Cass. Sez. III n. 31347 del 10 agosto 2021 (UP 27 apr 2021)
Pres. Andreazza Est. Corbo Ric. Zen
Rifiuti.Inottemperanza all’ordinanza di rimozione e difficoltà economiche

Il reato di cui all’art. 255, comma 3, d.lgs. n. 152 del 2006 consiste in una condotta di inottemperanza e può essere commesso con dolo o colpa, sicché la colpevolezza non può essere esclusa in ragione di difficoltà economiche determinate dalla dispendiosità delle operazioni da compiere. Né costituisce elemento positivamente valutabile, ai fini della esclusione del dolo (o della colpa), un adempimento, come nella specie, non semplicemente tardivo, ma avvenuto a distanza di anni e solo dopo ulteriori sopralluoghi e l’intervenuto sequestro del sito.


RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa in data 28 settembre 2020, la Corte di appello di Venezia ha confermato la sentenza pronunciata dal Tribunale di Vicenza che aveva dichiarato la penale responsabilità di Antonio Zen e Secondo Zen per i reati di cui all’art. 256, comma 3, d.lgs. n. 152 del 2006, nel quale aveva ritenuto assorbito il reato di cui all’art. 256, comma 1, lett. a), d.lgs. cit.,  e di cui all’art. 255, comma 3, d.lgs. cit., aveva condannato entrambi gli imputati alla pena, condizionalmente sospesa, di sette mesi di arresto e 6.500,00 euro di multa, ed aveva disposto la confisca di un’area specificamente individuata.
Secondo i giudici di merito, Antonio Zen e Secondo Zen avevano realizzato e gestito una discarica non autorizzata all’interno di una ex-cava, almeno fino al 30 marzo 2016, ed avevano omesso di ottemperare, almeno fino a tale data, all’ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi emessa il 17 gennaio 2013 dal Sindaco territorialmente competente. I giudici di merito hanno anche disposto la confisca dell’area della ex cava sulla quale sarebbe stata realizzata la discarica, sottoposta a sequestro il 30 marzo 2016.  

2. Hanno presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello indicata in epigrafe Antonio Zen e Secondo Zen, con un unico atto a firma dell’avvocato Giuseppe Padovan, articolando tre motivi.
2.1. Con il primo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 256, comma 3, d.lgs. n. 152 del 2006 e 2, comma 1, lett. g), d.lgs. n. 36 del 2003, nonché vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., avendo riguardo alla ritenuta sussistenza del reato di realizzazione e gestione di una discarica abusiva.
Si deduce che la sentenza impugnata erroneamente ha ritenuto essere stata realizzata una discarica abusiva. Si premette che, secondo i giudici di merito, si deve parlare di discarica perché le condotte di abbandono di rifiuti nell’area poi confiscata sono state constatate già in occasione del sopralluogo del 24 ottobre 2012 e si sono protratte fino al 30 marzo 2016, data del sequestro della superficie, e perché deve escludersi la provvisorietà del deposito dei precisati materiali, come invece sostenuto nell’atto di appello. Si osserva che, a norma dell’art. 2, comma 1, lett. g), d.lgs. n. 36 del 2003, sono esclusi dalla definizione di discarica «gli impianti in cui i rifiuti sono scaricati al fine di essere preparati per il successivo trasporto in un impianto di recupero, trattamento o smaltimento, e lo stoccaggio di rifiuti in attesa di recupero o trattamento per un periodo inferiore a tre anni come norma generale, o lo stoccaggio di rifiuti in attesa di smaltimento per un periodo inferiore a un anno». Si rappresenta che la esclusione di una situazione di deposito provvisorio, nei termini appena descritti, è stata affermata sul presupposto dell’inattendibilità delle dichiarazioni del consulente della ditta degli imputati, ritenuta sulla base delle deposizioni di due testi di accusa, uno dei quali ha effettuato un unico sopralluogo, e l’altro solo due accessi, ed omettendo di considerare le ulteriori enunciazioni, espressamente richiamate nell’atto di appello, rese dal teste Valerio Baron, il quale ha confermato «la movimentazione del materiale, compatibile con un deposito temporaneo e funzionale alla successiva attività di recupero». Si aggiunge che anche la Corte d’appello ha ammesso la presenza di «movimentazioni» del materiale, e che la constatazione dell’identità di tipologia e dimensione dei rifiuti all’esito dei diversi sopralluoghi non implica necessariamente l’identità statica dei medesimi rifiuti. Si conclude che non può dirsi superata la falsificazione logica della tesi secondo cui il deposito dei rifiuti nella ex-cava sia stato, in concreto, superiore ai tre anni, o, comunque, sia consistito in un abbandono definitivo.   
