Cass. Sez. III n. 44033 del 3 dicembre 2024 (CC 14 nov 2024)
Pres. Ramacci Est. Galanti Ric. Ecologia
Rifiuti.Attività di campionamento
Non può attribuirsi all’attività di campionamento dei rifiuti la «natura» di accertamento tecnico ex se, essendo al contrario rimessa al giudice del fatto la valutazione (incensurabile, come visto, in sede di legittimità ove non connotata da manifesta illogicità o contraddittorietà, e comunque ove tale censura non venga tempestivamente dedotta da chi vi abbia interesse) in ordine al quantum di competenza e difficoltà tecnica richiesto per l’effettuazione delle operazioni di prelievo, al fine di valutare la necessità di attivare la procedura garantita di cui all’articolo 360 cod. proc. pen.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza resa il 16 aprile 2024, il Tribunale del riesame di Vibo Valentia rigettava la richiesta di riesame proposta, dalla società Ecologia Oggi s.p.a., avverso l’ordinanza del GIP del Tribunale di Vibo Valentia dell’11 marzo 2024, con cui era stato disposto il sequestro preventivo della società Eco Call S.p.a., sito in Vazzano, loc. Stagliate, e di dieci automezzi di proprietà della società Ecologia Oggi S.p.a., rappresentata da Alessio Guarascio.
2. Avverso l’ordinanza la società indagata propone, tramite i suoi difensori di fiducia, ricorso per cassazione.
2.1. Con il primo motivo lamenta violazione degli articoli 354, 355 e 360 c.p.p., con conseguente inutilizzabilità, dedotta anche in sede di riesame, dei prelievi di campioni e delle successive analisi di laboratorio.
Erroneamente il Tribunale di Vibo Valentia ritiene tali operazioni equiparabili a quelle svolte di urgenza ex articolo 354 (erroneamente viene indicato l’articolo 354-bis, inesistente) c.p.p.., laddove, invece, dovevano essere svolte con il rispetto delle garanzie di cui all’articolo 360 c.p.p..
Ed infatti:
- L’attività di polizia giudiziaria era stata svolta sotto il diretto controllo del pubblico ministero;
- non era un caso di urgenza;
- le successive analisi sono state effettuate dall’ausiliario del pubblico ministero.
Ciononostante, nessun avviso è stato dato all’indagato.
Erra, ancora, l’ordinanza impugnata laddove ritiene che per l’espletamento delle analisi non fosse necessaria una speciale competenza tecnica, essendo sufficiente rivolgersi ad un laboratorio accreditato.
Ancora, non essendo stati i rifiuti sottoposti a sequestro, ma solo l’impianto, le successive analisi dovevano considerarsi irripetibili.
E qui l’ordinanza effettua un vero e proprio travisamento, che si trasfonde in motivazione apparente, posto che è impossibile che dei rifiuti sequestrati nel 2021 si trovino ancora presso lo stabilimento.
2.2. Con il secondo motivo lamenta violazione dell’articolo 321 cod. proc. pen. in relazione al periculum in mora.
Manca ogni rapporto di pertinenzialità e strumentalità con il reato contestato, non essendo a tal fine sufficiente una mera occasionalità tra la res e il reato medesimo.
Inoltre, poiché i fatti sono risalenti e hanno avuto una durata temporale circoscritta, manca on oggettivo e concreto pericolo di reiterazione o di aggravamento del reato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
2. In primo luogo, il ricorso è inammissibile per difetto del potere di rappresentanza.
Secondo il costante orientamento della Corte, infatti, ai fini della richiesta di riesame avverso il provvedimento di sequestro preventivo, il difensore del soggetto indagato che sia anche legale rappresentante della società titolare del bene caduto in sequestro deve essere munito, al momento del deposito dell'impugnazione per conto dell'ente, della procura speciale, non essendo sufficiente la mera nomina difensiva (Sez. 2, n. 18419 del 22/03/2024, Grazioli, Rv. 286321 – 01; Sez. 5, n. 2465 del 24/09/2018, dep. 2019, Berna, Rv. 275257 - 01).
