Cass. Sez. III n. 35000 del 18 settembre 2024 (CC 29 mag 2024)
Pres. Ramacci Rel. Aceto Ric. Lazzarin ed altro
Rifiuti.Indumenti usati

Che l’indumento usato possa essere definito “sottoprodotto” è in ogni caso circostanza che mal si concilia con la necessità che il sottoprodotto derivi da un processo di produzione, trattandosi piuttosto di cosa abbandonata dal suo detentore (e dunque rifiuto ai sensi dell’art. 183, comma 1, lett. a, d.lgs. n. 152 del 2006) e in quanto tale non normata nemmeno dal Regolamento recante criteri indicativi per agevolare la dimostrazione della sussistenza dei requisiti per la qualifica dei residui di produzione come sottoprodotti e non come rifiuti adottato dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare con D.M. n. 264 del 13 ottobre 2016 che esclude dalla sua applicazione i residui derivanti dall’attività di consumo (art. 3, lett. b). Allo stesso modo, la cessazione della qualifica di rifiuto dell’indumento usato (o comunque del rifiuto tessile non proveniente da un processo di produzione) è subordinata alle operazioni di recupero, che necessitano di essere a loro volta autorizzate o comunque soggette a procedura semplificata ai sensi degli artt. 214 e segg. d.lgs. n. 152 del 2006, previste dal D.M. - Ministero dell’Ambiente - 5 febbraio 1998, Allegato 1, suballegato 1, n. 8.

RITENUTO IN FATTO

            1. Severino Lazzarin e Roberto Lazzarin ricorrono per l’annullamento dell’ordinanza del 24 novembre 2023 del Tribunale di Venezia che ha rigettato la richiesta di riesame del decreto di perquisizione e sequestro del 9 ottobre 2023 emesso dal Pubblico ministero nell’ambito del procedimento penale iscritto a loro carico per il reato di cui all’art. art. 452-quaterdecies cod. pen. ed in esecuzione del quale era stata sequestrata documentazione contabile e di trasporto della società Co.ma.tess s.n.c. dei F.lli Lazzarin Adriano e Andrea, nonché materiale tessile vario e rifiuti costituiti da scarti tessili.  
                1.1. Con il primo motivo deducono la perdita di efficacia del sequestro in conseguenza della tardiva trasmissione degli atti pervenuti al Tribunale del riesame oltre il termine di cinque giorni dalla richiesta, termine perentoriamente fissato dall’art. 309, commi 9 e 9 bis, richiamato dall’art. 324 cod. proc. pen.
                1.2. Con il secondo motivo deducono l’erroneo rigetto della questione di legittimità costituzionale dell’art. 324, comma 7, cod. proc. pen., come interpretato dal diritto vivente, perché in contrasto con gli artt. 3, 13, 41 e 42 Cost., questione che ripropongono subordinatamente al rigetto del primo motivo.
                1.3. Con il terzo motivo deducono l’illegittimità del sequestro e l’insussistenza dei suoi requisiti nonché l’illegittima qualificazione delle cose sequestrate come rifiuti piuttosto che come materie prime secondarie o sottoprodotti.  


CONSIDERATO IN DIRITTO

            2. I ricorsi sono infondati.

                3. I primi due motivi sono manifestamente infondati.
                    3.1. Il Collegio ribadisce il principio, autorevolmente affermato da Sez. U, n. 26268 del 28/03/2013, Cavalli, Rv. 255581 - 01, secondo il quale nel procedimento di riesame del provvedimento di sequestro non è applicabile il termine perentorio di cinque giorni per la trasmissione degli atti al tribunale, previsto dall'art. 309, comma quinto, cod. proc. pen., con conseguente perdita di efficacia della misura cautelare impugnata in caso di trasmissione tardiva, ma il diverso termine indicato dall'art. 324, comma terzo, cod. proc. pen., che ha natura meramente ordinatoria.
