da 50 a oltre 100 m).

  • ··l’attuazione di provvedimenti atti a scongiurare la contaminazione del suolo e delle acque, l’inquinamento olfattivo, nonchè la diffusione di infestanti ambientali, in particolare con la rimozione giornaliera delle deiezioni palabili;

E’ importante tener conto che alcune Regioni hanno deliberato in materia di “allevamenti all’aperto”, (per esempio Regione Piemonte - Aree scoperte destinate alla stabulazione - L.R. 40/98 e s.m.i.- INSEDIAMENTI ZOOTECNICI): mediante rilascio in continuo sul suolo delle deiezioni da parte degli animali stabulati purchè (ed esclusivamente) le aree di esercizio scoperte destinate alla stabulazione degli animali siano opportunamente impermeabilizzate e dotate di idonei sistemi per la captazione ed il convogliamento delle deiezioni e delle acque meteoriche ricadenti su di esse in vasche di raccolta.

La stessa L.R. precisa che: In alternativa alla realizzazione di un battuto in cemento è aggiungibile un grado di impermeabilizzazione adeguato riportando uno strato di terreno limoso argilloso adeguatamente compattato con un coefficiente di permeabilità ³1 x 10 -7 cm/s e spessore non inferiore a 30 cm; sul suddetto strato dovrà essere riportato terreno agrario per uno spessore di almeno 50 cm per i mammiferi e 30 cm per il pollame che periodicamente dovrà essere sostituito e trattato come lettiera. Lo strato di terreno limoso argilloso deve trovarsi almeno 2 m al di sopra del livello massimo di escursione del pelo libero della prima falda acquifera.

 

In ultimo si riporta una importante affermazione contenuta nella sentenza della Corte di Cassazione Penale - Sez. III n. 36830 del 12 ottobre 2011 (Ud. 22 set. 2011)

Pres. Squassoni Est. Ramacci Ric. Alberti

“i liquami costituiti dalle deiezioni animali provenienti da un allevamento zootecnico rappresentano, per qualità e quantità, un dato significativo della pericolosità per l’ambiente e la salute delle persone che può derivare dallo svolgimento di tale attività e richiede pertanto, da parte dei soggetti preposti, la predisposizione di ogni necessario accorgimento atto ad evitare sversamenti, anche accidentali, dei liquami prodotti.”

(da Lexambiente.it - Rivista giuridica online a cura di Luca RAMACCI.

Rifiuti. Liquami costituiti da deiezioni animali provenienti da allevamento zootecnico).

 

7) IMPATTI AMBIENTALI E SANITARI DEGLI ALLEVAMENTI.

L’allevamento di animali, anche se costituito da un numero di capi limitato, allorquando non correttamente gestito può rompere l’equilibrio “zootecnia/ambiente” con ripercussioni negative, alcune immediate, altre a più lento effetto, pur sempre gravi e pericolose.

Gli allevamenti di animali producono prevalentemente emissioni di Ammoniaca, Metano e Acido Solfidrico, polveri sottili ed altri composti volatili, nonchè emissioni odorigene e bioaerosol (batteri, virus, endotossine, allergeni…) ed inoltre generano la diffusione di infestanti ambientali (mosche, blatte, zanzare).

In merito alle emissioni di all’ammoniaca si fa osservare che l’’inquinamento da azoto, nell’acqua e nell’aria è divenuto in questi ultimi anni un problema di grande rilievo ambientale, determinando, tra l’altro, l’emanazione della “direttiva nitrati” (direttiva comunitaria 91/676/CEE recepita dalla normativa italiana con il D.Lgs 11 maggio 1999, n. 152 e D.M. 7 aprile 2006).

In applicazione di tale direttiva le Regioni Italiane hanno delimitato le Zone Vulnerabili ai Nitrati di origine agricola (ZVN) e hanno redatto Il Piano di Azione Obbligatorio che è l'insieme di regole che le aziende, zootecniche e non, devono rispettare.

L’emissione di ammonica (NH3) dagli effluenti zootecnici deve essere ridotta per proteggere gli ecosistemi naturali.

7.1) CONTAMINAZIONE DEL SUOLO E DELLE ACQUE. La contaminazione avviene per dispersione di contaminanti presenti nei reflui zootecnici; in genere per fuoriuscite accidentali (o volontarie!) di reflui dalle strutture di stoccaggio; applicazione agronomica non corretta (reflui non adeguatamente maturati, eccessivo apporto di azoto); fenomeni di ruscellamento o di percolazione, ecc.

Negli allevamenti proviene prevalentemente dall’idrolisi dell’urea, per quanto riguarda i mammiferi, e dalla mineralizzazione delle proteine indigerite e delle proteine endogene secrete durante la digestione.

Le molecole dell’ammoniaca che vengono liberate nel suolo, possono subire un'ossidazione da parte di batteri liberi, con un processo chiamato nitrificazione, in cui i batteri nitrificatori trasformano l'ammoniaca in nitriti (NO2-), ed i batteri nitratatori, che, a loro volta, ossidano i nitriti e contribuiscono alla produzione dei nitrati (NO3-).

Carichi eccessivi di azoto nei terreni aumentano il rischio di lisciviazione e percolazione nelle acque superficiali ed in quelle profonde di inquinamenti azotati pericolosi per la salute umana (nitrati e nitriti); e fenomeni di eutrofizzazione. L’azoto presente nelle acque sotto varie forme può provocare acidificazione dei suoli, fenomeni di eutrofizzazione e di anossia dei corpi idrici recettori, ma sopratutto la contaminazione delle acque superficiali e di falde sotterranee utilizzate per l’attingimento di acque per uso civile.

La tossicità del nitrato è legata alla sua riduzione in nitrito, che determina:

- insorgenza di metaemoglobinemia nei neonati;

- reazione con ammine derivanti dalla dieta e formazione di nitrosammine cancerogene a livello dello stomaco.

 

Nel merito, si fa presente che l'acqua destinata al consumo umano e' regolamentata dal Decreto Legislativo del 2 Febbraio 2001 n.31 (in vigore dal 25 Dicembre 2003) che recepisce nella legislazione nazionale (DPR 236/88) le prescrizioni della direttiva dell'Unione Europea 98/83/CE relative alla qualità delle acque destinate al consumo umano.

"Le acque destinate al consumo umano devono essere salubri e pulite. Non devono contenere microrganismi e parassiti, ne' altre sostanze, in quantità o concentrazioni tali da rappresentare un potenziale pericolo per la salute umana".

 

La legge regolamenta dal punto di vista sanitario tutti gli aspetti organolettici, microbiologici chimici legati all'erogazione dell'acqua fissando dei limiti di concentrazione massima ammissibile. Questi vengono stabiliti tenendo conto dell'assunzione massima giornaliera su lunghi periodi, della natura del contaminante e della sua eventuale tossicità.

Si riportano di seguito, per alcuni parametri descrittivi della qualita' dell'acqua potabile i valori limite stabiliti dal DLgs 31/2001:

Cloruri (Cl):  valore limite:   250 mg/l;

Solfati (SO4):   “ 250 mg/l;

Nitrati (NO3)   “ 50 mg/l

Nitriti (NO2)   “ 0,50 mg/l

Sodio (Na)   “ 200 mg/l

In particolare occorre prestare attenzione alla contaminazione da nitrati mediante il controllo dei livelli. I nitrati sono principalmente imputabili all'attività antropica (fertilizzazione, zootecnia, ecc.); i nitriti derivano dalla trasformazione dei nitrati ad opera di batteri presenti nell'acqua e nel nostro organismo.

L’immissione sul suolo e nel sottosuolo dei composti dell'azoto, sotto forma organica, ammoniacale o nitrica e la percolazione nel terreno anche attraverso l'azione della piogga fa sì che tali composti raggiungano le falde acquifere.

Vi sono aree particolarmente vulnerabili, nelle quali la contaminazione da nitrati delle acque sotterranee supera normalmente il limite di 50 mg/l di ione nitrato al di sopra del quale la normativa italiana (D.P.R. 236/88) considera non potabile l'acqua.

7.1-a) TUTELA DEI CORPI IDRICI E DISCIPLINA DEGLI SCARICHI.

In base alle disposizioni di cui all’art. 94 del D.Lgs 152/2006, le regioni, per mantenere e migliorare le caratteristiche qualitative delle acque superficiali e sotterranee destinate al consumo umano,  individuano le aree di salvaguardia distinte in zone di tutela assoluta e zone di rispetto e, per gli approvvigionamenti diversi da quelli relativi alla erogazione mediante acquedotto, impartiscono, caso per caso, le prescrizioni necessarie per la conservazione e la tutela della risorsa e per il controllo delle caratteristiche qualitative delle acque medesime.

La zona di tutela assoluta e costituita dall'area immediatamente circostante le captazioni e deve avere un'estensione di almeno dieci metri di raggio dal punto di captazione, deve essere protetta e adibita esclusivamente a opere di captazione o presa.

