Cass. Sez. III n. 44343 del 4 dicembre 2024 (UP 14 nov 2024)
Pres. Ramacci Est. Noviello Ric. Razzaboni
Rifiuti.Abbandono e responsabilità
In tema di smaltimento di rifiuti, l'obbligo di rimozione sorge sia in capo al responsabile dell'abbandono, quale conseguenza della sua condotta; sia nei confronti degli obbligati in solido, quando sia dimostrata la sussistenza del dolo o della colpa; sia nei confronti dei destinatari dell'ordinanza sindacale di rimozione che sono obbligati in quanto tali e che, in caso di inottemperanza, ne subiscono, per ciò solo, le conseguenze, se non hanno provveduto ad impugnare il provvedimento per ottenerne l'annullamento o non hanno fornito al giudice penale elementi significativi per l'eventuale disapplicazione.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Bologna confermava la sentenza del tribunale di Bologna con cui Razzaboni Luca era stato condannato in relazione al reato ex art. 255 comma 3 del Dlgs. 152/06.
2. Avverso la predetta sentenza Razzaboni Luca, mediante il proprio difensore propone ricorso deducendo quattro motivi di impugnazione.
3. Rappresenta, con il primo, vizi ex art. 606 comma 1 lett. b) e c) cod. proc. pen. atteso che la notifica del decreto di citazione dell’imputato sarebbe avvenuta a mezzo posta con avviso di deposito inserito nella buca delle lettere e senza raccomandata con avviso di ricevimento che informasse dell’avvenuto deposito dell’avviso. Si aggiunge che il plico contenente il decreto di citazione sarebbe stato prelevato presso l’ufficio postale da persona diversa dall’imputato. Si osserva, quanto all’accertato avvenuto prelievo in ufficio postale del plico contenente il decreto, che emergerebbe una firma illegibile, rilasciata da chi recuperò l’atto, rilevante in presenza di più possibili destinatari, così che non ricorrerebbe la necessità, per l’imputato, di proporre querela di falso, in assenza di certa attribuzione allo stesso della predetta firma, e quindi la possibilità di una consegna a soggetto diverso dal ricorrente inciderebbe negativamente sulla conoscenza legale del decreto da parte dell’imputato. Si aggiunge, altresì, la rilevanza delle deduzioni difensive del mancato deposito agli atti della prova dell’avvenuto invio al ricorrente della seconda raccomandata successiva all’avvenuto inserimento nella buca delle lettere dell’avviso di deposito dell’atto da notificare presso l’ufficio postale. Atto ritirato da persona diversa dall’imputato per cui, in assenza anche della predetta raccomandata, non si potrebbe ascrivere allo stesso alcuna conoscenza.
4. Con il secondo motivo deduce vizi di violazione di legge e di motivazione, in relazione alla ritenuta sussistenza del reato, atteso che l’ordinanza sindacale in contestazione non riporterebbe i contenuti tipici del reato, quali l’ordine di rimozione dei rifiuti, di smaltimento degli stessi e di ripristino dei luoghi. Sarebbe altresì carente o illogica o contraddittoria la motivazione, laddove si afferma la ritenuta tipicità, rispetto alla fattispecie contestata, del contenuto della ordinanza sindacale in contestazione, posto che se il ricorrente avesse ottemperato alle prescrizioni ivi contenute, diverse dalla rimozione dei rifiuti, avrebbe ottemperato alla ordinanza stessa. Si aggiunge che sarebbero ostativi alla configurazione del reato la circostanza per cui la ordinanza sarebbe stata notificata alla società fallita L. Razzaboni srl per la quale, all’epoca della notifica, la rappresentanza spettava al curatore fallimentare, e vi sarebbe anche nullità /inesistenza della notifica. Prima di tale notifica poi, non si sarebbe proceduto alla riconsegna dell’area da parte del Comune al ricorrente per motivi analoghi a quelli sopra citati, quanto all’intervenuto fallimento della società. Così che mancherebbe la premessa per l’operatività della ordinanza in contestazione, quale la avvenuta previa riconsegna dell’area all’imputato. E lo stesso, in tale quadro complessivo, non sarebbe stato neppure legittimato a impugnare la ordinanza in contestazione. La corte non si sarebbe confrontata con le deduzioni sopra sintetizzate riguardanti la citata ordinanza 33/2017 di cui alla contestazione indirizzata alla società fallita. Inoltre, diversamente da quanto sostenuto in sentenza, non si sarebbe avuto alcun accertamento circa la responsabilità del ricorrente in ordine al deposito dei rifiuti da rimuovere, essendosi al riguardo dichiarata la prescrizione del reato a lui attribuito. Si aggiunge l’impossibilità, altresì, di configurare i fatti ai sensi dell’art. 650 cod. pen., non emergendo una ordinanza contingibile ed urgente.
