Cass. Sez. 3 III n. 50997 del 29 dicembre 2015 (Ud 7 ott 2015)
Presidente: Franco Estensore: Andronio Imputato: Cucinella e altro
Rifiuti.Abbandono incontrollato di rifiuti da parte di terzi e responsabilità omissiva del proprietario del terreno
In materia di rifiuti, non è configurabile in forma omissiva il reato di cui all'art. 256, comma secondo, D.Lgs. n. 152 del 2006, nei confronti del proprietario di un terreno sul quale terzi abbiano abbandonato o depositato rifiuti in modo incontrollato, anche nel caso in cui non si attivi per la rimozione dei rifiuti, poiché tale responsabilità sussiste solo in presenza di un obbligo giuridico di impedire la realizzazione o il mantenimento dell'evento lesivo, che il proprietario può assumere solo ove compia atti di gestione o movimentazione dei rifiuti. (In applicazione del principio, la Corte ha ritenuto corretta la decisione di merito che aveva condannato il proprietario non per la sua qualità di possessore dell'area di deposito, ma per avere questi consapevolmente partecipato all'attività illecita, mettendo a disposizione il terreno per lo smaltimento abusivo di rifiuti derivanti da lavori edili da egli stesso commissionati).
RITENUTO IN FATTO
1. - Con sentenza del 30 maggio 2014, la Corte d'appello di Palermo ha confermato la sentenza del Tribunale di Trapani del 21 dicembre 2012, con la quale gli imputati erano stati condannati, ritenuta contestata in fatto la continuazione fra le diverse condotte, per i reati di cui all'art. 110 cod. pen. e del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, commi 1 e 2, perchè, in concorso tra loro, Cucinella quale legale rappresentante di una società esercente l'attività edilizia ed avente un diritto personale di godimento su un'area, Campo quale legale rappresentante di una diversa società e usufruttuario della suddetta area, nonchè concedente al primo, effettuavano, in mancanza delle prescritte autorizzazioni, iscrizioni o comunicazioni, un'attività di raccolta di rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi, che depositavano in modo incontrollato all'interno dell'area in questione (fino al luglio 2008).
2. - Avverso la sentenza l'imputato Cucinella ha proposto personalmente ricorso per cassazione, deducendo: 1) la mancata notificazione al suo indirizzo del decreto di citazione in giudizio davanti al Tribunale; 2) la manifesta illogicità della motivazione della sentenza, sul rilievo che il testimone sentito non avrebbe dichiarato di aver visto l'imputato scaricare rifiuti con il suo camion; 3) l'erronea applicazione del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256 sul rilievo che il reato da contestare avrebbe dovuto essere quello di cui al comma 2 e non quello di cui al comma 1 del richiamato art. 256, avendo in ipotesi l'imputato posto in essere non una condotta di raccolta e smaltimento senza autorizzazione, ma un deposito incontrollato di rifiuti; 4) l'intervenuta prescrizione del reato.
3. - La sentenza è stata impugnata, tramite il difensore, anche dall'imputato Campo, sul rilievo della mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. La difesa premette che l'imputato era amministratore unico della società committente dei lavori edili a favore della società del coimputato Cucinella, nonchè direttore di tali lavori edili;
premette altresì che l'imputato non aveva alcun diritto sul fondo nel quale i rifiuti erano stati scaricati e che i giudici di merito avevano ritenuto sussistente una sua disponibilità materiale di tale fondo, così che la sua responsabilità sarebbe stata ritenuta sussistente sulla base di una mera culpa in vigilando. E non si sarebbe considerato che dagli atti era emerso che i figli dell'imputato Ca., effettivi proprietari del fondo, avevano inviato al coimputato C. una lettera con la quale lo invitavano a restituire il terreno bonificato dai rifiuti; circostanza che si porrebbe in contrasto con la predetta disponibilità del terreno stesso in capo a Campo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
4. - Il ricorso dell'imputato Cucinella è inammissibile.
4.1. - Il primo motivo di doglianza - con cui si lamenta la mancata notificazione al domicilio dell'imputato del decreto di citazione in giudizio davanti al Tribunale - è inammissibile, per difetto di specificità, perchè con esso si deduce una violazione di legge che si sarebbe verificata nel giudizio di primo grado, senza procedere alla specifica contestazione del riepilogo dei motivi di appello contenuto nella sentenza impugnata; contestazione necessaria qualora questa abbia omesso di indicare - come nel caso di specie - che l'atto di impugnazione proposto avverso la decisione del primo giudice aveva anch'esso già denunciato le medesime violazioni di legge (sez. 2, 5 novembre 2013, n. 9028, rv. 259066).
La doglianza è, in ogni caso, formulata in modo perplesso, perchè lo stesso imputato non intende negare che la notificazione sia stata effettuata, ma solo che la stessa sia stata effettuata al suo domicilio e non specifica se si tratti del domicilio eletto o dichiarato, nè in quali forme la notificazione sia effettivamente avvenuta. E dall'esame degli atti risulta che l'imputato era dotato di difensore di fiducia e che quest'ultimo ha ritualmente ricevuto la notificazione per lo stesso imputato ai sensi dell'art. 161 c.p.p., comma 4; nè nulla era stato eccepito sul punto nel corso del giudizio di primo grado o con l'atto di appello.
