Cass. Sez. III n. 35124 del 19 settembre 2024 (UP 12 giu 2024)
Pres. Ramacci Rel. Aceto Ric. Osmani ed altri
Rifiuti.Errore sulla necessità dell’autorizzazione allo svolgimento di attività di gestione
In alcun modo il consiglio del professionista può essere considerato elemento positivo idoneo a indurre in errore scusabile il titolare di un’impresa sulla necessità dell’autorizzazione allo svolgimento dell’attività di raccolta e trasporto di rifiuti che costituisce oggetto della propria impresa, a maggior ragione se si considera che nel caso di specie il trasporto veniva effettuato senza nemmeno il formulario di identificazione (FIR) di cui all’art. 193 d.lgs. n. 152 del 2006. La scusabilità dell’errore deve essere commisurata al parametro del modello di agente, dell’“homo eiusdem professionis et condicionis”, sicché in alcun modo può dirsi scusabile l’errore di colui il quale intraprenda un’attività imprenditoriale per il cui esercizio è richiesta l’autorizzazione e che contestualmente ne ignori la necessità o la latitudine. Il dubbio impone, semmai, l’astensione o comunque sollecita la adozione di informazioni qualificate presso l’amministrazione pubblica, non di certo presso un consulente privato.
RITENUTO IN FATTO
1. Osmani Alex, Osmani Isen e Osmani Severdan ricorrono congiuntamente per l’annullamento della sentenza del 18 ottobre 2023 del Tribunale di Pordenone che li ha dichiarati colpevoli del reato di cui agli artt. 110 cod. pen., 256, comma 1, d.lgs. n. 152 del 2006, e li ha condannati alla pena di 3.000 euro di ammenda ciascuno. Si imputa ai ricorrenti di aver effettuato la raccolta e il trasporto di numerosi rifiuti prodotti da terzi senza essere iscritti all’albo delle imprese di gestione ambientale e/o di rifiuti. Il fatto è contestato come accertato il 14 dicembre 2020 allorquando i tre furono intercettati a bordo del furgone di proprietà di Osmani Ahmet, condotto da Osmani Alex (titolare di della omonima ditta individuale Alex Ferro) e con a bordo il padre Isen ed il fratello Severdan, che trasportavano numerosi beni vetusti e usati in mancanza di FIR e di inscrizione all’albo.
1.1. Con unico motivo deducono l’erronea applicazione dell’art. 47 cod. pen. sussistendo l’errore sul fatto indotto dai consigli del commercialista che aveva suggerito a Osmani Alex, una volta aperta la partita IVA, di iniziare la raccolta dei rifiuti senza conferirli nei centri di raccolta perché per tale ulteriore attività sarebbe stata necessaria altra documentazione che sarebbe giunta di lì a qualche mese.
Tutti i ricorrenti hanno di conseguenza agito nella consapevolezza della liceità della attività di raccolta e trasporto di rifiuti, ancor più Osmani Severdan e Osmani Isen che, non essendo dipendenti di Alex e non avendo mai effettuato la raccolta di rifiuti, non potevano essere a conoscenza della mancanza di autorizzazioni da parte del congiunto, né erano tenuti ad informarsi sulla loro presenza.
2. Con memoria del 24 maggio 2024, il difensore dei ricorrenti, Avv. Angelo Lorenzon, ha contraddetto la richiesta del Procuratore generale di inammissibilità dei ricorsi insistendo, invece per il loro accoglimento.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. I ricorsi sono inammissibili.
4. L'errore sul fatto che, ai sensi dell'art. 47 cod. pen., esime dalla punibilità, è quello che cade su un elemento materiale del reato e che consiste in una difettosa percezione o in una difettosa ricognizione della percezione che alteri il presupposto del processo volitivo, indirizzandolo verso una condotta viziata alla base; mentre, se la realtà è stata esattamente percepita nel suo concreto essere, non v'è errore sul fatto, bensì errore sull'interpretazione tecnica della realtà e sulle norme che la disciplinano, ininfluente ai fini dell'applicazione della citata disposizione (Sez. 5, n. 1780 del 26/10/2021, De Gregorio, Rv. 282471 - 01; Sez. 6, n. 32329 del 25/06/2010, Sakellariou, Rv. 248092 - 01; Sez. 6, n. 24605 del 03/04/2003, Rv. 225569 - 01; Sez. 1, n. 7853 del 22/01/1988, Redaelli, Rv. 178816 - 01; Sez.5, n. 2556 del 16/01/1985, Frasca, Rv. 168356 - 01).