5. Con il terzo motivo deduce vizi ex art. 606 comma 1 lett. d) ed e) cod. proc. pen., per eccessività della pena, diniego delle generiche e della sospensione condizionale della pena, deducendo la mancata valutazione ex art. 133 cod. pen. degli elementi favorevoli all’imputato; si contesta, altresì, la esclusione delle attenuanti generiche in ragione della assenza dell’imputato, e si deducono comportamenti positivi e rilevanti ai fini in esame da parte del ricorrente, quanto anche all’affidamento di incarichi per la bonifica e alla messa in sicurezza dei fanghi e ad altre sue positive iniziative in ordine ai rifiuti in questione, e si osserva come il ricorrente abbia sempre escluso sue responsabilità penali in tema di traffico illecito di rifiuti. Si contesta anche la valorizzazione di vicende giudiziarie mai sfociate in sentenze di condanna. E la presunta illecita gestione dei rifiuti in questione risalirebbe al 2000.
6. Con il quarto motivo deduce la violazione dell’art. 539 cod. proc. pen., in ordine alla riconosciuta provvisionale immediatamente esecutiva a favore delle parti civili, con assenza di prova del danno diretto diverso da quello ambientale. Mancherebbe ogni valutazione di tipo quantitativo in ordine alla prova dei danni per cui è stata concessa la provvisionale, e lo stesso giudice avrebbe escluso la prova dei danni lamentati dalle parti civili. Né è allegato alcun danno di immagine. Né le spese di esproprio sarebbero collegabili alla inottemperanza alla ordinanza di messa in sicurezza che non contiene ordini di bonifica
7. Motivi nuovi sono stati proposti dal difensore dell’imputato, avv. Nuzzolese, oltre che con riferimento al rispetto dei termini, ridotti, per la fissazione della udienza dinnanzi a questa Corte per la data del 19.3.2024, in ragione del quale la stessa udienza è stata rifissata, anche con riguardo alla dedotta mancata regolare notifica all’imputato del decreto di citazione per il giudizio di appello, evidenziandosi al riguardo oltre alla violazione delle norme di diritto interno come anche riportate in rubrica con riferimento agli artt. 171 cod. proc. pen., 7 e 8 della legge n. 890/1982 e 178 lett. c) cod. proc. pen., anche dell’art. 6 della Convenzione Edu, ed altresì osservandosi come il riconoscimento della sussistenza del reato contestato attraverso la considerazione della conformità alla fattispecie penale della ordinanza come descritta e analizzata in ricorso darebbe luogo alla violazione dell’art. 7 della citata convenzione, siccome frutto di una applicazione della legge penale in malam partem.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Preliminarmente, si dà atto che essendosi ritenute fondate le deduzioni proposte con riferimento alla intervenuta violazione dei termini di fissazione della udienza del 19 marzo 2024 dinnanzi a questa Corte, è stato disposto rinvio alla udienza del 10.7.2024 con successivo ulteriore rinvio poi, per adesione della difesa alla proclamata astensione dalle udienze da parte del competente organo dell’avvocatura, a quella odierna.
1 bis. Il primo motivo è manifestamente infondato. I giudici hanno evidenziato come, al di là della questione inerente la dimostrazione dell’effettivo invio e ricezione della raccomandata recante l’avviso dell’inserimento dell’avviso di deposito nella buca delle lettere dell’interessato, risulta l’intervenuta effettiva consegna, da parte dell’ufficio postale, del plico contenente il decreto di citazione in favore di soggetto a ciò legittimato, autore di una firma apposta in corrispondenza della dicitura “firma del destinatario o di un suo delegato”. Sulla base di tale inoppugnabile e incontestata circostanza, hanno quindi coerentemente osservato come tale firma deve ritenersi apposta secondo procedura disciplinata per legge, in presenza dell’impiegato postale addetto alla relativa verifica anche con riferimento ai presupposti legittimanti la stessa, così che l’unica alternativa alla ricezione diretta del plico in questione da parte del destinatario, quale la ricezione dello stesso da parte del suo delegato sempre presso l’ufficio postale, porta alla dirimente conclusione dell’avvenuta regolare notifica perfezionatasi non per avvenuta giacenza ma per raggiungimento formale e sostanziale del suo scopo. Laddove pure è corretta la osservazione per cui, l’attestazione dell’ufficio postale in ordine alla avvenuta consegna ad uno dei due soggetti legittimati (destinatario o suo delegato) fa fede fino a querela di falso, non intervenuta, e rispetto alla quale non appare pertinente la deduzione della difesa circa la non legittimazione del ricorrente a proporla, stante la non corrispondenza con la sua della firma apposta dal soggetto ricevente, atteso che in tal caso la querela di falso attiene alla attestazione del pubblico ufficiale circa la avvenuta consegna a uno dei due soggetti legittimati ( di cui il secondo comunque delegato del primo, ovvero il destinatario dell’atto), produttiva di effetti, in ogni caso, nei confronti del ricorrente, quale appunto destinatario, e quindi tale da poter ben legittimare e giustificare una sua eventuale proposizione di querela di falso, mai presentata. Va precisato in proposito che in tema di titolarità del diritto di querela, e dunque di individuazione della persona offesa, cui tale diritto compete, deve intendersi tale il soggetto passivo del reato, ossia colui che subisce la lesione dell'interesse penalmente protetto. Possono pertanto coesistere più soggetti passivi di un medesimo reato, che vanno individuati, appunto, con riferimento alla titolarità del bene giuridico protetto (Sez. 2 - , n. 55945 del 20/07/2018 Rv. 274255 – 01;Sez. 2, n. 2862 del 27/01/1999 Rv. 212766 – 01). Orbene, se è vero che solo la persona offesa è titolare del diritto di querela, mentre il danneggiato è legittimato ad esercitare l'azione civile nel processo penale, poiché il falso ideologico che nella prospettiva del ricorrente emergerebbe in tal caso, produce, come detto, effetti in danno anche del soggetto interessato all’atto ancorchè – eventualmente - non autore di quanto ivi attestato dal pubblico ufficiale ( la apposizione di firma dal delegato a ciò legittimato), ne deriva che persona offesa da tale reato non è solo il titolare dell’interesse all'autenticità della scrittura al momento della sua apposizione e attestazione come tale, quale è il titolare della firma eventualmente falsificata, ma anche chi, pur non essendo l'autore apparente del documento, risulta titolare di un interesse che riceve pregiudizio attraverso l'uso del documento medesimo ( cfr. in tal senso seppure in relazione all’art. 485 cod. pen. Sez. 2, n. 4153 del 20/02/1987 Rv. 175565 – 01).
2. Quanto al secondo motivo, va premesso che ai sensi dell’art. 192 del Dlgs. 152/06, “fatta salva l'applicazione della sanzioni di cui agli articoli 255 e 256, chiunque viola i divieti di cui ai commi 1 e 2 è tenuto a procedere alla rimozione, all'avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull'area, ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa, in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, dai soggetti preposti al controllo. Il Sindaco dispone con ordinanza le operazioni a tal fine necessarie ed il termine entro cui provvedere, decorso il quale procede all'esecuzione in danno dei soggetti obbligati ed al recupero delle somme anticipate”.
Ai sensi, inoltre, dell’art. 255 del Dlgs. 152/06 “chiunque non ottempera all'ordinanza del Sindaco, di cui all'articolo 192, comma 3, o non adempie all'obbligo di cui all'articolo 187, comma 3, è punito con la pena dell'arresto fino ad un anno. Nella sentenza di condanna o nella sentenza emessa ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale, il beneficio della sospensione condizionale della pena può essere subordinato alla esecuzione di quanto disposto nella ordinanza di cui all'articolo 192, comma 3, ovvero all'adempimento dell'obbligo di cui all'articolo 187, comma 3”.
Dalla lettura combinata delle due citate disposizioni, emerge il presupposto, ineludibile, della ordinanza qui in contestazione, che attiene all’obbligo, per chi violi i divieti di cui ai commi 1 e 2, di procedere, alternativamente a seconda dei casi, alla rimozione, all'avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull'area. E’ rispetto a tale presupposto che va quindi definito il contenuto tipico della ordinanza stessa, consistente nella disposizione, da parte del Sindaco, delle operazioni a tal fine necessarie.
Tale impostazione ermeneutica appare individuata e ben illustrata nella sentenza in esame, nella quale i giudici hanno evidenziato come con la citata ordinanza si siano fissate operazioni prodromiche alla rimozione e smaltimento di rifiuti e ripristino dello stato dei luoghi, tanto da citare congruamente passaggi descrittivi in termini di ripristino di situazioni anteriori e di predisposizione di un progetto definitivo per lo smaltimento “dell’inquinante con riduzione del rischio ambientale oltre alla effettuazione di ulteriori interventi di manutenzione per evitare qualsiasi danneggiamento”. Così evidenziando – con motivazione estranea a qualunque vizio di manifesta illogicità – la fissazione di oneri di ripristino anche con redazione di un progetto per la successiva rimozione di rifiuti, e congruamente aggiungendo che la complessità dell’operazione, nel caso concreto richiedente anche un costante controllo pubblico, non riduceva l’iniziativa comunale ad una semplice operazione di intimazione di rimozione e smaltimento, ma anche imponeva la predisposizione di un più complesso piano che comunque non appare ostativo al senso tipico dell’atto sindacale.
Va a questo punto aggiunto, per completezza, posta la coerenza emergente dalla motivazione anche con le disposizioni normative di riferimento prima citate e che non appaiono violate, che non costituisce violazione di legge deducibile con ricorso per cassazione l'erronea interpretazione di un atto amministrativo, che, in quanto relativa ad atti privi di carattere normativo, rientra nella valutazione del fatto. (Sez. 3 - n. 14977 del 25/02/2022 Rv. 283035 – 01).
Quanto alla censura per cui sarebbero ostativi alla configurazione del reato la circostanza per cui la ordinanza sarebbe stata notificata alla società fallita L. Razzaboni srl, per la quale all’epoca della notifica la rappresentanza spettava al curatore fallimentare, e vi sarebbe anche nullità /inesistenza della notifica come sintetizzato nel “ritenuto in fatto” di questa sentenza, emerge una deduzione manifestamente inammissibile, che non si misura con la puntuale risposta della corte che, senza contestazioni sul punto, ha illustrato la corretta oltre che avvenuta destinazione dell’atto al ricorrente, rappresentando come, con decreto del 2011, vi fosse stata, nel quadro della avviata procedura fallimentare nei confronti della L. Razzaboni s.r.l., la decisione su una istanza di derelizione di bene facente parte dell’attivo fallimentare, con restituzione dell’area occupata dai rifiuti in parola nella disponibilità della società fallita in persona del legale rappresentante pro tempore Razzaboni Luca; così che al momento della qui contestata ordinanza del 2017 l’area era nella disponibilità del ricorrente e legittimamente l’ordinanza risultava indirizzata alla Razzaboni s.r.l., in persona del ricorrente quale legale rappresentante.
Quanto alla doglianza per cui, diversamente da quanto sostenuto in sentenza, non si sarebbe avuto alcun accertamento circa la responsabilità del ricorrente in ordine al deposito dei rifiuti da rimuovere, essendosi al riguardo dichiarata la prescrizione del reato attribuito al ricorrente, è sufficiente precisare, trattandosi di questione giuridica, che innanzitutto il reato di cui al D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 255 comma 3 trova il suo antecedente nell’art. 50, comma 2, del Dlgs. n. 22 del 1997. Vale quindi per tali coincidenti ipotesi normative il consolidato orientamento per cui gli elementi essenziali della fattispecie penale sono l'esistenza di un'ordinanza sindacale di rimozione dei rifiuti, emessa ex art. 14 comma 3 del Dlgs. 22/97 ( attualmente 192 comma 3 del Dlgs. 152/06) e la condotta di inottemperanza da parte dei destinatari dell'ordinanza stessa. Trattasi perciò - nonostante l'apparenza contraria indotta dal riferimento lessicale a "chiunque" - di un reato proprio, che può essere commesso solo dai destinatari formali dell'ordinanza (Sez. 3, n. 31291 del 07/05/2019 Rv. 276301 – 01).
In altri termini, il divieto penale di cui all'art. 255 comma 3 del Dlgs. 152/06 ( in passato art. 50, comma 2, del Dlgs. 22/1997) è rivolto propriamente non già ai responsabili o ai proprietari menzionati nella norma a monte ( art. 192 ovvero art. 14 prima citati), sibbene, a "chiunque non ottempera all'ordinanza del sindaco" che intima agli obbligati di procedere alla rimozione dei rifiuti. Il precetto quindi, di cui all'art. 14, comma 3, o 192 comma 3 del Dlgs. 152/06, è rivolto ai responsabili dell'abbandono di rifiuti e ai proprietari del terreno inquinato; mentre il precetto dell'art. 50, comma 2, attualmente 255 comma 3 del Dlgs. 152/06 è rivolto ai destinatari formali dell'ordinanza sindacale. Questa Corte ha espressamente infatti precisato che in tema di smaltimento di rifiuti, l'obbligo di rimozione sorge sia in capo al responsabile dell'abbandono, quale conseguenza della sua condotta; sia nei confronti degli obbligati in solido, quando sia dimostrata la sussistenza del dolo o della colpa; sia nei confronti dei destinatari dell'ordinanza sindacale di rimozione che sono obbligati in quanto tali e che, in caso di inottemperanza, ne subiscono, per ciò solo, le conseguenze, se non hanno provveduto ad impugnare il provvedimento per ottenerne l'annullamento o non hanno fornito al giudice penale elementi significativi per l'eventuale disapplicazione. (Sez. 3, n. 39430 del 12/06/2018 Rv. 273840 – 01). In coerenza con questa impostazione, che consente di rinvenire la manifesta infondatezza anche giuridica degli argomenti spesi in ricorso per propugnare una tesi di assoluta estraneità del ricorrente rispetto ai rifiuti, è stato anche evidenziato che in tema di smaltimento dei rifiuti, integra il reato omissivo punito dall'art. 255, comma terzo, del D. Lgs. n. 152 del 2006, la mancata ottemperanza dell'ordinanza sindacale emanata ai sensi dell'art. 192, comma terzo, del decreto medesimo, con la quale si intima, al proprietario (o possessore) dell'area ove risulta giacente un deposito incontrollato di rifiuti, la rimozione degli stessi, senza che possa avere rilevanza il fatto che l'accumulo dei rifiuti non sia ascrivibile al comportamento del destinatario dell'intimazione o risalga a tempi antecedenti l'acquisto dell'immobile stesso (Sez. 3, n. 12462 del 17/02/2016 Rv. 266436 - 01.). Peraltro, giova anche ribadire che il reato di inottemperanza all'ordinanza sindacale di rimozione dei rifiuti, previsto dall'art. 255, comma 3, d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, è configurabile anche nel caso in cui la condotta di abbandono, presupposto del provvedimento violato, abbia natura di illecito amministrativo, ben potendo identificarsi il responsabile in un privato cittadino che abbia abbandonato o depositato rifiuti (Sez. 3 - , n. 2199 del 19/11/2019 (dep. 21/01/2020 ) Rv. 277646 – 01). Spetta quindi a costoro, per evitare di rendersi responsabili dell'inottemperanza, di ottenere l'annullamento dell'ordinanza sindacale per via amministrativa o per via giurisdizionale, o - al limite - di provare in sede penale di non essere proprietari ovvero responsabili del terreno ne' responsabili dell'abbandono, al fine di ottenere dal giudice penale il riconoscimento della mancanza dei presupposti soggettivi. Mentre onere dell'organo dell'accusa è solo quello di provare, da una parte, l'esistenza dell'ordinanza sindacale (assistita da presunzione di legittimità), e dall'altra, l'inottemperanza da parte dei suoi destinatari: che sono appunto gli elementi essenziali del reato qui in esame (cfr. in tal senso e in motivazione Sez. 3, n. 18366 del 2008 del 11 3 2008 Rapuano non massimata). E del resto, oltre a non emergere un preciso e specifico motivo diretto ad escludere ogni responsabilità dell’imputato nei termini sopra accennati, appare, piuttosto, incontestato, il richiamo in sentenza alla prima decisione descrittiva di un lungo iter temporale che aveva interessato l’area della società del ricorrente in ordine allo stoccaggio abusivo di rifiuti, con costante mancata assunzione di iniziative adeguate da parte dello stesso ricorrente per procedere alla loro rimozione.
