Cass. Sez. III sent. 9794 del 8-3-2007 (c.c. 29 nov. 2006)
Pres. Papa Est. Onorato Ric. Montigiani
Rifiuti. Rapporti tra gli articoli 51bis e 53bis D.Lv. 22-97 e gli
artt. 257 e 260 D.Lv. 152-2006. Disciplina delle terre e rocce da
scavo. Disciplina dei “rifiuti militari”
1. Sussiste perfetta continuità normativa tra l'art. 53 bis
D.Lgs. 22-1997 e il vigente art. 260 D.Lgs. 151-2006, il quale non fa
altro che riprodurre le disposizioni della norma previgente in tema di
repressione penale dell'attività organizzata per il traffico
illecito di rifiuti.
2. La struttura del reato contravvenzionale di cui all'art. 51 bis
D.Lgs. 22-1997 è stata ora riprodotta nella fattispecie
prevista dall'art. 257 D.Lgs. 156-2006, giacché entrambe le
norme puniscono chiunque cagiona l'inquinamento del sito se non
provvede alla bonifica secondo la relativa procedura prevista.
Trattasi, secondo la interpretazione preferibile sotto il profilo
letterale e sistematico, di reato di evento a condotta libera o reato
causale puro, sottoposto a condizione obiettiva di
punibilità negativa. L'evento è tuttavia
diversamente configurato nelle due fattispecie poiché in
quella previgente, l'evento consiste nell'inquinamento, definito come
superamento dei limiti di accettabilità previsti dal D.M.
47199 o nel pericolo concreto e attuale di inquinamento mentre in
quella vigente prevista dall'art. 257 D.Lgs. 152-2006, invece, l'evento
è esclusivamente di danno, perché consiste solo
nell'inquinamento (non nel pericolo di inquinamento) ed è
definito come superamento delle concentrazioni soglia di rischio (CSR).
Anche la condizione obiettiva di punibilità (non provvedere
alla bonifica) è configurata nelle due fattispecie a
confronto secondo presupposti e regole procedimentali non perfettamente
sovrapponibili ed, infine, il trattamento sanzionatorio risulta meno
grave nella ipotesi attualmente in vigore. Ne consegue che il reato ora
previsto dall’articolo 257 D.Lv. 152 pur avendo la stessa
struttura di quella precedente, è meno grave
perché riduce l'area dell'illecito (restringendola alla
condotta di chi cagiona inquinamenti più invasivi) e attenua
il trattamento sanzionatorio.
3. La esclusione delle terre e rocce da scavo dal novero dei
rifiuti si configura come deroga alla regola generale che, per effetto
dell'art. 7, comma 3, lett. b) D.Lgs. 22/1997, include le terre e rocce
da scavo nella categoria di rifiuti. Ne deriva che spetta all'imputato
che voglia fruire della deroga l'onere di provare il presupposto della
deroga stessa, e cioè che le predette terre e rocce sono
effettivamente destinate al reinterro, al riempimento e alle altre
simili operazioni, e che sono utilizzate, senza trasformazioni
preliminari, secondo le modalità previste nel progetto
approvato dei lavori. Mentre spetta alla pubblica accusa, che voglia
includere nella categoria dei rifiuti anche le terre e rocce da scavo
effettivamente destinate al reinterro e al riempimento, dare la prova
che esse abbiano superato la soglia di inquinamento tollerata.
4. Con riferimento ai c.d. rifiuti mlitiaru il presupposto della loro
esenzione dalla normativa sui rifiuti è che le cose siano
destinate direttamente e attualmente alla difesa e alla sicurezza
nazionale (come è confermato anche dall'ultimo periodo della
lettera m), secondo il quale i magazzini, i depositi e i siti di
stoccaggio nei quali vengono custoditi i materiali de quibus
costituiscono opere destinate alla difesa nazionale).
Camera
di consiglio del 29.11.2006
Registro Generale n. 15572/2006
SENTENZA N. 1216
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Signori:
Dott. Enrico PAPA Presidente
Dott. Pierluigi ONORATO (est.) Consigliere
Dott. Alfredo TERESI Consigliere
Dott. Margherita MARMO Consigliere
Dott. Antonio IANNIELLO Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto per MONTIGIANI Enrico, nato a Reggello (FI) il
24.3.1950, avverso la ordinanza resa il giorno 8.2.2006 dal tribunale
per il riesame di Firenze.
Visto il provvedimento denunciato e il ricorso,
Udita la relazione svolta in camera di consiglio dal consigliere
Pierluigi Onorato,
Udito il pubblico ministero in persona del sostituto procuratore
generale Guglielmo Passacantando, che ha concluso chiedendo il rigetto
del ricorso,
Udito il difensore dell'indagato, avv. Giovanni Aricò, in
sostituzione dell'avv. Mario Baratta, che ha insistito per
l'accoglimento del ricorso,
Osserva:
Svolgimento del procedimento
l - Con ordinanza dell'8.2.2006 il tribunale di Firenze, in sede di
riesame, ha confermato il sequestro preventivo disposto il 9.1.2006 dal
g.i.p. dello stesso tribunale, ed eseguito il 23.1.2006, sull'area
denominata ex Caserma Donati in Sesto Fiorentino
(indicata come particella 4 del foglio di mappale 58 del catasto
comunale), adoperata abusivamente come centro di raccolta e di deposito
temporaneo di rifiuti vari (in particolare "smarino", cioè
materiale roccioso derivante dallo scavo di gallerie, terre da scavo, e
"riciclato", cioè materiale inerte ricavato dalla
frantumazione di rifiuti provenienti da demolizioni).