                    3.2. Tale principio è stato ribadito più volte, ripreso e condiviso dalla giurisprudenza della Corte di cassazione anche dopo l'entrata in vigore della legge n. 47 del 2015, che ha novellato l'art. 324, comma 7, cod. proc. pen., essendosi al riguardo affermato che, in tema di riesame di provvedimenti di sequestro, anche dopo l'entrata in vigore della legge n. 47 del 2015, non è applicabile il termine perentorio di cinque giorni per la trasmissione degli atti al tribunale, previsto per le misure cautelari personali dall'art. 309, comma 5, cod. proc. pen., con conseguente perdita di efficacia della misura cautelare impugnata in caso di trasmissione tardiva, bensì il diverso termine indicato dall'art. 324, comma 3, cod. proc. pen., che ha natura meramente ordinatoria, per cui, nel caso di trasmissione frazionata degli atti, il termine perentorio di dieci giorni, entro cui deve intervenire la decisione a pena di inefficacia della misura, decorre dal momento in cui il tribunale ritiene completa l'acquisizione degli atti (Sez. 6, n. 47883 del 25/09/2019, Yzeiraj, Rv. 277566 - 01; Sez. 3, n. 44640 del 29/09/2015, Zullo, Rv. 265571 - 01).
                    3.3. I ricorrenti se ne lamentano ritenendo incostituzionale l’interpretazione ancor oggi data all’art. 324, comma 7, cod. proc. pen., che si pone in contrasto, a loro giudizio, con quanto espressamente prevede l’art. 309, comma 10, cod. proc. pen. in materia di libertà personale e, dunque, con il principio di uguaglianza e di tutela effettiva del diritto di proprietà il quale è pure riconosciuto meritevole dalla Costituzione (artt. 41 e 42).
                    3.4. Sennonché, in disparte l’impossibile accostamento tra il diritto alla libertà personale, definita come inviolabile e comprimibile nei soli casi e modi specificamente, direttamente e strettamente indicati dall’art. 13 Cost. (tra i quali non rientra, di certo il pubblico interesse), e il diritto di proprietà, non inviolabile ma sacrificabile, appunto, per motivi di pubblico interesse (ciò che osta a improbabili paragoni), andrebbe comunque spiegata la ragione per la quale, in caso di riesame de libertate, il termine perentorio stabilito per la trasmissione degli atti è di cinque giorni dalla richiesta (art. 309, comma 5, cod. proc. pen.), pena l’inefficacia della misura, laddove quello stabilito in caso di riesame reale il termine sarebbe di un solo giorno pena, secondo l’interpretazione difensiva, l’inefficacia del provvedimento reale; si invertono, cioè, i termini della questione perché, per effetto della soluzione proposta dai ricorrenti, le misure cautelari reali (e dunque il diritto proprietà e le situazioni giuridiche soggettive attive che riguardano le cose) sarebbero sottoposte a regime ben più severo di quello relativo alle misure cautelari personali.
                    3.5. Nel merito della questione posta, dalla lettura dell’ordinanza impugnata risulta che, secondo l’ipotesi accusatoria alla base del decreto di perquisizione e sequestro, i due ricorrenti, titolari di omonime ditte individuali esercenti attività di commercio all’ingrosso di prodotti tessili e materiali da recupero, avevano conferito alla società Co.ma.tess s.n.c., legalmente amministrata dal cugino, Adriano Lazzarin, esercente attività di recupero di rifiuti non pericolosi, rifiuti tessili mediante trasporti e forniture trattati con mero DDT ma non con i prescritti formulari (FIR), non essendo i due titolari di autorizzazione al trasporto di rifiuti.