La zona di rispetto da sottoporre a vincoli e destinazioni d'uso tali da tutelare qualitativamente e quantitativamente la risorsa idrica captata, che circoscrive la zona di tutela assoluta, può essere suddivisa in zona di rispetto ristretta e zona di rispetto allargata, in relazione all'opera di presa o captazione e alla situazione locale di vulnerabilita e rischio della risorsa.

In particolare, nella zona di rispetto sono vietati, tra gli altri, l'insediamento dei seguenti centri di pericolo e lo svolgimento delle seguenti attivita:

a) dispersione di fanghi e acque reflue, anche se depurate;

b) stoccaggio di concimi chimici, fertilizzanti e prodotti fitosanitari;

  1. c) spandimento di concimi chimici, fertilizzanti e prodotti fitosanitari;

.....

  1. n) pascolo e stabulazione di bestiame che ecceda i 170 chilogrammi per ettaro di azoto presente negli effluenti, al netto delle perdite di stoccaggio e distribuzione. E’ comunque vietata la stabulazione di bestiame nella zona di rispetto ristretta.

 

E’ da rilevare che nella nozione di acqua destinata al consumo umano rientrano, infatti, anche le acque fornite al consumo mediante acquedotti, autobotti e mezzi navali, le acque dissalate e addolcite, le acque, di approvvigionamento idrico di emergenza, le acque di pozzo emunte per usi domestici, le acque utilizzate da imprese alimentari, le riserve idropotabili nonché le acque ricomprese in bacini imbriferi protetti.

 

Lo stesso D.Lgs 152/2006 stabilisce che “In assenza dell'individuazione da parte delle regioni della zona di rispetto soprarichiamata, la medesima ha un'estensione di 200 metri di raggio rispetto al punto di captazione o di derivazione”.

 

In numerose direttive tecniche regionali riguardanti la “utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento; delle acque provenienti dalle aziende di cui all’art 101 del D.Lgs 152/06, ecc. è precisato che entro le zone di tutela assoluta e di rispetto, secondo le disposizioni di cui all’art. 94 del D.Lgs.152/06, è fatto divieto di utilizzazione dei liquami e dei materiali ad essi assimilati”.

E nei “Piani delle aree di salvaguardia - Delimitazione delle aree di salvaguardia delle acque superficiali e sotterranee destinate al consumo umano ” è esplicitamente richiamato quanto all’art. 94 del D.Lgs. 152/06 ed è altresì precisato che “In assenza dell'individuazione da parte della regione della zona di rispetto ai sensi del comma 1, la medesima ha un'estensione di 200 metri di raggio rispetto al punto di captazione o di derivazione”.

 

E’ comunque opportuno considerare che la determinazione, per i pozzi idrici, del valore di 200 m per il raggio dell’area della zona di rispetto (circonferenza con centro il pozzo), potrebbe risultare allo stato pratico puramente orientativa; infatti il criterio fisso geometrico può risultare non adeguato a proteggere effettivamente la risorsa idrica in quanto può non rispondere alle esigenze tecniche derivanti dallo studio del territorio, con le sue caratteristiche morfologiche, la sua struttura idrogeologica e con le diversificate attività antropiche esistenti.

Per i pozzi utilizzati per l’attingimento di acque potabili, sarebbe più auspicabile determinre in maniera più rigorosa la zona di rispetto ricorrendo a specifiche metodologie di analisi e di calcolo riguardanti l’argomento.

 

7.2) L’INQUINAMENTO OLFATTIVO. Il problema dell’inquinamento olfattivo ha una grande rilevanza, forse superiore a quella riferibile ad altre forme di inquinamento. Le emissioni odorigene possono creare condizioni di malessere e grave disagio in quanto incidono significativamente sulla qualità della vita delle persone che vengono interessate passivamente a tali diffusioni. Gli allevamenti zootecnici sono fonte di odori sgradevoli se non addirittura nauseabondi.

La percezione degli odori ha una forte componente soggettiva e dipende da quanto un odore sia percepito come sgradevole e fastidioso. Le sostanze che presentano odore fastidioso in genere non sono tossiche, ma la sensazione odorosa che viene recepita come fastidiosa, sgradevole, nauseabonda può ripercuotersi sull'equilibrio psico-fisico della persona (nausea, vomito, ipersalivazione, cefalee...).

Negli allevamenti di animali la maggior parte dei problemi legati ai cattivi odori sono da attribuire ai letami e liquami zootecnici. Questi, con il rilascio di sostanze volatili determinano odori, principalmente ammoniaca e metano. Ammoniaca e metano possono venire rilasciati sia nella fase di stoccaggio che in quella di spandimento.