Il sequestro era collegato ad altra misura di cautela reale eseguita in
precedenza su altra area sita nel comune di Scarperia, dove la
società Belvedere 2000 gestiva un cantiere, in relazione al
reato di cui all'art. 51 D.Lgs. 22/1997, essendo risultato che in tale
area la ESA s.r.l. aveva trasportato con camion, senza le debite
autorizzazioni, una notevole quantità di terre e rocce
provenienti dal cantiere "Fondazioni barriere fonoassorbenti e
cantierizzazione", sito appunto nell'area dell'ex Caserma Donati di
Sesto Fiorentino, dove la predetta società ESA aveva
effettuato opere di demolizione di alcune palazzine.
L'area di questa Caserma, infatti, era stata ceduta dal Ministero della
Difesa e dall'Agenzia del Demanio alla T.A.V. s.p.a., e per essa al
Consorzio CAVET, allo scopo di destinarla a facilites
per la costruzione del sistema di Alta Velocità ferroviaria,
in cambio dell'obbligo della stessa T.A.V. di costruire in altro loco a
proprie spese otto palazzine di alloggi per famiglie del personale
militare, aventi le stesse caratteristiche di quelle esistenti
nell'area della Caserma e destinate alla demolizione.
In seguito, la predetta società ESA, che gestiva in
subappalto i lavori della T.A.V., aveva destinato una larga parte
dell'area alla raccolta e al deposito temporaneo di rifiuti in vista
del trasferimento presso altri cantieri, nonché alla
frantumazione di materiali provenienti da demolizioni e da scavi,
destinati ad essere smaltiti altrove.
1.1 - Il pubblico ministero aveva richiesto il sequestro preventivo
dell'anzidetta area di Sesto Fiorentino in relazione a due reati
contestati al legale rappresentante della ESA s.r.l., Enrico
Montigiani, e più esattamente in ordine ai seguenti reati:
b) art. 51 bis D.Lgs. 22/1997, per avere, in concorso con altri
soggetti in corso di identificazione, cagionato l'inquinamento o il
pericolo concreto di inquinamento del terreno sito all'interno
dell'area dell'ex Caserma Donati di Sesto Fiorentino, in conseguenza
della mancata adozione dei necessari interventi di bonifica, richiesti
ai sensi dell'art. 17, comma 13, D.Lgs. 22/1997 in seguito al mutamento
di destinazione del sito da uso industriale a uso residenziale;
c) art. 53 bis D.Lgs. 22/1997, per avere, in concorso con Natale
Faletti e altri soggetti in corso di identificazione, trasportato verso
destinazione ignota dall'area identificata con foglio di mappa 58
particella 4 del Catasto comunale di Sesto Fiorentino, ovverosia dalla
ex Caserma Donati, al fine di conseguire un ingiusto profitto, ingenti
quantitativi di rifiuti costituiti da terre e rocce di scavo (cod. CER
170504), senza la prescritta autorizzazione di cui all'art. 33 del
citato decreto legislativo, e inoltre - il solo Montigiani - per avere
gestito gli stessi rifiuti, senza la predetta autorizzazione, con
più operazioni e mediante l'allestimento di mezzi e di
attività continuative organizzate.
1.2 - Il g.i.p. fiorentino, col predetto provvedimento del 9.1.2006,
aveva disposto il sequestro richiesto dal p.m., ravvisando sia il reato
di cui all'art. 53 bis, per illecito trasporto e cessione di ingenti
quantitativi di terre e rocce da scavo, sia il reato di cui all'art. 51
bis D.Lgs. 22/1997, per la mancata bonifica del sito dopo il mutamento
di destinazione da uso industriale a uso residenziale.
1.3 - Proposta istanza di riesame contro il sequestro, il tribunale
fiorentino, prendendo in considerazione i motivi di censura formulati
nella istanza, ha in sintesi osservato quanto segue.
1.3.1 - Era ultronea la questione del mutamento di destinazione di cui
all'art. 17, comma 13, del D.Lgs. 22/1997, giacché in fatto
- secondo quanto rilevato nel decreto di sequestro del g.i.p. -
nell'area de qua insisteva una discarica
incontrollata di rifiuti (smarino e riciclato) gestita dalla ESA, e si
effettuavano operazioni sistematiche di frantumazione degli stessi
rifiuti, miscelati assieme ad altri (fra cui pezzi di asfalto),
sicché, anche in conseguenza della pregressa
attività militare svolta nell'area, che comportava l'uso di
carburanti, armi esplosive etc., nasceva il pericolo di inquinamento,
con conseguente obbligo di bonifica.
Sotto questo profilo erano ravvisabili il fumus delicti
[da intendersi in relazione all'art. 51 bis]
nonché il pericolo attuale e concreto di un danno
ambientale, che rendevano legittima la misura cautelare reale.
1.3.2 - Quanto al "reato di illegale smaltimento dei rifiuti" [da
intendersi con riferimento all'art. 53 bis], esso
sussisteva anche per le terre e rocce da scavo (tra cui è
ricompreso lo smarino), giacché questi materiali - secondo
la legislazione vigente - non costituiscono rifiuti solo quando siano
utilizzati previo un processo di "caratterizzazione", cioè
senza trasformazioni preliminari, secondo le modalità
previste dal progetto sottoposto a VIA ovvero, qualora non sottoposto a
VIA, da un progetto approvato dall'autorità amministrativa
competente previo parere dell'ARPA. Processo di caratterizzazione che
nel caso di specie mancava del tutto.