                    3.6. In particolare, avrebbero conferito nel tempo alla Co.ma.tess 683.949 chilogrammi di rifiuti tessili ed avrebbero ritirato il 40% del totale dei rifiuti oggetto di recupero della società (totale pari a 1.840.336 chilogrammi) benché non risultassero rifiuti in uscita, avendo la società stessa dichiarato di aver sempre recuperato completamente il materiale in ingresso (tranne che per l’anno 2021 ma per quantitativi di gran lunga inferiori a quelli rinvenuti a seguito di accesso dell’11 novembre 2021 in occasione del quale erano stati rinvenuti scarti di produzione per almeno 27 tonnellate).
                    3.7. Si era così accertato, a seguito di servizi di o.c.p., sistemi di videoripresa, interni ed esterni alla sede dell’impresa, e tracciamento gps, che la Co.ma.tess gestiva abusivamente ingenti quantità di rifiuti tessili non dichiarati ed in misura di gran lunga superiore a quelle autorizzate; si trattava, cioè, di un’attività parallela a quella autorizzata di gestione non documentata di rifiuti previamente trattati e poi conferiti da persone non autorizzate al trattamento e al trasporto.
                    3.8. All’esito di perquisizione disposta dal Pubblico ministero con decreto del 9 ottobre 2023 (eseguito il 30 ottobre 2023), era stata rinvenuta e sequestrata documentazione contabile e di trasporto, materiale tessile vario e rifiuti costituiti da scarti tessili; Roberto Lazzarin dichiarava di essere iscritto al Registro Commercio Materie Prime Tessili con licenza conto terzi per il trasporto della merce e di non utilizzare il formulario perché commerciante di materie prime tessili; Severino Lazzarin dichiarava di non possedere alcuna autorizzazione alla gestione dei rifiuti tessili rinvenuti nella propria abitazione; la sua ditta individuale risultava iscritta al Registro Provinciale delle Imprese che effettuano recupero di rifiuti in regime semplificato.
                    3.9. Nel disattendere la richiesta di riesame, il Tribunale, richiamati gli esiti investigativi che avevano dato luogo al decreto di perquisizione e sequestro, ha ulteriormente ribadito che i due ricorrenti avevano personalmente conferito rifiuti tessili alla Co.ma.tess (come direttamente accertato dalla polizia giudiziaria) ricevendone il prodotto recuperato dai rifiuti.
                    3.10. In particolare, Severino Lazzarin era stato più volte controllato alla guida del proprio automezzo mentre trasportava ceste recanti "scarti di natura tessile in ritagli di cotone" in assenza di documentazione e autorizzazione; Roberto Lazzarin, il cui autocarro proveniva dalla propria abitazione, era stato più volte visto nel piazzale della ditta impegnato ad effettuare operazioni di scarico e carico di containers per la raccolta dei rifiuti, al pari di Severino, anche egli osservato mentre effettuava operazioni analoghe.
                    3.11. Che si trattasse di rifiuti tessili piuttosto che di sottoprodotti è ricavato dal Tribunale dalle fatture rivenute (recanti la dicitura “ritagli di tessuto” ed emesse in regime di inversione contabile consentito proprio per le cessioni di “stracci”), dai documenti di trasporto relativi alle operazioni effettuate dalla Co.ma.tess nell’anno 2021, dalle discrepanze rilevate dall’ARPAV tra il quantitativo di rifiuti effettivamente conferiti ed accertati l’11 novembre 2021 e quelli dichiarati nel MUD al 31 dicembre 2021, dal rinnovo dell’autorizzazione concessa alla società, dalle dichiarazioni raccolte presso clienti esteri.
                    3.12. Secondo il Tribunale gli odierni ricorrenti, in particolare Roberto Lazzarin, avevano trattato il recupero di rifiuti tessili, benché privi di autorizzazione, in maniera paritetica all'attività svolta dalla società, essendo stata rilevata, tramite servizi di o.c.p., la presenza presso le rispettive sedi, di macchinari, mezzi e personali impiegati in tale attività, avendo gli stessi registrato sul portale dell'agenzia delle entrate numerose fatture emesse e ricevute dalla società per un totale imponibile pari a circa 39.000 euro in un solo mese, per quanto riguarda Roberto Lazzarin, e di circa 12.000 euro con riguardo a Severino Lazzarin, quest'ultimo autorizzato soltanto allo stoccaggio dei rifiuti tessili.