2.2. Con il secondo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 40, primo comma, e 43 cod. pen., a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., avendo riguardo alla ritenuta sussistenza della colpevolezza in ordine al reato concernente l’inottemperanza all’ordine di ripristino dello stato dei luoghi emessa dal Sindaco territorialmente competente.
Si deduce che la difficoltà ad adempiere all’ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi è stata erroneamente valutata: la stessa, infatti, era stata addotta non quale causa di forza maggiore, bensì come causa di esclusione della colpevolezza. Si osserva che, inoltre, vi è stato un adempimento sia pur tardivo. Si conclude che l’adempimento tardivo in costanza di circostanze oggettive di difficoltà è vicenda incompatibile con l’affermata sussistenza del dolo degli imputati.
2.3. Con il terzo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 1, 20 e 166 cod. pen. e 256, comma 3, d.lgs. n. 152 del 2006, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., avendo riguardo alla statuizione impositiva della confisca, nonché si propone, in subordine, questione di legittimità costituzionale dell’art. 256, comma 3, d.lgs. cit., nella parte in cui non prevede la estensione della sospensione condizionale della pena principale anche alla confisca, per violazione dell’art. 117 Cost. e delle disposizioni CEDU.
Si deduce che l’applicazione della confisca, nonostante la sospensione condizionale della pena, è illegittima perché la confisca di cui all’art. 256, comma 3, d.lgs. n. 152 del 2006 ha natura di pena. Si premette che, secondo la dottrina e la giurisprudenza, la confisca è un istituto a natura polifunzionale, che può avere anche natura di pena. Si osserva, poi, che la confisca di cui all’art. 256, comma 3, d.lgs. cit. ha natura afflittiva e, quindi, di pena accessoria, perché: è obbligatoria; è subordinata all’accertamento della proprietà dell’area in capo all’autore del reato; presuppone la pronuncia di una sentenza di condanna o di applicazione della pena ex art. 444 cod. proc. pen.; ha gravi conseguenze economiche per il reo. Si aggiunge che la confisca in questione è simile alla confisca urbanistica, alla quale la giurisprudenza della Corte EDU ha riconosciuto natura effettiva di pena (si citano: Corte EDU, 20/01/2009, Sud Fondi s.r.l. e altri c. Italia, e Corte EDU, GC, 28/06/2018, G.I.E.M. s.r.l. e altri c. Italia). Si conclude che, se la confisca di cui all’art. 256, comma 3, d.lgs. è una pena, ad essa deve estendersi anche la sospensione condizionale, come del resto avviene anche per le pene accessorie, a norma degli artt. 1, 20 e 166 cod. pen.   
In subordine, si propone questione di legittimità costituzionale dell’art. 256, comma 3, d.lgs. cit., nella parte in cui non prevede la estensione della sospensione condizionale della pena principale anche alla confisca, per violazione dell’art. 117 Cost. in relazione alle disposizioni CEDU, come interpretate dalla Corte EDU in materia di legalità della pena.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi sono nel complesso infondati per le ragioni di seguito precisate.

2. Prive di fondamento sono le censure esposte nel primo motivo, le quali contestano la ritenuta sussistenza del reato di realizzazione e gestione di una discarica abusiva, deducendo che, in realtà, la situazione era da qualificare come deposito provvisorio, sia per la scarsa concludenza delle fonti di prova a carico, sia per l’avvenuta “movimentazione” dei materiali di risulta, ammessa dalla stessa Corte d’appello.  
2.1. La prospettazione difensiva rende utile precisare la nozione di realizzazione e gestione di discarica non autorizzata, anche alla luce della disciplina di deposito temporaneo.