Anche l'invocato decreto del Presidente della Giunta Regionale Toscana
del 25.2.2004 -secondo il tribunale del riesame - non valeva ad
escludere la qualità di rifiuto dei materiali in questione.
Che poi si trattasse di una gestione di ingenti quantità di
rifiuti, come richiesto dalla norma incriminatrice, poteva desumersi
sia dalla mole di materiali rinvenuti nell'area, vasta più
di 5.000 mq, sia dalla notevole durata dell'attività di
smaltimento effettuata con più operazioni e attraverso mezzi
organizzati.
1.3.3 - La s.r.l. ESA era iscritta nel registro provinciale di cui
all'art. 33, comma 3, D.Lgs. 22/1997 solo per alcune tipologie di
rifiuti, tra le quali non rientravano però i rifiuti
contraddistinti dal codice CER 170504 (terre da scavo non pericolose).
1.3.4 - In ordine al periculum in mora, il sequestro
consentiva di impedire l'esercizio della discarica abusiva e la
continuazione dell'illecito smaltimento dei rifiuti.
2 - Il difensore del Montigiani ha proposto ricorso per cassazione,
chiedendo l'annullamento dell'ordinanza sulla base dei seguenti motivi.
2.1 - Violazione dei limiti giurisdizionali posti dall'ordinamento alla
cognizione del tribunale del riesame, laddove questo ha "spostato"
l'asse delle questioni dal tredicesimo al secondo comma dell'art. 17 e
dall'art. 53 bis all'art. 51, comma 3, D.Lgs. 22/1997, così
pregiudicando l'esercizio del diritto di difesa dell'indagato, secondo
l'insegnamento della giurisprudenza di legittimità (Cass.
7.5.1996, Cervati).
2.2 - Inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre
norme giuridiche di cui si deve tenere conto nell'applicazione della
legge penale.
In particolare il ricorrente osserva che:
2.2.1 - in ordine al reato di cui all'art. 51 bis, non ricorreva alcun
obbligo di bonifica né ai sensi dell'art. 17, comma 13,
giacché non vi era stato alcun mutamento di destinazione
urbanistica dell'area da uso industriale a uso residenziale,
né ai sensi dell'art. 17, comma 2, giacché la
ipotizzata discarica di inerti non poteva oggettivamente comportare un
superamento dei limiti accettabilità della contaminazione
del suolo, atteso che gli inerti per definizione sono tali
perché, sottoposti a test di cessione a
16 giorni, non rilasciano sostanze che possano alterare l'ambiente;
2.2.2 - in ordine al reato di cui all'art. 53 bis, non potevano
ravvisarsi gli elementi essenziali dell'abitualità delle
operazioni e dell'ingente quantitativo di rifiuti, avendo la Guardia di
Finanza accertato un solo trasporto di terre.
2.2.3 - in ordine al difetto di autorizzazione della s.r.l. ESA, questa
non aveva bisogno di essere iscritta all'Albo di cui all'art. 30, comma
4, D.Lgs. 22/1997 giacché, in quanto facente parte del
"Consorzio Caserma Donati", raccoglieva e trasportava rifiuti "in conto
proprio". Per riutilizzare il c.d. riciclato doveva soltanto rispettare
i requisiti prescritti dal D.M. 5.2.1998 [ai sensi degli artt. 33 e 31
D.Lgs. 22/1997], ovverosia doveva effettuare i c.d. test di cessione,
che in effetti erano stati effettuati con esito positivo;
2.2.4 - in ordine alla nozione di rifiuto, in linea generale l'art. 14
del D.L. 8.7.2002 n. 138, convertito con legge 8.8.2002 n. 178, esclude
dalla categoria dei rifiuti quei residui che possano essere e siano
effettivamente riutilizzati nel medesimo o in diverso ciclo di
produzione o di consumo senza che si renda necessaria alcuna operazione
di recupero.
In linea particolare, le terre e le rocce da scavo, dopo una tormentata
evoluzione legislativa, non costituiscono rifiuti solo nel caso in cui,
ancorché inquinate, siano utilizzate, senza trasformazioni
preliminari, secondo le modalità previste nel progetto
sottoposto a VIA ovvero, qualora non sottoposto a VIA, nel progetto
approvato dall'autorità amministrativa competente previo
parere dell'ANPA, sempreché la composizione media
dell'intera massa non presenti una concentrazione di inquinanti
superiore ai limiti massimi previsti dalle norme vigenti (art. 1, comma
17, legge c.d. obiettivo n. 443 del 21.12.2001, così come
modificato dall'art. 23 legge 31.10.2003 n. 306). Ma secondo il D.L.
24.12.2003 n. 355 convertito in legge 27.2.2004 n. 47, la modifica
apportata dal predetto art. 23 si applica ai lavori in corso alla data
del 30.11.2003 a decorrere dal 31.12.2004. Nel caso di specie il
riciclato e lo smarino sono stati trasportati al cantiere sito in
località "La Torre" di Scarperia da luglio 2004 al febbraio
2005; mentre le terre e le rocce da scavo sono rimaste nel cantiere
"Fondazioni, barriere fonoassorbenti e cantierizzazione" dell'ex
Caserma Donati (le terre trovate nel predetto cantiere "La Torre",
infatti, provenivano da altri cantieri).