Deve comunque ricordarsi - anche a prescindere dalle assorbenti considerazioni appena svolte - che la nullità conseguente alla notificazione all'imputato del decreto di citazione a giudizio presso lo studio del difensore di fiducia anzichè presso il domicilio dichiarato è di ordine generale a regime intermedio, in quanto detta notificazione, seppur irritualmente eseguita, non è inidonea a determinare la conoscenza dell'atto da parte dell'imputato, in considerazione del rapporto fiduciario che lo lega al difensore; con la conseguenza che essa è deducibile a pena di decadenza nei termini previsti dall'art. 491 cod. proc. pen., in quanto l'atto deve ritenersi comunque giunto a conoscenza dell'interessato (ex plurimis, sez. 4, 17 settembre 2015, n. 40066, rv. 264505; sez. 6, 24 giugno 2014, n. 29677, rv. 259819).
4.2. - Il secondo motivo di doglianza - con cui si deduce la manifesta illogicità della motivazione della sentenza, sul rilievo che il teste Basile non avrebbe dichiarato di aver visto l'imputato scaricare rifiuti con il suo camion - è anch'esso formulato in modo non specifico. La difesa non svolge, infatti, alcuna argomentazione idonea a contrastare le conformi motivazioni delle sentenze di primo e secondo grado circa la piena attendibilità del teste B., il quale ha visto mezzi della società di C. che scaricavano rifiuti nel terreno in questione.
4.3. - Il terzo motivo di doglianza - relativo alla qualificazione giuridica dei fatti - è manifestamente infondato. Come evidenziato nella sentenza impugnata, erano state contestate in fatto e ritenute sussistenti dal Tribunale, il quale ha perciò applicato la continuazione, sia la fattispecie del comma 1 sia quella del comma 2 del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256 avendo l'imputato posto in essere sia una condotta di raccolta e smaltimento senza autorizzazione, sia un deposito incontrollato di rifiuti nell'area messagli a disposizione dal coimputato a tale scopo.
4.4. - Manifestamente infondato è anche il quarto motivo di doglianza, con cui si prospetta l'intervenuta prescrizione dei reati.
Gli stessi sono stati, infatti, contestati come commessi il 31 luglio 2008, e al relativo termine quinquennale complessivo devono essere aggiunti ben 392 giorni di sospensione della prescrizione (dal 21 marzo 2010 al 14 luglio 2011, per adesione del difensore all'astensione collettiva dalle udienze; dal 19 gennaio 2012 al 12 luglio 2012, per richiesta difensiva; dal 17 settembre 2012 al 19 novembre 2012, per impedimento del difensore; dal 19 novembre 2012 al 26 novembre 2012, per impedimento del difensore; dal 7 marzo 2014 al 30 maggio 2014, per impedimento del difensore). Ne consegue che il termine prescrizionale sarebbe scaduto il 27 agosto 2014, ovvero in un momento successivo alla pronuncia della sentenza impugnata (30 maggio 2014). A fronte di un ricorso inammissibile, quale quello in esame, trova dunque applicazione il principio, costantemente enunciato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 cod. proc. pen., ivi compresa la prescrizione, è preclusa dall'inammissibilità del ricorso per cassazione, anche dovuta alla genericità o alla manifesta infondatezza dei motivi, che non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione (ex multis, sez. 3, 8 ottobre 2009, n. 42839; sez. 1, 4 giugno 2008, n. 24688; sez. un., 22 marzo 2005, n. 4).
5. - Il ricorso proposto nell'interesse di Campo è anch'esso inammissibile, perchè basato su un'unica doglianza, formulata in modo specifico e comunque diretta ad ottenere da questa Corte una rivalutazione del merito della responsabilità penale; rivalutazione preclusa in sede di legittimità.
Deve preliminarmente ribadirsi il principio, affermato dalla giurisprudenza di legittimità con riferimento alla fattispecie della discarica abusiva - ma con statuizioni che si attagliano anche alla diversa ipotesi dell'abbandono incontrollato di rifiuti - secondo cui il proprietario di un terreno non risponde, in quanto tale, dei reati di realizzazione e gestione di discarica non autorizzata commessi da terzi, anche nel caso in cui non si attivi per la rimozione dei rifiuti, in quanto tale responsabilità sussiste solo in presenza di un obbligo giuridico di impedire la realizzazione o il mantenimento dell'evento lesivo, che il proprietario può assumere solo ove compia atti di gestione o movimentazione dei rifiuti (ex multis, sez. 3, 10 giugno 2014, n. 40528, rv. 260754; sez. 3, 12 novembre 2013, n. 49327, rv. 257294).
I giudici di merito hanno fatto corretta applicazione di tale principio, perché -contrariamente a quanto asserito dal ricorrente - hanno ritenuto sussistente la responsabilità penale dell'imputato non sulla sola base della sua qualità di possessore dell'area in questione. Essi non si sono limitati ad evidenziare che l'imputato aveva la titolarità di fatto dell'area nella quale i rifiuti venivano scaricati, come emerge dalle testimonianze di Mineo, Ingrassia, Orfeo, soggetti che addirittura ritenevano che egli fosse il proprietario del fondo; ma hanno altresì precisato che egli aveva sostanzialmente partecipato alle attività illecite svolte dal coimputato Cucinella, perché gli aveva appaltato numerosi lavori edili, che si svolgevano sotto la sua direzione, mettendogli a disposizione per lo smaltimento abusivo dei rifiuti proprio l'area in questione. Quanto alla lettera inviata dai figli di Campo a Cucinella con l'invito a bonificare l'area, la Corte d'appello correttamente rileva che la stessa non ha alcun valore probatorio, essendo successiva all'accesso dei carabinieri sul luogo e, dunque, evidentemente sollecitata dallo stesso Campo allo scopo di costituirsi una causa di
esonero da responsabilità.
6. - I ricorsi, conseguentemente, devono essere dichiarati inammissibili. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., l'onere delle spese del procedimento nonchè quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 1.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 7 ottobre 2015.