In merito al’inquinamento olfattivo si riportano alcune delle numerose senenze riguardanti l’argomento:

CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^ 27/09/2011 (Ud. 14/07/2011) Sentenza n. 34896

“- che inoltre nel caso di emissioni idonee a creare molestie alle persone rappresentate da odori, se manca la possibilità di accertare obiettivamente, con adeguati strumenti, l'intensità delle emissioni, "il giudizio sull'esistenza e sulla non tollerabilità delle emissioni stesse ben può basarsi sulle dichiarazioni di testi, specie se a diretta conoscenza dei fatti, quando tali dichiarazioni non si risolvano nell'espressione di valutazioni meramente soggettive o in giudizi di natura tecnica ma consistano nel riferimento a quanto oggettivamente percepito dagli stessi dichiaranti" (in tal senso, Sez. 3, n. 19206 del 27/3/2008, Crupi, Rv. 239874)”;

da http:// http://www.ambientediritto.it/home/giurisprudenza/corte-di-cassazione-penale-sez-3-27092011-sentenza-n-34896

CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III PENALE - SENTENZA 26 settembre 2012, n.37037

“Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, poiché, l'ordinamento non prevede specifici valori-limite per le immissioni olfattive, le quali non rientrano nell'ambito della disciplina dell'inquinamento atmosferico, il reato di cui all'art. 674 cod. pen. è configurabile anche nel caso in cui tali immissioni provengano da un impianto munito di autorizzazione per le emissioni in atmosfera, essendo sufficiente il superamento del limite della normale tollerabilità ex art. 844 cod. civ.; limite che funge da criterio di legittimità delle emissioni ai sensi della seconda parte dello stesso art. 674 cod. pen. (sez. 3, 14 luglio 2011, n. 34896; sez. 3, 24 marzo 2011, n. 15592, Rv. 250868; sez. 3, 4 novembre 2011, n. 2377/2012, Rv. 251903; sez. 3, 27 marzo 2008, n. 19206, Rv. 239874; sez. 1, 27 marzo 2008, n. 16693, Rv. 240117; sez. 3, 09 ottobre 2007, n. 2475, Rv. 238447; sez. 3, 9 ottobre 2007, n. 2475, Rv. 238447)”.

“......il rispetto dei valori limite fissati per le emissioni inquinanti in atmosfera e la presenza dell'autorizzazione richiesta dal d.P.R. n. 203 del 1988 risultano pacifici, ma devono essere ritenuti irrilevanti; l'odore di ammoniaca nell'aria dovuto alle deiezioni degli animali è stato riconosciuto distintamente da una pluralità di soggetti; ..........”

“Nel caso in esame, trovano, dunque, applicazione i seguenti principi, più volte enunciati dalla giurisprudenza sopra richiamata: a) l'evento del reato consiste nella molestia, che prescinde dal superamento di eventuali limiti previsti dalla legge, essendo sufficiente il superamento del limite della normale tollerabilità ex art. 844 c.c.; b) se manca la possibilità di accertare obiettivamente, con adeguati strumenti, l'intensità delle emissioni, il giudizio sull'esistenza e sulla non tollerabilità delle emissioni stesse ben può basarsi sulle dichiarazioni di testi, specie se a diretta conoscenza dei fatti, quando tali dichiarazioni non si risolvano nell'espressione di valutazioni meramente soggettive o in giudizi di natura tecnica ma consistano nel riferimento a quanto oggetti va mente percepito dagli stessi dichiaranti”.

da http:// www.neldiritto.it/appgiurisprudenza.asp?id=8570

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. III, 21 dicembre 2006 (Ud. 21/11/2006), Sentenza n. 42087

........Sotto il profilo strettamente giuridico si osserva che secondo la giurisprudenza di questa corte, le esalazioni maleodoranti provenienti da stalle, allevamenti o luoghi simili configurano il reato di cui all'articolo 674 c.p. e non solo un illecito penale risarcibile ex articolo 844 c.c. allorché siano idonee a creare offesa al benessere dei vicini e grave pregiudizio per lo svolgimento della loro attività (Cass n. 678 del 1996 P.M. in proc. Viale; Cass n. 138 del 1995 Composto; 1293 del 1994 Sperotto).