Innanzitutto, in termini generali, va rilevato che secondo la giurisprudenza: a) ai fini della configurabilità del reato di realizzazione o gestione di discarica non autorizzata, è sufficiente l'accumulo di rifiuti, per effetto di una condotta ripetuta, in una determinata area, trasformata di fatto in deposito, con tendenziale carattere di definitività, in considerazione delle quantità considerevoli degli stessi e dello spazio occupato, essendo del tutto irrilevante la circostanza che manchino attività di trasformazione, recupero o riciclo, proprie di una discarica autorizzata (cfr., in particolare, Sez. 3, n. 39027 del 20/04/2018, Caprino, Rv. 273918-01); b) in tema di rifiuti, l'abbandono differisce dalla discarica abusiva per la mera occasionalità, desumibile dall'unicità ed estemporaneità della condotta - che si risolve nel semplice collocamento dei rifiuti in un determinato luogo, in assenza di attività prodromiche o successive - e dalla quantità dei rifiuti abbandonati, mentre nella discarica abusiva la condotta o è abituale - come nel caso di plurimi conferimenti - o, pur quando consiste in un'unica azione, è comunque strutturata, ancorché grossolanamente, al fine della definitiva collocazione dei rifiuti in loco (Sez. 3, n. 18399 del 16/03/2017, Cotto, Rv. 269914-01).
Inoltre, con specifico riguardo ai rapporti tra realizzazione o gestione di discarica non autorizzata e deposito temporaneo, una decisione ha specificamente precisato che è configurabile il reato di discarica non autorizzata o abusiva nel caso di abbandono reiterato di rifiuti anche se il loro deposito abbia durata inferiore ad un anno, in quanto la protrazione del deposito dei rifiuti per un periodo superiore all'anno non individua un elemento costitutivo della fattispecie, perché l'equiparazione del deposito temporaneo protrattosi per oltre un anno alla realizzazione di una discarica, contenuta nell'art. 2 del d.lgs. 13 gennaio 2003, n. 36, non incide sulla configurabilità del reato di discarica abusiva quando si è in presenza di un abbandono reiterato di rifiuti (così Sez. 3, n. 9849 del 29/01/2009, Gonano, Rv. 243116-01).
2.2. La sentenza impugnata spiega analiticamente perché, nella vicenda in esame, deve ritenersi realizzato il reato di realizzazione e gestione di discarica abusiva.
La Corte d’appello, innanzitutto, rappresenta che la società facente capo ai due imputati ha gestito un’area su cui insisteva una ex-cava sulla quale sono state abbandonate, con condotte ripetute, considerevoli qualità di rifiuti, pari complessivamente a circa 4.500 metri cubi, nell’arco di un periodo protrattosi per oltre tre anni, perché compreso tra il 24 ottobre 2012, data del primo sopralluogo, e il 30 marzo 2016, data di sequestro del sito. Precisa, poi, che questo abbandono di materiali aveva provocato uno stato di degrado dei luoghi, con crescita di una folta vegetazione spontanea, non solo erbacea, ma anche arborea, sulla sommità di alcuni cumuli di rifiuti, e che la società era autorizzata a svolgere la sola attività di recupero di rifiuti, ma in un’area ben distinta da quella su cui insisteva la ex-cava.
Il Giudice di secondo grado, nel sintetizzare le risultanze istruttorie, segnala che, dopo il primo sopralluogo, effettuato dal corpo forestale dello Stato in data 24 ottobre 2012, era seguito un provvedimento con cui il Sindaco del Comune territorialmente competente, in data 17 gennaio 2013, aveva ordinato alla società la rimozione di tutti i rifiuti, che quest’ultima aveva concordato con l’ente territoriale un piano di smaltimento dei rifiuti da portare a compimento in parte entro il 4 gennaio 2014 e in parte entro il 20 giugno 2015, e che però ciò non era avvenuto. Evidenzia, poi, che l’inadempimento, denunciato da un ex-socio, era stato constatato il 18 marzo 2016, in occasione di un sopralluogo dell’Ufficio Ecologia del Comune territorialmente competente, e che la documentazione fotografica relativa a questo accesso e quella formata nel 2016, consentiva di rilevare la persistente presenza di cumuli di rifiuti. Osserva, ancora, che l’ulteriore sopralluogo del 30 marzo 2016, all’esito del quale era stato effettuato il sequestro del sito, aveva fatto constatare che: -) i materiali, in gran parte provenienti da cantieri edili, e pari complessivamente a circa 4.500 metri cubi, erano posizionati direttamente sul suolo, senza alcuna impermeabilizzazione idonea ad impedire contaminazioni del terreno sottostante; -) il sito versava in condizioni di