4.1. Nel caso in esame quel che viene dedotto non è l’errore di fatto, non venendo in rilievo alcuna erronea percezione della realtà (tantomeno della natura di rifiuto delle cose trasportate), bensì quello di diritto in ordine alla liceità della propria condotta.
4.2. Con riferimento alla scusabilità dell’errore di diritto, non si può prescindere da Corte cost., sent. n. 364 del 1988 che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 5 cod. pen. nella parte in cui non esclude dall'inescusabilità dell'ignoranza della legge penale l'ignoranza inevitabile. Secondo il Giudice delle leggi, il comma primo dell'art. 27 Cost. ("La responsabilita' penale e' personale") - interpretato in relazione al comma terzo dello stesso articolo ed agli artt. 2, 3, commi primo e secondo, 73, comma terzo, e 25, comma secondo, Cost. - non soltanto richiede la "colpevolezza" dell'agente rispetto agli elementi piu' significativi della fattispecie tipica (e, cioe', una relazione psichica tra il soggetto e il fatto), ma anche la "effettiva possibilita' di conoscere la legge penale" (e, cioe', un rapporto tra soggetto e legge), "possibilita'" che rappresenta ulteriore necessario presupposto della "rimproverabilita'" dell'agente e, dunque, della responsabilita' penale. Consegue che l'art. 5 cod. pen., disconoscendo - secondo il diritto all’epoca vivente - ogni collegamento tra l'obbligo penalmente sanzionato e la sua "riconoscibilita'" ed equiparando all'ignoranza evitabile della legge penale l'ignoranza non colpevole, e, pertanto, inevitabile, viola lo spirito dell'intera Costituzione ed i suoi essenziali principi ispiratori, che pongono la persona umana al vertice della scala dei valori. Pertanto, il suddetto art. 5 e' costituzionalmente illegittimo - per contrasto con i parametri citati - nella parte in cui non esclude dall'inescusabilita' dell'ignoranza della legge penale l'ignoranza inevitabile. Al fine di qualificare l'ignoranza della legge penale (o l'errore sul divieto) come inevitabile, occorre far riferimento a criteri oggettivi, cd. "puri" o "misti" (obiettiva oscurita' del testo, gravi contrasti interpretativi giurisprudenziali, "assicurazioni erronee", ecc.), tenendo conto, peraltro, di quelle particolari condizioni e conoscenze del singolo soggetto, tali da rendere l'ignoranza inescusabile, pur in presenza di un generalizzato errore sul divieto. Non puo' comunque ravvisarsi ignoranza inevitabile allorche' l'agente si rappresenti la possibilita' che il fatto sia antigiuridico, salva l'ipotesi di dubbio oggettivamente irrisolvibile (attinente, cioe', alla necessita' di agire o non agire per evitare la sanzione). Deve, invece, di regola ritenersi che l'ignoranza sia inevitabile allorche' l'assenza di dubbi sull'illiceita' del fatto dipenda dalla personale non colpevole carenza di socializzazione del soggetto.
4.3. Sez. U, n. 8154 del 10/06/1994, Calzetta, Rv. 197885 - 01, all’indomani della pronuncia del Giudice delle leggi, aveva ritenuto di stabilire quali fossero i limiti della inevitabilità dell’ignoranza incolpevole affermando che per il comune cittadino tale condizione è sussistente, ogni qualvolta egli abbia assolto, con il criterio dell'ordinaria diligenza, al cosidetto "dovere di informazione", attraverso l'espletamento di qualsiasi utile accertamento, per conseguire la conoscenza della legislazione vigente in materia. Tale obbligo è particolarmente rigoroso per tutti coloro che svolgono professionalmente una determinata attività, i quali rispondono dell'illecito anche in virtù di una "culpa levis" nello svolgimento dell'indagine giuridica. Per l'affermazione della scusabilità dell'ignoranza, occorre, cioè, che da un comportamento positivo degli organi amministrativi o da un complessivo pacifico orientamento giurisprudenziale, l'agente abbia tratto il convincimento della correttezza dell'interpretazione normativa e, conseguentemente, della liceità del comportamento tenuto (nel senso che l'ignoranza da parte dell'agente sulla normativa di settore e sull'illiceità della propria condotta è idonea ad escludere la sussistenza della colpa, se indotta da un fattore positivo esterno ricollegabile ad un comportamento della pubblica amministrazione, Sez. 3, n. 35314 del 20/05/2016, Oggero, Rv. 268000 - 01);
4.4. Più in generale, con riferimento alla buona fede nelle contravvenzioni, è stato più volte affermato il principio secondo il quale la cosiddetta "buona fede" è configurabile ove la mancata coscienza dell'illiceità del fatto derivi non dall'ignoranza dalla legge, ma da un elemento positivo e cioè da una circostanza che induce nella convinzione della sua liceità, come un provvedimento dell'autorità amministrativa, una precedente giurisprudenza assolutoria o contraddittoria, una equivoca formulazione del testo della norma (Sez. 3, n. 29080 del 19/03/2015, Palau, Rv. 264184 - 01; Sez. 3, n. 49910 del 04/11/2009, Cangialosi, Rv. 245863 - 01; Sez. 3, n. 172 del 06/11/2007, Picconi, Rv. 238600 - 01; Sez. 3, n. 4951 del 17/12/1999, Del Cuore, Rv. 216561 - 01; Sez. 3, n. 8860 del 01/07/1993, Lelli, Rv. 197013 - 01; Sez. 3, n. 2336 del 31/01/1992, Santori, Rv. 189453 - 01).