Anche a nonna dell'art. 34 del D.P.G.R. Toscana del 25.2.2004 n. 14, le
rocce e le terre da scavo, la cui ricollocazione sia a qualsiasi titolo
autorizzata dall'autorità amministrativa competente, non
sono rifiuti e non sono assoggettati alla relativa disciplina. Nel caso
di specie l'area di riporto de qua era prevista nel progetto approvato
dal comune di Scarperia, con concessione n. 24 dell'11.5.2004.
2.3 - Difetto di motivazione in ordine al periculum in mora.
Al riguardo il ricorrente sostiene che il tribunale del riesame non ha
rispettato l'obbligo di motivare in base agli elementi concreti della
fattispecie.
2.4 - Inesistenza o mera apparenza di motivazione in ordine alla natura
di rifiuto dei materiali de quibus.
Al riguardo il ricorrente censura come apodittica l'affermazione della
ordinanza impugnata secondo cui i test analitici di parte erano
largamente incompleti nelle loro modalità.
3 - Con memoria scritta depositata il 22.6.2006 il difensore del
ricorrente insiste per l'annullamento della ordinanza impugnata sulla
base dello ius superveniens, giacché il
recente testo unico in materia ambientale approvato con D.Lgs. n. 152
del 3.4.2006 ha abrogato l'intero D.Lgs. 22/1997, non sempre
sostituendolo con norme di identico contenuto.
In particolare:
3.1 - l'art. 17, comma 13, del D.Lgs. 22/1997 non è stato
riprodotto, sicché non esiste più l'obbligo di
procedere alla caratterizzazione e alla bonifica del sito in caso di
mutamento di destinazione d'uso che comporti più restrittivi
limiti di accettabilità di contaminazione ai sensi del D.M.
25.10.1999 n. 471 (che peraltro deve intendersi definitivamente
abrogato);
3.2 - l'art. 185 del testo unico esclude dalla disciplina dei rifiuti i
materiali e le infrastrutture direttamente destinati alla difesa
militare, e quindi anche tutto il materiale rinvenuto all'interno della
Caserma Donati. L'unico vincolo che sembra restare è quello
relativo ai test di cessione sugli inerti, previsto dal D.M. 5.2.1998,
che però è stato regolarmente effettuato con
esiti positivi per l'ambiente (come provato dal certificato allegato
relativo a rifiuti cod. CER 170106, cioè a miscugli o scorie
di cemento, mattoni, mattonelle e ceramiche, contenenti sostanze
pericolose);
3.3 - l'art. 260 del testo unico è in continuità
normativa con l'abrogato art. 53 [rette 53 bis] del D.Lgs. 22/1997, ma
va letto in relazione al nuovo art. 183 n. 1 lett. i), che definisce il
luogo di produzione dei rifiuti come uno o più siti o
edifici o stabilimenti infrastrutturali collegati tra loro all'interno
di un'area delimitata, e al nuovo art. 185 lett. m) ed n), che - come
già detto - esclude dalla disciplina de qua i materiali e
siti destinati alla difesa militare.
Nella fattispecie concreta, quindi - secondo il difensore - viene meno
la sussistenza sia del reato di cui all'art. 51 bis sia del reato di
cui all'art. 53 bis del D.Lgs. 22/1997.
Motivi della decisione
4 - Occorre preliminarmente verificare i profili di
continuità o di discontinuità normativa tra il
D.Lgs. 5.2.1997 n. 22, ormai abrogato, e il sopravvenuto D.Lgs.
3.4.2006 n. 152, che nella sua parte quarta ha riscritto completamente
le norme in materia di gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti
inquinati.
Perfetta continuità normativa sussiste tra l'art. 53 bis
D.Lgs. 22/1997 (introdotto dall'art. 22 della legge 23.3.2001 n. 93) e
il vigente art. 260 D.Lgs. 151/2006, il quale non fa altro che
riprodurre le disposizioni della norma previgente in tema di
repressione penale dell'attività organizzata per il traffico
illecito di rifiuti.
Più problematico, invece, è il rapporto tra
l'art. 51 bis D.Lgs. 22/1997 e l'art. 257 D.Lgs. 152/2006, che
disciplinano la bonifica dei siti.
Al riguardo, va anzitutto osservato che, secondo l'art. 239 D.Lgs.
156/2006, la disciplina in tema di bonifica di siti contaminati
contenuta nel titolo V della parte IV dello stesso decreto non si
applica all'abbandono dei rifiuti: infatti, in tal caso, qualora a
seguito di rimozione, d'avvio al recupero o di smaltimento dei rifiuti
abbandonati o depositati in modo incontrollato, si accerti il
superamento dei valori di attenzione, si dovrà procedere
alla caratterizzazione dell'area al fine di verificare la eventuale
necessità di effettuare la bonifica o il ripristino
ambientale ai sensi dello stesso titolo V. In tal caso, quindi, la
procedura per la bonifica o il ripristino deve essere attivata solo
dopo che venga accertato il superamento dei livelli di attenzione.
La procedura operativa e amministrativa per la bonifica dei siti
è ora disciplinata dall'art. 242 D.Lgs. 156/2006 con regole
che non sono completamente sovrapponibili con quelle stabilite dal
previgente art. 17 D.Lgs. 22/1997, sia perché:
a) il presupposto generalmente previsto per l'apertura della procedura,
secondo la normativa previgente, consisteva nel superamento dei limiti
di accettabilità della contaminazione stabiliti con D.M.