                    3.13. I ricorrenti deducono l’illegittimità del sequestro sul sostanziale rilievo della insussistenza del reato poiché, affermano, le cose costituenti oggetto materiale delle condotte (provvisoriamente) contestate non sono rifiuti ma materie prime secondarie o sottoprodotti ai sensi dell’art. 184 bis d.lgs. n. 152 del 2006 o comunque rifiuti che hanno cessato di essere tali ai sensi del successivo art. 184 ter.
                    3.14. La Corte ricorda, in primo luogo, che il sequestro probatorio è un mezzo di ricerca della prova sicché per la sua adozione non è necessario che il "fatto" sia accertato in ogni sua componente, ma è sufficiente che sia ragionevolmente presumibile o probabile anche attraverso elementi logici (Sez. 3, n. 2761 del 27/06/1991, Rv. 187816 - 01). Diversamente dal sequestro preventivo (misura cautelare reale), esso costituisce atto tipico di indagine messo a disposizione del pubblico ministero per riscontrare la fondatezza della notizia di reato e assumere le proprie determinazioni in ordine all’esercizio dell’azione penale. Sarebbe irragionevole pretendere, come condizione di legittimità del sequestro probatorio, la preesistenza del risultato probatorio che con la sua adozione si intende acquisire.
                    3.15. Di qui il consolidato insegnamento secondo il quale se è vero che, in sede di riesame del sequestro probatorio, il tribunale deve stabilire l'astratta configurabilità del reato ipotizzato e che tale astrattezza non limita i poteri del giudice nel senso che questi deve esclusivamente "prendere atto" della tesi accusatoria senza svolgere alcun'altra attività, ma determina soltanto l'impossibilità di esercitare una verifica in concreto della sua fondatezza, e che alla giurisdizione compete, perciò, il potere-dovere di espletare il controllo di legalità, sia pure nell'ambito delle indicazioni di fatto offerte dal pubblico ministero, è altrettanto vero che l'accertamento della sussistenza del "fumus commissi delicti" va compiuto sotto il profilo della congruità degli elementi rappresentati, che non possono essere censurati in punto di fatto per apprezzarne la coincidenza con le reali risultanze processuali, ma che vanno valutati così come esposti, al fine di verificare se essi consentono di sussumere l'ipotesi formulata in quella tipica. Pertanto, il tribunale non deve instaurare un processo nel processo, ma svolgere l'indispensabile ruolo di garanzia, tenendo nel debito conto le contestazioni difensive sull'esistenza della fattispecie dedotta ed esaminando l'integralità dei presupposti che legittimano il sequestro (Sez. U, n. 23 del 20/11/1996, dep. 1997, Bassi, Rv. 206657 - 01; Sez. 3, n. 3465 del 03/10/2019, dep. 2020, Rv. 278542 - 01; Sez. 2, n. 25320 del 05/05/2016, Rv. 267007 - 01; Sez. 3, n. 15254 del 10/03/2015, Rv. 263053 - 01; Sez. 3, n. 15177 del 24/03/2011, Rv. 250300 - 01).
                    3.16. Orbene, la qualifica delle cose sequestrate come materie prime secondarie (MPS) o sottoprodotto o rifiuto che ha cessato di essere tale (EOW) richiede accertamenti di natura fattuale che costituiscono proprio il tema probatorio che il sequestro intende assicurare al processo, come espressamente affermato dal Tribunale del riesame (pag. 7).
                    3.17. La deduzione difensiva che il rifiuto tessile sia invece da considerare sempre e comunque “materia prima tessile secondaria” (ed in quanto tale non rifiuto) non ha alcun fondamento. 