È quindi inammissibile il ricorso per cassazione avverso provvedimenti in materia cautelare reale proposto dal difensore del terzo interessato privo di procura speciale (ex multis, Sez. 2, n. 310 del 07/12/2017, dep. 09/01/2018, Rv. 271722), non potendo trovare applicazione, in tal caso, la disposizione di cui all’art. 182, comma 2, cod. proc. civ., per la regolarizzazione del difetto di rappresentanza (ex multis, Sez. 3, n. 25316 del 10/02/2023, Prada, n.m.; Sez. 3, n. 29858 del 01/12/2017, dep. 03/07/2018, Rv. 273505).
Nel caso di specie, infatti, manca (o comunque non risulta allegata al ricorso, con conseguente violazione anche del principio di autosufficienza) la procura speciale conferita dall’ente al difensore, con conseguente difetto di legittimazione del difensore privo di procura speciale (il quale, peraltro, dichiara solamente di ricorrere «nell’interesse» della società, senza neppure indicare la fonte del suo potere di rappresentanza in giudizio).
3. Il ricorso è comunque inammissibile anche nel merito.
4. Il primo motivo è infatti manifestamente infondato.
La giurisprudenza di questa Corte (v., ex plurimis, Sez. 6, n. 10350 del 6/02/2013; Sez. 2, n. 2087 del 10/01/2012; Sez. 2, n. 34149 del 10/07/2009, Chiesa, Rv. 244950 - 01) e la stessa Corte costituzionale (sent. n. 239/2017) hanno in modo costante distinto il «rilievo» dall’«accertamento tecnico».
Si tratta, come noto, di categorie di atti di indagine che il codice non definisce in alcun punto, tanto che alcuni in dottrina hanno in proposito parlato di «endiadi».
Così non è.
Come anche di recente ribadito (Sez. 3, n. 27148 del 17/05/2023, Burato, Rv. 284735 - 02), l’articolo 359 cod. proc. pen. (rubricato «Consulenti tecnici del pubblico ministero»), si riferisce ad entrambi i tipi di operazioni («rilievi» e «accertamenti tecnici»), laddove l’articolo 360, al contrario, si riferisce solo ai secondi, con conseguente esclusione, quanto ai «rilievi», del diritto al previo avviso all’indagato, che può partecipare alle operazioni solo «ove presente» (arg. ex artt. 354 e 356 cod. proc. pen., 114 disp. att. cod. proc. pen.).
Questa Corte ha nel tempo chiarito che con il termine «rilievi» si intende un’attività di mera osservazione, individuazione ed acquisizione di dati materiali, mentre gli «accertamenti» comportano un’opera di studio critico, di elaborazione valutativa, ovvero di giudizio di quegli stessi dati o di valutazioni critiche su basi tecnico-scientifiche (Sez. 2, n. 45751 dell’8/02/2016, Siino, Rv. 268165 - 01; Sez. 1, n. 18246 del 25/02/2015, Cedrangolo, Rv. 263859 - 01; sez. 1, n. 45283 del 10/10/2013, Passaro, n.m.; Sez. 2, n. 33076 del 25/07/2014, Caari, n.m.; Sez. 6, n. 10350 del 06/02/2013, Granella, Rv. 254589 - 01Sez. 1, n. 2443 del 13/11/2007, dep. 2008, Pannone, Rv. 239101 - 01: «in tema di indagini preliminari, la nozione di accertamento tecnico concerne non l’attività di raccolta o di prelievo dei dati pertinenti al reato … [omissis] … priva di alcun carattere di invasività, bensì soltanto il loro studio e la loro valutazione critica»; Sez. 2, n. 34149 del 10/07/2009, Chiesa, Rv. 244950: «in tema di indagini preliminari, mentre il rilievo consiste nell’attività di raccolta di dati pertinenti al reato, l’accertamento tecnico si estende al loro studio e valutazione critica secondo canoni tecnico-scientifici»; conformi, in relazione ai prelievi di campioni di DNA: Sez. 1, n. 18246 del 25/02/2015, B., Rv. 263859 - 01; Sez. 1, n. 31880 del 30/03/2022, Mangiafic’, Rv. 283573 - 01).