4.5. Più recentemente è stato ribadito che la buona fede che, nei reati contravvenzionali, esclude l'elemento soggettivo ben può derivare da un fattore positivo correlato a un comportamento dell'Autorità amministrativa preposta alla tutela dell'interesse formante oggetto della disposizione normativa, idoneo a determinare nel trasgressore uno scusabile convincimento circa la liceità della condotta tenuta, ma tale principio dev'essere, comunque, valutato alla luce della gerarchia delle fonti di normazione e della conoscenza di esse che può discendere dal ruolo rivestito dal predetto agente (Sez. 4, n. 14077 del 05/03/2024, Galli, Rv. 286158 - 01).
4.6. In alcun modo, pertanto, il consiglio del professionista può essere considerato elemento positivo idoneo a indurre in errore scusabile il titolare di un’impresa sulla necessità dell’autorizzazione allo svolgimento dell’attività di raccolta e trasporto di rifiuti che costituisce oggetto della propria impresa, a maggior ragione se si considera che nel caso di specie il trasporto veniva effettuato senza nemmeno il formulario di identificazione (FIR) di cui all’art. 193 d.lgs. n. 152 del 2006.
4.7. La scusabilità dell’errore deve essere commisurata al parametro del modello di agente, dell’“homo eiusdem professionis et condicionis”, sicché in alcun modo può dirsi scusabile l’errore di colui il quale intraprenda un’attività imprenditoriale per il cui esercizio è richiesta l’autorizzazione e che contestualmente ne ignori la necessità o la latitudine.
4.8. Il dubbio impone, semmai, l’astensione o comunque sollecita la adozione di informazioni qualificate presso l’amministrazione pubblica, non di certo presso un consulente privato.
4.9. Nel resto, le deduzioni difensive sono inammissibilmente fattuali non essendo consentito, in sede di legittimità, interloquire con la Corte di cassazione attingendo a piene mani al materiale istruttorio del quale, peraltro, non viene nemmeno dedotto il travisamento.
4.10. L’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato - per espressa volontà del legislatore - a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l'adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944 - 01).
4.11. In ogni caso, trattandosi di contravvenzione, punibile anche a titolo di colpa, chi materialmente concorre nel reato di gestione illecita dei rifiuti di cui all’art. 256, commi 1 e 2, d.lgs. n. 152 del 2006, ponendo in essere una qualunque frazione della condotta tipica oppure agevolandone l’esecuzione, non può invocare l’ignoranza scusabile adducendo puramente e semplicemente la propria personale convinzione della liceità dell’attività altrui, essendo suo onere verificare l’effettivo possesso dell’autorizzazione da parte del gestore, non essendo al riguardo sufficienti nemmeno le rassicurazioni verbali di quest’ultimo (nel senso della insufficienza delle rassicurazioni verbali, Sez. 3, n. 29727 del 04/06/2013, Amadardo, Rv. 255876 - 01; nel senso che il concorso di persone di cui all’art. 110 cod. pen. è configurabile anche nell’ipotesi di concorso colposo nella contravvenzione, Sez. 3, n. 19437 del 06/12/2012, Berardi, Rv. 255865 - 01; Sez. 3, n. 9097 del 24/06/1993, Spagnuolo, Rv. 195852 - 01; Sez. 3, n. 16474 del 07/11/1990, Polimeno, Rv. 186009 - 01).
5. Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., essendo essa ascrivibile a colpa dei ricorrenti (C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), l'onere delle spese del procedimento nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si fissa equitativamente nella misura di € 3.000,00.
Il Collegio intende in tal modo esercitare la facoltà, introdotta dall’art. 1, comma 64, legge n. 103 del 2017, di aumentare, oltre il massimo edittale, la sanzione prevista dall’art. 616 cod. proc. pen. in caso di inammissibilità del ricorso considerate le ragioni della inammissibilità stessa come sopra indicate.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 12/06/2024.