Per molestia deve intendersi ogni fatto idoneo a recare fastidio, disagio o disturbo ed in genere qualsiasi fatto idoneo a turbare il modo di vivere quotidiano. Il superamento del limite della normale tollerabilità costituisce il parametro principale ( ma non l'unico) per valutare l'idoneità dell'esalazione maleodorante a recare offesa o molestia e ciò perché le emissioni maleodorante sono vietate nei casi non consentiti dalla legge, la quale contiene una sorta di presunzione di legittimità delle emissione dei fumi che non superino la soglia fissata da leggi speciali. Nella fattispecie, anche se non è stata espletata alcuna perizia tecnica, ..... si è comunque accertato per mezzo della relazione del medico dell'azienda sanitaria e dei sopraluoghi espletati dagli inquirenti, che si trattava di esalazioni non tollerabili tanto e vero che creavano "una condizione di disagio che culminava nella non vivibilità dell'ambiente".

7.3) LA DIFFUSIONE DI INFESTANTI AMBIENTALI quali mosche, blatte, zanzare, ecc.

Le attività zootecniche, per loro natura rappresentano situazioni altamente adatte alla proliferazione di insetti; tra questi, in ambito zootecnico vi sono i ditteri, tra cui Musca domestica e le blatte (principalmente Blatta orientalis).

- Le mosche (musca domestica) si sviluppano sulle sostanze organiche in decomposizione (deiezioni, residui alimentari, ecc.); sono fonte di disturbo sia per la popolazione che risiede nelle vicinanze degli allevamenti, sia per gli animali stessi. Sono importanti vettori meccanici in grado di diffondere microrganismi patogeni attraverso l’adesione alla superficie del corpo, in particolare alle zampe, o attraverso l’ingestione, seguita da rigurgito o defecazione.

- Le blatte (blatta orientalis), sono insetti onnivori che infestano gli allevamenti; sono vettori meccanici di agenti patogeni, oltre ad essere una fonte di contaminazione delle derrate alimentari destinate all'alimentazione animale. Le infestazioni possono estendersi anche alle abitazioni residenziali vicine ai siti di allevamento;

- Le zanzare sono fonte di disturbo per la popolazione, potenziali vettori di agenti patogeni per animali e uomo.

 

8) ATTIVAZIONE  ALLEVAMENTI  ZOOTECNICI (bovini, suini, ovi-caprini, avicoli, equini, cunicoli, ittici).

a) Comunicazione al Sindaco del Comune interessato.

Per l’attivazione di un allevamento zootecnico, unitamente alla DIA, ai sensi dell’articolo 216 del Testo unico leggi sanitarie (T.U.LL.SS., approvato con Regio decreto del 27 luglio 1934, n. 1265), occorre comunicare al Sindaco l’intenzione di attivare un allevamento zootecnico, quindici giorni prima dell’avvio dell’attività.

Il Sindaco, qualora lo ritenga necessario nell'interesse della salute pubblica, può vietarne l'attivazione o subordinarla a determinate cautele in quanto trattasi di “industria insalubre”.

 

Si ricorda, come già richiamato al punto 4.1) precedente, che sensi degli art. 216 e 217 t.u. 27 luglio 1934 n. 1265, il sindaco è infatti titolare di un generale potere di vigilanza sulle industrie insalubri e pericolose che può anche concretarsi nella prescrizione di accorgimenti relativi allo svolgimento dell'attività, volti a prevenire, a tutela dell'igiene e della salute pubblica, situazioni di inquinamento. La sussistenza di un concreto pericolo per l’ambiente e dunque per la salute pubblica, da valutare complessivamente, previa consultazione degli organismi competenti in materia sanitaria ed ambientale (ASL, ARPA, etc.), nei sensi ed alle condizioni previste dall’art. 16 della legge n. 241 del 1990. L’eventuale mancato esercizio in presenza dei prescritti presupposti (fenomeni di grave inquinamento ambientale e conseguente pericolo per la salute pubblica) determina i reati di danneggiamento e di omissione di atti d’ufficio ai sensi dell’art. 328, comma 1, c.p.,

.

b) Richiesta del Codice Aziendale:

Per la detenzione, anche di un singolo capo di “bovidi” (bovini, bufalini), “equidi” (cavalli, asini, muli, bardotti) ed “ovi-caprini” (ovini,caprini,lama,alpaca) deve essere richiesto il codice aziendale.

Nel merito, si precisa:

- In base all’art. 1 del D.P.R. 317/1996 - “Regolamento recante norme per l'attuazione della direttiva 92/102/CEE” relativa all'identificazione e alla registrazione degli animali è definita “azienda zootecnica: qualsiasi stabilimento agricolo, costruzione o allevamento all'aria aperta o altro luogo in cui gli animali sono tenuti, allevati o commercializzati, ivi comprese stalle di sosta e mercati”

- In base all’art. 2 del D.P.R. 317/96 “Il responsabile dell’azienda, entro venti giorni dalla data di entrata in vigore del presente regolamenlo o dall’inizio dell’attività deve presentare una richiesta di attribuzione del codice di identificazione aziendale al servizio veterinario territorialmente competente”.

