Pres. Lupo Est. Ianniello Ric. Sorce
Rifiuti. Trasporto illecito (culpa in vigilando)
Il reato di cui all'art. 256, comma secondo del D. Lgs. n. 152 del 2006, sebbene reato proprio dell'imprenditore o del responsabile di ente, non è infatti necessariamente un reato a condotta attiva, potendo concretarsi anche in una omissione, nel caso in esame ipotizzata quanto meno con riferimento ad una culpa in vigilando, restando riservato alla sede di merito l'accertamento pieno dell'eventuale contenuto attivo, partecipativo o omissivo della condotta del ricorrente.
Svolgimento del processo
Con
decreto del 1° dicembre 2006,
il G.I.P. presso il Tribunale di Caltanisetta aveva disposto il
sequestro
preventivo dell’autocarro Fiat Ducato targato AA382GY di
proprietà della Edil
For s.r.l., sulla base dell’ipotesi investigativa che questo
fosse stato
utilizzato per trasportare e scaricare rifiuti speciali quali
sfabbricidi
provenienti dallo smantellamento di un magazzino della
società medesima, in
ordine alla quale è indagato il suo legale rappresentante
Gioacchino Sorce per
i reati previsti dall’art. 256, commi
1° e 2° del D.Lgs.
Su
richiesta di riesame in data
Avverso tale ordinanza propone ricorso per cassazione il difensore di Gioacchino Sorce, amministratore unico e legale rappresentante della Edil For s.r.l., deducendo:
1 - la violazione dell’art. 256 del D.Lgs. n. 152/06 e degli artt. 110, 40 e 43, 3° comma c.p..
Il ricorrente sostiene la sua estraneità e quindi l’estraneità della società al fatto, del tutto occasionale, di iniziativa dei due dipendenti al di fuori dell’orario di lavoro. Comunque la sentenza ipotizzerebbe il concorso colposo (per difetto di vigilanza) del titolare di impresa in un fatto di reato commesso dai dipendenti, mentre il reato è proprio del titolare di impresa col quale semmai possono concorrere i dipendenti.
Comunque anche la culpa in vigilando sarebbe meramente affermata senza alcuna argomentazione o accertamento relativamente alla capacità di controllo dell’operato dei dipendenti.
2 - la violazione art. 256, 2° comma D.Lgs. n. 152/06 in relazione agli artt. 40, 1° comma, 43, 3° comma e 110 c.p. nonché 27 Cost.
Mancherebbe l’accertamento dell’eventuale comportamento omissivo e dell’attribuibilità dello stesso al legale rappresentante della società.
3 - la violazione art. 256, 2° comma e 259 D.Lgs. n. 152/06 e difetto assoluto di motivazione.
Pur
aderendo alla interpretazione
dell’art. 256, 2°
comma di cui
a Cass.
Il ricorrente chiede pertanto l’annullamento dell’ordinanza impugnata, coi provvedimenti conseguenti.
Il ricorso è infondato.
Con
riguardo al primo ed al
secondo motivo di ricorso, va ricordato che, secondo la costante
giurisprudenza
di questa Corte (cfr., tra
tante, le sentenze
Nel caso in esame l’ipotesi accusatoria posta alla base del provvedimento di sequestro è quella dell’abbandono di rifiuti riferibile all’impresa del ricorrente in quanto suoi erano i dipendenti alla guida del camion trasportante i rifiuti poi abbandonati e suo era anche il camion. Ciò che nella sede cautelare appare sufficiente a sostenere il fumus commissi delicti in capo al legale rappresentante della società, essendo poi riservato al giudizio di merito, nel contraddittorio tra le parti, l’accertamento pieno dell’ eventuale colpevolezza dello stesso.
Né appare fondato il rilievo secondo cui il reato sarebbe stato commesso dai dipendenti della società, mentre al ricorrente sarebbe addebitato unicamente un difetto di vigilanza, ipotesi non riconducibile neppure in astratto alla fattispecie penale considerata.
Il reato di cui all’art. 256, comma secondo del D.Lgs. n. 152 del 2006, sebbene reato proprio dell’imprenditore o del responsabile di ente, non è infatti necessariamente un reato a condotta attiva, potendo concretarsi anche in una omissione, nel caso in esame ipotizzata quanto meno con riferimento ad una culpa in vigilando, restando riservato alla sede di merito l’accertamento pieno dell’eventuale contenuto attivo, partecipativo o omissivo della condotta del ricorrente.
Il primo ed il secondo motivo di ricorso sono pertanto infondati.
Quanto
al terzo motivo, il
ricorrente non contesta più (come aveva fatto in sede di
appello)
l’orientamento giurisprudenziale di questa Corte secondo il
quale il
legislatore ha voluto distinguere l’ipotesi contravvenzionale
di cui al 2° comma
dell’art. 256 rispetto all’illecito amministrativo
di cui all’art. 255, primo
comma del D.Lgs. n. 152/06
sostanzialmente sulla base del dato relativo alla qualità di
imprenditore
dell’autore della condotta o comunque di esercente una
attività in maniera
continuativa nel primo caso e non nel secondo (Cass.
L’imputato deduce peraltro che perché sia configurabile in astratto la fattispecie incriminatrice è necessario che i rifiuti abbandonati siano riferibili oggettivamente all’attività dell’impresa che pone in essere la relativa condotta, situazione che sarebbe da escludere nel caso in esame.
Il
mezzo è manifestamente
infondato, alla luce della circostanza che l’originale
qualificazione dei
rifiuti abbandonati come “propri”
delle
imprese e dei responsabili di enti, contenuta nel secondo comma
dell’art. 51
del D.Lgs.
Concludendo, alla luce delle considerazioni svolte, il ricorso va respinto e il ricorrente va condannato, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali.