Cass. Sez. III n. 19594 del 26 aprile 2017 (Ud 23 giu 2016)
Presidente: Amoresano Estensore: Gentili Imputato: Vincenzi
Rifiuti.Centri di raccolta o ecopiazzole
Deve escludersi che, al di fuori dell'ipotesi contemplata dal legislatore., la predisposizione di aree attrezzate per il conferimento di rifiuti astrattamente riconducibili ad un generico concetto di ecopiazzola o isola ecologica possa ritenersi sottratta alla disciplina generale sui rifiuti, poiché l'intervento del legislatore ha ormai definitivamente delimitato tale nozione prevedendo, peraltro, una regime autorizzatorio e gestionale che consente il conferimento ai centri di raccolta di un'ampia gamma di rifiuti in maniera controllata
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Novara, a seguito di giudizio - celebrato col rito abbreviato - susseguente ad opposizione a decreto penale, ha condannato Vincenzi Marzia, nella qualità di Sindaco del Comune di Vicolungo, alla pena di giustizia, avendola riconosciuta responsabile del reato di cui all'art. 256, comma 2, lettera a), del dlgs n. 152 del 2006, per avere, nella predetta qualità, allestito e gestito una cosiddetta isola ecologica, adibita a punto di conferimento e raccolta di talune tipologie di rifiuto urbano da inviare successivamente allo smaltimento, senza adempiere agli obblighi prescritti dal Decreto del Ministero dell'Ambiente del 8 aprile 2008.
Ha proposto ricorso per cassazione la Vincenzi, assistita dal suo legale, deducendo, in sostanza, la conformità della area adibita ad isola ecologica alle disposizioni normative applicabili alla fattispecie avendo ella adempiuto a tutte le prescrizioni relative alla tipologia di intervento realizzato.
Ha rilevato, infatti, la ricorrente che l'isola ecologica realizzata, non poteva essere intesa quale impianto di stoccaggio, e, conformemente alla giurisprudenza della Corte di legittimità, la stessa, per tale ragione, non necessitava della autorizzazione regionale ma solamente della approvazione del Comune territorialmente competente.
Ha, infine, osservato la ricorrente che nella condotta dalla medesima posta in essere non era ravvisabile alcuna offensività essendo la stessa teleologicamente predisposta alla salvaguardia dell'ambiente e non al suo pregiudizio, sicché nessun rimprovero poteva essere rivolto nei suoi confronti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato.
Osserva, infatti, la Corte che il presupposto da cui parte la difesa della imputata onde censurare la sentenza impugnata è che l'impianto di cui al capo di imputazione, gestito dal Comune di Vicolungo, debba essere considerato una "piazzola ecologica" e che, pertanto, ai fini della sua gestione non debbano essere richieste le autorizzazioni previste dall'art. 256 dlgs n. 152 del 2006.
Siffatto presupposto, pur corretto in linea di principio, è, peraltro nel tutto in/conferente rispetto alla fattispecie ora in scrutinio.
Deve, infatti, rilevarsi che, alla luce della normativa primaria e secondaria susseguitasi in argomento, e costituita dal dlgs n. 4 del 2008, nella parte in cui esso ha modificato l'art. 183 del dlgs n. 152 del 2006, introducendo in esso la lettera mm), ove è dettata la nozione di centro di raccolta, nonché dal dm 8 aprile 2008 e 13 maggio 2009, parzialmente modificativo del precedente, deve convenirsi che l'attività concernente attivazione e gestione dei centri di raccolta, cui come si vedrà deve essere assimilata quella avente ad oggetto la istituzione e conduzione delle ecopiazzole, non sia più assoggettata alla autorizzazione regionale in quanto la realizzazione di essi è soggetta unicamente all'approvazione del Comune territorialmente competente; l'attivazione e la conduzione di un centro di raccolta, non richiede, pertanto, alcuna autorizzazione regionale non potendo questo essere classificato alla stregua degli impianti di smaltimento e/o recupero dei rifiuti, per i quali continua, invece, a rendersi necessaria l'autorizzazione regionale (così, in termini: Corte di cassazione, Sezione III penale, 14 gennaio 2013, n. 1690; idem Sezione III penale, 9 maggio 2011, n. 17864).
Va, tuttavia, osservato che la nozione di centro di raccolta è nozione non di tipo naturalistico ma normativamente fissata, in quanto l'art. 1 del dm 8 aprile 2008, come modificato dal successivo dm 20 luglio 2009, ampiamente richiamando la ricordata lettera mm) dell'art. 183, del dlgs n. 152 del 2006, individua i centri di raccolta comunali o intercomunali come «costituiti da aree presidiate ed allestite ove si svolge unicamente attività di raccolta, mediante raggruppamento per frazioni omogenee per il trasporto agli impianti di recupero, trattamento e, per le frazioni non recuperabili, di smaltimento, dei rifiuti urbani e assimilati elencati in allegato I, paragrafo 4.2, conferiti in maniera differenziata rispettivamente dalle utenze domestiche e non domestiche anche attraverso il gestore del servizio pubblico, nonché dagli altri soggetti tenuti in base alle vigenti normative settoriali al ritiro di specifiche tipologie di rifiuti dalle utenze domestiche».
Tanto premesso, rileva la Corte che la pur legittima applicabilità alla cosiddette ecopiazzole attivate dai singoli Comuni nell'ambito del loro territorio della disciplina prevista per i centri di raccolta - ampiamente riconosciuta dalla giurisprudenza di questa Corte, una volta abbandonata la tesi sino ad allora prevalente secondo la quale esse andavano assimilate ai centri di stoccaggio come tali assoggettati alla relativa disciplina anche autorizzatoria sulla base della vigente legislazione (in tal senso infatti: Corte di cassazione Sezione III penale, 28 settembre 2005, n. 34665), in ragione proprio della qualificazione normativa attribuita al concetto di centro di raccolta (Corte di cassazione, Sezione III penale, 9 maggio 2011, n. 17864; idem Sezione III penale,1 marzo 2011, n. 7950) - deve, tuttavia, intendersi subordinata alla presentazione da parte delle aree in questione della caratteristiche morfologiche e funzionali proprie dei centri di raccolta come normativamente individuati.
Deve conseguentemente escludersi che, al di fuori dell'ipotesi contemplata dal legislatore., la predisposizione di aree attrezzate per il conferimento di rifiuti astrattamente riconducibili ad un generico concetto di ecopiazzola o isola ecologica possa ritenersi sottratta alla disciplina generale sui rifiuti, poiché l'intervento del legislatore ha ormai definitivamente delimitato tale nozione prevedendo, peraltro, una regime autorizzatorio e gestionale che, come si è visto, consente il conferimento ai centri di raccolta di un'ampia gamma di rifiuti in maniera controllata.
In tutti i casi in cui non vi sia corrispondenza con il modello dettato dal legislatore dovrà procedersi ad una valutazione dell'attività in tal modo posta in essere secondo i principi generali in materia di rifiuti, ivi compreso l'assoggettamento della attività di loro raccolta ad apposita autorizzazione (Corte di cassazione, Sezione III penale, 14 gennaio 2013, n. 1690).
Sulle basi di quanto riportato è, a questo punto, agevole, rilevare come il Tribunale di Novara abbia fatto corretta applicazione dei principi vigenti in materia dichiarando la penale responsabilità della prevenuta nella qualità di Sindaco del Comune di Vicolungo.
Invero, ribadito il principio secondo il quale, in tema di rifiuti, pur a seguito della entrata in vigore del dlgs n. 267 dei 2000, il quale ha distinto fra poteri di indirizzo e di controllo politico amministrativo e poteri di gestione, attribuendo i primi agli organi di governo locale ed i secondi alle figure dirigenziali legate alla amministrazione da un rapporto non rappresentativo ma di servizio, tuttavia spetta al Sindaco un dovere di attivazione e di controllo sul corretto esercizio dalla attività gestite in sede comunale (Corte di cassazione, Sezione III penale, 13 settembre 2013, n. 37544; idem Sezione III penale, 11 maggio 2009, n. 19882‘) , va osservato che nel caso di specie il Tribunale di Novara ha riscontrato che l'area in questione risultava priva di pavimentazione e di sistemi di captazione delle acque meteoriche che, pertanto, in caso di pioggia ruscellavanci fra i ririuti; Li più ampia parte di questi ultimi non avevano alcuna protezione dalie intemperie e risultavano accatastati, in assenza di idonee strutture di controllo, alla rinfusa con soltanto alcune grossolane differenziazioni per generi.
L'evidente ascrivibilità del sito di cui alla imputazione contestata alla Vincenzi, attese le descriLte caratteristiche di quello, alla categoria del deposito incontrollato, come peraltro puntualmente attribuito alla imputata nel libello introduttivo, ed il fatto che nessun dubbio sia stato avanzato dak, ricorrente sulla mancanza delle invece necessarie autorizzazioni, giustifica, conclusivamente sul punto, il rigetto del relativo motivo di ricorso.
Quanto al secondo motivo, osserva la Corte che nessun rilievo ha, evidentemente, sotto il profilo della sussistenza o meno della rilevanza penale della condotta posta in essere, il fatto che la stessa - iniziata e divisata dalla imputata, potrebbe dirsi, con le migliori intenzioni - abbia invece decampato verso un risultato pregiudizievole per il bene ambientale che si sarebbe voluto tutelare.
Infatti, con ciò rispondendo alla seconda ragione impugnatoria dedotta dalla ricorrente, in presenza di una -ondotta oggettivamente idonea ad integrare gli estremi del reato contravvenzionaie., è sufficiente che la stessa sia, sotto il profilo soggettivo, sostenuta quanto meno da un atteggiamento colposo della volontà, a nulla rilevando, se non in termini di dosimetria della irroganda pena ovvero di ricorrenza di determinati accidetalia, il fatto che i motivi che avevano indotto l'agente a determinarsi nel modo a lui ascritto fossero o meno commendevoli.
Al rigetto del ricorso segue, visto l'art. 616 cod. proc. pen., la condanna della Vincenzi alla rifusione delle spese processuali.
PQM
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 23 giugno 2016