25.10.1999 n. 471, ovvero nel pericolo concreto e attuale del
superamento dei medesimi limiti (art. 17 cit., comma 2,); mentre,
secondo la normativa vigente, l'anzidetto presupposto consiste
nell'accertamento di più precise concentrazioni soglia di
contaminazione (CSC) al di sopra delle quali si apre un procedimento di
caratterizzazione e di analisi rischio sito specifica, in esito al
quale, se è accertato il superamento di concentrazione
soglia di rischio (CSR), è richiesta la messa in sicurezza e
la bonifica del sito (art. 242 cit., in relazione all'art. 240);
b) uno specifico presupposto per l'apertura della procedura consisteva
nel mutamento di destinazione d'uso del sito che comportasse
l'applicazione di limiti di accettabilità più
restrittivi (art. 17 cit., comma 13); ma un siffatto presupposto non
appare riprodotto negli stessi termini dalla normativa vigente.
Così comparata la procedura amministrativa della bonifica
secondo le due diverse normative, si deve quindi osservare che la
struttura del reato contravvenzionale di cui all'art. 51 bis D.Lgs.
22/1997 è stata ora riprodotta nella fattispecie prevista
dall'art. 257 D.Lgs. 156/2006, giacché entrambe le norme
puniscono chiunque cagiona l'inquinamento del sito se non provvede alla
bonifica secondo la relativa procedura prevista. Trattasi, secondo la
interpretazione preferibile sotto il profilo letterale e sistematico,
di reato di evento a condotta libera o reato causale puro, sottoposto a
condizione obiettiva di punibilità negativa. Solo che
l'evento è diversamente configurato nelle due fattispecie:
a) in quella previgente, desumibile dal combinato disposto degli artt.
17 e 51 bis, l'evento consiste nell'inquinamento, definito come
superamento dei limiti di accettabilità previsti dal D.M.
25.10.1999 n. 471; o nel pericolo concreto e attuale di inquinamento,
in qualche modo definibile come avvicinamento ai quei limiti di
accettabilità; b) nella fattispecie vigente prevista
dall'art. 257 D.Lgs. 152/2006, invece, l'evento è
esclusivamente di danno, perché consiste solo
nell'inquinamento (non nel pericolo di inquinamento) ed è
definito come superamento delle concentrazioni soglia di rischio (CSR).
E' da notare a questo proposito che le tabelle allegate al D.M.
471/1999, per definire i limiti di accettabilità, coincidono
con quelle inserite nell'Allegato 5 alla Parte Quarta del D.Lgs.
152/2006 per definire le concentrazioni soglia di contaminazione (CSC);
e che una volta superate le CSC si deve procedere alla
caratterizzazione e alla analisi di rischio sito specifica, in esito
alla quale se si accerta il superamento delle concentrazioni soglia di
rischio (CSR) si deve far luogo alla messa in sicurezza e alla bonifica.
Ne deriva che secondo la fattispecie vigente l'evento del reato
è diverso sotto un duplice profilo: a) perché
è previsto solo come evento di danno, ossia come
inquinamento; b) perché l'inquinamento è definito
come superamento delle CSR, che è un livello di rischio
superiore ai livelli di attenzione individuati dalle CSC e quindi ai
livelli di accettabilità già definiti dal D.M.
471/1999. In altri termini, l'inquinamento che perfeziona il reato di
cui all'art. 257 D.Lgs. 152/2006 è più grave
dell'inquinamento che perfezionava il reato di cui all'art. 51 bis
D.Lgs. 22/1997.
In secondo luogo, anche la condizione obiettiva di
punibilità (non provvedere alla bonifica) è
configurata nelle due fattispecie a confronto secondo presupposti e
regole procedimentali non perfettamente sovrapponibili.
Quanto al trattamento sanzionatorio, l'art. 51 bis D.Lgs 22/1997
prevedeva la pena congiunta dell'arresto e dell'ammenda, mentre l'art.
257 D.Lgs. 156/2006 prevede la pena alternativa dell'arresto o
dell'ammenda (con arrotondamento della pena pecuniaria). Solo nel caso
in cui l'inquinamento è provocato da sostanze pericolose,
sia la norma previgente che quella vigente prevedono la pena congiunta
dell'arresto e dell'ammenda (sempre con arrotondamento di quest'ultima
nella norma vigente).
Concludendo sul punto, si deve mettere in evidenza che la nuova
fattispecie penale, pur avendo la stessa struttura di quella
precedente, è meno grave perché riduce l'area
dell'illecito (restringendola alla condotta di chi cagiona inquinamenti
più invasivi) e attenua il trattamento sanzionatorio.
5 - Tanto premesso, si deve osservare che in ordine all'ipotizzato
reato di cui all'art. 51 bis D.Lgs. 22/1997 i provvedimenti cautelari
del g.i.p. e del tribunale del riesame, integrati tra loro, da una
parte hanno accertato - nei limiti della cognizione cautelare - il
mutamento di destinazione dell'area della ex Caserma Donati da uso
militare o industriale a uso residenziale (art. 17, comma 13, D.Lgs.
22/1997); dall'altra hanno ritenuto che il deposito incontrollato di
smarino e riciclato nella stessa area, nonché la
frantumazione sistematica di rifiuti vari miscelati, in una col
premesso uso militare dell'area, che comportava l'impiego di carburanti
e armi esplosive, avevano cagionato un pericolo di inquinamento del
sito, con il conseguente obbligo di procedere alla bonifica (v. sopra
n. 1.3.1).
