Cass. Sez. III n. 37236 del 10 ottobre 2024 (UP 10 lug 2024)
Pres. Ramacci Est. Zunica Ric. Calderone
Rifiuti.Combustione illecita ed obblighi di bonifica
L’art. 256 bis, comma 5, del d. lgs. n. 152 del 2006, nel richiamare la necessità della bonifica e del ripristino del sito dove è avvenuta la combustione illecita di rifiuti, non specifica i soggetti cui spettano tali obblighi, ma dalla lettura complessiva della normativa di riferimento risulta evidente che gli stessi vadano individuati sia nel proprietario dell’area che abbia dolosamente o colposamente cagionato l’inquinamento del sito, sia nell’autore della violazione ambientale che ha determinato il deterioramento dell’area.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 15 gennaio 2024, la Corte di appello di Messina confermava la decisione del 23 marzo 2023, con cui il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto aveva condannato Gaetano Calderone alla pena di anni 1, mesi 4 di reclusione ed euro 520 di multa, in quanto ritenuto colpevole dei reati di cui agli art. 256, comma 1, lett. a) e 256 bis del d. lgs. n. 152 del 2006 (capo A) e 674 cod. pen. (capo B), reati a lui contestati per avere realizzato, in mancanza della prescritta autorizzazione, l’attività di raccolta e smaltimento, mediante bruciatura, di rifiuti speciali non pericolosi e pericolosi, costituiti da materiale vario, tra cui legno, plastica e pneumatici per camion, in tal modo provocando l’emissione di una fitta coltre di fumo che causava molestia alle persone; fatti accertati in Tripi il 1° marzo 2021. All’imputato era stato altresì imposto, ai sensi dell’art. 256 bis del d. lgs. n. 152 del 2006, l’obbligo di provvedere al ripristino dello stato dei luoghi e al pagamento delle spese di bonifica, attività queste al cui svolgimento veniva subordinata la riconosciuta sospensione condizionale della pena.
2. Avverso la sentenza della Corte di appello peloritana, Calderone, tramite il suo difensore, ha proposto ricorso per cassazione, sollevato due motivi.
Con il primo, la difesa ha censurato la conferma del giudizio di colpevolezza dell’imputato rispetto al reato di cui al capo A), osservando che la Corte territoriale, pur a fronte dello specifico rilievo difensivo, ha omesso di considerare che i Carabinieri hanno identificato Calderone solo una volta, peraltro in un terreno che non è di sua proprietà, non potendo da ciò desumersi la prova che egli svolgesse concretamente e personalmente l’attività di raccolta dei materiali di scarto.
Doveva quindi essere riconosciuta l’assoluta occasionalità della condotta, avente portata esimente ai fini dell’art. 256, comma 1, del Testo unico ambientale, non avendo i giudici di merito accertato se vi fosse o meno un veicolo usato per il trasporto, non tenendo altresì conto dell’unicità del trasporto, della qualifica di soggetto privato, dell’eventuale effettuazione di operazioni preliminari al trasporto al fine di escludere un eventuale abbandono del rifiuto occasionale e del fatto che l’area non era interamente recintata e si trovava su una strada interpoderale.
Il secondo motivo è dedicato alla conferma della statuizione sulla sospensione condizionale della pena, che è stata subordinata all’esecuzione degli obblighi di ripristino e di bonifica, sebbene l’imputato non risulti proprietario del fondo, appartenente, come risulta dalla documentazione acquisita, a Giuseppe Calderone, padre del ricorrente, e ciò senza considerare che non vi sarebbe alcun danno da riparare, posto che l’incendio è divampato in una zona di campagna lontana dal centro abitato e non vi sono state lamentale da parte di terzi per eventuali lesioni.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato.
1. Iniziando dal primo motivo, deve osservarsi che la conferma del giudizio di colpevolezza dell’imputato in ordine ai due reati a lui rispettivamente ascritti ai capi A e B della rubrica non presenta vizi di legittimità rilevabili in questa sede.
Ed invero le due conformi sentenze di merito, destinate a integrarsi per formare un corpus motivazionale unitario, hanno operato un’adeguata disamina delle fonti dimostrative disponibili, valorizzando in particolare gli accertamenti investigativi eseguiti dai Carabinieri della Stazione di Furnari, i quali, nel corso di un servizio perlustrativo svolto il 1° marzo 2021, notavano un’intensa colonna di fumo nero, proveniente da una proprietà privata, presso la quale veniva accertata la presenza di Gaetano Calderone, figlio del proprietario dell’area, ossia Giuseppe Calderone.
Entrati nel fondo, i militari accertavano l’esistenza di un imponente rogo riguardante un cumulo di rifiuti eterogeni, costituiti da materiali sia di legno che di plastica, oltre che alcuni pneumatici di grandi dimensioni, anch’essi in fiamme.
Stante l’inesistenza di titoli autorizzativi rispetto all’acclarata combustione dei rifiuti, sono stati dunque ritenuti ravvisabili in capo a Gaetano Calderone, unico soggetto presente sui luoghi, di cui egli in quel momento aveva la disponibilità, i reati di cui agli 256 bis del d. lgs. n. 152 del 2006 (capo A) e 674 cod. pen. (capo B), essendosi in particolare correttamente rimarcato nella sentenza impugnata (pag. 3) che la contravvenzione di cui all’art. 256, comma 1, lett. a) parimenti contestata al capo A deve ritenersi assorbita nel più grave delitto ex art. 256 bis del d. lgs. n. 152 del 2006, atteso che, in sintonia con quanto previsto dal comma 2 di tale norma, le attività di raccolta e smaltimento dei rifiuti rinvenute nel sito sono avvenute in funzione della successiva combustione illecita di medesimi rifiuti.
