Cass. Sez. III n. 42600 del 21 novembre 2024 (UP 12 set 2024)
Pres. Ramacci Rel. Zunica Ric. Federico
Rifiuti.Gestione non autorizzata
In tema di gestione non autorizzata dei rifiuti, il reato di cui all’art. 256 del d. lgs. n. 152 del 2006 è configurabile anche in relazione alle condotte di raccolta e trasporto esercitate in forma ambulante, salva l’applicabilità della deroga di cui all’art. 266, comma quinto, del predetto decreto, per la cui operatività occorre tuttavia non solo che l’agente sia in possesso del titolo abilitativo previsto per il commercio ambulante dal d. lgs. 31 marzo 1998, n. 114, ma anche che si tratti di rifiuti che formano oggetto del suo commercio ma non sono riconducibili, per le loro peculiarità, a categorie autonomamente disciplinate. La natura di rifiuto pericoloso di un veicolo fuori uso (ma lo stesso discorso vale anche per le sue batterie) non necessita di particolari accertamenti, quando risulti, anche solo per le modalità di raccolta e deposito, che lo stesso non è stato sottoposto ad alcuna operazione finalizzata alla rimozione dei liquidi o delle altre componenti pericolose, non avendo peraltro il ricorrente fornito alcun concreto elemento in tal senso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 19 settembre 2022, il Tribunale di Termini Imerese, all’esito di rito abbreviato, assolveva, perché il fatto non sussiste, Giuseppe Federico dal reato di cui all’art. 256, comma 1, lett. B) del d. lgs. n. 152 del 2006, a lui contestato per aver raccolto e traportato rottami ferrosi e batterie esauste di autovetture; fatto asseritamente commesso in Giuliana il 28 dicembre 2020.
2. Con sentenza del 15 novembre 2023, la Corte di appello di Palermo, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, appellata dal P.M., condannava Giuseppe Federico (e il coimputato non ricorrente Pietro Fascella) alla pena di mesi 6 di arresto ed euro 2.600 euro di ammenda in ordine al reato a lui ascritto.
3. Avverso la sentenza della Corte di appello siciliana, Federico, tramite il suo difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando un unico motivo, con il quale la difesa censura la formulazione del giudizio di responsabilità dell’imputato, osservando che la decisione impugnata non è sorretta da alcuna motivazione rafforzata, avendo i giudici di secondo grado sovrapposto la loro contraria valutazione a quella assolutamente logica e coerente del primo giudice, senza spiegarne l’eventuale insostenibilità sul piano logico e giuridico e senza peraltro procedere alla doverosa rinnovazione dell’esame del teste di P.G. Tramontano, della cui deposizione è stata offerta una diversa interpretazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato.
1. Prima di soffermarsi sulle doglianze difensive, si ritiene utile, in via preliminare, ripercorrere le tappe salienti dell’odierna vicenda processuale.
Il punto di partenza è costituto evidentemente dalla sentenza di primo grado, con la quale il Tribunale ha assolto Giuseppe Federico perché il fatto non sussiste.
Il primo giudice, nel ripercorrere i fatti di causa, ha richiamato gli accertamenti compiuti il 28 dicembre 2020 dai C.C. di Giuliana, i quali fermavano l’autocarro Fiat Iveco targato AC593ED, il cui cassone conteneva rifiuti di vario genere, tra cui rottami ferrosi, elettrodomestici in disuso e 12 batterie esauste di autovetture.
Il conducente del veicolo veniva identificato in Giuseppe Federico, il quale risultava in possesso di licenza per l’esercizio di attività ambulante, avente ad oggetto il commercio all’ingrosso di rottami, elemento questo valorizzato dal Tribunale in chiave assolutoria, in applicazione della deroga di cui all’art. 266, comma 5, del d. lgs. n. 152 del 2006, ricorrendo la duplice condizione del possesso del titolo abilitativo del commercio in forma ambulante e della pertinenza dei rifiuti con l’oggetto del commercio, mentre, quanto alle batterie, il primo giudice rimarcava il marcato accertamento circa la loro funzionalità e l’eliminazione dei liquidi.