degrado, in particolare perché il cumulo centrale era ricoperto da vegetazione e tra i detriti erano presenti pezzi di metallo; -) accanto al cumulo centrale ricoperto da vegetazione ve ne erano altri apparentemente più recenti; -) nell’area della ex-cava erano presenti un escavatore ed un vaglio perfettamente funzionanti; -) i registri di carico e scarico dei rifiuti si fermavano al dicembre 2015, sebbene la movimentazione degli stessi all’interno della ex-cava si fosse protratta anche nei primi mesi del 2016. Segnala, quindi, che il teste Baron, dipendente della società dal 2001, ha sia ammesso l’utilizzo del vaglio proprio all’interno della ex-cava, sia confermato che i rifiuti rinvenuti in quest’area provenivano da demolizioni edili ed erano rimasti in quei luoghi per anni. Espone, infine, che, dopo i sopralluoghi del marzo 2016, il Sindaco del Comune territorialmente competente aveva emesso una nuova ordinanza di rimozione dei rifiuti in data 16 agosto 2016, e che, sulla base di un piano di smaltimento approvato il 15 novembre 2016, la società aveva provveduto alla rimozione di gran parte dei rifiuti, o trasportandoli in altra area di sua pertinenza, laddove corrispondenti alla categoria che essa era autorizzata a trattare, o conferendoli ad altra ditta specializzata.
La sentenza impugnata, poi, esclude motivatamente la configurabilità di una situazione di deposito preliminare o di stoccaggio di rifiuti in attesa di recupero o trattamento per un periodo inferiore a tre anni, prospettata dal consulente della società. La Corte distrettuale richiama, in particolare, sia la deposizione del teste Falco, responsabile dell’Ufficio Ecologia del Comune territorialmente competente, la quale ha detto che lo stato dell’ex-cava era rimasto sostanzialmente immutato tra l’ottobre 2012 ed il marzo 2016, perché, pur notandosi movimentazioni, i cumuli di rifiuti risultavano essere gli stessi per tipologia e dimensione ed erano ormai ricoperti da una folta vegetazione, sia la coerente documentazione fotografica in atti. Aggiunge che dal complessivo esame delle fonti di prova, tra cui le dichiarazioni dell’ispettore che ha proceduto al sequestro il 30 marzo 2016, emerge che: -) la continuità dello svolgimento delle attività all’interno dell’area della ex-cava è confermato, sia dalla presenza, proprio in quel sito, di un escavatore e di un vagliatore, nonché di rifiuti più recenti, sia dalle dichiarazioni del teste Baron, dipendente della società, il quale ha ammesso come la vagliatura dei rifiuti avvenisse anche nell’area della ex-cava; -) l’assoluta irregolarità di tale condotta è desumibile dall’assenza di autorizzazioni in ordine al compimento di qualunque attività in tale area, e dall’assenza di tracciatura o registrazione dei rifiuti in entrata ed in uscita.    
2.3. Le conclusioni della sentenza impugnata sono immuni da vizi.
Ed infatti, posto che, ai fini della configurabilità del reato di realizzazione o gestione di discarica non autorizzata, è sufficiente l'accumulo di rifiuti in una determinata area, trasformata di fatto in deposito con tendenziale carattere di definitività, sia per effetto di una condotta ripetuta, sia mediante un'unica azione avente ad oggetto una considerevole quantità di materiali, la sentenza impugnata ha illustrato motivatamente la sussistenza di una condotta sussumibile in questo paradigma. Precisamente, sono state rappresentate sia l’esistenza di un grosso cumulo di rifiuti abbandonati per oltre tre anni, sui quali era cresciuta addirittura vegetazione arborea, sia la continuità degli sversamenti dei materiali di risulta e delle lavorazioni sugli stessi anche con più mezzi meccanici.
Ancora, la tesi difensiva del deposito preliminare o dello stoccaggio di rifiuti in attesa di recupero o trattamento per un periodo inferiore a tre anni è del tutto infondata. La stessa da un lato si scontra con la accertata continuità della condotta di abbandono incontrollato di materiali di risulta e di lavorazione degli stessi, stante la configurabilità del reato di discarica non autorizzata o abusiva nel caso di abbandono reiterato di rifiuti anche se il loro deposito abbia durata inferiore ad un anno, in quanto la protrazione del deposito dei rifiuti per un periodo superiore all'anno non individua un elemento costitutivo della fattispecie. Dall’altro, è obiettivamente e radicalmente incompatibile con l’accertata presenza del grosso cumulo di rifiuti abbandonato nel centro della ex-cava per oltre tre anni.   