I giudici cautelari non hanno invece verificato - neppure sotto il
profilo del fumus - se erano stati superati i
limiti di accettabilità della contaminazione del sito,
richiamati sia dal citato comma 13 sia dal comma 2 dell'art. 17 D.Lgs.
22/1997, e stabiliti dal D.M. 25.10.1999 n. 471. In altri termini,
hanno accertato l'evento di pericolo (cioè il rischio
concreto e attuale di superamento dei predetti limiti di
accettabilità) e non quello di danno (superamento degli
stessi limiti di accettabilità) del reato ipotizzato,
ovverosia hanno accertato l'astratta configurabilità del
reato di cui all'art. 51 bis solo nella
configurazione meno grave del pericolo di inquinamento.
Con l'avvento dello ius novum, quindi,
l'accertamento compiuto in sede cautelare non è
più idoneo a far ritenere sussistente il fumus
del reato di inquinamento e di omessa bonifica del sito ai sensi della
più favorevole normativa sopravvenuta, perché
manca qualsiasi verifica dell'evento inquinamento richiesto come
elemento essenziale della nuova figura criminosa.
Pertanto, sotto questo profilo il sequestro preventivo della ex Caserma
Donati non può essere confermato.
6 - Appare invece accertato il fumus del secondo
reato ipotizzato, che è quello già previsto
dall'art. 53 bis del D.Lgs. 22/1997 ed è ora ugualmente
previsto in perfetta continuità normativa dall'art. 260
D.Lgs. 156/2006.
Sotto questo profilo, quindi, il sequestro preventivo mantiene la sua
validità.
Invero, il giudice del riesame, con motivazione adeguata al carattere
sommario del procedimento e quindi incensurabile in questa sede, ha
accertato che la s.r.l. ESA:
a) era iscritta nel registro provinciale di cui all'art. 33, comma 3,
D.Lgs. 22/1997 per il recupero di alcune tipologie di rifiuti, che non
comprendevano però le terre e rocce da scavo non pericolose,
contraddistinte dal codice CER 170504;
b) tuttavia, senza esserne autorizzata, adoperava l'area della ex
Caserma Donati per raccogliere materiale roccioso proveniente dalla
scavo di gallerie (smarino), terre da scavo e "riciclato",
cioè materiale inerte ricavato dalla frantumazione di
rifiuti vari provenienti da demolizioni, anche dalle demolizioni di
alcune palazzine insistenti nell'area; anzi - a quanto sembra -
utilizzava la stessa area per sistematiche operazioni di frantumazione;
c) infine, sempre senza alcuna autorizzazione, con organizzazione di
mezzi e con attività continuativa, al fine evidente di
trarne profitto, trasportava ingenti quantità dei predetti
rifiuti presso il cantiere di Scarperia gestito dalla
società Belvedere 2000 e presso altri cantieri non
identificati, e comunque gestiva per lucro e abusivamente ingenti
quantità di rifiuti che passavano attraverso l'ex Caserma
Donati.
Ricorre quindi l'astratta configurabilità del reato de
quo, sia nei suoi elementi materiali della condotta (gestione
illecita organizzata) e dell'oggetto (ingente quantità di
rifiuti, diesumibile dalla vastità dell'area interessata,
dalla dimensione delle opere gestite in appalto, da cui provenivano i
rifiuti, e dal prolungamento nel tempo della condotta), sia
nell'elemento psicologico del dolo specifico.
7 - E' infondata la tesi difensiva secondo cui i materiali come sopra
abusivamente gestiti dall'ESA esulavano dalla categoria dei rifiuti.
Vero è che le terre e rocce da scavo sono escluse dalla
disciplina dei rifiuti a norma dell'art.8 lett. f bis) D. Lgs. 22/1997
(aggiunta dall'art. 10, comma 1, legge 23.3.2001 n. 93); che questa
disposizione è stata interpretata estensivamente dall'art.
1, comma 17, legge 21.12.2001 n. 443, poi modificato dall'art. 23 della
legge 31.10.2003 n. 306; che infine la esclusione è stata
ribadita dall'art. 186 D.Lgs. 152/2006. Ma è altrettanto
vero che, in ognuna delle versioni della travagliata normativa sulla
materia, la esclusione dalla categoria dei rifiuti è
disposta a condizione che le terre e rocce da scavo, anche se
contaminate per effetto del processo di escavazione o perforazione
entro una soglia di inquinamento tollerata, siano destinate
all'effettivo utilizzo per reinterri, riempimenti, rilevati e macinati.
Inoltre, la normativa che ratione temporis
è applicabile al caso di specie prevedeva e prevede un
ulteriore presupposto per escludere le terre e le rocce da scavo dalla
categoria dei rifiuti, posto che esse devono essere utilizzate "senza
trasformazioni preliminari, secondo le modalità previste nel
progetto sottoposto a VIA ovvero, qualora non sottoposto a VIA, secondo
le modalità previste nel progetto approvato
dall'autorità amministrativa competente previa parere
dell'ARPA". Tanto è disposto infatti dall'art. 23 della
legge 31.10.2003, modificativo dell'art. 1, comma 17, legge 21.12.2001
n. 443; ed ora è sostanzialmente confermato dall'art. 186
D.Lgs. 152/2006. (Va precisato che - contrariamente a quanto opinato
nel ricorso - è sole la modifica introdotta dal predetto
art. 23 che si applica ai lavori in corso alla data del 30.11.2003 a
decorrere dal 31.12.2004, per effetto dell'art. 23 octies del D.L.