Di qui l’assoluzione di Federico (e del coimputato Fascella, passeggero a bordo del veicolo) dal reato ex art. 256, comma 1, lett. B) del d. lgs. n. 152 del 2006,
2. A conclusioni diverse è invece pervenuta la Corte di appello.
All’esito del giudizio di secondo grado, instaurato a seguito di appello del P.M., la Corte territoriale, in riforma della pronuncia assolutoria resa dal giudice di primo grado, perveniva all’affermazione della penale responsabilità degli imputati, rimarcando la circostanza che i rifiuti rinvenuti alla rinfusa a bordo del furgone guidato da Federico erano di varia natura, essendo alcuni anche pericolosi, come gli elettrodomestici in disuso, le porte in alluminio, gli ingranaggi meccanici sparsi e soprattutto le dodici batterie per auto trasportate senza alcuna precauzione per la dispersione dei liquidi contenuti al loro interno, venendo dunque in rilievo materiali non rientranti nell’autorizzazione in possesso del ricorrente, circoscritta ai rottami e ai sottoprodotti in disuso della lavorazione industriale. Federico è stato ritenuto quindi colpevole del reato a lui ascritto, non essendo in possesso né della licenza rilasciata dall’Albo Nazionale dei Gestori Ambientali, né di un regolare formulario di carico e scarico dei rifiuti attraverso cui accertarne la provenienza.
3. Tanto premesso, deve osservarsi che, nel pervenire alla riforma della sentenza di primo grado, la Corte territoriale si è adeguatamente fatta carico di offrire una cd. “motivazione rafforzata”, dovendosi in tal senso richiamare l’affermazione costante della giurisprudenza di legittimità (cfr. Sez. 6, n. 51898 del 11/07/2019, Rv. 278056 e Sez. 5, n. 54300 del 14/09/2017, Rv. 272082), secondo cui, in tema di giudizio di appello, la motivazione rafforzata, richiesta nel caso di riforma della sentenza assolutoria o di condanna di primo grado, consiste nella compiuta indicazione delle ragioni per cui una determinata prova assume una valenza dimostrativa completamente diversa rispetto a quella ritenuta dal giudice di primo grado, nonché in un apparato giustificativo che dia conto degli specifici passaggi logici relativi alla disamina degli istituti di diritto sostanziale o processuale, in modo da conferire alla decisione una forza persuasiva superiore.
3.1. Ed invero, i giudici di appello, all’esito di un’esauriente rassegna delle fonti dimostrative acquisite, hanno operato un più corretto inquadramento giuridico della condotta tenuta dall’imputato, non fermandosi al mero dato formale del possesso della licenza per il commercio ambulante, ma ponendo tale elemento in connessione logica con la tipologia dei rifiuti presenti sul furgone, che sono stati ragionevolmente ritenuti estranei dal perimetro del predetto titolo abilitativo, in ragione della loro qualità, oltre che delle precarie modalità di trasporto.
In tal senso, i giudici di merito hanno correttamente applicato il condiviso principio elaborato da questa Corte (cfr. Sez. 3, n. 34917 del 09/07/2015, Rv. 264822), secondo cui, in tema di gestione non autorizzata dei rifiuti, il reato di cui all’art. 256 del d. lgs. n. 152 del 2006 è configurabile anche in relazione alle condotte di raccolta e trasporto esercitate in forma ambulante, salva l’applicabilità della deroga di cui all’art. 266, comma quinto, del predetto decreto, per la cui operatività occorre tuttavia non solo che l’agente sia in possesso del titolo abilitativo previsto per il commercio ambulante dal d. lgs. 31 marzo 1998, n. 114, ma anche che si tratti di rifiuti che formano oggetto del suo commercio ma non sono riconducibili, per le loro peculiarità, a categorie autonomamente disciplinate.