3. Manifestamente infondate sono le censure formulate nel secondo motivo, le quali contestano la ritenuta sussistenza del reato di inottemperanza all’ordine di ripristino dello stato dei luoghi, deducendo il difetto di dolo, desumibile dalla difficoltà economica ad eseguire l’ordinanza e dal comunque intervenuto adempimento tardivo.
Può essere utile precisare, preliminarmente, che: a) gli elementi costitutivi del reato di cui all’art. 255, comma 3, d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, sono l'adozione di un'ordinanza sindacale di rimozione dei rifiuti, di smaltimento degli stessi e di ripristino dello stato dei luoghi, emessa ai sensi dell'art. 192, comma 3, d.lgs. cit., e la condotta di inottemperanza da parte dei suoi destinatari (così Sez. 3, n. 31310 del 04/06/2019, Gerli, Rv. 276302-01); b) il reato in questione può essere commesso anche per colpa, in quanto contravvenzione (cfr., per indicazioni coerenti in proposito, Sez. 3, n. 39430 del 12/06/2018, Pavan, Rv. 273840-01); c) secondo la giurisprudenza, le difficoltà economiche in cui versa il soggetto agente non costituiscono cause di esclusione del dolo e della colpa, sia pure con specifico riferimento alla forza maggiore, ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 650 cod. pen. per violazione di ordinanza sindacale in tema di smaltimento di rifiuti (Sez. 1, n. 18402 del 05/04/2013, Giro, Rv. 255880-01).
 
La sentenza impugnata ha evidenziato, per quanto di specifico interesse in ordine al reato di cui all’art. 255, comma 3, d.lgs. n. 152 del 2006, che, dopo il sopralluogo effettuato dal corpo forestale dello Stato in data 24 ottobre 2012, il Sindaco del Comune territorialmente competente, in data 17 gennaio 2013, aveva ordinato alla società la rimozione di tutti i rifiuti, che quest’ultima aveva concordato con l’ente territoriale un piano di smaltimento degli stessi da portare a compimento in parte entro il 4 gennaio 2014 e in parte entro il 20 giugno 2015, e che però ciò non era avvenuto, come constatato il 18 ed il 30 marzo 2016. Inoltre, la Corte d’appello ha rappresentato che la difficoltà di eseguire l’ordinanza, determinata dalla gravosità delle spese necessarie, non ha impedito alla medesima società, dopo i sopralluoghi del 2016, di ottemperare ad identico ordine, e che il reato è punito anche a titolo di colpa.   
In considerazione dei principi applicabili, e dei fatti indicati nella sentenza impugnata, l’affermazione della responsabilità dei ricorrenti per il reato di cui all’art. 255, comma 3, d.lgs. n. 152 del 2006 risulta immune da vizi. Ed infatti, posto che il reato consiste in una condotta di inottemperanza e può essere commesso con dolo o colpa, non è in alcun modo comprensibile come la colpevolezza possa essere esclusa in ragione di difficoltà economiche determinate dalla dispendiosità delle operazioni da compiere. Né costituisce elemento positivamente valutabile, ai fini della esclusione del dolo (o della colpa), un adempimento, come nella specie, non semplicemente tardivo, ma avvenuto a distanza di anni e solo dopo ulteriori sopralluoghi e l’intervenuto sequestro del sito.

4. Non consentite in questa sede sono le censure formulate nel terzo motivo, le quali contestano l’applicabilità della confisca dell’area sequestrata come adibita a discarica abusiva, o, in subordine, propongono la questione di legittimità costituzionale dell’art. 256, comma 3, d.lgs. cit., nella parte in cui non prevede la estensione della sospensione condizionale della pena principale anche alla confisca, per violazione dell’art. 117 Cost. e delle disposizioni CEDU.
Occorre rilevare, in proposito, che l’art. 606, comma 3, cod. proc. pen. dispone: «Il ricorso è inammissibile se è proposto […], fuori dei casi previsti dagli art. 569 e 609 comma 2, per violazioni di legge non dedotte con i motivi di appello».
