Cass. Sez. III n. 26949 del 2 luglio 2009 (Ud. 7 apr. 2009)
Pres. Onorato Est Mulliri Ric. Fiochi
Rifiuti. Discarica abusiva (natura del reato)
Il reato di realizzazione e gestione di una discarica in difetto dì autorizzazione, di cui all’art. 256, comma terzo, del D.Lgs. 3 aprile 2006 n. 152, ha natura di reato permanente, in quanto l’attività di realizzazione di una discarica permane sino a che prosegue l’attività di predisposizione e allestimento dell’area adibita allo scopo, mentre la gestione della discarica permane sino a quando avviene l’attività di conferimento e manipolazione dei rifiuti.
Il ricorrente è stato condannato dal Tribunale di Brescia alla pena di 3000 € di ammenda perché ritenuto colpevole (art. 51 co. D.Lvo 22/97) di avere effettuato attività di gestione di rifiuti speciali, pericolosi e non, prodotti da terzi, senza le necessarie autorizzazioni, in particolare, tra l’altro, per avere operato modifiche all’impianto, non sostanziali ma comunque soggette a preventivo N.O. della Provincia, come la sistemazione della tramoggia per batterie all’interno del capannone e l’apertura di un nuovo ingresso sul lato est del capannone stesso ove avvenivano lo stoccaggio e la macinazione di rifiuti anche pericolosi.
Avverso tale decisione, ha proposto ricorso l’imputato deducendo:
1) violazione di legge (art. 606 lett. b) c.p.p. in rel. all’ art. 51 co. D.Lvo 22/97) posto che, con riferimento alle varianti poste in essere (apertura di una porta d’ingresso del capannone e spostamento della tramoggia di carico delle batterie da avviare all’impianto di trattamento) la decisione del giudice di merito è errata perché, contrariamente a quanto afferma, non si tratta di una “modifica operativa e gestionale migliorativa” e tantomeno posta in essere in violazione di quanto disposto dalla Regione Lombardia; infatti l’art. 28 del D.Lvo 22/07 delimitando l’ambito al cui interno la P.A. può e deve imporre proprie prescrizioni, prevede che ciò possa avvenire “per garantire l’attuazione dei principi di cui all’art. 2” il quale ultimo, a propria volta, pone precetti generali a tutela dell’ambiente ma non certo per modifiche migliorative di una situazione già esistente e conforme all’art. 2. In ogni caso, quindi, al massimo, si sarebbe in presenza di una violazione amministrativa e non certo penale.
Peraltro, le modifiche in questione non danno neanche luogo a modifiche “operative e gestionali”.
2) inosservanza ed erronea applicazione della legge penale (art. 606 lett. b) e e) c.p.p, in rel. agli artt. 157 c.p. e 19 e 20 L. 241/90). La sentenza, infatti, errerebbe nell’affermare che quello in esame sia un reato permanente piuttosto che un reato istantaneo ad effetti permanenti. Come, infatti dimostrato in giudizio con idonea documentazione, le “varianti” di cui si va parlando sono state realizzate ben prima dell’agosto 2003. Ed una riprova di ciò si avrebbe anche nel fatto che lo stesso Tribunale ha ritenuto di assolvere il coimputato assumendone la sua completa estraneità (asserzione illogica se il reato fosse stato ancora permanente).
In ogni caso, anche a voler ritenere la natura permanente del reato, si sarebbe dovuto dare applicazione a quanto stabilito dagli artt. 19 e 20 L. 241/90 sulla trasparenza amministrativa e prendere atto che si è in presenza di una questione squisitamente formale nella quale per l’ottenimento del N.O. provinciale non erano richieste particolari formalità ma solo un silenzio-assenso di 30 giorni dalla data di ricezione della comunicazione. Nella specie, essa era stata ricevuta il 15.10.03 sì che da tale data dovrebbe calcolarsi il termine prescrizionale (e non come ritenuto dal Tribunale dal maggio 20004 si da individuare il decorso del termine solo il 7.11.08).
3) contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione (art. 606 lett. b) ed e) c.p.p. in rel. agli art. 51 co. 4 e 51 co. 1 lett. b) D.Lvo 22/97) considerato che la violazione in esame è sanzionata con pena congiunta dell’arresto e dell’ammenda mentre, nella specie, i giudici hanno applicato solo la pena pecuniaria fondandosi, peraltro, su una motivazione illogica ed in contrasto con le emergenze processuali. E’ infatti pacifico che si stesse trattando di un impianto di trattamento per batterie esauste e ciò è affermato congiuntamente sia dal testimone del P.M. che dal c.t. della difesa; incoerente, quindi, l’asserzione del Tribunale - per giustificare l’irrogazione della sola pena pecuniaria - di non aver raggiunto la prova che l’attività fosse proseguita con rifiuti pericolosi.
Tra l’altro, tale decisione ha finito per danneggiare il ricorrente che si è visto privare della possibilità di esperire un altro grado di giudizio.
Il ricorrente conclude invocando l’annullamento della sentenza impugnata e, con memoria successiva ha chiesto, in subordine, una declaratoria di prescrizione, in ogni caso, intervenuta il 7.11.08.
2. Motivi della decisione - Il ricorso deve essere accolto con riferimento a quanto dedotto, da ultimo, nella memoria.
Innanzitutto, va puntualizzato che, come affermato reiteratamente da questa S.C. (Sez. III, 27.3.07, P.G. in proc. Artese, Rv, 236909; Sez. III, 30.11.06, Gritti, Rv. 236327) il reato di realizzazione e gestione di una discarica in difetto di autorizzazione, di cui all’art. 51, comma terzo D.Lgs. n. 22 del 1997 (oggi sostituito dall’art. 256, comma terzo, del D.Lgs. 3 aprile 2006 n. 152), “ha natura di reato permanente, in quanto l’attività di realizzazione di una discarica permane sino a che prosegue l’attività di predisposizione e allestimento dell’area adibita allo scopo, mentre la gestione della discarica permane sino a quando avviene l’attività di conferimento e manipolazione dei rifiuti’.
Conseguentemente, nella specie, essendo la permanenza cessata nel maggio 2004, è vero, come indicato dal ricorrente, che il termine per la prescrizione è decorso dal 7.11.08.
Per non vedere preclusa la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 c.p.p. (S.U. 22.11.00, De Luca, Rv. 217266), occorre preliminarmente verificare il formarsi di un valido rapporto di impugnazione.
A tale stregua, deve rilevarsi che, effettivamente, il ricorso non appare manifestamente infondato.
Come correttamente riepiloga la sentenza impugnata, la Piombifera Bresciana S.p.a. (facente capo al Fiochi) era stata autorizzata a svolgere la messa in riserva ed il recupero di rifiuti pericolosi presso il proprio impianto di Maclodio (dgr 29.12.95 e 29.12.00).
Il ricorrente aveva, poi, chiesto di effettuare una variante all’impianto e con delibera 1952 del 18.8.03 era stato autorizzato con una serie di prescrizioni sulla scorta delle quali il 7.10.03, il Fiochi aveva rimesso alla Provincia il progetto di tamponamento rispetto ala quale attendeva l’assenso dell’ente locale “e contestualmente comunicava di avere già effettuato altri lavori ovvero, tra l’altro <2)la sistemazione di una tramoggia batterie all’interno del capannone; 3) l’apertura di un nuovo ingresso sul capannone lato est>”.
E’ quindi, chiaro che, quantomeno con riferimento alle attività svolte sino a questo momento, l’attività di gestione di rifiuti speciali, pericolosi e non pericolosi prodotti da terzi, poteva essere considerata lecita e, quindi, in parte giustifica il presente gravame.
Il fatto, quindi, che il ricorso non sia manifestamente infondato e la contestuale sopravvenienza del termine estintivo per prescrizione, da un lato, impedisce un annullamento con rinvio su tale parte e, dall’altro, induce, ad annullare la sentenza impugnata senza rinvio per essere il reato contestato estinto per prescrizione.