24.12.2003 n. 355, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1
legge 27.2.2004 n. 47. Tuttavia anche questa modifica appare applicabile
ratione temporis al caso concreto, a nulla rilevando, almeno
in questa sede, le mere asserzioni fattuali del ricorrente, che
peraltro ammettono un traffico di "smarino", cioè di
materiale roccioso proveniente dallo scavo di gallerie, anche in
periodi successivi al predetto 31.12.2004).
Va però sottolineato che la predetta esclusione si configura
come deroga alla regola generale che, per effetto dell'art. 7, comma 3,
lett. b) D.Lgs. 22/1997, include le terre e rocce da scavo nella
categoria di rifiuti. Ne deriva che spetta all'imputato che voglia
fruire della deroga l'onere di provare il presupposto della deroga
stessa, e cioè che le predette terre e rocce sono
effettivamente destinate al reinterro, al riempimento e alle altre
simili operazioni, e che sono utilizzate, senza trasformazioni
preliminari, secondo le modalità previste nel progetto
approvato dei lavori. Mentre spetta alla pubblica accusa, che voglia
includere nella categoria dei rifiuti anche le terre e rocce da scavo
effettivamente destinate al reinterro e al riempimento, dare la prova
che esse abbiano superato la soglia di inquinamento tollerata.
Ebbene, in relazione al traffico organizzato di terre e rocce da scavo
gestito dalla ESA, non solo: a) manca la dimostrazione che esse erano
effettivamente destinate al riutilizzo per reinterri, riempimenti,
rilevati e macinati; ma inoltre: b) manca la prova che fossero
utilizzate secondo le modalità previste nel progetto
sottoposto a valutazione di impatto ambientale o comunque approvato
dall'autorità competente; c) sembra esistere la prova
positiva che esse, almeno in parte, subivano trasformazioni
preliminari, posto che la ESA procedeva alla frantumazione sistematica
dei rifiuti raccolti nella ex Caserma Donati prima di trasferirli
altrove.
D'altra parte, non si può sostenere che la esenzione delle
terre e rocce da scavo dalla disciplina statale sui rifiuti derivi
dall'art. 34 del D.P.G.R. 25.2.2004 n. 14 della Regione Toscana,
giacché questa norma (che ha natura secondaria e
regolamentare) non fa che riprodurre sostanzialmente i requisiti
richiesti per l'esenzione come sopra esaminati, e anzi richiede come
ulteriore requisito la condizione che le terre e le rocce non siano
frammiste ad altre frazioni merceologiche identificabili come rifiuti
(lett. b) del comma 2), e infine esclude espressamente dall'esenzione i
materiali destinati ad una qualunque operazione di smaltimento e i
materiali inerti abbandonati sul suolo e nel suolo (lett. a) e b) del
comma 3).
A ben vedere, sostanzialmente analoga a quella testè esposta
è la motivazione adottata sul punto dal tribunale del
riesame (v. sopra n. 1.3.2), anche se con un linguaggio spesso
impreciso o giuridicamente improprio: per esempio, laddove si riferisce
al reato di "illegale smaltimento dei rifiuti" (ex art. 51) invece che
a quello di traffico illecito organizzato di rifiuti (ex art.
53 bis D.Lgs. 22/1997); oppure quando ricorre alla nozione di
"caratterizzazione" (che indica le attività tecniche usate
per accertare i fenomeni di contaminazione a carico delle matrici
ambientali di un sito al fine di procedere eventualmente alla messa in
sicurezza o alla bonifica del sito medesimo: v. ora la Premessa
dell'Allegato 2 al Titolo V della Parte IV del D.Lgs. 152/2006) per
alludere impropriamente alla utilizzazione senza trasformazioni
preliminari delle terre e rocce da scavo secondo le modalità
previste nel progetto dei lavori.
8 - Sotto altro profilo, il ricorrente sostiene che i materiali de
quibus esulavano dalla categoria dei rifiuti per effetto
della norma sopravvenuta di cui all'art. 185 D.Lgs. 152/2006. Ma
l'argomento è manifestamente infondato.
Com'è noto, la lettera m) dell'art. 185 esclude dalla
disciplina dei rifiuti contenuta nella parte quarta del decreto
legislativo "i sistemi d'arma, i mezzi, i materiali e le infrastrutture
direttamente destinati alla difesa militare e alla sicurezza nazionale,
individuati con decreto del ministro della difesa, nonché la
gestione dei materiali e dei rifiuti e la bonifica dei siti ove vengono
immagazzinati i citati materiali, che rimangono disciplinati dalle
speciali norma di settore".
Orbene, è agevole notare che presupposto della esenzione
è che le cose siano destinate direttamente e attualmente
alla difesa e alla sicurezza nazionale (come è confermato
anche dall'ultimo periodo della lettera m), secondo il quale i
magazzini, i depositi e i siti di stoccaggio nei quali vengono
custoditi i materiali de quibus costituiscono opere
destinate alla difesa nazionale).
Nel presente caso, invece, com'è stato già
accennato in narrativa, tutto il complesso immobiliare della Caserma
Donati era stato ceduto dal Ministero della Difesa e dall'Agenzia del
Demanio alla s.p.a. TAV, e per essa al Consorzio CAVET, per essere
utilizzato ai fini della costruzione del sistema di Alta
Velocità ferroviaria. Sicché è
pacifico che tutto il complesso immobiliare aveva ormai perduto la sua
destinazione militare.
