Cass. Sez. III n. 6098 del 7 febbraio 2008 (Ud. 19 dic. 2007)
Pres. Grassi Est. Squassoni Ric. Sarra e altro
Rifiuti. Natura dei reati di abandono e discarica abusiva
SANITÀ PUBBLICA - IN GENERE - Rifiuti - Reati di abbandono e discarica abusiva - Natura di reati commissivi eventualmente permanenti - Conseguenze in tema di prescrizione.
In tema di gestione dei rifiuti, i reati di abbandono di rifiuti e di discarica abusiva sono reati commissivi eventualmente permanenti, la cui antigiuridicità cessa o con l\'ultimo abusivo conferimento di rifiuti o con il vincolo reale del bene o con la sentenza di primo grado, conseguendo da uno di tali momenti la cessazione della decorrenza del termine di prescrizione.
Pres. Grassi Est. Squassoni Ric. Sarra e altro
Rifiuti. Natura dei reati di abandono e discarica abusiva
SANITÀ PUBBLICA - IN GENERE - Rifiuti - Reati di abbandono e discarica abusiva - Natura di reati commissivi eventualmente permanenti - Conseguenze in tema di prescrizione.
In tema di gestione dei rifiuti, i reati di abbandono di rifiuti e di discarica abusiva sono reati commissivi eventualmente permanenti, la cui antigiuridicità cessa o con l\'ultimo abusivo conferimento di rifiuti o con il vincolo reale del bene o con la sentenza di primo grado, conseguendo da uno di tali momenti la cessazione della decorrenza del termine di prescrizione.
Motivi della decisione
Con sentenza 16 maggio 2006, il Tribunale di Roma ha ritenuto i coniugi Sarra Maria Graziella e Mamerti Benito responsabili del reato previsto dall’art. 51 c. 2 D.L.vo 22/1997 ed ha condannato ciascuno alla pena di euro diecimila di ammenda. Per giungere a tale conclusione, il Giudice ha ritenuto provato in fatto che vari rifiuti non pericolosi provenienti dal mobilificio della imputata fossero ammassati senza autorizzazione in un sito di proprietà del Mamerti.
Il Giudice ha ritenuto non configurabile l’ipotesi di un deposito temporaneo perché i rifiuti, in parte bruciati, non era destinati allo smaltimento e perché accumulati non nel luogo di produzione; il Tribunale non ha dichiarato estinto il reato ritenendo che la permanenza non fosse cessata al momento del sequestro (5 gennaio 2001), ma all’epoca della rimozione dei rifiuti (1 luglio 2005). Per l’annullamento della sentenza, gli imputati hanno proposto appello (che deve essere qualificato ricorso per Cassazione essendo la sentenza, di condanna alla pena della ammenda, solo sindacabile in sede di legittimità; rilevano, tra gli altri motivi, che il reato era estinto per prescrizione in epoca antecedente alla sentenza impugnata.
La deduzione è meritevole di accoglimento e tale conclusione, per il suo carattere assorbente, esonera il Collegio dallo esaminare le residue censure rei ricorrenti.
La decorrenza del termine di prescrizione deve ritenersi cessata al momento della apposizione del sequestro che ha comportato per gli imputati la perdita della disponibilità del bene e, di conseguenza, la impossibilità di determinarsi liberamente in ordine allo stesso.
La circostanza, evidenziata dal Giudice, che l’inquinamento ambientale del luogo sia proseguita fino agli interventi di messa in sicurezza, bonifica e ripristino della area non è rilevante dal momento che agli imputati non è stata contestata la contravvenzione prevista dall’art. 51 bis D.L.vo 22/1997 (ora artt. 241, 257 D.L.vo 152/2006); solo in relazione a tale reato, alcune decisioni di questa Corte (v. Sez. 1, sentenza 29855/06) hanno affermato che il sequestro non fa cessare la permanenza dello illecito che coincide con la avvenuta bonifica, ovvero con la sentenza di condanna.
Tale tesi trova una plausibile giustificazione nel rilievo che il reato previsto dall’art. 51 bis D.L.vo 22/1997 è omissivo permanente e la antigiuridicità cessa con azioni ripristinatorie al cui compimento non è di ostacolo l’ablazione del bene; l’art. 85 disp. att. cpp prevede che gli oggetti vincolati con il sequestro possano essere restituiti all’avente diritto per provvedere alla loro regolarizzazione.