Per ogni insediamento deve essere presentata la comunicazione di inizio attività (DIA) presso il Comune competente.

La cessazione dell’attività o la variazione dei dati anagrafici relativi a proprietà degli animali, detentore, indirizzo produttivo, specie animali allevati, devono essere comunicati entro il termine di sette giorni al Distretto Veterinario competente per territorio.

- Più propriamente, per gli equidi, il Decreto Interministeriale 5 maggio 2006, determina le modalità e le procedure operative per la gestione dell’anagrafe degli equidi e, tenuto conto di quanto al decreto del Presidente della Repubblica 30 aprile 1996 n. 317, sopra richiamato, ed in particolare di quanto all'art. 1, comma 2, lettera a) che dispone la possibilità di procedere all'identificazione e registrazione di specie animali diverse dai suini, ovini e caprini, stabilendo tra l’altro che: “Ogni azienda, come definita all'art. 2, comma 1, lettera b), in cui sia presente anche un solo equide, deve essere registrato, a cura del titolare, presso il servizio veterinario competente per territorio conformemente a quanto disposto dall'art. 2 del decreto del Presidente della Repubblica 30 aprile 1996, n. 317, e successive modifiche. Ogni variazione relativa all'azienda deve essere comunicata al servizio veterinario competente per territorio entro sette giorni dall'evento” (Art. 7. Registrazione dell'azienda).

 

c) Analisi della localizzazione dell’allevamento con riferimento a centri abitati, abitazioni civili, pozzi, strade, ecc.

L’allevamento zootecnico incide sulla qualità dell’ambiente, a partire dai rifiuti solidi, alle acque di lavaggio delle attrezzature, alle deiezioni animali, ovvero agli effluenti principalmente responsabili della produzione di odori, fino a giungere agli impatti ambientali legati all’utilizzo agronomico degli effluenti come gli apporti di azoto e fosforo sul suolo e nelle acque superficiali e profonde, ecc.

Per la localizzazione di un allevamento occorre tener conto:

  • ··delle disposizioni contenute nei piani urbanistici e in eventuali regolamenti comunali di igiene, sanità pubblica e veterinaria.

  • ··delle normative riguardanti l’insediamento di “industrie insalubri”, ben tenendo conto di quanto riportato in precedenza ai punti 2), 3) e 4) ed in particolare quanto ai punti 4.1) e 4.3)

“La ubicazione di una industria insalubre di prima classe, a distanza da escludere immissioni nocive, deve intendersi realizzata allorchè risulti isolata da una adeguata zona di rispetto dagli insediamenti di tipo residenziale”.

“La distanza minima tra un’industria insalubre e l’abitato deve essere computata dal confine dell’area asservita e non dalle opere in muratura poste all’interno. Tale valutazione è motivata soprattutto nei casi in cui i terreni siano i recettori delle deiezioni prodotte negli allevamenti”.

  • ··della tipologia di allevamento che si intende attuare con particolare riferimento alle cause di insalubrità tipiche riguardanti gli allevamenti:

- produzione di rifiuti inquinanti - contaminazione di acqua e suolo;

- emissioni in atmosfera - cattivi odori;

- diffusione di infestanti ambientali;

- potenziale diffusione di agenti zonosici;

- rumore.

  • ··delle misure attuabili, quali nuovi metodi o speciali cautele per non creare nocumento per la salute del vicinato, in particolare adottando:

- distanze congrue dell’area asservita all’allevamento rispetto alle aree interessate da nuclei abitati, case sparse, ecc., onde evitare l’interessamento di tali aree da possibile inquinamento olfattivo, diffusione potenziale di infestanti ambientali (mosche, blatte, zanzare), ecc.

- distanze di rispetto di 200 metri riferite ai pozzi di approvigionamento delle acque potabili siano questi asserviti ad acquedotto che ad uso privato.

Con riferimento a quanto riportato al precedente punto 6.1-a) si richiama che il D.Lgs 152/2006 stabilisce che “In assenza dell'individuazione da parte delle regioni della zona di rispetto soprarichiamata, la medesima ha un'estensione di 200 metri di raggio rispetto al punto di captazione o di derivazione” e che in base al suddetto D.Lgs ed alle direttive tecniche regionali entro tali aree è fatto divieto di utilizzazione dei liquami e dei materiali ad essi assimilati”, nonché la “utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento; delle acque provenienti dalle aziende di cui all’art 101 del D.Lgs 152/06, ecc.