1.1. Orbene, in quanto scaturita da una disamina coerente e non illogica degli elementi probatori acquisiti, la valutazione dei giudici di merito in ordine alla configurabilità dei reati contestati e alla loro ascrivibilità al ricorrente resiste alle censure difensive, che si articolano nella sostanziale proposta di una rilettura alternativa delle fonti dimostrative disponibili, operazione questa che tuttavia non è consentita in sede di legittimità, essendo nella giurisprudenza di questa Corte costante l’affermazione (cfr. ex multis Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021), secondo cui, in tema di giudizio di cassazione, a fronte di un apparato argomentativo privo di profili di irrazionalità, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito.
Di qui l’infondatezza delle doglianze difensive in punto di responsabilità.
2. Il secondo motivo è parimenti non meritevole di accoglimento.
La decisione di subordinare, ai sensi dell’art. 165 cod. pen., la concessione della sospensione condizionale della pena all’esecuzione del ripristino e della bonifica del sito non presta infatti il fianco alle deduzioni difensive, tanto più ove si consideri che gli obblighi di bonifica e ripristino dello stato dei luoghi sono espressamente contemplati dall’art. 256 bis, comma 5, parte finale, del d. lgs. n. 152 del 2006. Non si richiede peraltro, al fine dell’operatività degli obblighi in questione, il verificarsi di danni alle persone, fisici o materiali, giustificandosi gli obblighi di bonifica e ripristino in funzione dell’accertata violazione penale che abbia determinato un’alterazione, anche lieve ma pur sempre percepibile, del bene ambientale, elemento questo senz’altro configurabile nel caso di specie, avuto riguardo alle significative dimensioni dell’incendio appiccato dal ricorrente.
2.1. Né, in senso ostativo, appare dirimente l’obiezione difensiva secondo cui il ricorrente non può ritenersi gravato dagli obblighi di bonifica e ripristino, in quanto soggetto diverso dal proprietario dell’area attinta dalla condotta illecita.
Sul punto deve infatti rilevarsi che l’art. 256 bis, comma 5, del d. lgs. n. 152 del 2006, nel richiamare la necessità della bonifica e del ripristino del sito dove è avvenuta la combustione illecita di rifiuti, non specifica i soggetti cui spettano tali obblighi, ma dalla lettura complessiva della normativa di riferimento risulta evidente che gli stessi vadano individuati sia nel proprietario dell’area che abbia dolosamente o colposamente cagionato l’inquinamento del sito, sia nell’autore della violazione ambientale che ha determinato il deterioramento dell’area.
A tale conclusione, nell’ambito delle rispettive sfere di interesse, sono pervenute invero sia la giurisprudenza amministrativa (cfr. Consiglio di Stato, Sez. 6, n. 780 del 26/01/2021 e Sez. 5, n. 765 del 25/02/2016), sia la giurisprudenza civile di legittimità (cfr. Cass. civ. Sez. 3, n. 1573 del 22/01/2019, Rv. 6524769), essendosi evidenziato, in maniera pertinente e condivisibile, che l’onere della bonifica del sito inquinato è innanzitutto ravvisabile in capo al proprietario o a qualunque soggetto che si trovi con l’area interessata in un rapporto, anche di mero fatto, tale da consentirgli, e per ciò stesso imporgli, di esercitare una funzione di protezione e custodia finalizzata a evitare che l’area medesima possa essere adibita a discarica abusiva di rifiuti nocivi per la salvaguardia dell’ambiente, sanzionandosi dunque l’omissione degli accorgimenti e delle cautele che l’ordinaria diligenza suggerisce per realizzare un’efficace custodia e protezione dell’area, così impedendo che in essa possano essere indebitamente depositati rifiuti nocivi.
Ma il dovere di provvedere alla bonifica e al ripristino dell’area inquinata è ravvisabile, evidentemente, pure in capo all’autore della violazione ambientale, ossia a colui che ha cagionato in via diretta l’inquinamento del sito anche di proprietà altrui, come del resto desumibile dall’analoga previsione di cui all’art. 245, comma 2, del d. lgs. n. 152 del 2006, che onera degli obblighi di intervento innanzitutto il responsabile della potenziale contaminazione del sito.
Quanto al rapporto tra i soggetti tenuti alla bonifica dell’area, si è precisato (cfr. la citata Cass. civ. Sez. 3, n. 1573 del 22/01/2019, Rv. 6524769) che, ove provveda spontaneamente, il proprietario ha diritto di rivalersi nei confronti del responsabile dell’inquinamento per le spese sostenute, a condizione che sia stata rispettata la procedura amministrativa prevista dalla legge e indipendentemente dalla identificazione del responsabile dell’inquinamento da parte dell’Autorità amministrativa, non trovando applicazione la regola della responsabilità solidale di cui all’art. 2055 cod. civ., poiché trattasi di obbligazione “ex lege” di contenuto indennitario, e non risarcitorio derivante dal fatto obbiettivo dell’inquinamento.
2.2. All’esito di tali considerazioni, deve pertanto ribadirsi che, nell’ambito della legittima subordinazione della sospensione condizionale a uno degli obblighi previsti dall’art. 165 cod. pen., va ritenuta immune da censure l’attribuzione a carico dell’imputato, quale autore dell’accertata violazione ambientale, dell’obbligo di ripristino e bonifica del sito dove ha avuto luogo la combustione dei rifiuti.
3. In definitiva, stante l’infondatezza delle censure sollevate, il ricorso proposto nell’interesse di Calderone deve essere rigettato, con onere per il ricorrente, ex art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 10.07.2024