Nessun rilievo in tale quadro, infine, assumono le considerazioni in tema di art. 650 cod. pen.
3. Manifestamente infondato è il terzo motivo: a fronte di una articolata motivazione riguardante tanto il complessivo trattamento sanzionatorio che le ragioni della impossibilità di applicare le attenuanti generiche e il beneficio della sospensione condizionale della pena. Si tratta di un quadro che, in sintesi, lungi dall’attribuire responsabilità penali non accertate, descrive condotte del ricorrente dimostrative di una sua costante condotta, produttiva di situazioni ingravescenti quanto allo stato dei rifiuti, con conseguente assenza di ogni buona fede nella assunzione (omessa) di valide iniziative per ovviare alla pericolosa situazione, ragionevolmente incidente anche in ordine al diniego delle attenuanti generiche e per la prognosi negativa, come spiegata in sentenza, del beneficio della sospensione condizionale della pena. Così che i rilievi difensivi, oltre a non risultare frutto di un puntuale confronto e confutazione delle considerazioni dei giudici, appaiono meramente rivalutativi di dati, senza che tale impostazione possa trovare spazio, come noto, in sede di legittimità.
4. Inammissibile appare anche l’ultimo motivo. La Corte, anche richiamando l’articolata sentenza di primo grado sul punto, ha spiegato puntualmente le ragioni di un danno circoscritto alle conseguenze patite dalla Regione e dal Comune per la mancata ottemperanza alla ordinanza sindacale, escludendone la natura di danno ambientale anche evidenziando come i reati ambientali possano incidere negativamente su altri interessi pubblici come quello comunale alla corretta gestione del territorio. Ed ha altresì spiegato i rinvenuti ammontari in ragione oltre che del danno all’immagine anche delle spese conseguenti a procedure di esproprio correlate alla mancata rimozione. Rispetto a tale motivazione i rilievi difensivi oltre che generici appaiono meramente rivalutativi e come tali inammissibili. Deve peraltro aggiungersi che rispetto alla vicenda in esame, che appare particolarmente rilevante in ordine ai rifiuti a lungo lasciati in loco, con chiara quanto prevedibile incidenza anche su beni diversi da quello strettamente ambientale, anche alla luce della vigente disciplina che prevede interventi sostitutivi degli enti pubblici, deve trovare applicazione il principio per cui, in tema di provvisionale, la determinazione della somma assegnata è riservata insindacabilmente al giudice di merito, che non ha l'obbligo di espressa motivazione nel caso in cui l'importo rientri nell'ambito del danno prevedibile. (Sez. 2 - , n. 904 del 05/12/2023 (dep. 10/01/2024 ) Rv. 285723 – 01).
5. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. Deve altresì condannarsi l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili, che si liquidano in complessivi euro 3700 per ciascuna di esse, oltre accessori di legge.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili che liquida in complessivi euro 3700 per ciascuna di esse, oltre accessori di legge.
Così deciso, il 10.07.2024.