- le disposizioni che prevedono per le aree scoperte destinate alla stabulazione degli animali, caratterizzate dal rilascio in continuo sul suolo delle deiezioni da parte degli animali stabulati, la impermeabilizzazione del terreno e la dotazione delle stesse aree di idonei sistemi per la captazione ed il convogliamento delle deiezioni e delle acque meteoriche ricadenti su di esse in vasche di raccolta, così come già riportato al punto 5/c.1 precedente.

E’ importante considerare, come recisato al punto 6/c.1) precedente, che negli allevamenti a stabulazione fissa il rilascio in continuo sul suolo delle deiezioni da parte degli animali stabulati sul terreno non idoneamente impermeabilizzato e privo di sistemi per la captazione ed il convogliamento delle delle deiezioni e delle acque meteoriche ricadenti  non è assimilabile alla tecnica della “fertirrigazione” per l’utilizzo agronomico dei reflui, ma “dà luogo allo smaltimento di un rifiuto” (sentenza Cassazione Penale, sez. III n. 19880 dell’11/05/09).

- le disposizioni di cui al D.Lgs 152/2006 per ciò che attiene la gestione dei reflui, tenendo conto che nel caso di “scarico” diretto in un corpo recettore autorizzato questo deve essere appunto “autorizzato”, realizzato tramite un sistema stabile di collettamento che collega senza soluzione di continuità il ciclo di produzione del refluo con il corpo ricettore, così come riportato al punto 6) precedente, e nel caso di stoccaggio dei reflui in contenitori per i liquami e concimaie per i letami, questi si devono avere dimensioni tali da garantire sia un idoneo periodo di maturazione e stabilizzazione e delle necessità di stoccaggio per i periodi in cui è vietato il loro utilizzo.

- le disposizioni di cui al DM 7 Aprile 2006 e delle Leggi Regionali in tema di stoccaggio e della eventuale utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento per la pratica agricola. In particolare le indicazioni di cui al Codice di buona pratica agricola (CBPA) approvato con D.M. 16/04/1999 e degli indirizzi delle Autorità di Bacino nazionali ed interregionali.

- le disposizioni Regionali riguardanti le dosi massime di concimazione azotata previste per le Zone Vulnerabili da Nitrati di origine agricola (ZVN), nelle quali è introdotto il divieto di spargimento dei reflui degli allevamenti oltre un limite massimo annuo di 170 kg di azoto per ettaro.

 

 

Definizioni:

L’ azienda zootecnica “Qualsiasi stabilimento agricolo, costruzione o allevamento all’aria aperta o altro luogo in cui gli animali sono tenuti, allevati o commercializzati, ivi comprese le stalle di sosta e mercati” ai sensi del Art. 1, comma 5 lettera b del D.P.R. n° 317 del 30 aprile 1996, viene definito come azienda.

La Circolare Ministeriale n° 11 del 14 agosto 1996, recante le norme tecniche di indirizzo per l’applicazione del D.P.R. 317/96 “Regolamento di attuazione della direttiva 91/102CEE”, indica che per tutte le strutture rientranti nella definizione di cui all’art. 1, comma 5 lettera b del D.P.R. 317/96 deve essere attivata la procedura che consenta alle stesse l’attribuzione di un numero identificativo alfanumerico composto da otto cifre (tre cifre: codice ISTAT del comune ove è ubicata l’azienda, due lettere¨sigla della provincia e tre cifre: numero progressivo assegnato all’azienda). Il suddetto codice costituisce il mezzo attraverso il quale viene istituito presso ogni singola A.S.L. il sistema di registrazione (elenco telematico) delle aziende insistenti sul territorio competente.

 

In applicazione del Regolamento CE n° 21/2004 e della Circolare Ministeriale del 28 luglio 2005,

l’azienda cosi identificata viene registrata nella B.D.N. (Banca Dati Nazionale) riportando

importanti informazioni quali:

1. il codice identificativo dell’azienda

2. l’indirizzo dell’azienda e le coordinate geografiche o un’indicazione geografica equivalente

all’ubicazione dell’azienda

3. il nome, l’indirizzo, il codice fiscale del proprietario

4. il nome, l’indirizzo, il codice fiscale del detentore

5. le specie allevate

6. il tipo di produzione

BIBLIOGRAFIA

- normativa ambientale:

  • ·· R.D. 27 Luglio 1934 n. 1265

Testo unico delle leggi sanitarie.

  • ··D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152

Norme in materia ambientale.

  • ··Delibera Comitato Interministeriale del 4 febbraio 1977

Criteri, metodologie e norme tecniche generali di cui all’art. 2 lettera b) d) ed e) della L. 10/05/1976 n. 319, recante norme per la tutela delle acque dall’inquinamento.