Il principio non è trasferibile al caso di abbandono di rifiuti (o di discarica abusiva) che è reato commissivo eventualmente permanente, la cui antigiuridicità cessa con l’ultimo abusivo conferimento di rifiuti o con il vicolo reale del bene (oppure con la sentenza di primo grado) che rende materialmente impossibile la commissione di ulteriori ed analoghe condotte antidoverose.
Per le esposte considerazioni, la Corte annulla senza rinvio la impugnata sentenza, per essere il reato estinto per prescrizione, dando atto che è carente la evidente prova favorevole agli imputati che possa consentire la priorità del proscioglimento nel merito.
Con sentenza 16 maggio 2006, il Tribunale di Roma ha ritenuto i coniugi Sarra Maria Graziella e Mamerti Benito responsabili del reato previsto dall’art. 51 c. 2 D.L.vo 22/1997 ed ha condannato ciascuno alla pena di euro diecimila di ammenda. Per giungere a tale conclusione, il Giudice ha ritenuto provato in fatto che vari rifiuti non pericolosi provenienti dal mobilificio della imputata fossero ammassati senza autorizzazione in un sito di proprietà del Mamerti.
Il Giudice ha ritenuto non configurabile l’ipotesi di un deposito temporaneo perché i rifiuti, in parte bruciati, non era destinati allo smaltimento e perché accumulati non nel luogo di produzione; il Tribunale non ha dichiarato estinto il reato ritenendo che la permanenza non fosse cessata al momento del sequestro (5 gennaio 2001), ma all’epoca della rimozione dei rifiuti (1 luglio 2005). Per l’annullamento della sentenza, gli imputati hanno proposto appello (che deve essere qualificato ricorso per Cassazione essendo la sentenza, di condanna alla pena della ammenda, solo sindacabile in sede di legittimità; rilevano, tra gli altri motivi, che il reato era estinto per prescrizione in epoca antecedente alla sentenza impugnata.
La deduzione è meritevole di accoglimento e tale conclusione, per il suo carattere assorbente, esonera il Collegio dallo esaminare le residue censure rei ricorrenti.
La decorrenza del termine di prescrizione deve ritenersi cessata al momento della apposizione del sequestro che ha comportato per gli imputati la perdita della disponibilità del bene e, di conseguenza, la impossibilità di determinarsi liberamente in ordine allo stesso.
La circostanza, evidenziata dal Giudice, che l’inquinamento ambientale del luogo sia proseguita fino agli interventi di messa in sicurezza, bonifica e ripristino della area non è rilevante dal momento che agli imputati non è stata contestata la contravvenzione prevista dall’art. 51 bis D.L.vo 22/1997 (ora artt. 241, 257 D.L.vo 152/2006); solo in relazione a tale reato, alcune decisioni di questa Corte (v. Sez. 1, sentenza 29855/06) hanno affermato che il sequestro non fa cessare la permanenza dello illecito che coincide con la avvenuta bonifica, ovvero con la sentenza di condanna.
Tale tesi trova una plausibile giustificazione nel rilievo che il reato previsto dall’art. 51 bis D.L.vo 22/1997 è omissivo permanente e la antigiuridicità cessa con azioni ripristinatorie al cui compimento non è di ostacolo l’ablazione del bene; l’art. 85 disp. att. cpp prevede che gli oggetti vincolati con il sequestro possano essere restituiti all’avente diritto per provvedere alla loro regolarizzazione.
Il principio non è trasferibile al caso di abbandono di rifiuti (o di discarica abusiva) che è reato commissivo eventualmente permanente, la cui antigiuridicità cessa con l’ultimo abusivo conferimento di rifiuti o con il vicolo reale del bene (oppure con la sentenza di primo grado) che rende materialmente impossibile la commissione di ulteriori ed analoghe condotte antidoverose.
Per le esposte considerazioni, la Corte annulla senza rinvio la impugnata sentenza, per essere il reato estinto per prescrizione, dando atto che è carente la evidente prova favorevole agli imputati che possa consentire la priorità del proscioglimento nel merito.