                    3.18. Ed infatti, delle due l’una: o si tratta di sottoprodotti, ai sensi dell’art. 184 bis d.lgs. n. 152 del 2006 o di cosa (indumenti usati) di cui il detentore si è disfatto e che ha successivamente cessato di essere rifiuto ai sensi del successivo art. 184 ter; in entrambi i casi necessitano requisiti e condizioni di fatto che devono essere volta per volta dimostrati da chi predica la natura di “non rifiuto” del bene. Va al riguardo ribadito il principio costantemente affermato dalla Corte di cassazione secondo il quale l’onere della prova relativa alla sussistenza delle condizioni di liceità dell’utilizzo del rifiuto o che escludono la natura di rifiuto ricade su colui che ne invoca l’applicazione. Varie ne sono state le declinazioni in tema, per esempio, di attività di raggruppamento ed incenerimento di residui vegetali previste dall'art. 182, comma sesto bis, primo e secondo periodo, d. lgs. 3 aprile 2006 n. 152 (Sez. 3, n. 5504 del 12/01/2016, Lazzarini, Rv. 265839), di deposito temporaneo di rifiuti (Sez. 3, n. 29084 del 14/05/2015, Favazzo, Rv. 264121), di terre e rocce da scavo (Sez. 3, n. 16078 del 10/03/2015, Fortunato, Rv. 263336), di interramento in sito della posidonia e delle meduse spiaggiate presenti sulla battigia per via di mareggiate o di altre cause naturali (Sez. 3, n. 3943 del 17/12/2014, Aloisio, Rv. 262159), di qualificazione come sottoprodotto di sostanze e materiali (Sez. 3, n. 3202 del 02/10/2014, Giaccari, Rv. 262129; Sez. 3, n. 41836 del 30/09/2008, Castellano, Rv. 241504), di deroga al regime autorizzatorio ordinario per gli impianti di smaltimento e di recupero, previsto dall'art. 258 comma 15 del D.Lgs. 152 del 2006 relativamente agli impianti mobili che eseguono la sola riduzione volumetrica e la separazione delle frazioni estranee (Sez. 3, n. 6107 del 17/01/2014, Minghini, Rv. 258860), di riutilizzo di materiali provenienti da demolizioni stradali (Sez. 3, n. 35138 del 18/06/2009, Bastone, Rv. 244784).
                    3.19. Che l’indumento usato possa essere definito “sottoprodotto” è in ogni caso circostanza che mal si concilia con la necessità che il sottoprodotto derivi da un processo di produzione, trattandosi piuttosto di cosa abbandonata dal suo detentore (e dunque rifiuto ai sensi dell’art. 183, comma 1, lett. a, d.lgs. n. 152 del 2006) e in quanto tale non normata nemmeno dal Regolamento recante criteri indicativi per agevolare la dimostrazione della sussistenza dei requisiti per la qualifica dei residui di produzione come sottoprodotti e non come rifiuti adottato dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare con D.M. n. 264 del 13 ottobre 2016 che esclude dalla sua applicazione i residui derivanti dall’attività di consumo (art. 3, lett. b).
                    3.20. Allo stesso modo, la cessazione della qualifica di rifiuto dell’indumento usato (o comunque del rifiuto tessile non proveniente da un processo di produzione) è subordinata alle operazioni di recupero, che necessitano di essere a loro volta autorizzate o comunque soggette a procedura semplificata ai sensi degli artt. 214 e segg. d.lgs. n. 152 del 2006, previste dal D.M. - Ministero dell’Ambiente - 5 febbraio 1998, Allegato 1, suballegato 1, n. 8, operazioni i cui esiti vengono dati come scontati dai ricorrenti ma la cui sussistenza costituisce, come detto, lo scopo del mezzo istruttorio adottato dal Pubblico ministero.
                    3.21. Di qui l’infondatezza dei ricorsi.


P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. 
Così deciso in Roma, il 29/05/2024.