Non può del resto sottacersi che la puntualizzazione del primo giudice circa il mancato accertamento sulla funzionalità delle batterie o sull’eventuale e preventiva rimozione dei liquidi non appare pertinente, avendo questa Corte chiarito (Sez. 3, n. 11030 del 05/02/2015, Rv. 263248), con affermazione condivisa dal Collegio, che, in tema di gestione di rifiuti, la natura di rifiuto pericoloso di un veicolo fuori uso (ma lo stesso discorso vale anche per le sue batterie) non necessita di particolari accertamenti, quando risulti, anche solo per le modalità di raccolta e deposito, che lo stesso non è stato sottoposto ad alcuna operazione finalizzata alla rimozione dei liquidi o delle altre componenti pericolose, non avendo peraltro il ricorrente fornito alcun concreto elemento in tal senso.
3.2. Resta solo da precisare che la decisione della Corte di appello di non procedere alla rinnovazione dell’istruttoria mediante il nuovo esame del teste di P.G. Tramontano non presta il fianco alle censure difensive, posto che l’impugnazione proposta dal P.M. atteneva esclusivamente a profili di diritto e non concerneva la valutazione di attendibilità del teste di P.G., le cui dichiarazioni sono state correttamente riportate e intese sia dal Tribunale che dai giudici di appello.
Invero il diverso approdo decisionale cui è pervenuta la Corte territoriale è dipeso non tanto da una differente valutazione in ordine all’attendibilità del testimone di P.G., quanto piuttosto da un diverso inquadramento giuridico del fatto.
In quest’ottica, l’operato della Corte di appello deve essere ritenuto legittimo, dovendosi richiamare la condivisa affermazione di questa Corte (Sez. 5, n. 33272 del 28/03/2017, Rv. 270471), secondo cui non occorre procedere alla rinnovazione della prova testimoniale decisiva per la riforma in appello dell’assoluzione, nel caso in cui l’attendibilità della deposizione sia valutata in maniera del tutto identica dal giudice di appello, il quale si limita a procedere a un diverso apprezzamento del complessivo compendio probatorio, ovvero a una diversa interpretazione della fattispecie incriminatrice. Può dunque prescindersi dall’obbligo di procedere alla rinnovazione istruttoria, quando, come nel caso di specie, il giudice di appello fondi il proprio convincimento su una diversa valutazione in punto di diritto sul valore della prova, o in punto di fatto sulla portata della prova nel contesto del compendio probatorio (cfr. in termini Sez. 3, n. 44006 del 24/09/2015, Rv. 265124).
3.3. In definitiva, in quanto sorretta da considerazioni razionali e coerenti con le fonti dimostrative acquisite, la disamina del materiale probatorio compiuta dalla Corte di appello resiste alle censure difensive, con le quali si sollecita sostanzialmente una lettura alternativa del materiale probatorio, operazione non consentita in questa sede, dovendosi richiamare la costante affermazione della giurisprudenza di questa Corte (cfr. Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, Rv. 280601 e Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Rv. 265482), secondo cui, in tema di giudizio di cassazione, a fronte di un apparato argomentativo privo di profili di irrazionalità, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito. È stato altresì precisato (Sez. 3, n. 5602 del 21/01/2021, Rv. 281647 – 04 e Sez. 2, n. 29480 del 07/02/2017, Rv. 270519), che il principio dell’ “oltre ragionevole dubbio", introdotto nell’art. 533 cod. proc. pen. dalla legge n. 46 del 2006, non ha mutato la natura del sindacato della Corte di cassazione sulla motivazione della sentenza, che non può essere utilizzato per valorizzare e rendere decisiva la duplicità di ricostruzioni alternative del medesimo fatto, eventualmente emerse in sede di merito e segnalate dalla difesa, una volta che tale duplicità, come avvenuto nel caso di specie, sia stata oggetto di attenta disamina da parte del giudice dell’appello, giacché la Corte è chiamata a un controllo sulla persistenza o meno di una motivazione effettiva per mezzo di una valutazione unitaria e globale dei singoli atti e dei motivi di ricorso su di essi imperniati, non potendo la sua valutazione sconfinare nel merito.
4. Alla stregua delle considerazioni svolte, il ricorso presentato nell’interesse di Federico deve essere pertanto rigettato, con conseguente onere per il ricorrente, ex art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 12/09/2024