Ora, nella specie, la questione della sospensione condizionale della confisca non è stata dedotta con i motivi di appello o comunque nel giudizio di appello, e non è rilevabile di ufficio, a norma dell’art. 609, comma 2, cod. proc. pen.
Invero, le Sezioni Unite hanno espressamente precisato che, fermo l'obbligo del giudice d'appello di motivare circa il mancato esercizio del potere-dovere di applicazione del beneficio della sospensione condizionale della pena in presenza delle condizioni che ne consentono il riconoscimento, l'imputato non può dolersi, con ricorso per cassazione, della sua mancata concessione, qualora non ne abbia fatto richiesta nel corso del giudizio di merito (Sez. U, n. 22533 del 25/10/2018, dep. 2019, Salerno, Rv. 275376-01). Inoltre, risulta costante l’affermazione nella giurisprudenza di legittimità secondo cui il mancato riconoscimento del beneficio della sospensione condizionale, in caso di mancata richiesta del giudizio di appello, non costituisce violazione di legge e non configura mancanza di motivazione suscettibile di ricorso per cassazione ex art. 606, comma primo, lett. e), cod. proc. pen. (così, tra le tante, Sez. 2, n. 15930 del 19/02/2016, Moundi, Tv. 266563-01, nonché in termini più generali, relativamente a tutti i benefici di legge, Sez. 4, n. 29538 del 28/05/2019, Calcinoni, Rv. 276596-01).
Questi principi, enunciati con riferimento alla mancata concessione della sospensione condizionale della pena “principale”, sono ovviamente applicabili anche quando il beneficio è invocato con riferimento ad una sanzione assimilabile, secondo i principi della CEDU, ad una pena.
In effetti, fermo restando che la sospensione condizionale della pena risulta inapplicabile, in linea generale, in materia di confisca, stante l’espresso disposto dell’art. 164, terzo comma, cod. pen., e che tale conclusione è affermata dalla giurisprudenza anche per i casi di confisca per equivalente, e quindi sanzionatoria (cfr. Sez. 2, n. 8538 del 27/11/2019, dep. 2020, De Gregorio, Rv. 278241-01, nonché Sez. 2, n. 45324 del 14/10/2015, Soddu, Rv. 264958-01), in ogni caso non si vede perché la questione concernente la mancata concessione del beneficio debba ritenersi rilevabile di ufficio in sede di legittimità nei casi di ablazione convenzionalmente penale. Ed infatti, la sospensione condizionale della pena, se anche fosse concedibile con riguardo alla confisca “sanzionatoria”, lo potrebbe essere solo in ragione dell’equiparazione di quest’ultima ad una pena prevista dall’ordinamento italiano, e quindi in applicazione della disciplina generale dell’istituto. Di conseguenza, pur a voler ritenere applicabile il beneficio, dovrebbe necessariamente riconoscersi l’operatività non solo del regime sostanziale, ma anche del regime processuale ad esso relativo.    

5. La complessiva infondatezza dei motivi impone il rigetto dei ricorsi e la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
La costituzione dei rapporti processuali di impugnazione in sede di legittimità, determinato dalla complessiva non inammissibilità dei ricorsi, non comporta la maturazione della prescrizione per nessuno dei due reati per i quali era stata pronunciata condanna. Invero, il reato di realizzazione e gestione di discarica abusiva, di cui all’art. 256, comma 3, d.lgs. n. 152 del 2006, si è consumato il 30 marzo 2016, giorno del sequestro dell’area illecitamente adibita a discarica, e deve inoltre tenersi conto della sospensione ex lege in applicazione della disciplina emergenziale in materia di Covid-19, per i giorni dal 2 aprile 2020 all’11 maggio 2020. Il reato di omessa ottemperanza all’ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi, di cui all’art. 255, comma 3, d.lgs. n. 152 del 2006, si è anch’esso consumato non prima del 30 marzo 2016, se non successivamente, posto che, come osserva l’orientamento giurisprudenziale consolidato in materia, l’illecito penale in questione ha natura di reato permanente, nel quale la scadenza del termine per l'adempimento non indica il momento di esaurimento della fattispecie, bensì l'inizio della fase di consumazione che si protrae sino all'ottemperanza all'ordine ricevuto (cfr., per tutte, Sez. 3, n. 39430 del 12/06/2018, Pavan, Rv. 273841-01, e Sez. 3, n. 33585 del 08/04/2015, Rosano, Rv. 264439-01).

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 27/04/2021