Il ricorrente ha richiamato anche la lettera n) dell'art. 185, secondo
la quale sono esclusi dalla disciplina sui rifiuti anche "i materiali e
le infrastrutture non ricompresi nel decreto ministeriale di cui alla
lettera m), finché non è emanato il provvedimento
di dichiarazione di rifiuto ai sensi del D.P.R. 5.6.1976 n. 1076,
recante il regolamento per l'amministrazione e la
contabilità degli organismi dell'esercito, della marina e
dell'aeronautica".
La ratio evidente di questa disposizione
è che i beni e i materiali con destinazione militare i quali
tuttavia non siano inclusi nell'apposito decreto ministeriale restino
ugualmente esclusi dalla disciplina generale sui rifiuti sino a che non
intervenga la c.d. dichiarazione fuori uso di materiali per
vetustà o per usura di cui agli artt. 361 e ss. del citato
D.P.R. 1076/1976, ora peraltro abrogato e sostituito con il D.P.R.
21.2.2006 n. 167 a decorrere dal 1.1.2007.
Basta osservare al riguardo che implicito presupposto della
disposizione è sempre la destinazione attuale delle cose a
fini militari, ovverosia la persistenza della competenza militare,
perché altrimenti sarebbe impossibile per gli organi
dell'amministrazione militare procedere alla dichiarazione fuori uso
delle cose stesse. E, per quanto già rilevato, questo
presupposto non è più esistente per la ex
Caserma Donati.
Tutto ciò, senza considerare che non tutti i materiali
gestiti dalla ESA rientravano nelle rocce e terre da scavo di cui al
codice CER 170504, posto che è pacifico che la
società frantumava e gestiva anche materiale inerte
proveniente da demolizioni, il c.d. riciclato, che è cosa
diversa dal materiale proveniente da scavo e che ha incontestabilmente
e inderogabilmente la natura di rifiuto.
9 - Il difensore ricorrente ha anche confutato il difetto di
abilitazione rimproverato alla società ESA e al suo
rappresentante legale, osservando che la società raccoglieva
e trasportava rifiuti in proprio e non per conto terzi, in quanto
trafficava solo con le altre imprese del Consorzio CAVET:
sicché, a tal fine, non aveva l'obbligo di iscriversi
all'Albo nazionale delle imprese che effettuano la gestione dei
rifiuti, come previsto dal comma 4 dell'art. 30 D.Lgs. 22/1997.
Questa disposizione è ora sostanzialmente riprodotta
nell'art. 212 D.Lgs. 152/2006, che disciplina con gli stessi limiti
l'Albo nazionale dei gestori ambientali.
A parte la considerazione che la predetta disposizione, nella parte in
cui richiede l'abilitazione solo per la gestione dei rifiuti prodotti
da terzi e la esclude per i gestori "in conto proprio", è
stata sospettata di illegittimità costituzionale per
violazione delle direttive comunitarie in materia, e che la relativa
questione è stata rimessa alla Corte costituzionale da
questa stessa sezione, al riguardo va osservato che la istituzione di
un "consorzio" di imprese, anche se importa una coordinazione
organizzativa e quindi una collaborazione più intensa di
quella che si realizza nel semplice "cartello", tuttavia non basta a
vanificare la diversa soggettività giuridica delle imprese
consorziate, che conservano comunque una propria autonomia operativa.
Se ne deve concludere che la s.r.l. ESA, anche se raccoglieva e
trasferiva rifiuti solo da e verso altre imprese del Consorzio CAVET,
in quanto gestiva rifiuti prodotti da terzi, aveva l'obbligo di
iscriversi nell'Albo nazionale dei gestori ambientali, oltre che quello
di essere abilitata ex art. 33 D.Lgs. 22/1997 per l'esercizio della sua
attività di recupero.
10 - Le censure formulate per vizio di motivazione non hanno ingresso
in questa sede, a mente dell'art. 325, comma 1, c.p.p..
In particolare, è inammissibile la doglianza per difetto di
motivazione sul periculum in mora. Sul punto,
peraltro, il tribunale del riesame ha sufficientemente motivato,
laddove ha osservato in sostanza che esisteva un rapporto pertinenziale
tra l'area sequestrata e i reati ipotizzati e che il sequestro impediva
la prosecuzione dell'attività criminosa (anche se ha
impropriamente parlato di discarica e di smaltimento di rifiuti, che
sono fattispecie previste dall'art. 51 D.Lgs. 22/1997, e non di
traffico di rifiuti o inquinamento del sito, che sono le contestate
fattispecie rispettivamente previste dagli art. 53 bis
e 51 bis D.Lgs. 22/1997).
11 - Per le considerazioni sopra svolte il ricorso va respinto nei
limiti precisati, con la conseguenza che il sequestro preventivo
dell'area della ex Caserma Donati va mantenuto. Ai sensi dell'art. 616
c.p.p. consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali. Considerato il contenuto del ricorso, non si ritiene di
irrogare anche la sanzione pecuniaria che detta norma consente.
P.Q.M.
la corte suprema di cassazione rigetta il ricorso e condanna il
ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 29.11.2006.
Il consigliere
estensore
Il presidente
(Pierluigi
Onorato)
(Enrico Papa)
Rifiuti. Terre e rocce da scavo, rifiuti militari, rapporti tra artt. 53bis e 51
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