La giurisprudenza, anche Costituzionale, ha nel tempo assimilato il concetto di «prelievo» a quello di «rilievo» (v. Corte costituzionale, sentenza n. 239 del 2017, citata; Sez. 1, n. 2443 del 13/11/2007, Rv. 239101 – 01, Pannone, citata: «la nozione di accertamento tecnico concerne non l’attività di raccolta o di prelievo dei dati pertinenti al reato … priva di alcun carattere di invasività, bensì soltanto il loro studio e la loro valutazione critica»), essendo entrambi mezzi volti all’apprensione di un dato materiale, una cosa, un campione, di essa rappresentativo.
Resta inteso che, ove non si applichino le garanzie di cui all’articolo 360 cod. proc. pen., particolare attenzione e cura dovranno essere rivolte alla verbalizzazione dell’attività (prevista dall’articolo 357 cod. proc. pen. solo per gli atti compiuti dalla polizia giudiziaria, ma da estendersi all’attività di indagine in generale, soprattutto ove non assistita dalla dialettica tra le parti), onde consentirne il controllo (e la contestazione) in contraddittorio nelle successive fasi processuali.
Tuttavia, lo stesso Giudice delle leggi citato ha evidenziato che, anche operazioni di rilievo o prelievo, e in generale di repertazione, possano richiedere, «in casi particolari, valutazioni e scelte circa il procedimento da adottare, oltre che non comuni competenze e abilità tecniche per eseguirlo, e in questo caso, ma solo in questo, può ritenersi che quell’atto di indagine costituisca a sua volta oggetto di un accertamento tecnico, prodromico rispetto all’atto da eseguire poi sul reperto prelevato».
Infatti, possono verificarsi situazioni in cui per la repertazione del campione, necessario agli accertamenti peritali, siano richieste specifiche competenze ovvero si debba ricorrere a tecniche particolari e in «tal caso anche l’attività di prelievo assurge alla dignità di operazione tecnica non eseguibile senza il ricorso a competenze specialistiche e dovrà essere compiuta nel rispetto dello statuto che il codice prevede per la acquisizione della prova scientifica» (Sez. 2, n. 2476 del 27/11/2014, Rv. 261867 - 01).
Non a caso, accorta dottrina parla, in proposito degli accertamenti tecnici, di categoria «liquida», proprio a sottolineare la natura «mobile» dei relativi confini.
Si tratta, in questi casi, di un apprezzamento in concreto rimesso al giudice del fatto, insindacabile in sede di legittimità ove sorretto da adeguata motivazione, il cui eventuale vizio sarebbe comunque inammissibile in questa sede ai sensi dell’articolo 325 cod. proc. pen..
Quanto alle «tecniche» di campionamento dei rifiuti, il Collegio evidenzia che, se è vero che tale attività può essere particolarmente delicata in merito alla scelta delle metodiche da adottare e della rappresentatività del campione (circostanza che rende consigliabile assicurare in ogni caso il contraddittorio), la Corte di Giustizia UE (sentenza 28 marzo 2019, cause riunite da C-487/17 a C-489/17, Verlezza), ha precisato che in materia di rifiuti, è richiesto solamente che le operazioni di campionamento «devono offrire garanzie di efficacia e di rappresentatività» e che i relativi metodi siano «riconosciuti a livello internazionale».
Questa Corte (Sez. 3, n. 1987 del 08/10/2014, Zucca, Rv. 261786 – 01), ha del resto sottolineato come non sia imposto per il campionamento dei rifiuti l’uso di particolari metodologie e che la scelta sul metodo da utilizzare per il campionamento è questione di fatto, in mancanza di una normativa generale vincolante sul punto.
Da quanto sopra evidenziato, appare evidente che non possa attribuirsi all’attività di campionamento dei rifiuti la «natura» di accertamento tecnico ex se, essendo al contrario rimessa al giudice del fatto la valutazione (incensurabile, come visto, in sede di legittimità ove non connotata da manifesta illogicità o contraddittorietà, e comunque ove tale censura non venga tempestivamente dedotta da chi vi abbia interesse) in ordine al quantum di competenza e difficoltà tecnica richiesto per l’effettuazione delle operazioni di prelievo, al fine di valutare la necessità di attivare la procedura garantita di cui all’articolo 360 cod. proc. pen..