  • ··D.Lgs 5 febbraio 1997 n.22

Attuazione delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio.

  • ··D.M. 19 Aprile 1999

Approvazione del codice di buona pratica agronomica.

  • ··D.Lgs. 11 maggio 1999, n. 152

Testo aggiornato del decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 152, recante: "Disposizioni sulla tutela delle acque dall'inquinamento e recepimento della direttiva 91/271/CEE concernente il trattamento delle acque reflue urbane e della direttiva 91/676/CEE relativa alla protezione delle acque dall'inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole", a seguito delle disposizioni correttive ed integrative di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 258

  • ··D.M. 7 aprile 2006.

Criteri e norme tecniche generali per la disciplina regionale dell'utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento, di cui all'articolo 38 del D.Lgs. 11 maggio 1999, n. 152

- testi ed articoli:

Attivazione di una industria insalubre. - IL CASO.it

di Silvano di Rosa - Esperto A.N.E.A.

http://www.ilcaso.it/acustico/e.pdf

Industrie insalubri, ma non solo industrie: corretta interpretrazione di un termine.

di Silvano di Rosa - Esperto A.N.E.A.

Http://www.ilcaso.it/acustico/b.pdf

Impugnazione per via amministrativa della classificazione delle industrie insalubri. In Toscana una decisione tutta da riconsiderare !!.

di Silvano di Rosa - Consulente Legale Ambientale.

http://www.ilcaso.it/acustico/f.pdf

Pericolosità delle industrie insalubri: astratta o concreta ?.

di Silvano di Rosa - Esperto A.N.E.A.

http://www.ilcaso.it/acustico/e.pdf

Gli artt. 216-217 T.U.LL.SS. sulle lavorazioni insalubri: Breve rassegna della giurisprudenza in materia di allevamenti.  - Cinotti S., Peccolo G.

http://www.buiatria.it

L’utilizzazione agronomica degli effluenti d’allevamento.

di Maurizio Santoloci  -  Magistrato - Direttore del Centro Studi per la Promozione Scientifica e le Tecniche di Polizia Giudiziaria Ambientale del CFS

da http://www3.corpoforestale.it/flex/cm/pages/.../D/.../BLOB%3AID%3D6085

Scarichi & “Scarichi”. La disciplina normativa dei liquami aziendali, privati e pubblici tra regole e prassi.

di Maurizio Santoloci e Valentina Vattani. -

http://dirittoambiente.net/libro_bleu/estratto.pdf

L’utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento: il punto della cassazione.

A cura di Giuseppe De Falco

http://www.agernovus.it/publicmio/Cassazione2008.pdf

Inquinamento idrico: Riflessi operativi di P.G.

di Angelo Frattini - Magistrato c/o Procura della Repubblica di Salerno

http://www.lexambiente.org/acrobat/frattini_angelo18p.pdf

Allevamento animale e riflessi ambientali.

  1. G. Matteo Crovetto - Anna Sandrucci - Fondazione iniziative zooprofilattiche e zootecniche - Brescia.

http://www.fondiz.it

 

Inquinamento. Scarichi. Il punto della giurisprudenza su acque di scarico e rifiuti liquidi.

Stefano Maglia, Alfieri Di Girolamo.

http://www.giuristiambientali.it

Il nuovo concetto di scarico, con particolare riferimento alla nozione di acque reflue industriali.

di Stefano Maglia, Miriam Viviana Balossi

AMBIENTE & SVILUPPO - Testo Unico Ambientale.

http//www.municipio.re.it/.../urp/.../Nuovo%20concetto%20di%20scarico.pdf

Scarichi idrici e rifiuti liquidi nel nuovo testo unico ambientale.

a cura di Gianfranco Amendola

http://www.dirittoambiente.net/file/rifiuti_articoli_241.pdf

dossier Aria (emissioni, esalazioni).

Il Portale del Tecnico Pubblico Lombardo.

Http://ptpl.altervista.org/dossier/dossier_aria.htm

dossier Distanza dagli allevamenti animali.

Il Portale del Tecnico Pubblico Lombardo.

Http://ptpl.altervista.org/dossier/dossier_distanza_allevamenti_animali.htm

dossier Industria insalubre.

Il Portale del Tecnico Pubblico Lombardo.

Http://ptpl.altervista.org/dossier/dossier_industria_insalubre.htm

Le infestazioni da mosche.

A cura di Luciano Süss, Sara Savoldelli

http://www.comuneolgiateolona.it/files/giornalino/linee_guida_mosche.pdf