Nel caso di specie, non vi è dubbio che, ontologicamente, il campionamento dei rifiuti appartenga alla categoria dei «rilievi», e non a quella degli «accertamenti tecnici», e che, in ogni caso, sarebbe ipotizzabile esclusivamente un vizio di motivazione, non deducibile in questa sede.
E, in ogni caso, il ricorrere della (eccezionale) evenienza del necessario possesso in capo a chi effettua i prelievi o le analisi di “speciali competenze tecniche”, che consentirebbe il recupero della disciplina degli accertamenti tecnici (escluso a pagina 11 del provvedimento impugnato) non è stato neppure dedotto dalla ricorrente, con conseguente genericità della doglianza.
Non sussiste pertanto la lamentata inutilizzabilità degli esiti dei prelievi; inoltre, il motivo di ricorso è inammissibile in quanto proposto per motivi non consentiti dalla legge (vizio di motivazione).
Ed infatti, a norma dell'art. 325 c.p.p., il ricorso per cassazione in materia di misure cautelari reali è ammesso soltanto per violazione di legge, per questa dovendosi intendere - quanto alla motivazione della relativa ordinanza - soltanto l'inesistenza o la mera apparenza (v., ex multis, Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004, Bevilacqua, Rv. 226710 – 01; Sez. 3, n. 35133 del 07/07/2023, Messina, n.m.; Sez. 3, n. 385 del 6/10/2022, Toninelli, Rv. 283916).
Ciò determina l’automatica inammissibilità di tutti quei profili di censura in cui, sotto l’ombrello della carenza di motivazione (che astrattamente consentirebbero il ricorso per cassazione), in realtà si lamenta una «erroneità» o «insufficienza» di motivazione (nel caso in esame, in ordine alla necessità o meno di specifiche competenze tecniche del campionatore) o, un «travisamento» della prova (nel caso in esame, relativo alla persistenza dei rifiuti all’interno dello stabilimento), che non può trovare ingresso nel giudizio di legittimità nei procedimenti cautelari reali.
5. La seconda doglianza è inammissibile in quanto proposta ai di fuori dei motivi consentiti.
Il ricorrente deduce violazione dei presupposti per l’apposizione del vincolo cautelare, ritenendo che debbano essere esplicitate e valutate in concreto e non in astratto.
Tuttavia, l’ordinanza, a pagina 12, precisa che la sussistenza del periculum, da intendersi come possibilità di reiterazione dei reati contestati in caso di restituzione dei beni in sequestro, si desume dalla «esistenza di una struttura organizzativa il cui funzionamento è ormai collaudato, con conseguente semplificazione della reiterazione delle condotte in contestazione».
Tale motivazione, come affermato dallo stesso provvedimento, si salda con quella sul fumus, in cui (pag. 9) il Tribunale del riesame evidenzia e sottolinea la natura organizzata della condotta, posta in essere in «assenza di alcuna soluzione di continuità tra l’attività di osservazione, quella di pedinamento degli autoarticolati e quella, finale, di analisi del materiale» appena scaricato sui terreni nella località Colicchia del comune di Polia e nella località Fillò del comune di Serra San Bruno.
Trattandosi di motivazione non apparente, il motivo è inammissibile ai sensi dell’articolo 325 cod. proc. pen..
Né ad affievolire il pericolo di reiterazione può valere l’affidamento del bene in facoltà d’uso all’indagato, posto che secondo il costante orientamento di questa Corte, che il collegio condivide e ribadisce, «in presenza di un sequestro preventivo non può essere riconosciuta all’indagato alcuna facoltà d’uso del bene vincolato, poiché incompatibile con lo scopo della misura cautelare, volta a sottrarre fisicamente la cosa alla disponibilità del titolare» (ex multis, v. Sez. 3, n. 24079 del 29/05/2024, Serio, n.m.; Sez. 3, n. 2296 del 6/12/2019, Borrata, Rv. 278020; Sez. 3, n. 16689 del 26/2/2014, P.M. in proc. Squillaci, Rv. 259540; Sez. 3, n. 48924 del 4 21/10/2009, Tortora e altri, Rv. 245766).
6. Il ricorso, in conclusione, non può che essere dichiarato inammissibile.
Alla declaratoria dell’inammissibilità consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento. Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, che il Collegio ritiene di fissare, equitativamente, in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 14/11/2024.